Di: Nicola Sbetti
Giugno 2009
LO SPORT NELL’ANTICA GRECIA
Dopo l’analisi sullo sport e sull’intrattenimento nell’antica Roma non poteva mancare in questo
spazio un richiamo all’antica Grecia, considerata tutt’oggi, nonostante un’ampia e efficace opera di
demitizzazione, la madre dello sport puro e incontaminato e dell’Olimpismo.
Oggi sappiamo invece che l’ideale olimpico, secondo la concezione di Pierre de Coubertin, deve
molto di più al modello sportivo britannico del “gentlemen amateur”di fine Ottocento, piuttosto che
a quello della Grecia antica da cui però ha ampiamente attinto la simbologia.
Tuttavia non si può negare come in epoca antica l’atletismo, l’agonismo e le competizioni sportive
individuali abbiano trovato in Grecia la loro massima rappresentazione.
Il testo che segue non tocca tutti gli aspetti dello sport dell’antica Grecia, ma si concentra
principalmente sui Giochi Olimpici, Pitici, Istmici e di Nemea, in quanto si tratta di un estratto della
mia tesi di laurea triennale “Le Olimpiadi e le Relazioni Internazionali” (relatore: Prof. Michele
Chiaruzzi) consultabile nella Biblioteca dello Sport – Centro Studi Coni di Bologna.
1.1 I GIOCHI NELL’ANTICA GRECIA
Si può affermare che lo sport sia nato nella Grecia antica come fenomeno che permea la vita della
società e ha su di essa un enorme impatto, in quanto manifestazioni ricorrenti di massa,1 anche se
alcune testimonianze parlano di competizioni sportive già nell’antico Egitto, che però dovevano
garantire la vittoria del re in modo da ribadirne la superiorità.2
Sport e attività fisica in Grecia non avevano alcun carattere ludico, secondo l’accezione
moderna che si è sviluppata a partire dalla fine del 1800 in occidente, servivano bensì per preparare
gli uomini alla guerra ed avevano un carattere sacro dovuto al fatto che le gare più importanti si
svolgevano in santuari.
Nonostante la storiografia e le pubblicazioni si concentrino quasi esclusivamente su Olimpia, in
epoca classica i festival, che riunivano l’intera grecità tanto da assumere la denominazione di
periodos,3 erano quattro: i Giochi Olimpici, con cadenza quadriennale, dedicati a Zeus che si
tenevano a Olimpia dal 776 a.C.; i Giochi Pitici che si svolgevano ogni quattro anni a Delfi, dedicati
ad Apollo; i Giochi Istmici, con cadenza biennale, dedicati a Poseidone e i Giochi di Nemea in
onore di Zeus anch’essi biennali.
1
Henri Willy Pleket, L’agonismo sportivo, cit., p.521.
Ibid.
3
Circuito: che in qualche modo può essere paragonato ad un grande slam tennistico disputato nell’arco di 4 anni.
2
Accanto ai quattro grandi giochi che si caratterizzavano per la loro sacralità e per l’assenza
di premi pecuniari,4 si erano sviluppate anche altri agoni con premi in denaro che raggiungevano,
per il vincitore, cifre considerevoli; nonostante ciò il loro prestigio era nettamente inferiore a quello
dei quattro festival principali. Tra queste le più celebri erano le Panatenaiche di Atene, ma anche
Rodi, Argo, Tebe, Egina e Megara avevano le loro competizioni.
Le gare sportive erano solo una parte delle festività che prevedevano anche sacrifici alle
divinità: i Giochi Olimpici, Pitici, Istmici e di Nemea erano soprattutto un tributo agli dei. 5
Per permettere ai pellegrini di accedere al sito, gli araldi proclamavano, per un periodo che si ritiene
essere di tre o quattro mesi, l’ekecheria: la tregua sacra6 (vedi capitolo 4.4.4).
La tregua sacra fu l’indispensabile presupposto per l’ascesa dei Giochi Olimpici a festività prima
regionale, poi panellenica, facendoli uscire dal puro ambito locale delle origini. Senza un accordo
che garantisse il silenzio delle armi nel periodo dei Giochi, la molteplicità di conflitti, anche di
proporzioni limitate, tra le singole città peloponnesiache non avrebbe consentito ad atleti e pubblico
di viaggiare senza pericolo.7
Se l’ekecheria permetteva la partecipazione al mondo greco, la corsa a piedi e dei carri, i lanci, la
lotta, il pugilato e il pancrazio8 garantivano la multi sportività dell’evento.
La ciclicità era ben definita tanto che il calendario greco si basava sull’anno olimpico.
La partecipazione del mondo greco ai periodos era totale ma esclusiva nei confronti dei barbari,
almeno nel periodo classico. Nonostante ciò né la dominazione macedone e il periodo ellenistico, né
l’iniziale dominazione romana determinarono un declino degli agoni panellenici.
Anzi, Roma, Napoli, Alessandria, Antinochia in Siria, Efeso, Sidone e Smirne crearono festività che
si ispiravano direttamente a quelle greche e spesso si fregiavano proprio dell’aggettivo olimpico. In
particolar modo le Aziache, nate per celebrare la vittoria di Ottaviano a Roma nel 31 d.C. i
Capitolini: istituiti da Domiziano a Roma nel 96 d.C. e le precedenti Eree di Argo assunsero
un’importanza paragonabile a quella dei periodos.9
Allo stesso modo la geografia dei vincitori dei periodos si allargava anche all’esterno della Grecia.
Pleket ritiene che il declino dell’agonismo sportivo greco risalga al tardo III secolo d.C., quando la
tassazione romana sempre più oppressiva aveva creato nelle città una polarizzazione estrema tra gli
enormemente ricchi e un numero sempre maggiore di ex appartenenti alle élite ormai impoveritisi.10
4
Il premio consisteva in un semplice ramoscello d’ulivo ma per tutti i greci si trattava di un riconoscimento di estremo
valore.
5
André Bernard, The Road to Olympia – origins of the olympic games, London, Periplus Publishing, 2003.
6
M. I. Finley, H.W. Pleket, I Giochi Olimpici – i primi mille anni, Roma, Editori Riuniti, 1980.
7
Karl-Whillem Weeber, Olimpia e i suoi sponsor – Sport, denaro e politica nell’antichità, Garzanti, 1992, pp.115-120.
8
Un misto fra pugilato e lotta in cui tutto era permesso salvo infilare le dita in occhi e orecchie agli avversari.
9
H. W. Pleket, L’agonismo sportivo, cit., p.522.
10
Ibidem, pp.531-2.
Fu il cristianesimo, una volta divenuto religione ufficiale dell’impero, a decretare la fine dei Giochi
Olimpici, considerati delle festività pagane. Con un decreto imperiale nel 393 d.C. Teodosio li vietò
venendo incontro alle pressanti richieste del vescovo di Milano.11
Molti sono stati gli episodi di politica internazionale che hanno toccato i giochi panellenici e
molte sono anche le similitudini con le Olimpiadi moderne; la questione sarà approfondita nel
capitolo 4.
IV
OLIMPIADI ANTICHE E MODERNE
4.1 LA SIMBOLOGIA
Molti autori12 si sono segnalati nella demitizzazione dei Giochi Olimpici antichi, tuttavia la
propaganda olimpica è riuscita a mantenere congelata, in parte strumentalmente, in parte per una
reale mancanza di conoscenza storiografica, un’idea dei Giochi dell’antica Grecia che poco o nulla
ha a che vedere con quella reale.
Il mito della purezza dello sport della Grecia classica esisteva fin dall’Ottocento ed era stato il
motore, ad esempio, per la scoperta archeologica di Olimpia. De Coubertin, sapendo che i Giochi
dell’antichità funzionavano in quanto tributo agli dei, era conscio della necessità di dare un
«sentimento religioso» o quantomeno un «fondamento filosofico» alla sua invenzione; nelle sue
definizioni di Olimpismo il richiamo all’antichità è quasi ossessivo.
La simbologia olimpica non si affermò immediatamente, anche per le difficoltà che ebbero le
Olimpiadi stesse ad affermarsi, ma si rese necessaria, negli anni ’20, per coinvolgere maggiormente
le masse;13 un vero protocollo, però, si ebbe solo a partire da Los Angeles nel 1932.
La fiamma olimpica, che durante ogni Olimpiade a partire dal 1928, brucia nello stadio in onore del
fuoco sacro sull’altare di Zeus Olimpico, la staffetta della torcia olimpica, introdotta da Carl Diem
in occasione di Berlino 1936, e il giuramento degli atleti introdotto ad Anversa nel 1920 si
ispiravano a consuetudini antiche. Anche la proposizione di concorsi artistici14 alle Olimpiadi dal
1912 al 1948 doveva ricordare le competizioni definite «musicali», che prefiguravano anche arti
11
Ian Buchanan e Bill Mallon, Historical dictionary of the Olympic movement, Lanham Maryland and London, The
scarecrow press inc., 2001.
12
R. Muth, H.W. Pleket, K.W. Weeber, I. Weiler, D.C. Young.
13
U. Prokop, Olimpiadi dello spreco e dell’inganno, cit., pp.46-9.
14
In architettura, scultura, pittura, letteratura, musica, meriti aeronautici, meriti alpinistici. Giampaolo Carbonetto,
Cento anni di Olimpiadi, Venezia, Marsilio, 1995, pp.438-41. Per approfondire vedi anche Jean-Yves Guillain, Art et
olympisme: histoire du concours de peinture, Paris, Atlantic, 2004.
drammatiche e poesia, che si celebravano accanto agli agoni sportivi dei periodos ma soprattutto ai
Giochi Pitici di Delfi.15 Le medaglie così come la premiazione del secondo e del terzo e la bandiera
a cinque cerchi invece rappresentavano una novità.
In alcuni casi il richiamo alla Grecia antica servì a de Coubertin per fornire un’autorità morale a
realizzazioni tipicamente anglosassoni;16 perseguendo esigenze moderne, l’ideale olimpico si è
quindi, per forza di cose, sempre più allontanato dalla realtà antica.17
4.2 LA POLITICA E LA CORRUZIONE SPORTIVA NELL’ANTICA GRECIA
La pratica sportiva nell’antica Grecia era tutto fuorché pura e leale come era stata idealizzata
nell’Ottocento: oltre a una mancanza culturale di quello che oggi viene definito fair play, gli atleti
gareggiavano per vincere a tutti costi, non per la mera gloria; 18 una vittoria nei periodos portava
oltre a vantaggi economici indiretti, poiché la polis premiava l’atleta vincente con un vitalizio e
pasti caldi gratuiti a vita, anche un prestigio tale da poter rappresentare, per chi lo avesse voluto, un
trampolino per la propria ambizione. Non c’erano praticamente limiti alla possibilità di trarre
vantaggio dalla passione per lo sport e per le vittorie in vista di obiettivi che erano in senso lato
politici.19
La corruzione era presente anche nell’antichità, tanto che, per quel che riguarda i Giochi di
Olimpia, si ha notizia di due casi accertati: uno nel 388 a.C., l’altro nel 332 a.C. che coinvolse
Callippo, un atleta ateniese.20 In questa seconda occasione gli ateniesi, a riprova delle implicazioni
politiche dei Giochi dell’antichità, presero il fatto come una questione di prestigio nazionale e
inviarono in Ellade il loro migliore oratore, inutilmente, in quanto nelle Olimpiadi seguenti Atene, o
per esclusione, o per rinuncia volontaria, non presenziò al santuario di Zeus Olimpico.21
Anche le naturalizzazioni tanto in voga soprattutto negli ultimi anni nel panorama sportivo
internazionale erano comuni, ovviamente in cambio di denaro, anche perché ad Olimpia era
sufficiente dichiarare la propria polis di provenienza.
Gli atleti stessi tendevano a sfruttare la fama olimpica per intraprendere la carriera politica come nel
caso di Clione, che tra il 636 e il 624 a.C. sfruttò la sua fama di ex olimpionico, per tentare un colpo
15
André Bernard, The Road to Olympia, cit., p.115.
A. Lombardo, Pierre de Coubertin, Cit., p.10.
17
Maria Luisa Cantoni, Cercando le Olimpiadi, cit. p.546.
18
L’importanza data alla vittoria nel mondo greco negava quello che oggi è diventato il motto olimpico ossia:
«l’importante non è vincere ma partecipare» che fu adottato da de Coubertin dopo averlo estrapolato da un discorso del
vescovo Ethelbert Talbot durante le Olimpiadi del 1908.
19
M. I. Finley, H.W. Pleket, I Giochi Olimpici, cit., p100.
20
K.W. Weeber, Olimpia e i suoi sponsor, cit., pp.96-9.
21
Ibid.
16
di stato.22 Allo stesso modo, anche in una democrazia come Atene, Alcibiade sfruttò le sue vittorie
olimpiche al fine di farsi assegnare il comando supremo della flotta per la sua celebre e disastrosa
impresa in Sicilia.23 In epoca romana Nerone non fu da meno, creando una nuova competizione
equestre ad hoc nella quale trionfò tramutando i Giochi in farsa.
I Giochi dell’antica Grecia, che non si disputavano in città ma in siti sacri, 24 non erano
mobili, rimanendo immuni da problemi di corruzione o di boicottaggio venuti alla luce
successivamente nelle Olimpiadi moderne, tuttavia non mancavano le tensioni politiche tra le
rispettive organizzazioni dei Giochi.25
Proprio la religione, così come la lingua e la cultura comune davano ai greci un senso di
appartenenza che si rifletteva in una partecipazione esclusiva ai periodos: i non greci, le donne, gli
schiavi e chi si era macchiato di crimini gravi non potevano partecipare. Quest’uniformità culturale
aveva permesso ai Giochi Panellenici di essere uno dei simboli di quello che Martin Wight chiama
il «sistema di stati» ellenico.26 Per essere ammessi a Olimpia, e venir riconosciuti come greci, i
macedoni di Alessandro I dovettero ricorrere ad un artifizio mitologico.27 Solo l’affermazione della
cultura ellenistica con Alessandro Magno e i Tolemaici ridusse, in parte, la differenza fra i greci e i
«barbari».28 Anche l’ingresso dei romani a Olimpia non fu immediato, in quanto si cercò di
includerli senza che ciò apparisse una resa alla loro potenza politica-militare; i romani furono quindi
invitati ai Giochi Istmici nel 229 a.C. come segno di gratitudine per aver eliminato i pirati dalle
coste di Corinto.29
Il ruolo del CIO, nell’antica Olimpia, era svolto dagli elei, che dal VIII secolo avevano
assunto il controllo del santuario a svantaggio dei pisati. Grazie a ciò gli elei vissero a lungo in pace
sfruttando la loro neutralità;30 il controllo del santuario e del suo lucrativo festival fu tuttavia causa
di alcune guerre.31 A metà del VII secolo Ferone di Argo occupò il bosco sacro di Olimpia e Elide,
per ritornarne in possesso, fu costretta a inoltrare una richiesta d’aiuto a Sparta, che era la potenza
garante, per cacciare gli argivi e dichiarare successivamente nulli i Giochi tenuti sotto l’occupante. 32
Guardando aideologicamente l’epopea dell’antica Olimpia e degli altri periodos si notano quindi
molte più analogie con le Olimpiadi moderne e con la loro evoluzione che non con l’idea olimpica
di de Coubertin, che teoricamente si rifaceva proprio ai Giochi dell’antica Grecia.
22
Ibidem, pp.39-48.
Ibid.
24
André Bernard, The Road to Olympia, cit., p.235.
25
N. Spivey, The Ancient Olympics, cit., p.72.
26
Martin Wight, System of States, Leicester, University Press, 1977 p.22.
27
K.W. Weeber, Olimpia e i suoi sponsor, cit., p154.
28
Ibid.
29
Ibid.
30
Ibidem, p.117.
31
N. Spivey, The Ancient Olympics, cit., p.3.
32
K.W. Weeber, Olimpia e i suoi sponsor, cit., p117.
23
4.3 LE RELAZIONI INTERNAZIONALI NEI GIOCHI DELL’ANTICA GRECIA
Le Olimpiadi moderne servono anche da base diplomatica occasionale tra governi che hanno o
avevano rare occasioni di scambiarsi ambascerie e come luogo per incontri e colloqui fra capi di
stato e alti funzionari per stringere alleanze e collaborazioni, rafforzare amicizie o scongelare
tensioni in maniera informale.
Allo stesso modo nei Giochi Panellenici si riuniva l’intera grecità e i politici coglievano l’occasione
per parlare tra loro; chi aveva qualcosa da dire al mondo panellenico non poteva trovare un
palcoscenico migliore. A Olimpia inoltre venivano stipulati trattati fra singoli stati che venivano
incisi su pietra o bronzo e depositati nell’Altis.33
Una certa similitudine si può trovare anche fra la rivalità politica e di conseguenza anche sportiva
del secondo dopoguerra tra USA e URSS e quella del periodo classico fra Sparta e Atene.
Gli spartani dominarono per quasi mezzo secolo le Olimpiadi;34 essi sapevano di trarre vantaggi
politici, in quanto la loro posizione sportiva dominante era la prova della superiorità del sistema
politico spartano; i successi erano infatti il frutto di un’educazione e una cultura sportiva concepite
prioritariamente come addestramento militare: l’agogé.35 Il padre della ginnastica tedesca. Jahn, si
ispirerà proprio al modello spartano per creare dei giovani forti per l’esercito prussiano.
Ad Atene Solone, nel 594 a.C., introdusse un programma statale di promozione dello sport fondato
su lauti compensi materiali per allettare gli atleti a diventare olimpionici; una specializzazione che
Sparta ha sempre rifiutato finendo per perdere la sua posizione predominante.36
Nell’analizzare questo paragone non va dimenticato che gli atleti a Olimpia partecipavano
individualmente e non c’erano squadre olimpiche come le intendiamo oggi.
Nell’antichità le Olimpiadi furono anche usate dal punto di vista strategico; da Tucidide (VI – 16)
apprendiamo che sul finire della guerra del Peloponneso gli ateniesi, nonostante fossero sfiancati
dalla guerra, presentarono sette carri riportando la vittoria con Alcibiade, l’ideatore dello
stratagemma, e piazzandosi anche secondi e quarti, per far credere agli altri greci che Atene fosse
ancora più grande della sua reale potenza.
33
Ibidem., p.162. Il rispetto di questi trattati dipendeva chiaramente dai rapporti di forza. Nel 446-5 a.C. fu fissata a
Olimpia la pace fra Atene e Sparta tuttavia, quando la situazione mutò, il documento restò lettera morta.
34
Sembra che furono proprio gli spartani a imporre il fatto che si gareggiasse nudi.
35
Ibidem, pp.30-5 e 66-7
36
Ibid.
4.4 LA TREGUA SACRA IN GRECIA
In poco più di cent’anni di storia le Olimpiadi dell’era moderna hanno dovuto fermarsi tre volte a
causa di due conflitti mondiali, quelle dell’antica Grecia con una storia millenaria si sono
praticamente sempre disputate nonostante la guerra del Peloponneso e la conquista macedone e
romana.
Riducendo al minimo le variabili questa differenza può essere spiegata con il modo diverso di
intendere la tregua Olimpica: l’ekecheria.
Sia de Coubertin che i suoi successori hanno idealisticamente cercato di dare a questo strumento
un’accezione più ampia, ossia di pace generale durante il periodo olimpico. Proprio per
l’affermazione con forza di questa pretesa si considerano la prima guerra mondiale come la
sconfitta del progetto coubertiniano e le guerre balcaniche degli anni Novanta come il fallimento del
progetto di Samaranch di collaborazione del CIO con l’ONU.
Ekecheria etimologicamente significa: «Stato in cui si trattengono le mani», stato in cui non si
combatte, per cui più che una pace rappresenta un armistizio. La portata pratica di questo istituto era
limitata innanzitutto dal punto di vista temporale, in quanto gli araldi (theròi) si spargevano a
ventaglio dal luogo sacro per annunciare a tutti i greci i prossimi giochi e proclamando allo stesso
tempo la tregua sacra per un periodo limitato inizialmente di un mese, successivamente di due,
prima e dopo l’evento.37 Inoltre la tregua sacra era limitata anche dal punto di vista territoriale:
serviva per creare una specie di corridoio protetto liberamente transitabile da chi intendeva
partecipare ai festival. Le armi venivano deposte per uno scopo esattamente definito e per un
periodo di tempo preventivamente stabilito, nessuno era obbligato ad aderire, ma dato il grande
prestigio non si conoscono casi di poleis che si rifiutarono di riconoscere l’ekecheria.38
Se le ekecheiriai religiose avessero comportato una pace generale valida per tutta quanta l’Ellade,
difficilmente i greci avrebbero trovato il tempo di fare la guerra.39
Tucidide (V – 31) ci descrive come la guerra del Peloponneso fu scandita da ekecheiriai che
interrompevano momentaneamente conflitti locali ma non l’intera guerra. Nel 420 a.C. gli spartani,
che storicamente erano stati i protettori di Olimpia, furono esclusi dagli elei che li accusavano di
non aver rispettato la tregua sacra indetta per i Giochi. Gli spartani si difesero riferendo che il bando
di tregua non era ancora arrivato a Sparta, ma ciò non fu considerato sufficiente in quanto si ritenne
che gli spartani avessero voluto sfruttare tatticamente la differenza temporale della proclamazione
della tregua da Olimpia a Sparta per conquistare la città di Lepreo contesa agli elei. Gli spartani,
37
M. I. Finley e H.W. Pleket, I Giochi Olimpici, cit., p.98.
K.W. Weeber, Olimpia e i suoi sponsor, cit., p.118.
39
Ibidem, p.120.
38
nonostante ne avessero la forza, non si mossero in armi contro Olimpia per poter sacrificare e
partecipare alle competizioni, gli elei invece, che non erano riusciti nella seconda fase della guerra
del Peloponneso a mantenere la loro storica neutralità, non disponendo di un esercito in grado di
opporsi a Sparta, sfruttarono politicamente il loro ruolo di custodi di Olimpia, per cercare di
riottenere ciò che avevano perso militarmente. Nonostante ciò con la fine della guerra del
Peloponneso gli spartani lasciarono agli sconfitti elei la direzione e l’amministrazione del santuario
a patto che venisse riconosciuto pubblicamente il diritto spartano di sacrificare.
L’ ekecheria fu quindi una soluzione di compromesso tra la necessità di fare la guerra e di
celebrare i Giochi sportivo-religiosi ed essa funzionava bene perché non pretendeva troppo dalle
singole parti;40 l’omogeneità culturale e l’aurea di sacralità che essa aveva facevano il resto.
Paradossalmente l’unico periodo in cui si ottenne il vero ideale ottocentesco e dei primi del
Novecento di una pace olimpica fu solo in età romana, quando la «pax romana», data dall’egemonia
dell’impero romano, non rendeva più possibili le abituali guerre tra polis.41
40
41
K.W. Weeber, Olimpia e i suoi sponsor, cit., p.120.
N. Spivey, The Ancient Olympics, cit., p.77.
BIBLIOGRAFIA
André Bernard, The Road to Olympia – origins of the Olympic Games, London, Periplus
Publishing, 2003.
Ian Buchanan e Bill Mallon, Historical dictionary of the Olympic Movement, Lanham Maryland
and London, The scarecrow press inc., 2001.
Maria Luisa Cantoni, Cercando le Olimpiadi; nota iconografica in: Salvatore Settis (a cura di), Noi
e i greci, Giulio Einaudi Editore, 1996.
M. I. Finley e H.W. Pleket, I Giochi Olimpici – i primi mille anni, Roma, Editori Riuniti, 1980.
Antonio Lombardo, Pierre de Coubertin – saggio storico sulle Olimpiadi moderne 1880-1914,
Roma, Rai-Eri, 2000.
Henri Willy Pleket, L’agonismo sportivo, in Noi e i greci, a cura di Salvatore Settis, Torino, Giulio
Einaudi Editore, 1996.
Urlike Prokop, Olimpiadi dello spreco e dell’inganno, Guaraldi Editore, 1972.
Nigel Spivey, The Ancient Olympics, New York, Oxford University Press, 2004.
Karl-Whillem Weeber, Olimpia e i suoi sponsor – Sport, denaro e politica nell’antichità, Garzanti,
1992.
Martin Wight, System of States, Leicester, University Press, 1977.