Le iniziative adottate a livello internazionale per contrastare la

Le iniziative adottate a livello internazionale per contrastare la
diffusione del virus Ebola
Nota n° 63 7 ottobre 2014
L'allarmante diffusione del virus Ebola cui la Comunità internazionale assiste con preoccupazione è iniziato
in febbraio nel sud-est della Guinea, per poi successivamente diffondersi in alcuni paesi limitrofi (Liberia,
Sierra Leone e Nigeria): questa emergenza sanitaria risulta essere a tutt'oggi la più grave nella storia
ormai quarantennale susseguente all'isolamento nel 1976 del virus Ebola dopo alcuni casi in Sudan e
nella Repubblica democratica del Congo. Alla metà di settembre si registravano ormai oltre 5.700 casi, con
oltre 2.700 decessi, la maggior parte dei quali in Liberia (oltre 1.700 morti), seguita dal paese del focolaio
originario, la Guinea, con oltre 600 morti, e dalla Sierra Leone oltre 500 morti. Assai più limitato il tributo di
vite umane ed infettati pagato fino a quel momento dalla Nigeria, con 8 morti su 21 casi accertati - va qui
precisato che questo grande paese dell'Africa occidentale dispone indubbiamente di strutture sanitarie e di
controllo delle frontiere tali da poter individuare e isolare abbastanza efficacemente individui sospetti di aver
contratto il virus.
Nella fase iniziale della nuova diffusione di Ebola già il 26 marzo l'Istituto Pasteur di Lione confermava
trattarsi del già noto virus Ebola. Nonostante gli sforzi messi in atto dalle autorità guineane,
dall'Organizzazione mondiale della sanità e da altri operatori di supporto, verso la fine di maggio l'epidemia
giungeva a toccare la capitale della Guinea Conakry, città che conta circa due milioni di abitanti: in tal modo
veniva smentita l'ipotesi che il virus Ebola per sua natura fosse limitato a piccole comunità rurali, come in
passato verificatosi, e per di più le preoccupazioni venivano accresciute dal fatto che pur capitale Conakry
vede gran parte della sue popolazione vivere in condizioni economiche ed igieniche assai precarie, sì da
favorire piuttosto che contenere una possibile rapida diffusione del virus.
Per quanto riguarda gli altri paesi, in Liberia casi accertati venivano accertati già alla metà di aprile,
mentre la capitale Monrovia veniva raggiunta alla metà di giugno. Intanto alla fine di maggio era stato
accertato che anche in Sierra Leone si erano verificati casi di infezione da virus Ebola, che riuscivano a
raggiungere la capitale Freetown verso la fine di luglio. In questi giorni il primo caso di persona contagiata
dal virus Ebola si registrava anche in Nigeria: si trattava però di un cittadino liberiano già debilitato al suo
arrivo in aereo a Lagos, che veniva quindi prontamente isolato e dopo cinque giorni moriva, lasciando
peraltro infetti due dei sanitari nigeriani che avevano tentato di salvarlo.
All'inizio di luglio un primo bilancio delle iniziative volte a contrastare la diffusione del virus si presentava
abbastanza sconfortante: l'inefficacia dei sistemi sanitari locali, la scarsezza del personale e della sua
formazione, le carenze nelle attrezzature mediche, la scarsa conoscenza delle norme igieniche e la mobilità
delle popolazioni attraverso le frontiere dei paesi vicini sembravano diffondere il contagio in maniera
inesorabile. Non a caso da parte di Medici senza frontiere veniva lanciato un appello per l'afflusso in loco di
altro personale specializzato, poiché i 300 operatori dell'organizzazione erano chiaramente insufficienti a
coadiuvare il personale locale. Anche la presenza della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa internazionale, e di
esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Unione europea non sembravano rassicurare quanto
ai risultati. Va segnalato che uno dei principali ostacoli all'azione internazionale è rappresentato da radicate
abitudini e convinzioni delle popolazioni locali, diffidenti verso le strutture sanitarie e timorose di denunciare
l'eventuale contagio per paura di un totale isolamento e della condanna sociale. In molti casi i pazienti hanno
continuato a sottovalutare la malattia affidandosi a guaritori locali, mentre non è mancato chi è giunto ad
accusare della diffusione del virus proprio i team di specialisti internazionali impegnati nel contrastarlo, che
sono stati in alcuni casi oggetto di attacchi e violenze. I prolungati rituali diffusi in molte aree della zona
maggiormente infettata dal virus, per i quali la sepoltura deve avere luogo solo dopo molti giorni e dopo un
accurato lavaggio del corpo del defunto, non hanno fatto altro che favorire la trasmissione del virus da
persona a persona.
Dopo una prima fase di reciproca fiducia, non a caso, il 27 luglio la presidente liberiana Ellen Johnson
Sirleaf annunciava la chiusura dei confini con la Guinea, mentre nel principale aeroporto del paese venivano
istituiti centri di screening immediato dei passeggeri in arrivo. Venivano messe in quarantena le zone del
paese maggiormente colpite dal virus Ebola e veniva dichiarata la chiusura delle scuole.
Dal canto suo la Sierra Leone decideva di sottoporre a controlli rigorosi tutti i viaggiatori in arrivo dalla
Guinea e dalla Liberia, e il 30 luglio dichiarava lo stato di emergenza, rischierando truppe per ottenere la
messa in quarantena dei punti più colpiti dall'epidemia. Subito dopo iniziavano nella capitale Freetown
campagne di sensibilizzazione della popolazione attraverso molteplici strumenti di comunicazione.
All'inizio di agosto la virulenza dell'epidemia induceva l'Organizzazione mondiale della sanità a
configurarla a tutto tondo come la nuova emergenza internazionale in campo sanitario: i decessi
toccavano ormai quasi il numero di 1.000, ma sia da parte dell'ONU che dell'Unione europea non si
consigliava alcuna interruzione dei collegamenti aerei con i paesi maggiormente colpiti, quanto piuttosto una
limitazione all'essenziale dei viaggi verso tali paesi. L'unica notizia positiva veniva dagli Stati Uniti, dove due
americani fatti rientrare dall'Africa dopo il contagio dell'Ebola sembravano rispondere positivamente al
trattamento dell'infezione con il siero biotecnologico sperimentale ZMapp. Ciononostante al 20 agosto i morti
superavano la cifra di 1.200, e un paese importante come il Camerun annunciava la chiusura delle frontiere
per una quarantina di giorni.
All'inizio di settembre l'Organizzazione mondiale della sanità, le Nazioni Unite e Medici senza
frontiere rilanciavano l'allarme sulla diffusione del virus, rispetto alla quale le iniziative messe in campo si
dimostravano insufficienti: la FAO poi attirava l'attenzione sul fatto che le misure messe in atto nei paesi
colpiti dall'epidemia, come le restrizioni negli spostamenti, sono suscettibili di porre a rischio la sicurezza
alimentare e la produttività agricola, con l'effetto di un brusco innalzamento dei prezzi dei generi alimentari.
Peraltro l'Organizzazione mondiale della sanità tranquillizzava in ordine alla possibile diffusione dell'epidemia
dall'Africa occidentale a quella centrale, poiché i 31 morti registrati nella Repubblica democratica del Congo
non appaiono in alcun modo collegati con l'epidemia originatasi in Guinea. Sul fronte dei rimedi
farmacologici, l'Università di Nagasaki rendeva noto di aver messo a punto un test per il virus Ebola
capace di rivelarne la presenza in appena 30 minuti; negli stessi giorni prendeva il via negli USA la
sperimentazione sull'uomo del vaccino sviluppato dall'azienda GSK (Glaxosmithkline).
Intanto in un vertice di esperti con circa 200 partecipanti in svolgimento a Ginevra l'Organizzazione
mondiale della sanità presentava la panoplia dei rimedi farmacologici all'orizzonte contro il virus Ebola,
ovvero otto trattamenti sperimentali e due vaccini: essendo tuttavia relativamente lontana nel tempo la
possibilità di utilizzare sul campo questi rimedi, il vertice di Ginevra concordava sulla opportunità di servirsi
nell'immediato delle più tradizionali trasfusioni di sangue da persone sopravvissute al virus a persone da
questo infettate. Questo approccio si giustificava certamente con l'urgenza che ormai l'epidemia dettava, con
il superamento della quota di 2.000 morti su circa 4.000 casi. Pochi giorni dopo emergeva che vaccino della
GSK, sviluppato con il determinante contributo dei laboratori italiani di Pomezia, sarebbe in grado di
garantire 10 mesi di immunità contro il virus Ebola.
Sul fronte degli stanziamenti, mentre gli Stati Uniti annunciavano un aiuto di 75 milioni di dollari in
Liberia finalizzati a letti, apparecchiature e dispositivi contro il contagio, l'Unione europea rispondeva con
140 milioni di euro per tutti i paesi dell'Africa occidentale colpiti dall'epidemia, 43 milioni dei quali
direttamente destinati ai servizi sanitari e ai laboratori mobili, mentre 97 milioni sono stati finalizzati al
sostegno del bilancio pubblico della Liberia e della Sierra Leone, che vedono ormai completamente a rischio
la propria stabilità finanziaria. Gli Stati Uniti sembravano poi rilanciare quando il presidente Obama
annunciava l'invio nei paesi africani di mezzi militari come le unità speciali di messa in quarantena,
evidentemente consapevole del rapido aggravamento e deterioramento della situazione sanitaria.
Il 12 settembre l'Organizzazione mondiale della sanità salutava con grande favore la disponibilità del
governo cubano ad inviare 165 persone in Sierra Leone – il numero più elevato fino a quel momento fornito
da qualsiasi paese-, oltretutto assolutamente ben preparate nei confronti dell'epidemia di Ebola, poiché Cuba
vanta uno dei migliori centri mondiali per lo studio del trattamento delle febbri emorragiche.
Il 16 settembre registrava un'ulteriore escalation sul fronte delle strategie contro la diffusione
dell'epidemia: il presidente USA Obama, in visita nel centro per il controllo e la prevenzione di Atlanta -dove
nel frattempo erano guariti due dei quattro americani infettati in Liberia - annunciava l'invio in Africa
occidentale di 3.000 soldati, con quartier generale nella capitale liberiana Monrovia, per coadiuvare il
coordinamento degli sforzi internazionali per il contenimento dell'epidemia. Il costo dell'operazione, previsto
fino a 750 milioni di dollari, è finalizzato anche alla creazione di ospedali da campo, alla formazione degli
operatori sanitari, alla creazione di un ponte aereo e alla distribuzione di ben 400.000 kit per facilitare la
prevenzione in seno alle famiglie.
Anche le Nazioni Unite acceleravano il passo nel riconoscimento dell'urgenza della situazione creata dalla
nuova epidemia del virus Ebola: il 18 settembre il Consiglio di sicurezza, dopo che tre giorni prima con
una risoluzione (2176) aveva esteso il mandato della missione ONU per la Liberia fino alla fine del
2014, proprio in considerazione della diffusione del virus Ebola; con un'altra risoluzione (2177) approvata
all'unanimità si spingeva a definire la minaccia in corso come minaccia alla pace e alla sicurezza
internazionale. È la prima volta che il Consiglio di sicurezza applica una tale nozione - che figura nell'articolo
39 della Carta delle Nazioni Unite accanto alle fattispecie della violazione della pace e dell'aggressione - ad
un'emergenza sanitaria internazionale.
Nella valutazione del Consiglio di sicurezza ha giocato probabilmente un ruolo anche il fatto che i tre paesi
colpiti da Ebola siano particolarmente fragili, uscendo da decenni di conflitti interni, e l'epidemia potrebbe
funzionare da tragico detonatore di un caos generalizzato foriero di nuovi e forse peggiori scontri. Nella
risoluzione tutti gli Stati membri dell'ONU vengono invitati a fornire urgentemente assistenza alla Guinea, alla
Liberia e alla Sierra Leone, con l'invio di ospedali da campo e di personale. La risoluzione tuttavia non
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manca di rilevare come le restrizioni imposte alle frontiere a causa dell'epidemia possano solo portare un
ulteriore isolamento dei paesi colpiti, e invita quindi a mantenere i collegamenti con gli Stati in cui si è diffuso
il virus, sia pure con le precauzioni del caso. Parallelamente alla risoluzione 2177 il Segretario generale
dell'ONU lanciava la costituzione di una missione speciale di emergenza per il contrasto del virus Ebola
(UNMEER).
L'emergenza Ebola è stata al centro del vertice ministri della Salute degli Stati dell'UE, svoltosi il 22
settembre a Bruxelles. Nell'ambito del semestre europeo affidato all'Italia «sto coordinando i rappresentanti
europei, dobbiamo trovare una sintesi fra tutte le posizioni», annuncia il ministro Beatrice Lorenzin, a Milano
per il meeting comunitario.
Il 5 ottobre, infine, si è svolta a Londra una conferenza internazionale dedicata al contrasto del virus: in
rappresentanza del governo britannico vi hanno preso parte il segretario agli Esteri Philip Hammond e la
segretaria allo Sviluppo Justine Greening, presente anche il capo di Stato della Sierra Leone, Ernest Bai
Koroma.
La pressione dell'epidemia proseguiva tuttavia apparentemente inarrestabile: alla fine di settembre si
toccavano ormai le 3.000 vittime, a fronte di 6.500 malati, secondo quanto comunicato dall'Organizzazione
mondiale della sanità.
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