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FOCUS ON
La nuova frontiera
dell’emostasi
O
gni chirurgo sa
quanto sia importante durante un
intervento avere la possibilità di controllare l’emostasi, quanto il sanguinamento
intra-operatorio
incida
sulla qualità stessa dell’intervento e soprattutto sulle
condizioni generali del
paziente e delle sue capacità di ripresa.
In ortopedia, per interventi
di chirurgia maggiore, sono
stati studiati nel corso degli
anni diversi metodi per
poter "sostenere" il paziente
durante l’atto chirurgico e
nel post operatorio. Dai
salassi
utilizzati
fin
dall'Ottocento alle più
moderne tecniche di emo-
trasfusione.
La diffusione di complicanze infettive e immunologiche a seguito di trasfusione
di sangue omologo (sangue
raccolto, a scopo trasfusionale, da donatore diverso
dal paziente), il loro impatto sociale, ragioni religiose
ed economiche hanno stimolato nell’ultimo decennio la messa a punto di programmi di trasfusione autologa (sangue raccolto, in
vario modo, dallo stesso
soggetto che riceve la trasfusione). In questo ambito,
una delle tecniche che
trova più consenso nel
mondo scientifico internazionale è il recupero postoperatorio.
Emorecupero
L’autotrasfusione
postoperatoria in chirurgia
ortopedica consiste nella
raccolta di sangue versato
dai drenaggi della ferita
chirurgica e la trasfusione
dello stesso previa filtrazione. È dunque una tecnica finalizzata a recuperare
sangue che normalmente
andrebbe perso, in quanto
è indispensabile che i drenaggi siano collegati a una
fonte di vuoto al fine di
impedire la formazione di
ematomi nella ferita.
La problematica è che le
cellule rosse possono essere distrutte dal processo di
autotrasfusione durante il
recupero intraoperatorio.
Circa il 75% del sangue
perso durante un intervento chirurgico può essere raccolto attraverso la
trasfusione intraoperatoria. In questo modo, si
possono evitare gli effetti
negativi dell’utilizzo di
sangue allogenico. Non
tutte le cellule raccolte
però possono essere infuse, in quanto in parte vengono perse durante il loro
processo attraverso i
dispositivi di recupero del
sangue.
Queste apparecchiature
sono essenzialmente di tre
tipi: una in cui le cellule di
sangue sono centrifugate e
lavate in soluzione fisiologica, un’altra in cui il sangue recuperato in un sistema di raccolta a canestro
viene re-infuso e solo filtrato e la terza nella quale
il sangue viene filtrato
dopo diluizione con fisiologica
(emofiltrazione
HF).
Trasfusioni allogeniche
Le trasfusioni allogeniche di
eritrociti rappresentano una
risorsa limitata e sono associate a eventi indesiderati
quali reazioni acute da trasfusione, trasmissione di
malattie infettive, immunosoppressione e infezioni
postoperatorie. Inoltre esse
sono associate a un costo
significativo e possono limitare o ritardare l’efficacia del
trasporto di ossigeno a causa
di un effetto lesivo sull’immagazzinamento (storage).
Sono quindi desiderabili
alternative alla trasfusione di
eritrociti richieste in parte
da un costante aumento
della preoccupazione pubblica rispetto alla sicurezza e
alla disponibilità di eritrociti
da distribuzione (trasfusioni).
I programmi di donazione
di sangue autologo
La donazione di sangue
autologo (ABD) riduce i
rischi sia reali sia percepiti
dell’esposizione al sangue
allogenico, anche se le unità
(di sangue) sprecato aumentano i costi globali. Lo spreco di sangue autologo può
essere contenuto utilizzando
sistemi razionali di ordine e
raccolta del sangue. Queste
strategie identificano le procedure con richieste di trasfusioni e utilizzano predepositi di ABD nei pazienti che
devono essere sottoposti a
interventi chirurgici per i
quali la necessità di trasfusioni ematiche è stata chiaramente determinata, così
come la perdita ematica per
ogni intervento.
I programmi di ABD possono essere ottimizzati adottando un approccio clinico
personalizzato: la perdita
ematica predetta e tollerata
viene calcolata per ogni singolo paziente e la differenza
fra le due quantità determina la necessità di sangue che
il medesimo deve ricevere.
Tenendo conto del tipo di
chirurgia, dell’intervallo di
tempo e delle condizioni cliniche del paziente, è possibile determinare la migliore
strategia e la più attenta ai
costi.
Le opzioni comprendono: la
riduzione
farmacologica
della perdita ematica, la trasfusione di sangue allogenico
utilizzando sangue autologo
mediante tecniche diverse,
l’impiego di eritropoietina
(tipo alfa) per aumentare i
valori basali di ematocrito
(Ht) o per aumentare il
volume di sangue predonato
e l’impiego di sostituti del
sangue in aggiunta alle tecniche di autotrasfusione. Le
tecniche di autotrasfusione
disponibili comprendono il
pre-deposito di ABD, l’emodiluizione normovolemica e
il recupero perioperatorio.
I nuovi coagulatori
Accanto a quanto citato
possiamo entrare più nel
dettaglio
identificando
nuovi coagulatori che permettono un minor sanguinamento e un’ottimizzazione
dei risultati.
L’abbinamento della comune energia elettrica con una
soluzione salina permette di
creare un sistema di emostasi intraoperatorio che non
"bruci" i tessuti. Il sistema
predispone un manipolo
monouso che garantisce la
sterilità, permettendo a una
sacca di fisiologica di esservi
collegata e quindi di mantenere il campo operatorio
umido e nello stesso tempo
tramite un generatore dedicato di creare una corrente
elettrica capace di scaldare
l’acqua fino alla soglia dei
100°. Si ottiene così una
denaturazione del collagene,
che permette una coagulazione più uniforme su tutti i
piani, dal sottocute fino a
quelli profondi (osso) e in
modo atraumatico.
I due principi fisici sfruttati
sono semplicemente l’evaporazione della soluzione
salina raggiunti i 100°, che
ha l’effetto di mantenere
controllata e costante la
temperatura. Il cloruro di
sodio contenuto nella soluzione salina, per la sua stessa
natura chimica, una volta
raggiunta la giusta temperatura si dissocia fornendo
elettroni che rendono la
soluzione conduttiva. Questi
due elementi portano il collagene a una temperatura
pari a 75°, sufficiente per
ottenere una corretta denaturazione dello stesso.
La tecnologia applicata alla
chirurgia, dunque, continua
a fare passi avanti, permettendoci in questo campo una
miglior gestione locale del
sanguinamento intra operatrio - un vantaggio non
indifferente per il chirurgo -,
minor esposizione dei
pazienti a trasfusioni, sia
autologhe che eterologhe,
riduzione nell’utilizzo di drenaggi nel post operatorio
con diminuzione dell’incidenza di edemi e infine
miglior decorso delle ferite
chirurgiche.
Lorenzo Castellani
Matteo Laccisaglia