Q AR U H A T T I N
1 - Il mattino del venerdì 22 sha'bàn [492 / 15 luglio 1099]
scrive Ibn Al-Athir: "La popolazione fu passata a fil di
spada, e i Franchi stettero per una settimana nella terra
menando strage dei musulmani. Uno stuolo di questi si
chiuse a difesa nell'Oratorio di Davide [Mihràb Dawùd],
dove si asserragliarono e combatterono per più giorni; i
Franchi concessero loro la vita salva, ed essi si arresero e
avendo i Franchi tenuto fede ai patti, uscirono di notte
verso Ascalona. e lì si stanziarono. Nel Masgid al-Aqsà
invece i Franchi ammazzarono più di settantamila persone, tra cui una gran folla di imam e dottori musulmani,
devoti e asceti, di quelli che avevano lasciato il loro paese
per venire a vivere in pio ritiro in quel luogo santo […].
Guglielmo di Tiro scrive che i "frammenti di corpi umani
giacevano ovunque e il suolo stesso era ricoperto di sangue della carneficina. […] Ancor più terrificante era
l'aspetto degli stessi vincitori, zuppi di sangue dalla testa ai
piedi, una visione sinistra che gettava nel terrore chiunque
li incontrava". Raimondo di Aguilers, scrive che dovette
aprirsi la strada fra i cadaveri e il sangue gli arrivava fino
alle ginocchia. L'anonimo autore dei Gesta Francorum,
che pure è un crociato che ha partecipato con convinzione all'impresa, non può fare a meno di osservare che "nessuno ha mai udito o visto una simile carneficina di gente
pagana: furono disposti dei roghi come dei pilastri e nessuno, se non Dio, conosce il loro numero".
di Andrea De Simeis
Il generale che comprende la natura delle operazioni militari è per il suo popolo una stella del destino, è
il responsabile della sicurezza o della rovina del suo paese.
Sun tzu
Le rovine di Hattin si trovano al centro del regno di Gerusalemme, presso il lago di Tiberiade, nell'antica regione della Galilea. Il 4 luglio 1187, equivalente al 26 rabi II 583 dell'Egira, sui resti del vulcano inattivo che sovrasta il villaggio di Hattin, ad est, si consumò la più sanguinosa disfatta dei cristiani in
Terrasanta per mano di Saladino. Le cronache latine ricordarono quel triste giorno come Ager sanguinis
- Il campo di sangue. La ripida slavina degli accadimenti, inferse tali colpi al Regno latino d'Oltremare che
crollò senza opporre alcuna difesa: da Antiochia, Edessa a Tripoli, tutte le piazzeforti occidentali furono
travolte dall'inarrestabile avanzata araba.
Gerusalemme si arrese a Saladino pochi mesi dopo, il 12 ottobre 1187, quindi Giaffa, Ascalona, Beirut
ed infine San Giovanni d'Acri. La resa della Città Santa generò un profondo sgomento nel mondo cristiano europeo che già raccontava ogni specie di crudeltà sulla sorte dei poveri martiri cristiani. Alla fine, se
si voleva salvare il buon nome dei principi franchi si doveva per forza fare di Saladino un nemico invincibile fatto di una malvagità che traeva immediatamente energia da quel concentrato di male che era
l'Islam per i cristiani. Era perciò il feroce inimicus crucis, superbus et infidelis tyrannus come lo descrive
Guglielmo di Tiro.
Al contrario, Saladino fece il suo ingresso nella Città Santa da vero pacifico conquistatore, senza vendicare quel furore sanguinario del primo liberatore di Gerusalemme che era Goffredo di Buglione conte
della bassa Lorena, quasi un secolo prima (1) . Ordinò invece ai suoi emiri e soldati che nessun cristiano,
franco o ebreo, fosse molestato. Saladino guarnì persino la difesa al Santo Sepolcro, contro quei saccheggiatori tra sue truppe irregolari che l'avrebbero voluto profanare.
Rispetto alle pratiche comuni di ogni guerra, non ci furono né massacri né razzie. Cosparse invece con
acqua di rose i luoghi santi all'Islam e impose una tassa di dieci dinar a chi avesse deciso di abbandonare
Gerusalemme. Mostrò misericordia per quei poveri senza averi, vedove ed orfani che non pagarono nulla
ed ebbero comunque salva la vita. Lo stesso Patriarca di Gerusalemme, uscì dalla città incolume pagando
1
il suo riscatto come tutti gli altri, e fu scortato fino a Tiro senza temere chi reclamava rappresaglie per le
violenze subite in passato.
2 - Guido di Lusignano, membro cadetto di una illustre
casata del Poitou, vantò una stima smodata quanto alla sua
ambizione per il potere. Uccise a diciotto anni il padre, il
Conte Patrick di Salisburgo e fu bandito dalla Contea per
questo ed altri crimini. Per sanare il suo mal di gloria, il fratello Almarico di Lusingano, conestabile amante di Agnese
di Couternay, madre di Sibilla e del re di Gerusalemme
Baldovino IV, lo candidò tra i pretendenti della stessa
Sibilla. La donna, vedova dal 1177 di Guglielmo dalla
Lungaspada, ambiva al trono di Gerusalemme e acconsentì alle nozze con Guido fidandosi dei suoi maneggi. Del
resto anche lei, una volta sepolto il re suo fratello, avrebbe
a buon diritto rivendicato per consanguineità la dignità
regia. Non avrebbe neanche dovuto aspettare molto, la lebbra consumava re Baldovino e presto sarebbe morto.
Guido salì al potere e non tardò a rivelarsi inadatto al titolo fino a determinare quell' incrinarsi decisivo del regno
crociato, talvolta già in atto prima della sua ascesa, fino al
collasso. Guido si spense nel 1194 privo di discendenza
diretta, e fu sepolto nella chiesa templare di Nicosia.
PRO L O G O
L'abile diplomazia del re cristiano in Terrasanta Baldovino IV, orientata alla leale sottoscrizione degli
accordi di tregua coi circostanti potentati islamici di Siria e Jazira, fu vanificata dal partito crociato più
oltranzista, favorevole ad un decisivo scontro campale con la sorgente ed inquietante potenza ayyubide.
Tale partito era rappresentato da Guido di Lusignano(2), che organizzò la sua candidatura a re di
Gerusalemme sposando Sibilla, vedova di Guglielmo di Monferrato e sorella di Baldovino IV; da Rinaldo
di Châtillon, dal Gran Maestro dell'ordine dei Cavalieri Templari Gerard de Riderfort e dal Patriarca latino Eraclio. L'intransigenza della loro condotta, crebbe all'improvvisa morte dell'Imperatore bizantino
Manuele I Comneno, il 24 settembre 1180, che era il miglior alleato politico e militare di Gerusalemme
e riconobbe e servì sempre la somma autorità di re Baldovino IV.
Nonostante l'incapacità di Giudo di Lusignano, il laccio parentale con il re, stretto alle nozze con Sibilla,
lo elesse nel 1183 alla reggenza della Città Santa. Non fu tardi che Baldovino si accorse dell'inettitudine
del cognato soprattutto quando questi lasciò impunite le ripetute violenze contro i musulmani per mano
del signore di Kerak, Reginaldo di Châtillon(3), segnando una profonda crisi diplomatica che provò duramente la pazienza di Saladino.
Guido fu perciò destituito dal suo incarico e Baldovino, i primi mesi del 1184, si impegnò affinché il
matrimonio con Sibilla fosse annullato per scongiurare la possibilità che questi rivendicasse chissà quale
regio diritto.
3 - Reginaldo di Châtillon fu ultimogenito semidiseredato
dei figli di Goffredo, conte di Gien, signore di Châtillonsur-Loing, la cui famiglia era imparentata con Urbano II.
Arrivò in Terrasanta al seguito di Luigi VII nella crociata
del 1147, alla ricerca di un titolo e di una rendita che lo
riscattassero dalle umiliazioni patite in Francia. Nel 1153
sposò Costanza, figlia di Boemondo II, principe di
Antiochia.
Nel 1160 venne catturato da Majd al-Din, governatore di
Aleppo. Rimase prigioniero per 15 anni e fu poi riscattato
per l'enorme somma di centoventimila denari d'oro dal
visir Gusmushtekin, nemico di Saladino.
Reginaldo entrò in possesso di due fortezze chiave: Krak e
Montreal (as-Shaubak), a Sud/Est del Mar Morto, entrambe difese dai Cavalieri Templari. Tali fortezze, dislocate
lungo le rotte commerciali tra Egitto e Siria, gli aprirono le
Nel frattempo gli stati musulmani che circondavano i territori dei crociati in Palestina, erano stati unificati da Saladino negli anni tra il 1170 e 1180. Egli era stato nominato visir dell'Egitto nel 1169 e presto ne
divenne il Sultano. Nel 1174 prese il controllo di Damasco, nel 1176 di Aleppo e nel 1186 di Mosul. A
questo punto, il Regno di Gerusalemme si ritrovò circondato dai domini di un unico signore.
Alla morte prematura di Baldovino IV, ucciso dalla lebbra a soli ventiquattro anni, il 20 novembre 1185
gli succedette il nipote Baldovino V, figlio della sorella Sibilla e del suo primo marito, Guglielmo di
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Monferrato, morto da ormai otto anni in circostanze misteriose.
Baldovino V, assunse lo scettro a soli cinque anni, sotto la reggenza di Raimondo III di Tripoli(4) e di
Boemondo III di Antiochia e sotto la potestà di Joscelin III di Edessa, ma il suo governo non durerà che
un solo anno: Guido di Lusingano, con la complicità dei suoi sgherri, il patriarca di Gerusalemme, Gerard
de Riderfort e Reginaldo di Châtillon, con un colpo di stato si proclamò nuovo re in Terrasanta.
Il Regno fu allora diviso tra la fazione della corte di Guido e la baronia antagonista rappresentata da
Raimondo III di Tripoli, da sempre opposto alla nomina di Guido a re.
Raimondo fece fagotto, lasciò la Città Santa e rincasò a Tripoli. La situazione era così tesa che fu impossibile evitare un 'chiarimento', armi alla mano, su chi avesse ragione sul governo di Gerusalemme.
Guido allora, per affermare il suo diritto, organizzò l'assedio di Tiberiade(5), una fortezza nel feudo di
Raimondo e ora custodita dalla moglie Eschiva di Bures. Non fece per marciare che Baliano di Ibelin,
rappresentante dell'omonima famiglia, avvisò Guido di quanto fosse insensato dividere il regno solo per
indebolirlo ed esporlo alla minaccia araba e propose al re una risoluzione pacifica della contesa. Così convenuti sulla ragionevole riflessione, Gerardo di Riderfort fu messo a capo della delegazione di uno sparuto numero di cavalieri per trattare la pace con Raimondo.
Nel frattempo il Conte di Tripoli, sull' esemplare condotta diplomatica di Baldovino IV, trattò separatamente una tregua con Saladino e, come gesto di ineludibile ottemperanza, acconsentì alla strana richiesta
del Sultano di far transitare una pattuglia araba nella parte settentrionale del Regno. La ragione di questa
strana richiesta resta ancora un mistero.
Oltre settemila uomini di Saladino, il primo maggio 1187, sfilarono ordinati per le vie della Galilea in direzione di Sephorie. L'ambasciata di Guido, che intanto da Gerusalemme volgeva a Tripoli, fu informata
che l'esercito arabo attraversava il regno crociato di Galilea. Colti da profondo sdegno e spronati da
Gerardo de Riderfort, i cavalieri si lanciarono in una disperata carica, raggiunsero le schiere islamiche
presso le Fonti di Cresson, vicino a Cana, per schiantarsi e morire sulle armi nemiche. Gerardo per miracolo ebbe salva la vita ripiegando velocemente verso Gerusalemme.
Raimondo, vinto dal rimorso d'essersi fatto complice del Sultano di un simile massacro, a briglia sciolta
galoppò alla volta della Città Santa per riconciliarsi con Guido. Ammise le sue responsabilità e rinnegò gli
accordi stipulati con Saladino rimettendo i vecchi rancori delle diaspore per la successione reale.
Suggellata che fu la pace, Raimondo e Guido radunarono tutti gli uomini abili al combattimento del
Regno e marciarono verso nord per incontrare Saladino.
vie alle regioni del mar Rosso, nella quale divenne celebre
per la sua crudele e sanguinaria abiezione: nel novembre
del 1177 battè i Musulmani nella Battaglia di Montgisard e
nel 1182, in sprezzo della tregua fra Baldovino IV ed il
Sultano, scatenò una nuova azione di guerra per sfidare
l'Islam nei suoi luoghi più sacri: il cuore inviolato di Mecca
e Medina. Era sua intenzione di profanare la tomba di
Muhammad, impadronirsi del corpo del profeta e portarlo
a Kerak per imporre una tassa al fiume di pellegrini. Pensò
ad una flotta che salpasse ad Eliat, scendesse lungo il Mar
Rosso per sbarcare a Gedda e assaltare infine la Mecca. Si
procurò il legno da un' antica foresta del Moab, ad est del
Mar Morto. Quando fu garantito che le imbarcazioni erano
perfette, fece trasportare le navi smontate fino al golfo di
Akaba, e le rimontò velocemente nella baia di Eliat. Le
truppe di Reginaldo furono imbarcate e l'incursione ebbe
inizio. Saccheggiarono diverse città portuali, e altre imbarcazioni di pellegrini dirette alla Mecca. Occuparono il
porto nubiano di Aydhab per sbarcare infine all'altezza di
ar-Râghib e puntare dritti alla Mecca. La notizia dell'incredibile manovra fece tremare tutto il mondo islamico.
L'esercito arabo, alle manovre di un capace generale, ilfratello di Saladino al-Malik al-'Âdil, difese la Mecca appena
in tempo, catturò i bravi e li decapitò pubblicamente per
ordine espresso del Sultano. Rinaldo fu l'unico superstite;
fuggì vigliaccamente fino a Kerak, forse travestito da beduino.
Fu nuovamente Re Baldovino IV, e il saggio Raimondo di
Tripoli a mediare egregiamente tra le parti ristabilendo, sia
pur debolmente quel patto di non belligeranza che impegnava Reginaldo e il Sultano in una 'forzata convivenza'.
Ma nel 1186 Reginaldo, vinto dal compulsivo istinto del
predone che era, si impadronì di una ricca carovana di
Saladino sulla via dell'Oltregiordano in direzione di
Damasco attraverso il Moab; le cronache vogliono che ci
fosse la sorella dello stesso sultano tra i pellegrini. Appresa
la notizia, Saladino s'infuriò, pretese le scuse, la liberazione
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dei prigionieri e il compenso dei furti e dei danni. Rinaldo
reagì cacciando via in malo modo i messaggeri del re
musulmano. Saladino si rivolse a Guido, e Guido timidamente fece osservare al pazzo di Kerak che forse stava esagerando. Rinaldo finse di ascoltarlo ma perdurò come nulla
fosse nel suo atteggiamento. Questo ed altri precedenti
costarono a Reginaldo la promessa di vendetta dell'adirato
Saladino.
L'armata cristiana
L'esercito cristiano rispose all'ordine di adunata a Sephorie(6). Il luogo era molto ben munito, provvisto
di una ricca sorgente d'acqua ed era stato già utilizzato in passato per fronteggiare gli attacchi provenienti
dalla Siria.
Dalla contea di Jaffa e Ascalona arrivarono 100 cavalieri, di questi 40 da Ramla e Mirabel, 10 da Ibelin.
Dal principato di Galilea, retto da Raimondo di Tripoli, arrivarono 100 cavalieri.
Rinaldo di Sidone inviò altri 100 cavalieri. La baronia includeva anche i territori di Beaufort, Cesarea e
Baisan.
Rinaldo di Châtillon, signore di Krak, inviò 60 cavalieri, di cui 40 dalla Cisgiordania e 20 da Hebron.
Il siniscalco Joscelyn di Courteney 24 cavalieri.
Il vescovo di Lidda 10 cavalieri.
L'arcivescovo di Nazareth 6 cavalieri.
Gerusalemme inviò 41 cavalieri, Nablus 85, Acri 80 e Tiro 28.
A queste cifre si devono sommare i contributi dell'Ordine dei Cavalieri Templari e dell'Ordine dei
Gerosolimitani.
Si radunarono circa 1.200 cavalieri armati all'europea. A questi si affiancarono circa 4.000 turcopoli, montati su ponies allevati dalle tribù turcomanne e privi di armatura pesante. Quest'ultimo reparto era normalmente adibito a funzioni di supporto della cavalleria degli ordini militari.
Mercenari e balestrieri in gran numero a supporto della cavalleria, furono pagati con il denaro inviato da
Enrico II, re d'Inghilterra, in espiazione dell'assassinio di Tommaso Becket(7).
Da Tiro, Sidone, Acri e Beirut arrivarono i marinai italiani.
Pellegrini, provenienti da tutta l'Europa, sebbene privi di armi, vollero unirsi all'armata di re Guido.
In totale l'esercito cristiano ammontava a circa 15.000 - 18.000 unità. Nessun altro esercito franco in Terra
Santa aveva e avrebbe mai contato un numero così alto di unità.
4 - Raimondo III conte di Tripoli nacque nel 1140, divenne conte di Tripoli nel 1152, a soli 12 anni, quando il padre
venne ucciso dalla setta musulmana degli Assassini. Nel
1164, assieme all'alleato Boemondo III d'Antiochia, infranse l'assedio di Harim e contrastò il Reggente di Siria Nur
ad-Din; tuttavia, nello scontro campale del 12 agosto, soverchiato dagli Arabi, fu catturato. Appena liberato nel 1173,
previo riscatto di ottantamila pezzi d'oro pagati in gran parte
dai cavalieri Gerosolimitani, si sposò con Eschiva di Bures,
vedova di Walter di Saint-Omer di Tiberiade. In tal modo
venne a governare sia Tripoli che la Galilea.
5 - Tiberiade, il cui nome ricorda l'imperatore Tiberio,
venne fondata intorno al 20 d.C. da Erode Antipa. Nell'XI
secolo era entrata a far parte del Regno di Gerusalemme
come capitale del Principato di Galilea. Subì la violenza
inaudita della stage di civili durante l'occupazione israeliana
nell'aprile del 1948.
6 - Sephorie è una città israeliana della Galilea centrale, a
6 km da Nazaret. Conobbe i grandi fasti di Roma, conta
infatti tra le rovine storiche un grande teatro capace di ospitare più di 5000 spettatori, probabilmente la struttura risale
al I sec. d.C.
Dopo l'occupazione israeliana del 16 luglio 1948 di
Sephorie non restano che pietre e calcinacci. Gli scampati
al massacro si integreranno poi con la comunità israeliana
di Nazaret. Oggi, una foresta di pini, finanziata dal fondo
4
monetario nazionale ebreo, cresce sulle sue rovine.
L'armata araba
7 - Enrico II Plantageneto, aveva stanziato una cospicua
somma di denaro per la difesa dei Luoghi Santi, soprattutto a partire dal 1172 quando papa Alessandro III gli aveva
imposto in seguito all'assassinio di Tommaso Becket, fra le
altre penitenze, un programma di assistenza finanziaria per
Gerusalemme e una crociata, in vista della quale il sovrano
aveva inviato ingenti somme che gli Ordini Militari, in particolare la Militia Templi, avrebbero dovuto custodire fino
al suo arrivo. Denaro usato poi dal comandieres ospitaliero per riscattare la vita dei meno abbienti dopo la caduta di
Gerusalemme.
Enrico II offrì alla nazione un nuovo santo e martire dal
quale ne trasse audacemente un immediato profitto per
risanare le spese della penitenza: impose infatti un balzello
sui contributi pagati dai pellegrini al santuario di Beket.
II 13 marzo 1187, Saladino lasciò Damasco e con i suoi fedeli si accampò a Ra's al-Ma'. Proclamò il jihad
e chiamò a raccolta tutta la forza militare del suo vasto impero a Tal ' Ashtrab. Nel maggio del 1187 si
stima che si fossero arruolate almeno 35.000 - 40.000 unità, le stime più alte arrivano a 60.000. Furono
presenti arabi, curdi, turchi, siriani, turcomanni, beduini, egiziani, ecc. Accorsero anche molti gruppi irregolari di volontari musulmani accesi dall'odio per i cristiani.
L'esercito era in massima parte rappresentato dalla cavalleria leggera, da sola rappresentava un terzo degli
effettivi. Circa 14.000 unità ben addestrate faceva capo ad una limitata aliquota di cavalleria pesante, meno
offensiva e penetrante della corrispondente armata franca. Oltre 20.000 uomini della fanteria costituiva
poi il resto dell'esercito con un gran numero di ausiliari(8).
I p r e p a r a t i v i a l l a ba t t a g l i a : l ' a s s e d i o d i T i b e r i a d e
Chi è abile nel manovrare il nemico
Lo costringe a una forma che il nemico dovrà seguire,
Gli presenta condizioni che il nemico dovrà accettare.
Lancia l'esca e lo attende in agguato con le truppe.
8 - Non tutti gli emiri erano d'accordo con l'idea di cercare
un grande risolutivo scontro campale con i cristiani, ma
Saladino ribadì la sua decisione con forza: "II mio avviso"
disse ai capi delle sue milizie riuniti in consiglio "è di affrontare con tutte le forze dei musulmani tutte le forze degli
infedeli, giacché gli eventi non accadono come l'uomo
vuole, e noi non sappiamo quanto ci resti ancora da vivere".
Saladino capì che, per contrastare i Franchi in campo aperto, era necessario creare un esercito che rappresentasse una
via di mezzo tra milizia popolare e i reparti addestrati, una
forza composta da diversi livelli di professionismo, ma soggetta ad un solo capo. Infatti le forze che sotto di lui si batterono ad Hattin sono una compagine eterogenea formata
da feudatari presenti con le loro milizie e muttawiyah,
volontari religiosi efficaci nella guerriglia ma poco affidabili
nell'addestramento e nella disciplina, Turchi nomadi
dell'Anatolia, Curdi e Mamelucchi. Ognuno di questi gruppi etnici conservava le proprie tradizioni sia nel combattimento che nella tattica, ma nel complesso si integrava nella
Sun tzu
Il primo di giugno, il grande esercito di Saladino era stanziato nello Hauran e qui furono assegnate le
responsabilità sulla condotta degli uomini: Il Sultano personalmente prese il comando dell'esercito al centro, mentre affidò a Kekburi, emiro di Hama, il comando dell'ala sinistra e al proprio nipote Taqi al-Din
l'ala destra.
Il 26 giugno l'esercito musulmano si mise in marcia verso Khisfin attraverso le colline del Golan. Il giorno seguente, superato il guado del Giordano(9), Saladino si accampò ad Al-Uqhuwa-Na presso le rovine
della rocca di Ammayyad, all'estremo sud del lago di Tiberiade e vicino al villaggio di Sinnabra.
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Il 30 giugno, spostò il grosso delle sue truppe ad ovest, presso il Kafr Sabt(11), luogo ben rifornito d'acqua
e a metà strada tra Sephoria e Tiberiade, lasciandosi alle spalle la distesa pianura del Giordano per un'
eventuale rapida ritirata. Il suo bagaglio pesante restò all'accampamento di Al-Uqhuwa-Na.
formazione musulmana fornendo quel tipo specifico di
comportamento che Saladino richiedeva di volta in volta
nel corso dello scontro.
9 - Il fiume Giordano nasce dal Monte Hermon a 2700
metri di altezza, sul confine libano-siriano, è lungo 320 km
ed attraversa Libano, Siria, Giordania, Israele e Palestina.
Nasce dalla congiunzione tra i fiumi Hasbani e Banias.
Raggiunge il Lago di Tiberiade e sfocia nel Mar Morto, a
397 m circa sotto il livello del mare, percorrendo la vallata
del Gohr. Per i Cristiani è un fiume molto importante poiché vi fu battezzato Gesù Cristo, viene spesso menzionato
nell'Antico e nel Nuovo Testamento; è meta di numerosi
pellegrinaggi.
Il 2 luglio Saladino iniziò l'assedio di Tiberiade, la sede del Principato di Galilea. Il resto dell'esercito,
sotto il comando di Taqi al-Din e di Keukburi, rimase al campo base.
Intorno a Tiberiade si schierarono le truppe scelte della guardia, "le ardenti fiaccole dell'Islam", uomini
animati da un odio fanatico per i cristiani.
A difendere la cittadella rimase Eschiva di Bures, moglie del conte di Tripoli che, arroccata nel cuore
sicuro della città con un pugno di fedeli, inviò un dispaccio, forse un piccione, per una disperata richiesta
di aiuto.
La sera del 2 luglio Guido di Lusignano radunò il consiglio di guerra a Sephorie. Prevalse l'opinione di
Raimondo: non si doveva abbandonare la posizione sicura di Sephorie per andare in soccorso di
Tiberiade. L'attacco a Tiberiade era un trucco di Saladino per far uscire in campo aperto l'armata cristiana. Dunque era meglio aspettare i rinforzi da Antiochia e organizzare bene la controffensiva. Raimondo
intuì che una marcia su Tiberiade fosse già stata prevista dal Sultano e che Sephorie rappresentasse l'unica buona posizione per difendersi. Guido inoltre, non avrebbe dovuto preoccuparsi di Tiberiade, in quanto era sotto il controllo di Raimondo e questi era ben disposto a rinunciarvi per la sicurezza del Regno.
Ma quando il messo da Tiberiade portò la notizia che Eschiva resisteva disperatamente nella cittadella,
Raimondo fu tacciato di traditore e si disse che era deplorevole lasciare una donna sola a difendersi a poca
distanza, senza accorrere in suo aiuto.
Raimondo tuttavia parve aver partita vinta ed il re ordinò di rimanere; ma poche ore dopo, il Gran
Maestro dei Templari de Riderfort (12), fece cambiale idea a Guido: lo convinse ad attaccare immediatamente affermando strenuamente che i musulmani, a parità di forze, non avrebbero mai potuto battere i
cristiani in uno scontro campale.
All'alba l'esercito si mosse, lasciò Sephorie e puntò verso Tiberiade distante circa sei miglia. Saladino si
compiacque di aver esposto fuori dalle mura i Crociati, perché non avrebbe dovuto assaltarne le fortificazioni: impresa ben più lunga e dispendiosa.
10 - Lago di Tiberiade: Il lago di Tiberiade è noto soprattutto in relazione agli avvenimenti della vita di Gesù Cristo
e dei suoi discepoli. Nella Bibbia è menzionato come "lago
di Genezareth", "mare di Galilea" o "mare di Tiberiade";
quest'ultimo nome è rimasto nella moderna dizione araba:
Bahrat Tabariye.
11 - Kafr Sabt è un antico villaggio a 10 Km sud ovest di
Tiberiade. Occupata da Israele il 22 aprile 1948, oggi non
è che un cumulo di rovine.
12 - Le ostilità tra Gerard de Riderfort e Raimondo di
Tripoli risalgono al 1173 anno in cui a Gerard, al servizio
presso la corte di Raimondo, fu promessa in sposa una
ricca ereditiera, una certa Cecilia. Il conte però ritrattò il
permesso preferendo un altro pretendente, il nobile
Plevano da Pisa, che pagò 10.000 bisanti d'oro la benedizione per le nozze. Gerard de Ridefort fu così offeso che
divenne acerrimo nemico del conte di Tripoli e si schierò
al fianco di Agnese di Courtenay, madre di Sibilla e di
Baldovino IV, per Guido.
Il sostegno del re antagonista di Raimondo, gli provvidero
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una lauta ricompensa: nel 1185 fu insignito infatti della carica di Gran Maestro dei Cavalieri Templari.
Ve r s o T i b e r i a d e
13 - Mashhad o Geth Hepher: una delle città più basse
delle Galilea, distante appena cinque miglia da Nazaret e
due da Zippori, sulla strada per Tiberiade. San Girolamo
parla di Geth Hepher come un piccolo villaggio della
Galilea che però vanta i natali e la tomba, nella tradizione
antico testamentaria, del profeta Giona (2 Re 14:25).
I Crociati cominciarono la loro marcia da Sephorie il 3 luglio. Guido di Lusignano evitò lo scontro frontale con Saladino che controllava la strada più corta per Tiberiade e scelse di seguire la strada che da
Sephorie porta fino al villaggio di Mash-had(13) e poi incrocia la strada principale che da Acri porta a
Tiberiade: prevedeva di percorrere il tragitto nell'arco di una giornata.
Alla notizia che l'armata cristiana si era messa in movimento, Saladino lasciò un piccolo contingente a
Tiberiade, ritornò al campo base e inviò delle truppe di cavalleria per disturbare con brevi scaramucce la
marcia dei cristiani. Obiettivo principale era l'uccisione dei cavalli. La cavalleria musulmana era abilissima a scoccare dardi in corsa e poi dileguarsi senza accettare lo scontro e Saladino sapeva che la cavalleria pesante franca, appiedata, era un 'grossa, lenta lumaca che si trascina pesantemente il guscio'.
14 - Hittin: antico villaggio del distretto di Tiberiade occupato da Israele il 16 luglio 1948 in pieno conflitto araboisraeliano. Nel corso di questa azione, denominata
Operation Dekel, gli abitanti del villaggio furono deportati
o uccisi, in pochi riuscirono a fuggire. Lo storico palestinese Walid Khalidi descrive Hittin come un desolato borgo
abbandonato.
Alle dieci del mattino i cristiani, dopo cinque ore di marcia, raggiunsero il Monte Turan e le sue ricche
sorgenti d'acqua, ma re Guido ansioso di mettersi al sicuro sotto le mura di Tiberiade, rifiutò ostinatamente di fermarsi.
A mezzogiorno l'esercito aveva percorso 18 chilometri: l'acqua era finita e la zona tutta intorno era desertica. I fanti, racchiusi nei loro giubbotti di protezione contro le frecce, erano tormentati dalla calura estiva e il sole arroventava le corazze dei cavalieri. Tutti erano stanchi per le molte ore di cammino in un territorio impervio e per la sete.
Saladino volle trarre vantaggio dall'imprudente marcia dei Franchi. Con il grosso dell'esercito, attestato
nelle vicinanze di Kafr Sabt, attaccò la retroguardia che per difendersi si dovette fermare. Il conte
Raimondo aveva intuito a quale disastro sarebbe andato incontro se avesse ingaggiato battaglia in quelle
condizioni e fece perciò compiere all'esercito una brusca deviazione verso nord per raggiungere le sorgenti di Kafr Hattin(14), a circa 3-4 ore di marcia. La avrebbe potuto ristorarsi e organizzare l'ormai inevitabile scontro. Saladino comprese e anticipò la manovra di Raimondo e ordinò a Taqi al-Din e a Kekburi di
interporsi tra Hattin e l'esercito cristiano.
Raimondo non intravide altra via di scampo che far breccia nello schieramento musulmano e sgombrare
la strada verso l'acqua. Sopraggiunse però re Guido che gli ordinò di fermarsi: la retroguardia non era in
grado di avanzare. I Cavalieri Templari e gli Ospitalieri, non erano riusciti a contrattaccare efficacemente
11
ed avevano bisogno di tempo per riorganizzarsi. Re Guido diede allora l'ordine di stabilire il campo dove
si trovavano, nella valle tra i villaggi di Manescalia ed Hattin. Raimondo, ormai cosciente che non raggiungere le sorgenti di Hattin sarebbe significato chiudersi nella stretta morsa del nemico, si recò dal re per
protestare ed esclamò a gran voce: "Ahimè! Ahimè! Mio Dio, la guerra è finita. Siamo consegnati alla
morte e lo stato è perduto".
Saladino era accampato nella pianura sottostante, presso Lubiya(15), con abbondanti scorte d'acqua. Per
lui la battaglia iniziò la notte stessa.
15 - Lubya: villaggio a soli 10 km ad ovest di Tiberiade,
raso al suolo il 16 luglio 1948 dall'esercito israeliano. La
foresta di Lavi, finanziata dal fondo monetario nazionale
ebreo, cresce sulle sue rovine.
16 - Nimrin: i l villaggio fu evacuato durante la Operation
Dekel il 16, 17 luglio 1948. Di Nimrin non restano che
rovine.
La n o t t e d i H a t t i n
In un terreno aperto non ti accampare.
In una zona di confine stringi alleanze.
In una zona crocevia non restare.
In un terreno chiuso elabora strategie.
In un terreno di morte combatti.
Sun tzu
Saladino dopo una ricognizione del terreno, nell'oscurità della notte, organizzò le sue truppe in tre diverse posizioni. II primo contingente, al comando di suo nipote Taki al-Din, andò a bloccare la strada in direzione di Manescalia, verso lo sbocco delle gole ad est; il secondo, agli ordini di Kekburi, pronto a fermare l'eventuale ritirata franca verso ovest. Saladino infine si ordinò solenne sulla strada per Tiberiade verso
sud per fermare i cristiani che avessero voluto raggiungere il lago sottostante.
Infine i volontari muttawiyah affiancati dai Sufi e i Dervisci, presero posizione a Nord sulle pendici della
collina di Nimrim(16) di fronte ai Corni.
Saladino ordinò ai suoi di gettare ostentatamente acqua sulla sabbia a pochi piedi dal campo franco, per
innervosire il nemico, e intanto completava lo spostamento delle sue truppe. 400 casse di frecce furono
distribuite tra i diversi reparti dell'esercito. 70 dromedari con scorte di tutto punto furono predisposti in
punti strategici mentre ogni accampamento musulmano era rifornito d'acqua da una carovana di cammelli che portava otri di pelle caprina dal lago Tiberiade.
12
Circondati dall'esercito musulmano, i crociati passarono una notte agghiacciante. Con il morale basso ,
esausti ed assetati, rimasero svegli tutta la notte, ascoltando il suono dei tamburi, dei corni e dei cembali
musulmani, tutt'intorno.
I corni di Hattin: I combattimenti si svolsero ad Hattin, in
un'area vicina a due colline, resti di un vulcano inattivo,
chiamati i corni di Hattin, situati oltre il passo tra le montagne settentrionali poste tra Tiberiade e la strada per San
Giovanni d'Acri. La strada a sud di Darb al-Hawarnah,
costruita dai Romani, costituiva la rotta principale a collegare la costa mediterranea con la Giordania.
La B a t t a g l i a
Sistema le truppe in un terreno senza vie d'uscita,
in modo che si trovino di fronte alla morte.
Di fronte alla morte,
Come potrebbero ufficiali e soldati non battersi fino allo stremo?
Quando gli ufficiali si trovano in una situazione disperata, non temono più nulla.
E più il terreno è senza scampo, più diventano temerari.
E penetrando profondamente in terreo nemico, saranno estremamente disciplinati.
Se non hanno alternative, combatteranno senza risparmiarsi.
Sun tzu
Saladino, alle prime luci dell'alba diede ordine di appiccare il fuoco alle sterpaglie investendo così di grigio fumo il campo dei Franchi. La sete fu davvero insopportabile. L'esercito cristiano, disorientato e incapace di disimpegnarsi, poteva solo difendersi nello stretto cerchio del nemico in agguato.
Saladino aspettò ancora: il sole, non ancora alto, sarebbe presto stato un validissimo alleato.
I cristiani assunsero prestamente la posizione per avanzare verso Hattin. I cavalieri del Tempio e gli
Ospitalieri agli ordini del signore di Nablus, formarono la retroguardia. In testa Raimondo di Tripoli e al
centro Guido di Lusingano e la cavalleria. Munivano invece il cuore tenero dei Franchi, la Vera Croce,
imbracciata dai vescovi di Acri e Lidda, le truppe di Gerardo de Ridefort e Ruggero de Moulins.
Il vento portava ancora il fumo verso l'esercito cristiano, in direzione dell'altopiano, non fu più possibile
vedere il nemico. All'urlo di battaglia del Sultano, seguì una fitta pioggia di dardi e i musulmani attaccarono la retroguardia che non si fece cogliere impreparata.
Raimondo aprì lo schieramento e caricò gli arabi sul fronte ad est. Per tradizione feudale, essendo signore dei luoghi, guidava l'avanguardia con il buon diritto di sferrare il primo attacco. Taqui al-Din, che ben
15
conosceva il valore e la forza dei crociati, dubitando di poter resistere alla carica del conte, aprì le fila e
lasciò passare i soldati e poi richiuse il varco(17). Raimondo si trovò isolato fuori dal campo di battaglia e
non gli restò che allontanarsi con i superstiti.
Analoga manovra avvenne sul lato ad ovest dove, alla testa di Templari ed Ospitalieri, Baliano di Ibelim
e Rinaldo di Sidone caricarono a massa le truppe di Kekburi. Il rapporto di forze di questa seconda carica fu di tre a uno per gli arabi. Tuttavia riuscirono a fare breccia ma solo per restare isolati anch'essi dietro le truppe del nemico che rinserrava i ranghi. A Baliano e Rinaldo non restò che fuggire mentre gli
ordini militari nella valle dietro di loro, si ritirano prontamente per tentare una nuova carica, più violenta e disastrosa.
17 - Un'altra versione vuole che Taqi al-Din, avendo riconosciuto Raimondo, comandò ai suoi di fargli largo, di
lasciarlo passare indenne tra le file. Ciò avveniva per restituire al conte di Tripoli il favore di aver concesso al
Sultano, non molto tempo prima, il salvacondotto per alcune pattuglie sulle sue terre. Saladino comandò così di non
toccare Raimondo, a costo di farlo fuggire dal campo sano
e salvo. Il favore che il Sultano volle restituire consisteva
nel lasciapassare al quale Raimondo acconsentì per quei
musulmani nel maggio 1187, ponendo la condizione che
varcassero il Giordano all'alba per riattraversarlo in senso
contrario al tramonto, e si guardassero bene dal dal compiere qualsiasi atto ostile nei confronti della popolazione.
L’epilogo di questa vicenda si tradusse nell’infelice scontro
alle Fonti di Cresson, il primo maggio 1187, quando i
musulmani ebbero ragione sul contingente di Gerardo de
Riderfort.
Scrisse Abu Shama:
"Sirio gettava i suoi raggi su quegli uomini vestiti di ferro e la rabbia non abbandonava i loro cuori. Il cielo
ardente accresceva la loro furia; i cavalieri caricavano, ad ondate successive nel tremolio dei miraggi, fra i
tormenti della sete, in quel vento infuocato e con l'angoscia nel cuore. Quei cani gemevano sotto i colpi,
con la lingua penzoloni dall'arsura. Speravano di raggiungere l'acqua, ma avevano di fronte le fiamme dell'inferno e furono sopraffatti dall'intollerabile calura".
18 - In molti morirono immediatamente stremati dalla febbre; avevano le lingue gonfie che sporgevano dalle bocche
riarse, e mentre il cronista musulmano li ricorda come "cani
che tiravano fuori le lingue disseccate", un testimone franco
scrive invece che andò personalmente a pregare Saladino di
uccidere i feriti agonizzanti per risparmiare loro inutili sofferenze.
Il re, visto l'esito dei primi scontri e la situazione di stallo, si spostò verso sud salendo sul pendio che porta
ai Corni di Hattin preferendo il magro vantaggio che poteva offrire il terreno. Guido piantò la sua tenda
rossa come punto di riferimento e chiamò a raccolta tutto l'esercito per l'ultima disperata resistenza. Gli
uomini ripiegarono disordinatamente tra il fumo denso e acre e i nugoli di frecce che si abbattevano ininterrottamente su di loro.
Appare evidente che l'esercito franco sin dall'inizio sia diviso in due tronconi: cavalleria senza fanteria in
un terreno non adatto alle cavalcature pesanti (il pendio di una collina di speroni rocciosi acuminati) e
fanteria senza cavalleria, quindi esposta e indifesa all' aggressione della cavalleria nemica.
Con un improvviso e simultaneo assalto, l'armata araba strozzò la fanteria di Guido sempre più arroccato sul colle. Tardi le conroi Templari ed Ospitaliere si disimpegnarono da Kekburi per soccorrere il re e
l'avanguardia, senza manforte dell'ormai fuggiasco Raimondo, era ormai sopraffatta.
Il morale della fanteria crollò, venne scompaginato l'ordine di battaglia e i soldati si dispersero sulla collina. Molti, insensibili al richiamo del re, abbagliati dal miraggio dell'acqua vicina, il lago di Tiberiade che
16
dall'altezza dei corni si lasciava agognare, si precipitarono disordinatamente in quella direzione naturalmente privi della protezione della cavalleria furono falciati dai cavalieri musulmani(18).
La reliquia della Santa Croce era stata sottratta ai cristiani
nel 614 durante la sanguinosa invasione dei persiani, ma
tredici anni dopo, l'imperatore bizantino Eraclio, avendoli
battuti nella battaglia di Ninive, recuperò la Vera Croce e la
riportò in trionfo a Gerusalemme. Sembra che fin da allora circolasse in Terrasanta un'oscura profezia, secondo cui,
come la Croce era stata ritrovata da Eraclio, così sarebbe
stata di nuovo perduta da Eraclio. Il Patriarca di
Gerusalemme nel 1187, caso volle che si chiamasse proprio Eraclio.
Eraclio d'Alvernia giunse verso il 1128 in Terrasanta e divenuto nel 1175 Primate di Cesarea, nel 1180 conseguì con
l'appoggio di Agnese di Courtenay il titolo di Patriarca di
Gerusalemme. Nello scontro del 4 luglio rimase sicuro
nelle mura di Gerusalemme, sembra che si fosse dato per
malato, e per lui volle i vescovi di Acri e Lidda a sostenere
il Vero Legno della Santa Croce.
L a S a n t a C r o ce
Intorno alla reliquia della Santa Croce la battaglia si fece più aspra. Il vescovo di Acri rimase ucciso. La
reliquia passò al vescovo di Lidda.
A questo punto Saladino ordinò alla sua cavalleria pesante l'intervento conclusivo, ma occorreranno ben
tre cariche per domare la resistenza.
I cavalieri musulmani si lanciarono contro i pochi sopravvissuti che resistevano intorno al vescovo di
Lidda finchè Taqi al-Din si impadronì personalmente della Santa Reliquia(19).
La t e n d a r o s s a
19 - "quae fuerat olim in bello" La storiografia di parte sultaniale pone con orgoglio la Vera Croce, tra i trofei di quella vittoria; come fa pure con sentimenti naturalmente diversi, Pietro di Blois che cita la croce captivam presso Saladino
Trionfante. La reliquia ricomparirà nuovamente e per l’ultima volta, nel negoziato della piazzaforte di Acri: il Sultano
esibì il trofeo ai messaggeri cristiani nella propria tenda,
proprio per fugare il dubbio sorto in campo crociato circa
la fine dell'oggetto. Saladino faceva custodire il Sacro Legno
come una inestimabile preda bellica.
I Franchi furono impegnati in combattimento dalle otto del mattino sino alle diciassette circa. Assetati e
storditi dalla stanchezza, videro affievolirsi sempre di più l'impeto delle cariche che, svolte in rapidissima
successione, avevano un caro prezzo di vite umane.
Saladino intanto fissava la tenda rossa di Guido di Lusignano. Il figlio diciassettenne di Saladino, al-Malik
al-Afdal, ci ha lasciato il racconto di quegli ultimi istanti di tensione(20):
"Quando il re dei Franchi si ridusse sul colle, con quella schiera fecero una carica tremenda sui musulmani che avevano di fronte, ributtandoli addosso a mio padre. Io lo vidi costernato e stravolto, afferrandosi
alla barba, avanzare gridando 'Via la menzogna del demonio!', e i musulmani tornare al contrattacco ricacciando i Franchi sul colle. Al vedere indietreggiare i Franchi, e i musulmani incalzarli, io gridai dalla gioia:
'Li abbiamo vinti!'; ma quelli tornarono con una seconda carica pari alla prima, che ricacciò ancora i nostri
fino a mio padre. Egli ripeté il suo atto di prima, e i musulmani, contrattaccatili, li riaddossarono alla collina. Tornai ancora a gridare 'Li abbiamo vinti!', ma mio padre si volse a me e disse:'Taci non li avremo
vinti finché non cadrà quella tenda!', e mentre egli così parlava la tenda cadde, e il sultano smontò da caval-
20 - Una fonte affidabile riguardo a questa fase concitata
delle battaglia, sostiene che il re di Gerusalemme venne
disarcionato e catturato dal curdo Derbes (da Taqui al-Din
a parere di Guglielmo di Newburgh) e Rinaldo di Châtillon
da uno scudiero di Ibrahim el-Mihrani.
17
lo e si prosternò in ringraziamento a Dio, piangendo di gioia".
21 - Il sultano gli avrebbe personalmente domandato come
si sarebbe comportato se avesse avuto proprio lui, Saladino,
come prigioniero: Rinaldo non esitò a parlare di decapitazione e negò persino la proponibilità di qualsiasi redemptio
per quel nemico di Dio seguace di una fede canina: "Scio
quod nichel sitis sanguinem christianum" (nell'invenzione
letteraria di Pietro di Blois).
Reginaldo fu da questo momento un protagonista del fortunato genere letterario delle passiones di crociati e Pietro di
Blois seppe dare un rinnovato e appassionato senso cristiano alla storia.
Guglielmo di Newburgh descrive Rinaldo con toni degni
per quel valoroso martire della fede e a condire l'avventura
Matteo Paris, nel Chronica Majora, fa esclamare al morituro che sta per ricevere il colpo di spada la frase: "gaudeo de
causa mortis et de ferientis autorictate".
Secondo alcuni autori e nella Storia dei patriarchi di
Alessandria, il sultano avrebbe addirittura infierito sul cadavere, anche spalmandosene il sangue sul viso o usandolo
per lavarsene le mani.
La testa di Reginaldo fu fatta trascinare per ordine del
Sultano per tutti i suoi territori dopo essere stata esposta a
Damasco, l'odio fra i due era stato troppo violento perché
Saladino resistesse alla tentazione di compiere un gesto
esemplare.
D o p o l a ba t t a g l i a
Ibn al-Athir descrisse così la scena del campo:
"La strage e la calura furono così grandi, che chi vedeva gli uccisi non credeva possibile che ne avessero
catturato anche uno solo, e chi vedeva i prigionieri non credeva possibile che anche uno solo fosse stato
ucciso".
Nella tenda del sultano furono condotti Guido di Lusignano, suo fratello il Conestabile Almarico,
Reginaldo di Châtillon, Honfroi de Toron, il gran Maestro del Tempio, il vecchio signore del Monferrato
e altri baroni.
Un'antica usanza araba voleva che l'ospite avesse salva la vita se gli fosse stato offerto da mangiare o da
bere. Così, il vincitore di Hattin onorò re Giudo e gli offrì una coppa d'acqua ghiacciata o un sorbetto
preparato con neve del monte Hermon.
Questi ne bevve, e la passò a Reginaldo di Châtillon. A questo punto Saladino chiamò l'interprete presso
di sé e fece dire a Guido: "Io non ho dato da bere a quest'uomo".
L'Arcivescovo di Tiro racconta che Saladino vedendo Rinaldo bere avidamente dalla coppa, lo apostrofò
seccamente con le parole: "Béves, que vos ne bevrés ja mais", alle quali il signore di Kerak avrebbe risposto "que ja se Dieu plaist ne bevreit ne mangereit dou sien".
Saladino urlò: "Porco, sei mio prigioniero e mi rispondi così?" (21).
Poi gli rinfacciò le sue nefandezze, i tradimenti ripetuti, e in particolare la sanguinaria e sacrilega impresa
dell'assalto ai luoghi santi dell'Islam. Racconta al-Safadi al-Wafi bi'l-wafayat : "Quante volte avete fatto un
giuramento e lo avete violato? Quante volte firmato un accordo che non avete mai rispettato?" Rinaldo
rispose: "I re hanno sempre agito così. Non ho fatto nulla di più." E infine, come nelle cronache di Ibn alAthir, lo uccise troncandogli il capo con un solo fendente.
Saladino si congedo infine rassicurando l'impietrito Guido: "I veri re non si uccidono tra di loro".
18
I c a p t i vi :
Guido Di Lusingano, nelle cronache di Bar Hebraeus, si sarebbe risparmiato la vita con la stima guadagnata dal Sultano per il solenne discorso con il quale avrebbe voluto salvare Reginaldo. Discorso che difficilmente il tremante re di Gerusalemme avrebbe potuto fare in quella circostanza. Guido fu risparmiato
in vero, perché era una preziosissima moneta di scambio. Servì infatti a quel piano sultaniale di scambi di
castelli con prigionieri, piano nel quale rientrarono molti captivi di Hattin.
Saladino chiese per la sua vita la capitolazione di tutte le piazzeforti dell'ordine degli ospitalieri. Quando
i difensori di Ascalona, che secondo una cronaca latina erano ospitalieri, respinsero sdegnosamente una
prima richiesta di resa avanzata da re Guido. Dalle mura gridarono al regale prigioniero che i migliori
castelli del regno erano tenuti dai templari, e che all'ordine giovanita poco importava della liberazione di
Guido. Questa replica è spiegabile in un unico modo: poiché solo due anni prima il magister Templi
aveva posto risolutamente il proprio ordine a disposizione del Lusingano che se ne era servito per ottenere la corona gerosolimitana con un colpo di stato, contro la volontà dell'Ospedale. Quest'ultimo aveva
adesso buon gioco nel suggerire malignamente allo sfortunato sovrano di farsi soccorrere dai propri complici, con la cui collaborazione aveva introdotto nel reame divisioni catastrofiche.
Gerardo de Riderfort, magister Templi ebbe salva la vita accettando il pesante compromesso di non combattere più l'Islam e di ordinare la resa incondizionata della piazzaforte templare a Gaza e di altre fortezze.
Le esaltanti cronache cavalleresche, vogliono che muoia eroicamente ad Acri rifiutando di fuggire. Altri
cronisti invece affermano che fu catturato e passato a fil di lama: una morte sì degna del martirio ma un
po' meno romantica.
Un'altra fonte assegna a Gerardo un'analoga ricerca della morte eroica, ottenuta sputando in faccia a
Saladino che lo aveva invitato a farsi musulmano in cambio della grazia. La notizia è assolutamente leggendaria e corrisponde al lavaggio semi-agiografico delle vite di vari combattenti cristiani, operazione resa
ancora più evidente da una lunga 'preparazione' dell'epilogo del colloquio fra il magister e il sultano, il
quale avrebbe associato alla proposta di rinnegamento della fede cristiana una dichiarazione di ammira-
19
zione verso il prigioniero, che prima di affrontare con estrema determinazione il martirio, avrebbe invitato mediante una simulazione dell'abiura i propri confratres a resistere alle lusinghe sultaniali, con il risultato che tutti scelsero il martirio prima che tale sorte toccasse a lui. Se fu giustiziato dopo essere stato nuovamente catturato durante l'assedio di Acri, fu per il suo mancato impegno di astenersi dalla guerra contro lo stesso Ayyubide. Condizione pretesa e trasgredita da molti importanti baroni che furono rilasciati
con lui dopo Hattin.
Pietro di Blois colloca Riderfort come Reginaldo di Châtillon tra i protagonisti di autentiche passiones
agiografiche.
Raimondo III conte di Tripoli: Dopo l'eccidio di Hattin, ritiratosi a Tiro, vi morì nell'agosto successivo,
a quarantasette anni, forse di pleurite. Alcuni storici dell'epoca sostengono sia stato il grande dolore sofferto a causa della sconfitta di Hattin, per altri fu la vergogna della fuga dal campo di battaglia a divorarlo
fino ad ucciderlo.
Unfredo IV di Toron fu invece graziato e premiato. Tornò infatti da Saladino, che lo aveva liberato sulla
condizione che avrebbe organizzato il pagamento del proprio riscatto in oro, a mani vuote, incapace di
raccogliere il denaro nella propria terra devastata da guerre e carestie. Il Sultano, pieno di ammirazione
per tanta lealtà, lo liberò ugualmente dopo averlo colmato di doni, e avergli amichevolmente ingiunto di
portare le insegne sultaniali accanto alle proprie e di adottare il suo grido di guerra: "Damasco!".
Baliano di Ibelin, che era sfuggito alla cattura in battaglia, organizzò la difesa di Gerusalemme e ne trattò
la resa con Saladino.
Il prigioniero Guglielmo il Vecchio di Monferrato signore di Gabala, per evitare inutili spargimenti di sangue, fu condotto a Tiro per riscattare la città della quale era reggente. Collocato che fu sotto le mura, in
modo che il figlio Corrado potesse riconoscerlo, Saladino gridò che lo avrebbe fatto uccidere lì stesso, se
non gli avesse consegnato la città. "Mi dispiace per lui e per voi, ma mio padre ha già vissuto abbastanza",
fu la lapidaria e stupefacente risposta che gli arabi si sentirono urlare dall'alto delle mura. Stupito dalla
situazione, il sultano stette per un po' a riflettere poi, risparmiando la vita al vecchio, decise che per quel
momento avrebbe rinunciato all'assedio di Tiro.
20
22 - San Nicasio di Burgio fu martire di Hattin proclamato santo dalla Chiesa cattolica. Patrono principale della
città di Caccamo nella provincia di Palermo. Nacque tra il
1130 e il 1140 e fu anch'esso prigioniero della battaglia di
Hattin mentre serviva come capitano l'ordine
Gerosolimitano alla testa di Ruggero Des Moulins. Venne
decapitato alla presenza del Sultano poiché si rifiutò di
rinnegare la fede in Cristo. Fu vero frate laico dell'Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, odierno
Ordine di Malta, partì per la Terra Santa nel 1185 dove si
dedicò al servizio degli ammalati e dei pellegrini
nell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme. Nicasio
fu venerato come Martire sin dai primi anni dopo la sua
morte, e ciò prova che morì come cristiano in difesa di
Cristo e della fede. San Nicasio fu quindi un Crociato che
testimoniò la propria fede con il martirio, dando così
l'esempio di come vivere nello spirito delle beatitudini
evangeliche, che egli si era impegnato a realizzare, vestendo l'abito dei Cavalieri Gerosolimitani (la croce ottagonale bianca, segno delle otto beatitudini), in quanto seppe
abbandonare gli agi della sua casa per diventare povero
nel nome del Signore, accettando le afflizioni di un lungo
viaggio in Terra Santa (www.enrosadira.it). Insomma un
vero manifesto della promozione d'Outremer della
Chiesa cattolica.
Minore fortuna ebbero i cavalieri degli Ordini religiosi. Saladino li condannò a morte e per l'esecuzione
li consegnò a quei gruppi di fanatici irregolari Dervisci e Sufi, che accompagnavano il suo esercito. La strage dei cavalieri avvenne al suo cospetto e sorrideva e si compiaceva al raccapricciante spettacolo. I cavalieri, secondo alcune testimonianze, fecero a gara per ottenere il martirio, esito sperato del voto crociato,
che difficilmente Saladino avrebbe loro evitato(22).
Lo storico arabo Imad al-Din, che era presente all'episodio racconta:
"Saladino promise cinquanta denari a chiunque portasse un templare o un ospitaliero prigioniero. Subito
i soldati ne portarono centinaia, ed egli li fece decapitare perché preferì ucciderli piuttosto che ridurli in
schiavitù. Era circondato da un gruppo di dottori della legge e di mistici, e da un certo numero di persone consacrate alla castità e all'ascetismo. Ognuno di essi chiese il favore di uccidere un prigioniero, sguainò la spada e scoprì l'avambraccio. Il sultano stava seduto con la faccia sorridente, mentre quelle dei
miscredenti erano accigliate. Le truppe erano schierate, con gli emiri su due file. Fra i religiosi, alcuni diedero un taglio netto ed ebbero ringraziamenti; la spada di altri esitò e rimbalzò: furono scusati; altri ancora furono derisi e sostituiti. Io ero presente e osservavo il sultano che sorrideva al massacro, scorsi in lui
l'uomo di parola e d'azione. Quante promesse non adempì! Quante lodi non si meritò! Quante ricompense durature a motivo del sangue da lui versato! ...".
Saladino giustificò così quelle esecuzioni :
"Intendo purificare la terra da questi due ordini mostruosi, dediti a pratiche insensate, i quali non rinunzieranno mai all'ostilità, non hanno alcun valore come schiavi e rappresentano quanto di peggio vi sia nella
razza degli infedeli".
Entro la metà di settembre del 1187, Saladino aveva conquistato san Giovanni d'Acri, Nablus, Jaffa,
Sidone, Toròn, Birut e Ascalona fino alla volta di Gerusalemme che si consegnò all'inarrestabile esercito
nemico il 2 ottobre dello stesso anno.
21
Ayyûb al-Malik an Nâsir conosciuto come Saladino, nacque a Tikrit, nell'Antica regione della Mesopotamia (Re
Hussein, nativo della stessa città, volle più volte somigliare
a Saladino, ritraendosi con il suo profilo accanto al condottiero Ayyubide: noto è il caso di una serie di francobolli
emessi a Bagdad) dal padre arabo Najm al-Din Ayyub, un
avventuriero politico, e madre curda. Crebbe a Baalbek nel
rigoroso esercizio delle arti equestri e militari ma ricevendo
anche nozioni di teologia, giurisprudenza, storia e poesia. I
due fratelli venivano dall'Armenia e cercarono fortuna
prima in Iraq, poi in Siria; spesso, ma non sempre insieme,
cambiarono anche signore e nel farlo non si astennero dal
tradimento.
Quando nell' anno di Cristo 1169, 564 dell'Egira,, il califfo
fatimida al'Adid lo nominò gran visir dell'Egitto, Yùsuf ibn
Ayyub, figlio di un modesto emiro curdo, assunse la.carica
a malincuore. Suo padre commentò: "Allah si stupisce di
colui che dev'esser trascinato in paradiso con le catene".
Saladino, il cui nome proprio era Yùsuf fu ben presto paragonato, già dai suoi contemporanei, a Giuseppe d'Egitto, il
figlio di Giacobbe dell'Antico testamento. Fu l'eempio più
illustre del mugiâhid, rigorosamente ligio alla norme di clemenza e di moderazione che la legge cranica impone a tutti
coloro che lottano per difendere la comunità islamica dalle
aggressioni.
Pur preferendo una politica di rigore ma non belligerante,
fu costretto ad assumere difficili posizioni per una coerente reggenza che garantisse la stabile fiducia del suo regno.
Celebre è il monito che in fin di vita fece recapitare al figlio
Malik al-Zafir "Guardati dalo spargimento di sangue e non
fidarti di esso, perché il sangue versato non dorme mai"(nel
senso che esso domanda sempre vendetta). Morì il mattino
del 3 marzo 1193, all'età di cinquantacinque anni, lasciando un tesoro privato così esiguo, che non bastò nemmeno
per sostenere le spese dei suoi funerali.
22
Le sue originali parole nel dispaccio che inviò in tutto il suo
regno per annunziare la vittoria di Hattin.
23
AU D I T A T R E M E N D I :
La notizia del massacro di Hattin fu portata in Europa dall'Arcivescovo di Tiro, come anche da altri pellegrini e viaggiatori. Il fremito d'indignazione dello sconvolto Occidente cristiano, si risolse nel bando che
annunciava un'altra crociata, promossa dalla bolla, l’ Audita Tremendi, di Gregorio VIII e finanziata in
Francia ed Inghilterra con la Decima del Saladino.
Il documento fu emanato il 29 ottobre 1187 da Ferrara da parte di papa Gregorio VIII, alla notizia che
l'esercito del re di Gerusalemme era stato sbaragliato dalle truppe del Saladino ai corni di Hattin. Va detto
che, nel momento in cui la cancelleria papale promulgava questo documento, anche Gerusalemme era
caduta: ma ciò ancora non si sapeva in occidente.
...Avendo udito la notizia del tremendo giudizio divino con cui la mano del Signore si è abbattuta sulla
terra di Gerusalemme, noi e i nostri fratelli siamo confusi da tanto orrore e afflitti da tanto grandi dolori
da non sapere che cos'altro fare se non piangere col Salmista: "Dio, i gentili sono entrati nel tuo retaggio,
hanno profanato il tuo sacro tempio; hanno rovinato Gerusalemme, hanno dato le carni dei tuoi santi in
pasto alle belve della terra e agli uccelli dell'aria"; poiché il Saladino, approfittando della discordia scoppiata in quella terra a causa della malvagità degli uomini istigata dal Demonio, è giunto là con gran quantità di uomini. Gli sono andati incontro il re, i vescovi, i Templari, gli Ospedalieri, i baroni e i cavalieri
col popolo tutto e la croce del Signore... sicuro baluardo... contro le incursioni pagane. Ci fu battaglia e i
nostri furono sbaragliati; perduta la croce del Signore, trucidati i vescovi, catturato il re e quasi tutti o passati per le armi o trucidati, salvo pochissimi salvatisi con la fuga; i Templari e gli Ospedalieri furono tutti
decapitati sotto gli stessi occhi del re... è necessario... assalire i feroci e malvagi nemici e non esitare in
alcun modo a fare in pro di Dio ciò che essi non temono di osare contro di Lui…E non vi diciamo di
abbandonare ciò che avete, ma al contrario di depositarlo anzi tempo nel granaio celeste… impegnandovi nel recupero di quella Terra nella quale per la nostra salvezza sorse la Verità e non disdegnò di sopportare per noi il patibolo;né vogliate preoccuparvi di guadagno o di gloria temporale, ma solo della
volontà di quel Dio che ha insegnato a riporre in Lui l'anima a vantaggio dei fratelli: e affidate a Lui le ricchezze che volontariamente o no state per abbandonare a non si sa quale erede...a quelli che, con cuore
contrito e in umiltà di spirito, avranno accettato la prova di questo iter e saranno morti facendo peniten-
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za dei loro peccati e nella retta fede, promettiamo l'indulgenza plenaria e la vita eterna. Sia che sopravvivano sia che muoiano, sappiano che saranno esentati dalla pena per la misericordia e per l'autorità degli
apostoli Pietro e Paolo e nostra. I loro beni e le loro famiglie poi, da quando avranno preso la croce,
saranno sotto la protezione della Santa Romana Chiesa e dei suoi arcivescovi, vescovi e prelati; e non
dovrà esser loro contestata alcuna delle cose che abbiano posseduto senza contrasti all'atto in cui hanno
preso la croce, purché non si abbia notizia certa del loro ritorno o della loro morte, ma fino ad allora i
loro beni restino intatti e intangibili; né, inoltre, siano obbligati a restituire a nessuno prestiti a usura...
(Dato a Ferrara il quarto giorno dalle calende di novembre 1187, indizione sesta).
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