1 CAMPO LONTANO DI UNA DISTRIBUZIONE DI CORRENTI

1 CAMPO LONTANO DI UNA DISTRIBUZIONE DI CORRENTI
Il dipolo corto è il più semplice caso di antenna (effettivamente realizzabile). Una
antenna è un dispositivo costituito da una struttura fisica, normalmente di conduttore elettrico
perfetto, che, se opportunamente alimentata, produce un campo elettromagnetico nello spazio.
Uno dei problemi importanti in elettromagnetismo è quindi il calcolo del campo prodotto da
una data antenna. Questo problema può essere decomposto in due sottoproblemi
• calcolare la corrente che si induce su di una antenna a causa della alimentazione;
• calcolare il campo prodotto dalla distribuzione di corrente indotta1 .
Il primo sottoproblema dipende in maniera essenziale dalla struttura della antenna, che
può essere molto varia. Pertanto andrà affrontato caso per caso, e nel seguito vedremo alcuni
dei casi di interesse per questo corso.
Il secondo sottoproblema, invece, ammette una soluzione generale relativamente semplice2 , che si semplifica ulteriormente se il campo che ci interessa è quello a grande distanza dalla
antenna. Vedremo quindi come prima cosa come si esprime il campo elettromagnetico prodotto
da una distribuzione di correnti elettriche J(r), che occupa un volume VJ finito, nei punti al di
fuori di VJ .
Una delle proprietà della delta di Dirac è
Z
J(r) =
J(r′ ) δ(r − r′ ) dV ′
(1)
in cui l’integrale dovrebbe essere esteso a tutto lo spazio. Tuttavia, essendo J diverso da zero
solo in VJ , basta estenderlo solo a questo volume.
Ricordando che un integrale è una somma, la (1) afferma che la distribuzione di corrente
J può essere considerata come la somma di tante distribuzioni elementari
′
′
Je (r) = J(r ) dV δ(r − r′ )
(2)
che sono dipoli elementari di ampiezza [J(r′ ) dV ′ ], posti in r′ . Per la sovrapposizione degli effetti,
detto dEe (r) il campo elettrico3 della corrente elementare (2), il campo elettrico complessivo
E(r) della distribuzione di correnti J(r) è pari a
Z
dEe (r)
(3)
E(r) =
VJ
E’ evidente che la espressione (3) è solo formalmente semplice, in quanto il suo utilizzo,
nella forma completa, richiede una valutazione numerica. Se però ci limitiamo a distanze grandi
1
Come visto nella discussione del teorema di equivalenza, è sempre possibile sostituire all’oggetto
fisico (antenna) la sua corrente indotta e calcolare il campo (nel vuoto) di questa corrente
indotta.
2
In qualche caso ci interesserà il campo di una distribuzione di corrente che non è ottenuta da
una antenna. Le considerazioni di questo paragrafo si applicheranno anche a questi casi.
3
Analoga relazione vale ovviamente anche per il campo magnetico, e anche a questa possono
essere applicate le semplificazioni che vedremo per il campo elettrico. Tuttavia, in molti dei
casi di interesse, il campo magnetico potrà essere ottenuto in modo immediato una volta noto
il campo elettrico.
1
tra punto sorgente e punto campo, sono possibili alcune semplificazioni della (3), dipendenti
però dalla distanza a cui si ci trova.
La prima semplificazione si può fare se
β |r − r′ | ≫ 1
∀r′
(4)
ovvero se la distanza tra il punto campo e un qualunque punto della sorgente è grande rispetto
alla lunghezza d’onda.
In tal caso anche la relazione diretta tra correnti e campo può essere espressa in termini
semplici. Se la corrente ha solo componente z 4 il campo del dipolo (2) vale
′
′
ζ Jz (r ) dV
′
e−jβ|r−r | sin θ ′ i′θ
(5)
dE(r) = j
′
2λ |r − r |
dove l’angolo θ ′ è l’angolo tra la congiungente il punto sorgente e il punto campo, e l’asse polare
z. Di conseguenza il versore i′θ dipende anch’esso dalle posizoni del punto sorgente e del punto
campo.
Sommando su tutti i dipoli della sorgente segue allora
Z
ζ
Jz (r′ ) −jβ|r−r′ |
E(r) = j
e
sin θ ′ i′θ dV ′
(6)
2λ VJ |r − r′ |
in cui θ ′ e i′θ variano al variare del dipolo che consideriamo nella somma (6), e quindi non possono
essere portati fuori dall’integrale.
La (6) è ancora abbastanza complessa. Ulteriori semplificazioni sono possibili solo se
la distanza |r − r′ | è grande rispetto alle dimensioni della sorgente medesima. Per valutare
numericamente quest’ultima, si può considerare la minima sfera che include completamente il
volume VJ che contiene tuttele sorgenti, e assegnare come dimensione della sorgente il diametro
D di tale sfera.
Se la distanza r tra il punto campo e il centro di tale sfera è grande rispetto al semidiametro della sorgente
D
(7)
2
allora un osservatore, posto nel punto campo, vede la sorgente come puntiforme. In tal caso
possiamo considerare, dal punto di vista geometrico, tutti i dipoli posti nello stesso punto, e
quindi considerare θ ′ e i′θ costanti (al variare del punto campo). Se indichiamo con θ e iθ i valori
relativi al centro della sorgente, la (6) diventa, in questa ipotesi
Z
Jz (r′ ) −jβ|r−r′ |
ζ
e
dV ′ sin θ iθ
(8)
E(r) = j
2λ VJ |r − r′ |
r≫
Altre semplificazioni sono possibili esaminando i termini contenenti |r − r′ | nella (6) (e
quindi, anche, nella (8) ), sempre nella ipotesi che la distanza r sia grande rispetto al diametro
della sorgente.
4
Una corrente qualunque può essere sempre decomposta in tre parti, ciascuna con una sola
componente x, y, z. Basterà applicare la sovrapposizione degli effetti per vedere che tutte
le conclusioni di questa sezione sono valide in generale (mentre molte delle formule vanno
modificate)
2
Risulta
′ 2
′ 2
2
′
′ 2
|r − r | = (r − r ) = r − 2 r · r + (r ) = r
2
"
i r · r′
1−2
+
r
r′
r
2 #
essendo r = rir . Estraendo la radice quadrata segue
s
′ 2
r
ir · r ′
′
+
|r − r | = r 1 − 2
r
r
(9)
Nella ipotesi che r ′ ≪ r, possiamo sviluppare la (9) con la formula di Taylor rispetto al
′
parametro piccolo r /r . Non conviene però farlo direttamemte, ma con un artificio. Il secondo
fattore a secondo membro è la radice quadrata di 1 + X, con
ir · r ′
X = −2
+
r
′ 2
r
r
Se r ′ ≪ r, allora X è piccolo, e possiamo utilizzare l’espansione di Taylor di
rispetto a X, ovvero
√
(10)
√
1+X
X
X2
−
+ ...
2
8
e poi sostituire l’espressione (10) di X in ambo i membri. Nel fare questa sostituzione a secondo
′
membro occorre però ricordare che lo sviluppo cercato è in r /r , e quindi vanno conservati tutti
′
e soli i termini fino all’ordine desiderato in r /r . Se siamo interessati allo sviluppo al secondo
ordine, allora dobbiamo sostituire a secondo membro5
1+X ≃1+
′ 2
r
ir · r ′
+
X = −2
r
r
2
ir · r′
X 2 = −2
r
mentre X 3 non contribuisce, contenendo solo termini di terzo ordine o superiore.
Si ottiene quindi
s
ir · r ′
1−2
+
r
( "
′ 2
′ 2 #) ( 2 )
r
r
1
1
ir · r ′
ir · r ′
+
−
≃1+
−2
−2
r
2
r
r
8
r
2
2
ir · r ′
1 r′
1 ir · r′
=1−
+
−
r
2 r
2
r
(11)
Sostituendo la (11) nella (9) si ottiene infine
i
1 h ′ 2
2
(r ) − (ir · r′ )
|r − r′ | ≃ r − ir · r′ +
2r
5
(12)
Nel caso di uno sviluppo al primo ordine andrebbe conservato solo X e solo il suo primo
addendo.
3
Tuttavia, essendo interessati al campo, la (12) può essere usata solo se l’errore relativo
sul campo è piccolo. Per valutare questo errore sul campo (8), occorre considerare che la (12)
dovrebbe essere sostituita sia nel termine di ampiezza |r − r′ |−1 , sia nel termine di fase.
Nel termine di ampiezza basta approssimare |r − r′ | ≃ r, arrestandosi al primo termine.
L’errore relativo che si commette vale infatti
ir · r′ r′
D
≤
≤
r
r
2r
′
in quanto r è la distanza di un punto interno alla sfera di diametro D dal centro. Se r ≫ D/2,
allora si può approssimare |r − r′ |−1 con r −1 . Poichè questa è la stessa condizione geometrica
che abbiamo utilizzato per gli angoli, possiamo dire che se
r≫
D
2
allora
ζ
E(r) = j
2λ r
Z
Jz (r′ ) e−jβ|r−r | dV ′ sin θ iθ
′
(13)
VJ
Diverso, e indipendente, è il discorso relativo all’approssimazione dell’esponenziale, discorso già affrontato nella parte sulle onde piane. Infatti occorre considerare non la approssimazione (12), ma quella dell’esponente completo del termine esponenziale della (13), ovvero
i
β h ′ 2
2
(14)
(r ) − (ir · r′ )
−jβ|r − r′ | ≃ −jβr + jβ ir · r′ − j
2r
Se decidiamo di utilizzare solo i primi due termini della (14) (sempre assumendo che
D
r ≫ /2) per approssimare l’esponenziale della (13) (ovvero della (8))
e−jβ|r−r | ≃ e−jβr e−jβ
′
− ir · r ′
(15)
questo conduce a un errore accettabile sul campo (che si ottiene da un integrale in cui va inserita
la (15)) se il massimo del termine trascurato nella (14) è inferiore a π/8.
Il massimo del termine trascurato
−j
si ottiene considerando che
′ 2
i
β h ′ 2
2
(r ) − (ir · r′ )
2r
′ 2
′ 2
(r ) − (ir · r ) ≤ (r ) ≤
D
2
2
L’errore è allora accettabile se
π
2D 2
β D2
≤
=⇒
r≥
(16)
2r 4
8
λ
Se vale la (16) (oltre alle (4,7)) si dice allora che il punto campo è in campo lontano,
o in zona di Fraunhofer. In questo caso possiamo approssimare l’esponenziale nella (13) con la
(15) e si ha quindi
4
E(r) = j
ζ
e−jβr
2λ r
Z
Jz (r′ ) ejβ (ir ·r ) dV ′ sin θ iθ
′
(17)
VJ
Notiamo infine che i campi prodotti, in zona di Fraunhofer, da correnti lungo ix o lungo
iy hanno una espressione del tutto simile alla (17). L’unica differenza (oltre al fatto di usare Jx
o Jy nell’integrale) e’ nel fattore sin θ iθ , che va riferito alla direzione della corrente. Per correnti
generiche (con tutte le tre componenti), quindi, vanno sommati tre termini come (17).
2 ANTENNE – ALTEZZA EFFICACE – CAMPO LONTANO
Le forme possibili delle antenne sono le più svariate. Per i nostri scopi, comunque, le
proprietà che ci interessano sono solo due:
• Ogni antenna ha una porta di ingresso per alimentarla. Se attraverso tale porta viene
fatta scorrere una corrente IA , l’antenna produce nello spazio un campo elettromagnetico
(effetto) il cui valore è, in ogni punto, proporzionale alla corrente di alimentazione IA
(causa), in quanto, in elettromagnetismo, le relazioni causa–effetto sono lineari.
• Ogni antenna ha una dimensione massima. Per valutarla numericamente si può considerare la minima sfera che include completamente la antenna, e assegnare come dimensione
della antenna il diametro D di tale sfera.
Da questa definizione segue che una antenna può essere costituita, oltre che da oggetti
che irradiano campo, anche eventualmente da circuiti (a costanti distribuite o concentrate) che
distribuiscono la corrente di ingresso agli oggetti irradianti.
Se esiste una porta di ingresso, e quindi una corrente IA , la densità di corrente indotta
risulta proporzionale ad IA . La (17) può allora essere ulteriormente modificata, scrivendo
Z
Jz (r′ ) jβ (ir ·r′ )
ζ
−jβr
e
IA
e
dV ′ sin θ iθ
(18)
E(r) = j
2λ r
IA
VJ
L’ultima parte della (18) contiene tutte le informazioni sulla forma della distribuzione
di corrente. Questo termine (o la sua generalizzazione al caso di distribuzioni di corrente tridimensionali), che è una funzione di (θ, φ), prende il nome di altezza efficace della antenna e si
indica con h (e si misura in m).
Z
Jz (r′ ) jβ (ir ·r′ )
e
h(θ, φ) =
dV ′ sin θ iθ
(19)
I
A
VJ
Tenendo anche conto che il campo deve essere localmente una onda piana, possiamo
allora scrivere il campo in zona di Fraunhofer di qualunque antenna, alimentata da una corrente
IA nella forma
E=j
ζIA −jβr
e
h(θ, φ)
2λr
1
H = ir × E
ζ
5
(20)
in cui l’altezza efficace h(θ, φ) è il termine caratteristico della singola antenna e fornisce le
proprietà direzionali della antenna stessa, ovvero come il campo varia rispetto alle direzioni
angolari θ, φ. Inoltre h indica anche la polarizzazione del campo elettrico (che viene detta
polarizzazione della antenna). Sempre dalle proprietà del campo lontano, risulta che h deve
essere ortogonale a ir
h · ir = 0
Per un dipolo elementare di lunghezza ∆z risulta
h(θ, φ) = ∆z sin θ iθ
(21)
h(θ, φ) = ℓ sin θ iθ
(22)
e per un dipolo corto di lunghezza 2ℓ
Le altezze efficaci (e quindi i campi) di tali antenne sono indipendenti da φ per la
simmetria delle antenne stesse.
Le espressioni (20) valgono se il punto–campo (punto in cui si vuole calcolare il campo)
è nella zona lontana della antenna (detta anche zona di Fraunhofer) caratterizzata dal verificarsi
di tutte le seguenti condizioni per la distanza r tra il punto–campo e la antenna
D
≫1
β r−
2
r≫
D
2
r>
2D 2
λ
che possiamo riscrivere, per avere tutte valutazioni quantitative (e con errori paragonabili, intorno al 10% massimo), come
D
5λ
10
r−
=
>
2
β
π
r > 5D
r>
2D 2
λ
(23)
Naturalmente, al variare della frequenza e della dimensione della antenna, il collo di
bottiglia sarà una o l’altra di esse.
Conviene allora considerare, in un diagramma, tutte le possibili condizioni. Il diagramma può essere in due dimensioni in quanto ciò che conta sono r/λ e D/λ. Le relazioni
precedenti diventano allora
r
1 D
5
>
+
λ
2 λ
π
r
>2
λ
r
D
>5
λ
λ
D
λ
2
(24)
(25)
e ciascuna di queste condizioni dividono il diagramma r/λ in funzione di D/λ, riportato in Fig.
1, in due regioni. I confini di tali regioni sono due rette per le condizioni (24), e un arco di
parabola per la condizione (25).
6
r/λ
Fr
zona di Fraunhofer
12.5
zona delle sorgenti
5/π
zona dei campi reattivi
10/9π
2.5
D/λ
Fig. 1: Regioni di campo lontano e campo vicino.
La zona di Fraunhofer è quella in alto a sinistra. La restante parte viene detta di campo
vicino, ed è divisa in due regioni. Quella in cui non vale la prima delle condizioni (24) viene
detta zona dei campi reattivi. Si può infatti verificare che al di fuori di questa zona le densità di
energia elettrica e magnetica sono uguali, mentre in questa zona sono diversi, e quindi vi è flusso
di potenza reattiva. La zona intermedia è detta zona delle sorgenti perchè in essa la sorgente
non viene vista come puntiforme ma estesa, benchè il flusso di potenza sia puramente reale.
Nella Fig. 1 è poi evidenziata anche un’altra zona, che esiste solo per sorgenti grandi,
ed è indicata con F r. Tale zona è detta di Fresnel, ed in essa il campo ha tutte le caratteristiche
della zona lontana, salvo il fatto che l’onda e’, anche localmente, sferica.
Il campo in zona lontana è quello che viene generalmente considerato per i collegamenti
radio. L’interesse per la zona vicina è cresciuto solo di recente in quanto i limiti normativi sulle
esposizioni della popolazione vanno essenzialmente verificati nella zona delle sorgenti, in quanto,
per le antenne che tipicamente si usano nelle aree urbane, il campo nella zona di Fraunhofer
è molto più basso dei limiti stessi. La zona dei campi reattivi è invece molto piccola. Per le
antenne per telefonia cellulare, ad esempio, tale zona termina a 2–3 metri dalla antenna, una
zona in cui l’accesso della popolazione è normalmente interdetto. Il campo in tale zona, quindi,
interessa soprattutto per chi si occupa della manutenzione degli impianti.
Notiamo infine che le (23), e di conseguenza la Fig. 1, sono relative al campo in un
punto. In molti casi, però, è richiesto che il campo della nostra antenna sia una onda piana in
tutta una regione di diametro DR , ovvero che il campo in tutta questa regione sia approssimabile
come una onda piana, a partire dal valore della (20) al centro della regione stessa. In questo
caso si dimostra che le (23) vanno sostituite da
5λ
D + DR
10
=
>
r−
2
β
π
r > 5 max[D, DR ]
r>
2(D + DR )2
λ
(26)
La seconda delle (26) è certamente verificata se r > 5(D + DR ), e in questo caso è
possibile utilizzare il diagramma di Fig. 1, ovviamente considerando sulle ascisse (D + DR )/λ.
Tuttavia, in qualche caso di antenne di dimensioni intermedie, questa richiesta potrebbe essere
7
più restrittiva del necessario1 .
3 PARAMETRI DELLE ANTENNE IN TRASMISSIONE
Una antenna in trasmissione è completamente caratterizzata dalla sua altezza efficace.
Sono però utili anche altri parametri, ovviamente collegati alla altezza efficace h(θ, φ).
Ricordiamo che il vettore di Poynting di una antenna, calcolato a grande distanza, è
reale e diretto lungo ir . Usando l’espressione generale del campo lontano di una antenna (20) si
ha per esso
2
ζ |IA |2 1
ir
h(θ,
φ)
|E|2 ir =
2ζ
2 (2λr)2
Si definisce diagramma di radiazione il rapporto
S∞ (r, θ, φ) =
(27)
h(θ, φ)2
S∞ (r, θ, φ)
= 2
F (θ, φ) =
SM AX (r)
h
M AX
dove S∞ (r, θ, φ) è la componente radiale del vettore di Poynting a grande distanza, dato da (27)
e indichiamo con SM AX il suo valore massimo rispetto agli angoli. Il diagramma di radiazione
risulta funzione di (θ, φ), ed è normalizzato al suo valore massimo. A partire da (27) si ottiene
la potenza irradiata da una antenna generica, come
Z
Z
ζ
1
2
2
h(θ, φ)2 dΩ
(28)
Pirr =
S∞ (r, θ, φ) · ir r dΩ = |IA |
2
(2λ)2
essendo dΩ = sin θ dθ dφ, e l’integrale esteso a tutto lo spazio.
Dal teorema di Poynting segue che la potenza irradiata da una antenna deve entrare
dai morsetti di ingresso della antenna stessa. Se la antenna è ideale, la potenza din ingresso alla
antenna viene tutta irradiata. Se invece la antenna non è ideale, vi sarà anche potenza dissipata
PD nella antenna. Questa potenza viene dissipata da tutte le parti che non sono C.E.P., ma
anche da eventuali resistenze (o elementi dissipativi) presenti nella antenna. La potenza totale
di ingresso vale alllora
Pin = Pirr + PD
(29)
Se l’antenna è usata in trasmissione, presenterà ai suoi morsetti una impedenza Zin =
Rin + jXin , detta impedenza di ingresso della antenna1 . La potenza in ingresso alla antenna
vale allora
1
Si consideri ad esempio una sorgente con D = λ e una regione con DR = λ. Usando la Fig. 1
con D + DR = 2λ si trova che la zona di Fraunhofer comincia a 10λ, e il collo di bottiglia è la
seconda delle (23). In realtà, usando le (26), si trova che la zona di Fraunhofer comincia a 8λ,
e il collo di bottiglia è la terza delle (26). Infatti la seconda delle (26) richiede ora solo r > 5λ.
1
Questa impedenza può dipendere anche da eventuali circuiti inseriti nella antenna.
8
1
Rin |IA |2
(30)
2
Normalmente Pin è la potenza di interesse, ed è quella in genere più semplicemente
calcolabile. La potenza irradiata, se necessaria, viene calcolata dalla (29), dopo aver determinato la potenza dissipata (somma delle potenze dissipate individualmente da ciascun elemeno
dissipativo).
Poichè la potenza irradiata, Pirr , e quella dissipata, PD , sono anch’esse proporzionali a
|IA |2 , si possono introdurre una resistenza di irradiazione e una resistenza di dissipazione RD
tramite
Pin =
1
Rirr |IA |2
2
1
= RD |IA |2
2
Pirr
|IA |2
PD
=2
|IA |2
Pirr =
=⇒
Rirr = 2
PD
=⇒
RD
da cui segue
i
h
Rin = Re Zin = Rirr + RD
(31)
(32)
Possiamo introdurre inoltre una efficienza η (dovuta alle perdite) data da
η=
Potenza irradiata
Potenza irradiata
=
Potenza totale in ingresso
Potenza irradiata + Potenza dissipata
(33)
Ricordando le espressioni (31,32) segue
η=
Pirr
Pirr
Rirr
Rirr
=
=
=
Pin
Pirr + PD
Rirr + RD
Rin
(34)
da cui
Rirr = η Rin
e
RD = (1 − η) Rin
L’altezza efficace è una misura della irradiazione, espressa tramite il campo irradiato.
Conviene introdurre una misura differente, legata alla potenza irradiata, che è la direttività
S(r, θ, φ)
(35)
1
P
irr
4πr 2
dove il limite non dipende da r in quanto S a grande distanza è proporzionale a r −2 . In termini
di campo o di altezza efficace la (35) diventa
D(θ, φ) = lim
r→∞
1
|E|2
|h(θ, φ)|2
2ζ
Z
Z
D(θ, φ) = lim
=
(36)
1
1
r→∞ 1
|E|2 dΩ
|h(θ, φ)|2 dΩ
4π
2ζ
4π
Il valore massimo della direttività si ottiene considerando a numeratore il massimo della
altezza efficace, e può quindi essere espresso tramite il diagramma di radiazione F (θ, φ)
9
DM AX =
1
4π
Z
|h|2M AX
|h(θ, φ)|2 dΩ
= R
4π
F (θ, φ) dΩ
Gli integrali in (36) sono estesi a tutto lo spazio. La direttività D rappresenta il rapporto
tra la potenza irradiata in una direzione, e quella media irrdiata, e quindi misura la capacità di
una antenna di concentrare la potenza irradiata in una direzione. Si noti anche che la definizione
(35) di direttività si può applicare anche a una distribuzione generica di correnti, senza riferimento ad antenne o morsetti di ingresso (al contrario delle altre definizioni di questo paragrafo).
In tal caso solo la prima espressione della (36) è applicabile.
Il termine direttività, comunque, oltre che la funzione2 D(θ, φ) data dalla (36), indica
anche il suo valore massimo DM AX .
Una grandezza analoga alla direttività, ma di maggiore interesse, è il guadagno. La
definizione di guadagno è analoga alla (35)
1
|E|2
S(r, θ, φ)
2ζ
= lim
(37)
G(θ, φ) = lim
1
1
r→∞
r→∞
Pin
Pin
4πr 2
4πr 2
ma coinvolge la potenza entrante nella antenna, e quindi risulta più utile nelle applicazioni.
Infatti la (37) collega l’effetto (il campo prodotto in una data direzione) alla causa di interesse
(la potenza che deve essere fornita alla antenna per produrre quel campo). Invece la (35) usa,
come causa, la potenza irradiata, che non tiene conto delle eventuali perdite3 .
Evidentemente risulterà
G(θ, φ) = η D(θ, φ)
Viene anche talvolta usato il guadagno realizzato, in cui al denominatore va la potenza
disponibile dal generatore, e che quindi tiene conto di eventuali disadattamenti. Se la alimentazione della antenna è fatta con una linea, allora il guadagno realizzato vale
GR = (1 − |Γ|2 ) G
essendo Γ il coefficiente di riflessione sulla linea.
Possiamo esprimere il guadagno in termini della resistenza di ingresso della antenna.
Dalla definizione (37) e dalla (30) segue
1 ζ 2 |IA |2
1
|E(r, θ, φ)|2
|h(θ, φ)|2
π ζ |h(θ, φ)|2
2ζ
2ζ 4λ2 r 2
= lim
=
G(θ, φ) = lim
1
1 1
r→∞
r→∞
λ2 Rin
Rin |IA |2
Pin
2
2
4πr
4πr 2
(38)
2
La funzione direttività coincide, a meno di una costante, con il diagramma di radiazione. Più
precisamente, quest’ultimo è anche la direttività normalizzata al suo massimo
3
Si tenga anche conto che, al contrario della direttività, il guadagno può essere definito solo per
antenne, coinvolgendo i morsetti di ingresso della antenna.
10
in cui la resistenza di ingresso di una antenna viene calcolata con considerazioni circuitali4 .
Fanno eccezione alcune antenne semplici, in cui la resistenza di irradiazione è calcolabile
direttamente tramite la (28). Tra queste possiamo considerare i dipoli elementari o corti, con
altezza efficace massima5 pari ad hM . Usando l’espressione già calcolata della potenza irradiata,
segue
Rirr =
e ovviamente
2πζ
3
hM
λ
2
= 800
hM
λ
2
[Ω]
(39)
1
Rirr
η
Sostituendo queste espressioni in (38) si ottiene guadagno e direttività di un dipolo
elementare o corto:
Rin =
G(θ, φ) =
π ζ h2M sin2 θ
3
2
2 = η sin θ
2
1
2πζ
h
M
λ2
η 3
λ
=⇒
D(θ, φ) =
3
sin2 θ
2
(40)
corrispondente a 1.76 dB per una antenna ideale. Segue che un dipolo, elementare o corto, non
è in grado di concentrare il campo in una data zona, e quindi produce campo sostanzialmente
in tutto lo spazio. Per avere guadagni più elevati, occorre utilizzare antenne più grandi.
4 ANTENNE FILIFORMI
Un’asta metallica di lunghezza 2ℓ e raggio a costituisce una antenna filiforme se il fattore
di snellezza1
Ω = log
2ℓ
a
2
risulta abbastanza grande (superiore a 5-10). L’asta è divisa in due parti con una piccola
interruzione, detta gap, tramite cui l’antenna viene alimentata.
4
Invece la resistenza di irradiazione va calcolata a partire dalla potenza irradiata, differenza tra
quella di ingresso e quella dissipata. Ne segue che per il guadagno è in genere più semplice
usare l’ultima espressione della (38), e non la prima. Invece per la direttività conviene usare
la (35) e non l’equivalente della (38)
D(θ, φ) =
π ζ |h(θ, φ)|2
λ2 Rirr
5
La lunghezza del dipolo è pari ad hM se il dipolo è elementare e a 2hM se corto
1
Qui e nel seguito log indica il logaritmo naturale.
11
L’alimentazione è costituita da un campo elettrico Ei , orientato tra i due lati dal gap
(come tra le armature di un condensatore), ovvero mediante un anello di corrente magnetica
(frill current), ad esso equivalente (vedi Fig. 1). Per effetto di questa alimentazione sulla
corrente si induce una corrente superficiale Js , che produce un campo diffuso Ed , ad essa proporzionale. Imponendo che sulla superficie metallica della antenna il campo diffuso e quello di
alimentazione abbiano complessivamente componente tangente all’antenna nulla si ottiene una
equazione (integrale) nella corrente indotta, la cui soluzione consente di calcolare tale corrente.
M
Ei
Fig. 1: Alimentazioni di una antenna filiforme
Un coefficiente di snellezza grande consente di assumere la densità di corrente allineata con la antenna (ovvero avente
solo la componente z), e indipendente da φ. La piccolezza di a
consente poi di imporre che la densità di corrente si annulli sul
bordo della antenna (ovvero non vi sia corrente sulle basi del
cilindro)
Js (z, φ) = Js (z) iz
con
z
ir
θ
Js (±ℓ) = 0
La particolare forma della corrente, e la piccolezza di a
consente di calcolare il campo di una tale antenna considerando
una distribuzione lineare (e non tridimensionale) di dipoli di
ampiezza I(z) dz, essendo I(z) la corrente totale che scorre sulla
antenna. La (18) diventa allora
Z ℓ
ζ
I(z) jβ (ir ·r′ ) ′
−jβr
E(r) = j
e
IA
e
dz sin θ iθ (41)
2λ r
−ℓ IA
Fig 2: Geometria per una
antenna filiforme.
con r′ = z ′ iz .
Ricordando che (confronta Fig. 2) ir · iz = cos θ, la altezza efficace diventa
Z ℓ
I(z) jβz ′ cos θ ′
e
dz sin θ iθ
h(θ) =
−ℓ IA
(42)
La (42) mostra che la altezza efficace, e quindi il diagramma di radiazione, è (a meno
di termini lentamente variabili) la trasformata di Fourier della distribuzione di corrente sulla
antenna filiforme, considerando come variabili coniugate z e u = β cos θ.
Questa relazione di trasformata di Fourier vale (in forma simile) anche per tutti gli altri
tipi di antenne, ed ha una conseguenza molto importante. Il campo irradiato, come funzione
degli angoli2 , può variare tanto più rapidamente, quanto più l’antenna è grande, in quanto il
campo è una funzione a banda limitata, con banda (spaziale) pari alla dimensione della antenna
(espressa in termini di lunghezza d’onda). Ne segue che antenna con guadagno elevato, dovendo
2
In realta’ le variabili da cui dipende la trasformata sono i coseni direttori delle direzioni sotto
cui l’antenna vede il punto campo.
12
avere una variazione molto rapida del campo in funzione degli angoli, devono necessariamente
essere grandi rispetto alla lunghezza d’onda.
Si può dimostrare che la distribuzione di corrente su di una antenna filiforme a sezione
omogenea è approssimabile da
I(z) = IA
sin [β(ℓ − |z|)]
sin βℓ
(43)
che consente di calcolare con notevole precisione il campo in zona di Fraunhofer, e anche, con
precisione inferiore ma sufficiente, nella zona del campo vicino radiativo. È invece del tutto
insufficiente per la zona di campo vicino reattivo, il cui campo dipende in maniera essenziale
dai dettagli della distribuzione di corrente, dettagli che vengono mediati dalla (43). Pertato la
(43) è utile anche per calcolare tutti i parametri della antenna ad eccezione della reattanza di
ingresso , che dipende quasi solo dal campo nella zona di campo vicino reattivo3 .
La approssimazione (43) non è utilizzabile (per motivi formali) se βℓ = nπ, ovvero per
antenne lunghe un multiplo intero di λ. In tal caso, infatti, la corrente di alimentazione predetta
dalla (43) sarebbe nulla (mentre la corrente vera è certamente diversa da zero). Conviene allora
parametrare la corrente alla corrente massima IM scrivendo I(z) = IM sin [β(ℓ − |z|)].
Se βℓ ≪ 1, allora la corrente varia linearmente
I(z) = IA
|z|
1−
ℓ
e l’antenna filiforme è in realtà un dipolo corto
L’altezza efficace si ottiene da (42) (sostituendo la (43) e integrando) e vale
h(θ) =
λ cos(βℓ cos θ) − cos βℓ
iθ
π
sin βℓ sin θ
(44)
L’andamento vero (ottenuto tramite un programma di simulazione numerica di antenne
filiformi, chiamato NEC-2 ), e il diagramma di radiazione di varie antenne filiformi è mostrato
nel file aggiuntivo Va.
Le antenne filiformi singole sono tra le poche antenne in cui si può calcolare facilmente la
potenza irradiata tramite la (28), e quindi anche la resistenza di irradiazione dalla (31). Infatti,
per il calcolo della potenza irradiata (e quindi della resistenza di irradiazione) la (44) è del tutto
adeguata. Tenendo conto della simmetria, dalla (28) segue
Pirr
ζ
1
2π
= |IA |2
2
(2λ)2
e dalla (31)
2Pirr
ζ
Rirr (ℓ) =
=
2π
2
|IA |
(2λ)2
il cui andamento è riportato nella Fig. 3.
3
Z
0
π
Z
0
π
h(θ)2 sin θdθ
λ cos(βℓ cos θ) − cos βℓ 2
sin θdθ
π
sin βℓ sin θ
Si veda la discussione relativa alla potenza reattiva di un dipolo.
13
(45)
Resistenza di irradiazione di antenne filiformi
140
Resistenza [Ω]
120
100
80
60
40
20
0
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1.4
4l/λ
Fig. 3: Rirr di una antenna filiforme.
Particolare interesse hanno le antenne a λ/2, ovvero quelle per cui βℓ = π/2
In tal caso risulta
π
cos
θ
cos
λ
2
I(z) = IA cos βz
e
h(θ) =
iθ
π
sin θ
e la sua resistenza di irradiazione vale4
Rirr =
ζ
2π
(2λ)2
Z
π
0
(46)
2
cos π cos θ λ
2
sin θdθ ≃ 75 Ω
π
sin θ)
La direttività massima si ottiene dalla (38) e vale 1.64 (2.15 dB). Pertanto neanche
una antenna a λ/2 è in grado di concentrare il campo in una direzione. Tuttavia, avendo una
resistenza di ingresso molto più alta di quella di un dipolo corto, ha normalmente una efficienza
molto alta, e, come vedremo, può essere adattata molto meglio alla rete di alimentazione.
Per quanto riguarda, infine, la reattanza di ingresso, questa dipende in maniera essenziale dal campo nella zona reattiva, e dai dettagli costruttivi della antenna stessa. Una buona
approssimazione della reattanza di ingresso per antenne sottili è
ζ
(Ω − 3.4) cot β0 ℓ
(47)
2π
La precisione della (47) è buona se Ω > 10 e ragionevole per valori poco più piccoli.
In particolare, per antenne corte,
Xin = −
Xin ≃ −
4
1
ζ
(Ω − 3.4)
2π
β0 ℓ
Il valore esatto dell’integrale (46) è 73.1 Ω, ma la resistenza di irradiazione dipende leggermente
anche dal diametro della antenna per cui il valore dato nella espressione seguente è quello
normalmente usato.
14
che mostra che un dipolo corto non solo ha una resistenza di ingresso molto piccola, ma ha anche
una reattanza di ingresso molto più grande, con un fattore di merito che può arrivare anche al
migliaio, e quindi con una banda utile molto piccola. L’adattamento di dipoli corti, e in generale
di anetnne di piccole dimensioni, è pertanto un problema critico. In particolare per tale classe
di problemi sono stati sviluppati gli adattamenti non–Foster.
Per una antenna a λ/2, invece, la (47) mostra che la reattanza di ingresso è nulla. In
realtà la reattanza si annulla per antenne leggermente più corte, con un accorciamento dipendente dal raggio a della antenna. Tuttavia nel seguito considereremo come caratteristiche della
antenna a λ/2 una impedenza di irradiazione pari a 75 + j0 Ω e altezza efficace data da (46).
La resistenza di ingresso dipenderà invece dalle eventuali perdite, secondo la (34).
5 ALIMENTAZIONE DI ANTENNE FILIFORMI
Le antenne filiformi tipicamente utilizzate sono quelle corte, quelle a λ/2 e quelle con
lunghezza totale prossima a λ/2. Le prime hanno impedenze di ingresso fortemente reattive, e
con parte reale piccola, per cui richiedono circuiti di alimentazione particolari (si veda il capitolo
sulle linee di trasmissione).
Quelle prossime a λ/2 sono invece semplici da alimentare. Inoltre la loro lunghezza viene
utilizzata per modulare la fase (e anche l’ampiezza) della corrente di alimentazione. Conviene
allora cercare delle espressioni semplici per la Zin di antenne filiformi.
Per antenne di lunghezza totale prossima a λ/2 (ovvero con ℓ ≃ λ/4) è possibile ottenere
una espressione esplicita (approssimata) della Rirr (ℓ) sviluppando la (45) in serie di Taylor.
Risulta (calcolando numericamente i vari termini tramite la (45))
λ
λ
dRirr (ℓ) 1 d2 Rirr (ℓ) λ
ℓ
−
ℓ
−
+
+
Rirr (ℓ) ≃ Rirr
4
dℓ ℓ=λ/4
4
2
dℓ2 ℓ=λ/4
4
2
4ℓ
4ℓ
[Ω]
− 1 + 307.6
−1
= 73.13 + 215.43
λ
λ
(48)
che, come si vede dalla Fig. 1, approssima molto bene la vera Rirr (ℓ) in un intervallo di lunghezza
totale dell’antenna del ± 20% attorno a λ/2.
Confronto resistenza di irradiazione
Valore vero
Serie di Taylor
140
Resistenza [Ω]
120
100
80
60
40
0.7
0.8
0.9
1
1.1
1.2
1.3
4l/λ
Fig. 1: Precisione della serie di Taylor (48) della Rirr di una antenna filiforme.
15
Naturalmente, in assenza di perdite, la (48) fornisce anche la resistenza di ingresso,
mentre in presenza di perdite la Rin va calcolata sostituendo la (48) nella (34).
La reattanza di ingresso è data dalla (47), che è una espressione esplicita. Tuttavia può
essere utile anche la sua espansione in serie di Taylor attorno a ℓ = λ/4.
Risulta
π
π
− βℓ = − tan βℓ −
cot βℓ = tan
2
2
dove l’argomento della tangente è piccolo e consente quindi di scrivere
π
π
≃ − βℓ −
− tan βℓ −
2
2
a meno i termini di ordine 2 e quindi con lo stesso ordine di approssimazione della (48).
L’impedenza di ingresso varrà quindi
ζ
Zin (ℓ) ≃ 73.13 + 215.43 + j (Ω − 3.4)
4
2
4ℓ
4ℓ
− 1 + 307.6
−1
λ
λ
[Ω]
(49)
a meno di termini di ordine 3. Ovviamente, come già detto, il primo termine della (49) viene
normalmente approssimato con 75 Ω. Inoltre, per variazioni di lunghezza del ±10% attorno a
ℓ = λ/2, è possibile trascurare anche l’ultimo termine della (49), ottenendo una approssimazione
lineare della impedenza di ingresso (con un errore, in questo intervallo, inferiore a 2.5 Ω).
Ovviamente la variazione di impedenza con la lunghezza data dalla (49) può anche essere
interpretata come variazione della Zin al variare della frequenza (con lungheza fissata). E quindi
consente di valutare la larghezza di banda della antenna. Se la nostra antenna, lunga λ/2 alla
frequenza f0 , viene alimentata con una linea di impedennza caratteristica 75 Ω, è evidentemente
adattata a f0 . Possiamo calcolare allora |Γ(ω)| attorno a f0 usando la (49). Le relative curve,
riportate in Fig. 2, dipendono evidentemente dal coefficiente di snellezza Ω.
Ω=10
Ω=15
Ω=20
0
-20
|Γ|
[dB]
-10
-30
-40
-50
0.94
0.96
0.98
1
f/f0
1.02
1.04
1.06
Fig. 1: Coefficiente di riflessione di una antenna filiforme per vari valori di Ω.
Si nota immediatamente che al crescere del diametro del filo (e quindi al ridursi di Ω) la
banda utile della antenna aumenta. Comunque, per valori di Ω intorno a 10 la banda passante
a −10 dB è intorno al 12%.
16
6 SISTEMI DI ANTENNE
Le antenne filiformi, e in generale tutte le antenne di dimensioni confrontabili (o piccole)
alla lunghezza d’onda, hanno prestazioni paragonabili, e non particolarmente elevate.
Antenne con prestazioni più elevate devono necessariamente essere grandi rispetto alla
lunghezza d’onda. Questo di può ottenere o con strutture grandi (ad esempio, le antenne a
riflettore, di cui si dà un cenno in Appendice), oppure utilizzando assieme più antenne piccole,
alimentate in modo coerente, ovvero in modo che le correnti di alimentazione abbiano la stessa
frequenza e una precisa relazione di fase tra esse.
In questo corso ci occupiamo solo di questo secondo caso, considerando sia insiemi di
antenne connesse a un unico generatore mediante una rete (detta rete di beam–forming, in genere
abbreviata con BFN 1 ), sia antenne con generatori singoli (ovviamente sincronizzati tra loro).
Consideremo dapprima il calcolo del campo di un sistema di antenne, per occuparci
successivamente del calcolo delle correnti di alimentazione delle varie antenne. Consideriamo
allora due antenne (ma il discorso si generalizza in modo ovvio al caso di tre o più antenne),
poste in rA ed rB rispettivamente. Qui e nel seguito considereremo come posizione di una
antenna il punto in cui si trova il suo centro di fase, punto da cui si misura la distanza tra
antenna e punto campo, ovvero il centro delle sfere equifase del campo lontano.
Le antenne hanno correnti di alimentazione IA e IB e altezze efficaci2 hA (θA , φA ) e
hB (θB , φB ).
P
P
θA
r
rA
O
O
r
θ
θB
rB
Fig. 1: Geometria per il calcolo del campo di due antenne
(per semplicità sono state considerate due antenne filiformi coplanari)
Scelto un sistema di riferimento (con il centro O nella zona delle antenne, e spesso
coincidente col baricentro dei due centri di fase, o con il centro di fase di una delle due antenne),
sia r = (r, θ, φ) la posizione del punto campo P . Il campo complessivo delle due antenne, se r è
in campo lontano di ciascuna delle due antenne, vale, grazie alla linearità del problema,
1
Maggiori dettagli sulle BFN si trovano nel prossimo paragrafo.
2
Il valore delle due altezze efficaci nel punto campo può essere diverso sia perché le due antenne
sono differenti, oppure orientate differentemente, ma anche perché gli angoli, relativi ai sistemi
di riferimento solidali con le due antenne possono essere diversi.
17
ζIB −jβRB
ζIA −jβRA
e
hA (θA , φA ) + j
e
hB (θB , φB )
(50)
2λRA
2λRB
essendo RA = |r − rA | e RB = |r − rB |. La (50) può essere ulteriormente semplificata se r = |r| è
in zona di Fraunhofer sel sistema complessivo delle due antenne. Indichiamo con DS il diametro
del sistema di correnti indotte sulle due antenne. Se r > 5DS allora, in modo analogo a (13), si
possono considerare coincidenti tutti i termini geometrici, e in particolare RA = RB = r, anche
se solo al denominatore dei campi. Ovviamente, nell’esponenziale, tale apporssimazione non può
essere fatta. Tuttavia possiamo sommare e sottrarre r in ciascun esponenziale e scrivere la (50)
come
E(r) = j
i
ζ −jβr h
(51)
IA hA (θ, φ) e−jβ(RA −r) + IB hB (θ, φ) e−jβ(RB −r)
e
2λr
Il termine in parentesi quadre prende il nome di fattore di interferenza, e coinvolge tutte
e sole le grandezze che, nelle ipotesi fatte, possono essere diverse tra le due antenne. I termini
RA − r e RB − r vengono detti differenze di cammino, ed esprimono il ritardo di fase dovuto alla
propagazione su tratti di lunghezza differente. Il loro valore dipende solo dalle posizioni relative
dei vari centri di fase delle singole antenne rispetto al punto O scelto come origine.
Una ulteriore semplificazione può essere ottenuta se r è in campo lontano del sistema
2
complessivo delle antenne r > 2DS/λ.
In tal caso, analogamente a (11,12), segue
E(r) = j
RA ≃ r − ir · rA
e il campo diventa
RB ≃ r − ir · r B
(52)
i
ζ −jβr h
(53)
IA hA (θ, φ) ejβ(ir ·rA ) + IB hB (θ, φ) ejβ(ir ·rB )
e
2λr
Se le due antenne sono connesse da una rete di Beam–forming, allora il rapporto tra
il termine della (53) in parentesi quadra e la corrente di alimentazione complessiva Iin,S è la
altezza efficace hS del sistema di antenne (considerato come una unica antenna)
E(r) = j
hS =
1
h
IA hA (θ, φ) e−jβ(−ir ·rA ) + IB hB (θ, φ) e−jβ(−ir ·rB )
Iin,S
L’utilizzo delle (52) per il calcolo delle differenze
di cammino si presta spesso ad una semplice valutazione
grafica.
Consideriamo riferimento la Fig. 2, in cui è indicato il centro di fase di una antenna (posta in A) e
l’origine O del riferimento. Il punto campo è a grande
distanza, per cui nella scala del disegno le varie congiungenti risultano parallele. Si ha per la differenza di
cammino
RA − r = −ir · rA = d cos α
essendo d = |rA |, e ricordando che il vettore rA punta
verso il punto A. Consideriamo il triangolo rettangolo
OAO ′ . La differenza di cammino d cos α risulta uguale
a AO′ , ed è positiva, essendo A più lontano. Segue cioè
18
i
(54)
r
O
d
α
O’
A
Fig 2: Calcolo della differenza
di cammino
che le differenze di cammino (se vale la (52) ) possono essere calcolate assumendo le congiungenti
parallele. Proiettando l’origine sulle varie congiungenti si ottengono le corrispondenti differenze
di cammino.
7 MUTUA IMPEDENZA
Per calcolare il campo dei sistemi di due (o più) antenne, è necessario conoscere la
corrente di alimentazione delle antenne stesse. Normalmente l’alimentazione di un sistema di
antenne è ottenuto tramite un solo generatore, connesso a un circuito (detto beam–forming
network, e normalmente indicato con la sigla BF N ) che consente di dividere la potenza tra le
varie antenne. Poiché le antenne interagiscono tra loro mediante i campi che queste antenne
irradiano, è necessario considerare il sistema di N antenne (e tutto lo spazio) come una rete a
N porte, lineare e passiva.
IN
AN
....
Zg
BFN
I3
I2
Vg
I1
A3
A2
A1
Fig. 1: Schema equivalente della alimentazione di un sistema di N antenne A1 , A2 , . . . , AN .
Lo schema che si utilizza è quello di Fig. 1, in cui il blocco a destra comprende tutte
le antenne, e tutto lo spazio in cui queste irradiano. Questo blocco va descritto mediante una
delle matrici di rete, e in particolare si utilizzano le matrici di impedenza Z e di ammettenza
Y, in dipendenza dal tipo di antenna utilizzata. Nel caso di antenne filiformi, si preferisce usare
la matrice Z, definita da

V1 = Z11 I1 + Z12 I2 + . . . + Z1N IN



 V = Z I + Z I + ... + Z I
2
21 1
22 2
2N N
V =Z ·I
=⇒
(55)

...



VN = Z N 1 I 1 + Z N 2 I 2 + . . . + Z N N I N
La matrice Z è simmetrica (se lo spazio in cui le antenne producono campo è isotropo,
o almeno reciproco), e i suoi elementi sono definiti da
V1
V2
Z11 =
Z21 =
(56)
I1 I2 =...=IN =0
I1 I2 =...=IN =0
19
e similiari.
In altri termini Z11 è l’impedenza di ingresso della antenna 1 quando tutte le altre
antenne sono a circuito aperto. Invece, Z21 = Z12 , detta mutua impedenza tre le antenne 1 e 2,
è il rapporto tra la tensione a vuoto misurata ai capi della antenna 2 e prodotta alimentando
la sola antenna 1 (con tutte le altre a vuoto), e la corrente di alimentazione della antenna 1. La
matrice Z tiene quindi contoanche delle eventuali perdite delle antenne del sistema.
Caratteristica delle antenne filiformi, soprattutto di quelle non troppo lunghe, è che la
corrente che si induce quando i morsetti sono aperti è sostanzialmente nulla. Quindi Z11 coincide
con l’impedenza d’ingresso della antenna 1 isolata. È per questo motivo che si preferisce usare
Z per le antenne filiformi.
Una volta nota la matrice Z della rete di antenne, è possibile risolvere il circuito di Fig.
1. In particolare, se tutte le antenne sono alimentate, l’impedenza che si vede alla porta p-esima
vale
ZpA
I1
I2
IN
Vp
= Zpp + Zp1
+ Zp2
+ . . . + ZpN
=
Ip
Ip
Ip
Ip
(57)
e1 prende il nome di impedenza attiva. Poiché l’impdedenza attiva dipende dalle correnti, è molto
utile quando le correnti (o, almeno, i rapporti tra esse) sono note. Risulta invece spesso poco
agevole utilizzarle per determinare le correnti.
La conoscenza della impedenza attiva consente di calcolare la potenza che entra nella
antenna. Le impedenze attive sono infatti i carichi delle varie porte della rete di beam–forming.
Quindi ’impedenza di ingresso della antenna si ottiene risolvendo il circuito costituito dalla
BFN,e da questa è facile calcolare la potenza Pin . Una volta che il circuito è risolto, si può
calcolare l’eventuale potenza dissipata nella BFN, e la potenza dissipata nelle antenne
Pdiss,antenne =
N
i
h
1 X
Re ZD,p |Ip |2
2 p=1
essendo ZD,p la resistenza di dissipazione della antenna p–esima. La potenza irradiata totale
sarà allora
Pirr,totale = Pin − Pdiss,BF N − Pdiss,antenne
Anche la potenza che entra nelle singole antenne, e quindi quella Pin,totale antenne che
entra nella rete a destra della Fig. 1, possono essere calcolate usando le impedenze attive.
Risulta infatti
Pin,p =
h i
1
Re ZpA |Ip |2
2
=⇒
Pin,totale antenne =
N
h i
1 X
Re ZpA |Ip |2
2 p=1
(58)
Ovviamente Pin,totale antenne > 0. Invece, è possibile che una o più delle Pin,p siano
negative. Fisicamente, questo significa che quelle antenne stanno ricevendo potenza dalle altre.
In tal caso il flusso di potenza attiva tra la BF N e le antenne è positivo verso queste ultime
solo su alcune connessioni.
1
Ovviamente, nella somma in parentesi quadra di (57), manca il termine p–esimo
20
Caso limite è quello delle antenne parassite, ovvero antenne che non sono collegate alla
BF N , ma sono alimentate mediante la mutua impedenza dalle antenne alimentate. Consideriamo, ad esempio, il caso di due antenne, di cui una alimentata e una parassita (chiusa su di
un carico ZQ ), come in fig. 2a.
ZQ
Zg
I2
ZQ
I2
A2
Zg
BFN
A2
BFN
Vg
Vg
I1
I1
A1
A1
Fig. 2a: Schema equivalente della alimentazione di una antenna parassita (A2 ).
Fig. 2b: Come Fig. 2a, ma con una BF N a 1+2 porte.
In tal caso è evidente che la potenza che si dissipa su ZQ viene del generatore, entra
nella rete a destra mediante la antenna 1 e viene poi trasmessa alla antenna 2, che la consegna
al carico. Tuttavia la configurazione di Fig. 2a può essere anche descritta da una rete come
quella di Fig. 1. Basta inserire ZQ nella BF N , come in Fig. 2b. In tal caso la potenza attiva
che entra alla porta 2 è negativa (ovvero, il flusso fisico di potenza va da destra verso sinistra).
8 GUADAGNO ED EFFICIENZA NEI SISTEMI DI ANTENNE
Se le antenne di un sistema di antenne presentano dissipazione, l’efficienza complessiva
del sistema dipende non solo da questa dissipazione, ma anche dalla mutua impedenza tra le
antenne e dalla rete di alimentazione. In particolare, come vederemo, anche se le singole antenne
hanno la stessa efficenza, e la rete di alimentazione è priva di perdite, l’efficenza totale può essere
anche molto diversa da quella delle singole antenne.
Consideriamo ad esempio due antenne filiformi uguali, di impedenza di ingresso ZA ed
efficienza ηA . La resistenza di irradiazione vale quindi
Ri = RA ηA
con RA = Re[ZA ]. Tra le due antenna esiste una mutua impedenza Zm .
Supponiamo di alimentare la prima antenna, e di chiudere la seconda su di una reattanza
jX. Le equazioni della matrice Z, e il vincolo di alimentazione sono
V1 = ZA I1 + Zm I2
e
V2 = Zm I1 + ZA I2
Risolvendo si trova
I2 = −
Zm
I1
ZA + jX
21
V2 = −jX I2
La potenza di ingresso si ottiene dalla impedenza attiva dell antenna 1 (in quanto
l’ingresso della antenna 1 è anche l’ingresso della antenna complessiva):
Z1A = ZA + Zm
2
Zm
I2
= ZA −
I1
ZA + jX
come
2
1
Re[Zm
(ZA − jX)]
1
A
2
|I1 |2
RA −
PIN = Re[Z1 ] |I1 | =
2
2
|ZA + jX|2
Invece la potenza dissipata si ottiene dalla resistenza di dissipazione RD = RA − Ri
(uguale per entrambe le antenne), come
"
#
Zm 2
1
1
1
2
2
2
PD = RD |I1 | + RD |I2 | = RD |I1 | 1 + 2
2
2
ZA + jX e da questa si ottiene l’efficienza del sistema di antenne
η =1−
|ZA + jX|2 − |Zm |2
RD
PD
=1−
2 (Z −jX)]
A
PIN
RA |Z + jX|2 − Re[Zm
A
RA
Per Zm = 0 l’ultimo fattore è unitario e si trova η = ηA . Ma se Zm 6= 0 allora l’efficenza
η è diversa da ηA . A titolo di esempio, si riporta in Fig. 1 l’andamento della efficienza per un
sistema di due antenne a λ/2 al variare della reattanza di carico della seconda antenna e per vari
valori della distanza d tra le antenne. L’efficienza della singola antenna è pari al 96%.
Efficienza di un sistema di antenne
100
d=λ/4
d=λ/2
d=λ
99
η [%]
98
97
96
95
0
20
40
60
80
100
120
140
X [Ω]
Fig. 1: Efficienza totale di un sistema di due antenne a λ/2.
9 DIAGRAMMA DI RADIAZIONE E MASSIMI DI IRRADIAZIONE
Il diagramma di radiazione di una antenna F (θ, φ) è stato definito come la distribuzione
spaziale normalizzata del guadagno G(θ, φ), o di grandezze ad esso proporzionali, come |h(θ, φ)|2 .
22
A partire dal diagramma di radiazione, vengono definite alcune direzioni caratteristiche
del campo irradiato da una antenna, e precisamente:
• Massimo di irradiazione: direzione in cui il diagramma di radiazione ha un massimo
(rispetto agli angoli;
• Nullo: direzione in cui il diagramma di radiazione è nullo.
Si introduce anche, talvolta, il minimo di irradiazione, come la direzione in cui il diagramma di radiazione ha un minimo.
Nel seguito indicheremo spesso una direzione (θ, φ) con Ω, per semplicità di scrittura.
Tuttavia, molti esempi saranno di diagrammi funzione solo di θ, e quindi costanti rispetto a φ.
In tal caso, la direzione sarà considerata solo rispetto a θ (ovvero la direzione di massimo sarà
in realtà un cerchio a θ costante). Vediamo alcuni esempi.
1 Un diagramma F (θ) = sin2 θ ha un massimo in θ = π/2, e nulli in θ = 0, π.
2 Per un diagramma F (θ) = (sin θ+cos θ)2 , le direzioni di massimo si ottengono derivando
la funzione rispetto a θ, e imponendo che la derivata si annulli. Segue allora
2(sin θ + cos θ)(cos θ − sin θ) = 0
e solo i nulli del secondo termine possono essere massimi. Segue allora come possibile
massimo θ = π/4, in cui la funzione vale 2. Poichè agli estremi, ovvero per θ = 0, π, la
funzione vale 1, θ = π/4 è effettivamente il massimo. Invece θ = 3π/4 è un nullo.
3 Un diagramma F (θ) = 2 − cos2 θ ha un massimo in θ = π/2, e minimi in θ = 0, π, che
si ottengono calcolando gli zeri della derivata, ma non ha nulli.
4 Per un diagramma F (θ, φ) = | sin(2θ) cos φ|, i punti estremali sono gli zeri delle derivate,
ovvero le soluzioni del sistema
(
2 cos(2θ) cos φ = 0
− sin(2θ) sin φ = 0
Questi zeri sono gli zeri di cos(2θ) e sin φ, oppure gli zeri di sin(2θ) e cos φ. Quindi sono
θ = ± π/4 e φ = 0, π, oppure θ = 0, π/2, π, e φ = ± π/2. È facile verificare che il primo gruppo
sono massimi di irradiazione1 , mentre i valori del secondo gruppo sono nulli. Si noti che, essendo
il diagramma 3D, sono nulli anche le curve θ = 0, π/2, π con φ qualunque, e φ = ± π/2 con θ
qualunque.
Notiamo poi che per un diagramma del tipo F (Ω) = A F̂ (Ω), è possibile determinare i
massimi, nulli e minimi di irradiiazione su F̂ (Ω) se
• A è costante con le direzioni Ω = (θ, φ);
• A è lentamente variabile con le direzioni Ω = (θ, φ).
Nel secondo caso, ovviamente, le direzioni di massimo e minimo sono solo approssimate,
mentre quelle di nullo sono, altrettanto ovviamente, esatte, ma incomplete: infatti sono nulli
del diagramma anche gli eventuali zeri della sola A. Caso tipico di A lentamente variabile è il
caso del campo (54) ma con le altezze efficaci uguali. In tal caso si può considerare l’altezza
1
Si noti che il diagramma di radiazione è sempre non negativo. Nel nostro caso abbiamo derivato
sin(2θ) cos φ senza tener conto del modulo. Questo è possibile se poi si tiene conto che punti
che danno come valore +1 o −1 sono entrambi massimi.
23
efficace lentamente variabile, e calcolare massimi (e eventualmente minimi) sul solo fattore di
interferenza. I nulli saranno invece l’unione dei nulli del fattore di interferenza e di quelli del
fattore A.
Passiamo ora a considerare il caso in cui il campo della antenna, e quindi il suo diagramma di irradiazione, dipenda da un certo numero di parametri Li . Le definizioni precedenti
sono ancora valide, ma le varie direzioni dipenderanno dai parametri Li .
Pertanto ha senso porsi il problema della scelta dei parametri in modo che il massimo di
irradiazione sia in una certa direzione Ω0 . In tal caso, se indichiamo con F (Ω; Li ) il diagramma
di radiazione, occorre determinare i punti ΩM (Li ), soluzione, per le direzioni di massimo, del
problema
max F (Ω; Li )
Ω
(analogamente per minimi e nulli) e poi scegliere i parametri Li in modo che ΩM (Li ) = Ω0 .
Consideriamo, come esempio, un fattore di interferenza dato da una somma di esponenziali del tipo:
2
F (θ; L1 ) = e−jβL1 cos θ + 2jejβL1 cos θ di cui si vuole un massimo (o un minimo) in θ0 . Poichè abbiamo a che fare con una somma di
due numeri complessi a modulo costante, il massimo si ha quando i due addendi hanno la stessa
fase, e il minimo quando hanno fase che differisce di π. Quindi, per il massimo2 si ha
π
+ βL1 cos θ + 2nπ
2
=⇒
βL1 cos θ = −
π
+ nπ
4
π
+ βL1 cos θ + π + 2nπ
2
=⇒
βL1 cos θ = −
π π
− + nπ
4
2
−βL1 cos θ =
e per il minimo
−βL1 cos θ =
In particolare imponendo θM (L1 ) = θ0 si ottiene
π
− 4 + nπ
θM (L1 ) = ± arccos
= θ0
=⇒
βL1
− π4 + nπ
βL1 =
cos θ0
che è la stessa soluzione che si sarebbe ottenuta imponendo direttamente l’uguaglianza di fase
per θ = θ0
Se il fattore di interferenza è la somma di più di due termini esponenziali del tipo
considerato sopra, sempre con modulo costante, la condizione di massimo (ma non quella di
minimo) è ancora analoga: si ha un massimo quando (e se) tutte le fasi sono uguali, a meno
di multipli di 2π. Per vedere questo, rappresentiamo ogni addendo come un vettore nel piano
dei numeri complessi. Se per θ = θ0 le fasi sono tutte uguali, i vettori corrispondenti sono
allineati, e quindi il modulo della somma è pari alla somma dei moduli. Per un qualunque
cambio dell’angolo, piccolo a piacere, le varie fasi saranno diverse, i vettori non saranno più
allineati e la loro somma sarà più piccola.
2
Coi simboli precedentemente introdotti, θM (L1 ) sono le direzioni θ defnite dalla equazione che
segue.
24
Conviene a questo punto notare che esiste un altro problema di massimizzazione legato
a questo caso, e precisamente il problema di massimizzare il campo lontano per Ω = Ω0 . In tal
caso le derivate vanno fatte rispetto a Li . Ovviamente, se il fattore di interferenza è la somma
di due o più di due termini esponenziali con modulo costante, e il resto del campo è costante
rispetto a Li , la condizione sulle fasi consente di trovare anche questo massimo. Se però moduli
e fattore comune variano, il massimo del campo non può essere trovato in questo modo, ma
occorre derivare il modulo quadro rispetto a tutti gli Li .
Consideriamo infine la ricerca del massimo (o del minimo) di irradiazione quando il
fattore di interferenza è la somma di due o più termini esponenziali con moduli variabili, ma in
cui l’angolo θ è solo negli esponenti.
Se è possibile porre, scegliendo i parametri Li , tutte le fasi uguali per θ = θ0 , allora
questa è la condizione di massimo. Infatti, una volta fissati i parametri Li , i moduli dei termini
esponenziali diventano costanti1 , in quanto stiamo calcolando un massimo rispetto a Ω, e quindi
il ragionamento precedente può essere ripetuto in maniera analoga. Ovviamente, se vogliamo
un minimo, e i termini sono solo due, basterà imporre che le fasi differiscano di π.
Consideriamo come esempio
2
−ja cos θ 1
e
1
ja
cos
θ
=
+e
+
1
+
2Re
F (θ; x) = 1 + jx
1 + x2
1 + jx
1
2
=
+1+
[cos(a cos θ) − x sin(a cos θ)]
2
1+x
1 + x2
1 + 2 cos(a cos θ) − 2x sin(a cos θ)
=1+
1 + x2
Il massimo di irradiazione in θ0 si ha quando la fase del primo termine è pari a quella del
secondo, ovvero se − arctan(x) = a cos θ0 . il massimo del campo (campo più grande possibile,
al variare di x) si ottiene invece derivando F (θ; x) rispetto a x, e imponendo la derivata nulla
in θ0 . In tal caso si ha l’equazione
ovvero
−2 sin(a cos θ0 ) (1 + x2 ) = (1 + 2cos(a cos θ0 ) − 2x sin(a cos θ0 ) 2x
x2 sin(a cos θ0 ) − x [1 + 2 cos(a cos θ0 )] − sin(a cos θ0 ) = 0
Scelto θ0 = π/3, e a = π/4, il massimo di irradiazione si ha per x = −1. Invece l’equazione
per il massimo del campo diventa
√
√
√
2 2
2
x + [1 + 2] x −
=0
2
2
e le soluzioni sono x = −0.27 e x = 3.685, a cui corrispondono valori del campo proporzionali
a 3.6 e 0.8 rispettivamente. Quindi il masimo si ha in x = −0.27. Per confronto, il valore del
campo in x = −1, che corrisponde al massimo di irradiazione in θ0 , vale solo 2.9.
1
È qui che occorre l’ipotesi che θ sia solo nell’esponente.
25
10 ANTENNE IN RICEZIONE
Prendiamo in considerazione una antenna di morsetti AB , connessa a un carico ZC ,
che viene immersa in un campo elettromagnetico pre–esistente (Ei , Hi ). Il campo (Ei , Hi ) é
misurato in assenza della antenna ed é detto campo incidente (o, più precisamente, campo
incidente sulla antenna).
A causa del campo incidente, si indurranno sulla antenna delle correnti, che produrranno
un ulteriore campo (Es , Hs ), che viene detto campo diffuso dalla antenna. Il campo totale
presente nella zona della antenna in presenza di quest’ultima sará evidentemente la somma di
questi due campi
Etot = Ei + Es
(59)
Htot = Hi + Hs
Il campo totale sará presente anche ai morsetti della antenna, e produrrá quindi una
corrente attraverso il carico ZC . Questo carico assorbe pertanto una potenza, che viene prelevata,
tramite la antenna, dal campo incidente.
Per caratterizzare l’antenna dal punto di vista del carico, possiamo utilizzare il teorema
di Thevenin ai morsetti AB 1 di ingresso della antenna,sostituendo l’antenna col circuito equivalente di Thevenin (Fig. 1). L’impedenza ZA é l’impedenza che si vede guardando nei morsetti
AB in assenza di campo incidente. Si tratta quindi della impedenza di ingresso dell’antenna (in
trasmissione). Invece, la tensione a vuoto V0 dipende dal campo incidente, tramite la corrente
da esso indotta sull’antenna. La tensione a vuoto é l’integrale di linea del campo elettrico totale
Etot tra i due morsetti dell’antenna e quindi dipende linearmente da Etot = Ei + Es . D’altra
parte anche Es dipende linearmente dal campo incidente Ei . Di conseguenza, la tensione a
vuoto dipende linearmente da Ei .
A
+
ZA
ZC
V0
B
Fig. 1: Antenna collegata a un carico. La parte di circuito racchiusa nella linea tratteggiata
é il circuitoequivalente di Thevenin della antenna (con morsetti A e B) quando riceve.
1
Il morsetto cui é connesso il terminale positivo del generatore equivalente di Thevenin é lo
stesso da cui entra la corrente se l’antenna é usata in trasmissione.
26
In teoria, il valore di V0 dipenderebbe da tutto il campo incidente. In realtá quello che
interessa é il valore del campo incidente nella zona dell’antenna, ovvero in tutti i punti di un
volume VA che racchiude l’antenna2 . Si ha cioé
Ei (r) , ∀r ∈ VA
−→
V0
(60)
Questa relazione non è, naturalmente, di facile utilizzo, ma ha una importante conseguenza:
campi incidenti diversi, che però coincidono nella zona della antenna VA , producono la stessa tensione a vuoto
La (60) fornisce invece un metodo molto efficiente di calcolo della tensione a vuoto se
il campo incidente Ei è una onda piana, oppure coincide con una onda piana nella zona della
antenna VA . In questo secondo caso si dice che il campo incidente è localmente piano3 . In tal
caso, infatti, la conoscenza del campo incidente nel centro di fase rCF della antenna ricevente
(o in un qualunque altro punto di VA ), e del vettore di propagazione dell’onda piana k consente
di calcolare il campo incidente in tutto VA . La (60) diventa quindi
Ei (rCF ) e k
−→
V0
(61)
che richiede la conoscenza di un unico valore del campo incidente (e non di tutta la distribuzione
del campo in VA , richiesta se il campo incidente è generico).
Ovviamente, V0 dipende linearmente dal valore del campo incidente nel centro di fase,
che qui e nel seguito indicheremo semplicemene con Ei . Rcordando che la tensione è uno scalare,
e si misura in V , menrte il campo è un vettore e si misura in V /m, questa dipendeza lineare
conduce a concludere che esiste un vettore hr , dipendente da k tale per cui la (61) diventa
V0 = hr · E i
(62)
Il vettore hr si misurerà in m e viene detto altezza efficace in ricezione della antenna.
Ricordiamo esplicitamente che la (62) vale solo se il campo incidente è piano, o almeno
localmente piano, e che la altezza efficace dipende dal vettore di propagazione di questa onda
piana (e, se necessario, indicheremo esplicitamente questa dipendenza).
Supponiamo, come esempio, di avere un campo incidente somma di N onde piane, di
ampiezza Ep e vettore di propagazione
kp , p = 1, N , con i vari kp tutti diversi tra loro. Il campo
P
incidente vale ovviamente Ei = p Ep , ma non è una onda piana. Pertanto ad esso non si può
applicare la (62).
Poiché vale comunque la sovrapposizione degli effetti, la tensione a vuoto totale V0 è la
somma delle tensioni a vuoto dovute a ciascuna onda piana singolarmente. Poiché queste ultime
sono calcolabili dalla (62), segue
2
La definizione precisa di VA dipende dalla antenna considerata. Per semplicitá, useremo una
definizione qualitativa della zona della antenna, come volume poco più grande della minima sfera che racchiude l’antenna, che é esatta per le antenne filiformi di cui occuperemo
principalmente.
3
Ovviamente, sulla base della proprietà precedente, questi due casi forniscono la stessa tensione
a vuoto.
27
Ei =
X
Ep
=⇒
V0 =
p
X
p
hr (kp ) · Ep
dove ovviamente i vari valori della altezza efficace della nostra antenna sono diversi.
11 RECIPROCITÀ TRASMISSIONE–RICEZIONE
La tensione a vuoto prodotta su di una antenna e dovuta a una distribuzione qualunque
di correnti JT (ad esempio, ma non necessariamente, la corrente indotta su di una antenna che
sta trasmettendo) può essere calcolata in forma generale se il mezzo che contiene l’antenna e
la distribuzione di correnti è isotropo o almeno reciproco. L’espressione che si ottiene è più
semplice di quella che si potrebbe derivare dalla (60), benché in generale di uso non immediato.
A
L
B
Fig. 1: Antenna collegata a un carico (box L) tramite una linea di trasmissione.
La sezione AB della linea costituisce la porta di ingresso della antenna.
Consideriamo l’antenna connessa a un box L tramite un cavo coassiale (o altra linea
di trasmissione schermata), e prendiamo su questa linea (a congrua distanza sia dalla antenna,
sia dal box) la porta di ingresso AB della antenna, come mostrato in Fig. 1. Sulla linea
considereremo poi un sistema di riferimento con asse z posto da L verso la antenna. Il box L,
inoltre, è chiuso da un conduttore perfetto, salvo dove si connette al cavo coassiale.
S
A
L
in
B
Fig. 2: Superfice S del teorema di reciprocità.
in è la normale uscente dal volume V a cui si applica il teorema.
28
Essendo il mezzo reciproco, possiamo applicare il teorema di reciprocità a tutto lo
spazio, ad esclusione della zona del box, fino alla porta di ingresso. Con riferimento alla Fig.
2, applichiamo il teorema al volume V compreso tra la superfice S tratteggiata e la superfice
all’infinito. I due campi a cui applichiamo il teorema di reciprocità sono le seguenti.
Campo A Il campo prodotto dalla nostra antenna, alimentata da una corrente (alla porta di ingresso) pari a IA . La antenna viene quindi usata in trasmissione, e il blocco L è pertanto
un generatore.
Campo B Il campo prodotto dalla distribuzione JT , mentre la nostra antenna è a vuoto. In questo
caso il blocco L deve presentare al suo ingresso una reattanza che, se trasportata alla
sezione AA′ , divenga un circuito aperto.
Il teorema di reciprocità fornisce
I
SV
h
i
EA × HB − EB × HA · in dS =
Z
V
h
i
EB · JA − EA · JB dV
(63)
non essendo presenti correnti magnetiche1 . Nella (63), SV è la superfice che delimita V , costituita
dalla superfice all’infinito e dalla superfice S. Quest’ultima, a sua volta, e l’unione della sezione
trasversa della linea ST e del resto di S, che si appoggia su un conduttore perfetto. Dal teorema
di reciprocità sappiamo che l’integrale sulla superfice all’infinito, e quello su S − ST sono nulli.
L’integrale su S si riduce pertanto al solo integrale su ST .
Per quanto riguarda il secondo membro della (63), la corrente JB = JT . Invece le
correnti JA scorrono sulla antenna, che è di conduttore perfetto. Il campo (totale) EB prodotto
da JT è evidentemente ortogonale a tale conduttore, e quindi alle correnti JA . Ne segue che le
correnti JA non contribuiscono all’integrale di volume. La (63) diventa quindi
Z
ST
h
Z
i
EA × HB − EB × HA · in dS = −
V
EA · JT dV
(64)
dove l’integrale di volume è esteso solo alla regione in cui JT 6= 0.
A
L
antenna
in
B
z
Fig. 3: Sezione ST dell’integrale a primo membro della (64).
in è la normale uscente dal volume V a cui si applica il teorema di reciprocità.
1
La (63) e le relazioni successive si generalizzano in modo ovvio se nella situazione B vi fossero
anche correnti magnetiche.
29
Passiamo ora a considerare l’integrale a primo membro dalla (64). Questo integrale di
flusso è, come detto, fatto solo su ST , ovvero sulla sezione di ingresso della antenna (sezione AB,
vedi Fig. 3) e coinvolge solo le componenti tangenti dei campi, ovvero quelle trasverse rispetto
a z (vedi Fig. 3). Dalla teoria delle linee di trasmissione sappiamo che queste ultime sono date
da
E=V e
H=I h
dove e e h sono caratteristiche della linea di trasmissione utilizzata, e quindi non dipendono
da quale situazione (A o B) stiamo considerando. Invece tensioni e correnti vi dipendono.
Sostituendo a primo membro di (64) segue
Z
h
ST
Z
i
EA × HB − EB × HA · in dS =
VA e × IB h − VB e × IA h · in dS
ST
Z
= VA I B − VB I A
e × h · in dS
ST
Z
= VA I B − VB I A
e × h · − iz dS
(65)
ST
in quanto la normale in uscente dal volume V coincide con −iz (vedi Fig. 3).
Poiché nella situazione B la sezione di ingresso della antenna è a vuoto, risulta IB = 0,
mentre VB = V0 , tensione a vuoto ricevuta dalla antenna e prodotta dalla corrente JT . D’altra
parte
Z
ST
e × h · iz dS = 1
e segue, sostituendo nella (65)
Z
ST
h
i
EA × HB − EB × HA · in dS = V0 IA
dove, ricordiamo, la IA è la corrente di alimentazione della antenna nella situazione A. La (64)
fornisce quindi
1
V0 =
IA
Z
−
V
EA · JT dV
=−
Z
V
EA
· JT dV
IA
(66)
La (66) esprime quindi la tensione a vuoto prodotta dalla sorgente JT sulla antenna
mediante il campo (normalizzato a IA ) che la antenna stessa produce nella regione in cui JT 6= 0
(si veda il commento dopo la (64)). Si ha quindi una completa corrispondenza2 (reciprocità)
tra il comportamento in trasmissione della antenna, rappresentato da EA , e quello in ricezione,
rappresentato da V0 .
Conseguenza della reciprocità espressa dalla (66) è che
2
Questa corrispondenza, naturalmente, si ha solo se nell’ambiente in cui l’antenna e la sorgente
JT si trovano, vale il teorema di reciprocità.
30
antenne diverse che producono lo stesso campo in una regione VX nello spazio
ricevono la stessa tensione a vuoto da qualunque sorgente interamente contenuta
in VX .
Se il campo incidente è prodotto da un dipolo
JD (r) = (ID ∆z) δ(r − rD ) iD
(67)
posto in un punto qualunque rD e orientato in un modo qualunque, la (66) fornisce come tensione
a vuoto
Z
Z
EA
EA
· JD dV = −
· (ID ∆z) δ(r − rD ) iD dV
V0 = −
V IA
V IA
(68)
EA (rD )
· iD
= −(ID ∆z)
IA
per le proprietà della delta di Dirac.
12 UGUAGLIANZA DELLE ALTEZZE EFFICACI
La reciprocità espressa dalla (66) ha come conseguenza la uguaglianza (nelle stesse
ipotesi in cui vale la (66)) della altezza efficace in tresmissione (vedi (18)) e in ricezione, definita
da (62), di una stessa antenna. Ovviamente, essendo le altezze efficaci funzione della direzione,
l’uguaglianza si ha per ciascuna direzione.
iD
iθ
Fig. 1: Reciprocità tra antenna e dipolo.
Per dimostrarlo applichiamo la (68) a un dipolo posto in campo lontano della nostra
antenna, e orientato ortogonalmente alla congiungente antenna–dipolo, come in Fig. 1.
Il campo incidente EiD sulla antenna è evidentemente il campo lontano del dipolo, ed è
quindi una onda piana. È possibile quindi usare la (62) ottenendo, per il primo membro della
(68)
ζID ∆z −jβ|rD |
e
iθ
2λ |rD |
dove naturalmente hr è calcolato nella direzione del dipolo.
V0 = hr · EiD = hr · j
31
(69)
Per calcolare il secondo membro della (68), notiamo che rD è in campo lontano della
antenna, e quindi possiamo esprimere EA (rD ) tramite la l’altezza efficace h in trasmissione della
antenna, usando la (20)
EA (rD ) = j
ζIA −jβ|rD |
e
h
2λ |rD |
(70)
(71)
Sostituendo (69,70) in (68) si ottiene
ζID ∆z −jβ|rD |
e
iθ = −(ID ∆z)
hr · j
2λ |rD |
ζ
−jβ|rD |
j
e
h · iD
2λ |rD |
che vale ∀ rD , purché in campo lontano della antenna (e quindi per ogni direzione), e ∀ iD purché
ortogonale alla congiungente (ovvero al vettore rD ). Poiché iD è ortogonale alla congiungente,
risulta iθ = −iD . Semplificando tutti i fattori comuni della (71) segue allora
hr · iθ = −hr · iD = −h · iD
∀iD
(72)
che implica che i componenti di h e di hr ortogonali ala congiungente (ovvero a rD ) sono uguali.
Per dimostrare l’uguaglianza dei due vettori, uccorre allora esaminare solo la componente lungo ir in direzione della congiungente. Poiché il campo lontano di una antenna è sempre
trasverso, segue h · ir = 0. D’altra parte, la (62) richiede un campo incidente costiuito da una
onda piana, quindi ortogonale a ir . Pertanto il componente radiale di hr , ovvero (hr · ir ) ir
può essere definito in modo arbitraro, in quanto non interviene sulla tensione a vuoto. Se lo
definiamo pari a zero, segue allora
h = hr
(73)
per tutte le direzioni.
13 POTENZA RICEVUTA
Se una antenna che sta ricevendo viene connessa a un carico, fornirà potenza a questo
carico. La potenza disponibile dalla antenna, ovvero la potenza che la antenna (di impedenza
∗
di ingresso ZA ) fornisce a un carico adattato ZA
è pari a
1
|V0 |2
(74)
8 RA
essendo RA = Re[ZA ] e V0 la tensione a vuoto sulla antenna.
Se il campo incidente è una onda piana (o localmete piana) allora vale la (62), e la (74)
1
diventa
Pdisp =
Pdisp =
1
1
|h · Ei |2
8 RA
Da ora in poi supporremo sempre il mezzo reciproco, e quindi hr = h.
32
(75)
La potenza disponibile dipende dal modulo quadro di h e di Ei , ma anche dalla relazione
che c’è tra le polarizzazioni di questi vettori.
Infatti la (62) può essere espressa come prodotto scalare generalizzato (si confronti
l’appendice sulla disuguaglianza di Schwartz)
V0 = (h∗ , Ei )
per cui, utilizzando la disuguaglianza di Schwartz
|V0 |2 = |(h∗ , Ei )|2 ≤ |h|2 |Ei |2
(76)
e di conseguenza
1
|h|2 |Ei |2
(77)
8 RA
che fornisce un limite superiore a Pdisp , dipendente solo dal modulo di campo incidente e altezza
efficace.
La disuguaglianza di Schwartz fornisce anche una ulteriore informazione sulla potenza
disponibile. Inaftti, se
Pdisp ≤
Ei = α h∗
(78)
con α scalare (complesso), allora la Pdisp coincide col suo estremo superiore, che diventa pertanto
un massimo. Si ha cioè che il massimo di Pdisp , per |h| e |Ei | costanti, si ha se vale la (78). Il
massimo è dato dal secondo membro di (77). Si noti che questa massimizzazione è fatta rispetto
alle polarizzazioni della antenna (ovvero di h) e del campo incidente. La condizione di massimo
(78) prende infatti il nome di condizione di adattamento in polarizzazione.
Naturalmente, se non è possibile ottenere la (78), il massimo della Pdisp sarà più basso.
Ad esempio, per una antenna filiforme (e quindi in polarizzazione lineare) e un campo incidente in
polarizzazione lineare, la condizione (78) si otterrà semplicemente ruotando l’antenna (attorno
alla direzione da cui proviene il campo). Ma se il campo fosse polarizzato circolarmente, la
condizione di adattamento in polarizzazione non sarebbe mai ottenibile.
Se vale la condizione di adattamento in polarizzazione, è possibile legare la potenza
disponibile (che ora è la massima potenza disponibile per quel dato campo) direttamente al
vettore di Poynting
Si =
1
|Ei |2
2ζ
dell’onda incidente. Infatti, se vale la (78), risulta
Pdisp
ζ |h|2
1
1
2
2
2
i
|h| |Ei | =
|h| 2ζ S =
Si
=
8 RA
8 RA
4 RA
(79)
La quantità in parentesi quadra nella (79) prende il nome di area efficace della antenna.
Se indichiamo con
Ae =
ζ |h|2
4 RA
l’area efficace, allora
33
(80)
max[Pdisp ] = Ae S i
(81)
L’area efficace dipende naturalmente (come |h|) dalla direzione di arrivo della onda
piana incidente. L’andamento è lo stesso del guadagno G, a cui l’area efficace è proporzionale.
Ricordando infatti la (38), che riscriviamo
G=
π ζ |h|2
λ2 RA
(38)
e confrontandola con la (80), segue
ζ |h|2 λ2 RA
λ2
Ae
=
=
2
G
4 RA π ζ |h|
4π
(82)
14 COLLEGAMENTI TRA ANTENNE
Finora abbiamo considerato il comportamento in ricezione di una antenna, a partire
dal campo incidente, e quindi senza alcun riferimento alla sorgente di questo campo incidente.
Passiamo ora a considerare il collegamento tra una antenna (Tx, di diametro DT ) che funziona
in trasmissione e una seconda antenna (Rx, di diametro DR ) che invece funziona in ricezione.
Indichiamo con R la distanza tra le due antenne, come in Fig. 1.
R
Fig. 1: Collegamento tra due antenne
34
La potenza disponibile dalla ricevente si ottiene dalla (74) a partire dalla tensione a
vuoto, che va calcolata a partire dal campo incidente, ovvero dal campo della antenna Tx
calcolato nella zona della antenna Rx, ma in assenza di quest’ultima.
Questa analisi è particolarmente semplice se il campo incidente è, in tutta la zona della
ricevente, una onda piana (o, almeno, localmente piana). Si dimostra che questo è vero se le
condizioni (26) del paragrafo 2 sono soddisfatte, cosa che assumiamo nel resto del paragrafo.
In tal caso la tensione a vuoto su Rx è data da
V0 = hR · Ei
dobe hR è al altezza efficace della Rx nella direzione della Tx, e Ei è il campo della Tx nel
centro di fase della Rx (in assenza di quest’ultima). Se la Tx ha altezza efficace (nella direzione
della Rx) pari ad hT , ed è alimentata da una corrente IT A , allora
ζIT A −jβR
e
hT
V0 = hR · j
2λ R
Assumiamo anche adattamento in polarizzazione.
ricezione vale
(83)
Allora la potenza disponibile in
Pdisp = AR S i
essendo AR l’area efficace di Rx, e S i il vettore di Poynting del campo prodotto da Tx.
Quest’ultimo può essere calcolato dalla (37) ottenendo
GT Pin,T
(84)
4π R2
con Pin,T e GT rispettivamente potenza di ingresso e guadagno di Tx. La (84) prende il nome
di formula di Friis (o del collegamento).
Usando la (82), la formula di Friis assume le forme seguenti, che sono normalmente più
usate
Pdisp = AR
2
λ2
GT Pin,T
λ
Pdisp =
GR
= GT GR
Pin,T
4π
4π R2
4π R
(85)
Pin,T
AT AR
4π
= 2 2 Pin,T
Pdisp = AR 2 AT
λ
4π R2
λ R
Poiché il guadagno di una antenna è normalmente il dato più disponibile, la prima forma
è in genere quella utilizzata. Per antenne grandi, per le quali l’area efficace è prossima (ma più
piccola dell’area fisica), anche la seconda forma viene usata.
Si noti anche che la dipendenza della Pdisp dalla frequenza non è esplicita nella formula di
Friis (e infatti le due (85), che sono ovviamente equivalenti, dipendono da λ in maniera opposta).
Per ottenerla bisogna considerare il tipo di antenna. Ad esempio, per antenne filiformi, in cui il
guadagno non dipende da ω, la prima delle (85) mostra che la Pdisp si riduce al crescere della
frequenza. Invece, per antenne grandi in cui l’area efficace (essendo in genere strettamente legata
all’area fisica) è sostanzialmente costante con ω, la potenza disponibile dal collegamento cresce
con la frequenza.
Si noti anche che la formula di Friis vale nel vuoto. Nella realtà, un collegamento tra
due antenne è influenzato dagli agenti atmosferici (in particolare dalla pioggia e, a frequenze più
35
elevate, dall’assorbimento dell’aria e della ionosfera), che riducono, anche fortemente, la potenza
ricevuta.
Una caratteristica importante della formula di Friis (vedi (84)) è che la potenza trasmessa non entra direttamente, ma sempre in prodotto col guadagno. In altri termini, la causa del
collegamento è il prodotto GT PT che viene detto ERP. Poiché il valore dell’ERP è la causa
dei collegamenti, anche di quelli non voluti, le normative sulla protezione delle interferenze
elettromagnetiche fanno normalmente riferimento ai valori di ERP, e non di potenza trasmessa.
36
15 SENSORI DI CAMPO
Abbiamo visto che la tensione a vuoto indotta su di una antenna ha una espressione
semplice solo se il campo incidente è una onda piana, o almeno è localmente piano. Altrimenti
va usata la (66) e occorre conoscere il campo vicino della antenna ricevente. Se però l’antenna
è piccola, la tensione a vuoto indotta su di essa può essere calcolata agevolmente anche senza
assumere alcuna proprietà particolare per il campo che produce tale tensione.
Infatti la piccolezza delle dimensioni rende valide, nella zona occupata dalla antenna, le
equazioni della statica, e in particolare i principi di Kirchhoff. Ne segue che su una tale antenna
collegata a vuoto, anche se immersa in un campo elettromagnetico, non si inducono correnti.
Di conseguenza il campo totale, in presenza della antenna, coincide con quello in assenza della
antenna, ovvero col campo incidente 1 .
Nel seguito considereremo la tensione a vuoto indotta su di un dipolo elementare, e quella
su di una spira piana elementare, ovvero una spira di forma regolare e con un raggio piccolo
rispetto alla lunghezza d’onda. Le tensioni a vuoto indotte su tali antenne verranno calcolate a
partire direttamente dalle equazioni di Maxwell. Per ovviare alle difficoltà realizzative dei dipoli
elementari, vedremo poi che anche la tensione a vuoto su di un dipolo corto può essere calcolata
altrettanto agevolmente.
Tutti questi oggetti possono poi essere utilizzati anche come sensori di campo, ovvero per
misurare il campo (o, più precisamente, una componente del campo) presente in un dato punto
(prima dell’introduzione del sensore). In particolare i dipoli sono sensori di campo elettrico,
mentre la spira è un sensore di campo magnetico.
Relativamente al loro uso, va considerato che, mentre per una onda piana, usare un
sensore di E o di H è equivalente, per misurare completamente campi vicini occorre usare due
sensori, uno per E e uno per H. In alternativa, se la misura serve a valutare il superamento
o meno dei limiti di esposizione, allora si può usare solo il sensore del campo che si considera
critico ai fini del rispetto delle normative.
Dipolo elementare
Ricordiamo che un dipolo elementare è una antenna filiforme, di lunghezza ∆z ≪ λ, sui
cui scorre una corrente costante con z.
Questo può essere ottenuto aggiungendo al filo verticale due dischi orizzontali (vedi Fig.
1, in cui il dipolo è riportato in sezione) di raggio grande rispetto a ∆z, ma sempre piccoli rispetto
a λ, costituenti un condensatore con una capacità sufficientemente grande da accumulare carica
sufficiente ad evitare che la corrente debba annullarsi all’estremità del filo (come avviene in una
qualunque antenna filiforme).
Per il dipolo di Fig. 1, i morsetti di ingresso (e quindi di uscita) sono i terminali A e B.
La tensione a vuoto è quindi, per definizione
Z A
V0 = −
E · iD dℓ = VA − VB
(86)
B
1
Più precisamente, le correnti indotte sono molto piccole, e quindi il campo prodotto da esse, che
si somma al campo incidente per produrre il campo totale, risulta molto più piccolo di quello
incidente, e soprattutto localizzato solo nelle immediate vicinanze del conduttore costituente
l’antenna
37
essendo E il campo totale presente nella zona del gap della antenna. Data la piccolezza del
dipolo, comunque, il campo totale può essere considerato irrotazionale, e quindi è possibile
spostare il cammino di integrazione lungo il C.E.P. (senza farne variare il valore, in quanto la
d.d.p tra due punti dello stesso C.E.P. è nulla) ottenendo
V0 = VA − VB = V
A′
−V
B′
Nella zona della integrazione della eq.
(87) il campo prodotto dalla antenna è trascurabile2 , e quindi si può assumere E ≃ Ei , essendo Ei il campo incidente, ovvero il campo
in assenza del dipolo elementare. Tale campo
può essere considerato costante in tutta la zona
del dipolo elementare (che, ricordiamo, è piccola rispetto alla lunghezza d’onda), e quindi
portato fuori dall’integrale;
V0 ≃ −
Z
=−
E · it dℓ
B′
(87)
A’
A
iD
B
it
B’
Fig 1: Dipolo elementare
A′
i
B′
A′
Z
i
E · it dℓ ≃ −E ·
Z
A′
it dℓ
B′
Ovviamente anche it è costante (e pari a iD ) sul cammino di integrazione e si ottiene,
in definitiva
i
V0 ≃ −E ·
Z
A′
B′
i
it dℓ = −E · iD
Z
A′
B′
dℓ = −Ei · iD ∆z
(88)
in quanto l’integrale vale la lunghezza del cammino di integrazione. La (88) ci dice che un dipolo
elementare può essere usato come sensore di campo, ovvero come dispositivo atto a misurare il
campo elettromagnetico in un punto dello spazio. Più precisamente, un dipolo elementare misura
una componente del campo. Una misura completa richiede quindi tre dipoli indipendenti, oppure
un dipolo che venga fatto ruotare nello spazio.
Spira elementare
Consideriamo una spira costituita da
un filo di C.E.P., di forma regolare e di area
S ≪ λ2 . Una tale spira è detta elementare.
Nel seguito supporremo per semplicità che sia
anche piana, e, inizialmente, che sia costituita
da un solo anello.
Un esempio di tale spira è riportata
in Fig. 2. La spira di questa figura è circolare, ma sono possibili ovviamente anche altre
forme (es., quadrata, rettangolare, ellittica),
2
A
A
it
in
B
it
B
Fig 2: Spira elementare piana
Invece tra A e B il campo diffuso ha una ampiezza significativa, in quanto ai due capi del
gap della antenna, che ha una ampiezza molto più picola di ∆z, si trovano cariche uguali ed
opposte.
38
senza che questo alteri il calcolo della tensione a vuoto. È solo richiesto che la forma sia regolare.
Indichiamo ancora con A e B i morsetti di ingresso (e quindi di uscita) della spira. In
maniera del tutto analoga a (29) possiamo scrivere
V0 = VA − VB = −
Z
A
B
E · it dℓ
dove l’integrale è fatto sulla curva tratteggiata nella parte destra di Fig. 2. Poiché l’integrale di
linea di E lungo il C.E.P. della spira è nullo, possiamo estendere l’integrale a tutto il contorno
(circolare, nel caso di Fig. 2) della spira, ottenendo
V0 = −
Z
A
B
E · it dℓ = −
I
E · it dℓ
(89)
L’ultimo integrale di (89) può essere calcolato ricorrendo alla Legge di Faraday e si ha
quindi
V0 = jω
Z
S
B · in dS
(90)
dove l’integrale è esteso alla superfice della spira. Su tale superfie si può ancora approssimare
il campo totale con quello incidente, B ≃ Bi = µHi . Poiché anche Hi può essere considerato
costante sulla spira (e in è costante essendo la spira piana) segue infine
V0 ≃ jωµ
Z
i
S
i
H · in dS ≃ jωµ H ·
Z
S
i
in dS = jωµ H · in
Z
S
dS = jωµ Hi · in S
(91)
La relazione (91) ci dice che una spira elementare piana3 è un sensore di campo magnetico, ovvero è in grado di misurare il campo magnetico (o meglio, una componente del campo
magnetico) presente in un punto.
Tuttavia una spira con un unico anello non è un sensore particolarmente efficiente. Per
vederlo, possiamo confrontare la risposta, ad una fissata onda piana, di una spira di raggio R
con quella di un dipolo elementare lungo 2R 4 (ortogonale alla spira) soggetto alla stessa onda
piana. Sia H0 la ampiezza del campo magnetico dell’onda piana; di conseguenza quella del
campo eletrico vale ζH0 .
Risulta, da (91) e (88)
per cui
|V0S | = ωµ0 πR2 |H0 |
|V0D | = 2R |ζH0 |
ωµ0 πR2 |H0 |
ωµ0 πD
πR
π
|V0S |
=
=
=β
= βR ≪ 1
|V0D |
2R |ζH0 |
ζ
4
2
2
essendo, per l’ipotesi di dipolo e spira elementare, R molto più piccolo di λ.
3
Se la spira non è piana, si può ancora portare Hi fuori dall’integrale, ma non più la normale,
che va invece integrata. Ne risulta che una tale spira misura ancora una componente del campo
magnetico incidente, ma questa non sarà più una componente cartesiana.
4
Il confronto deve essere eseguito non solo a parità di causa, ovvero di campo incidente, ma anche
a parità di dimensioni, in quanto l’ingombro è uno dei parametri importanti di un sensore
39
Questa notevole differenza (a parità di campo da misurare) rende le misure di campo
magnetico molto meno precise5 .
Per aumentare, a parità di campo, la tensione a vuoto e quindi migliorare la misura, le
spire elementari vengono normalmente realizzate con un avvolgimento di N anelli, in modo però
che lo spessore complessivo sia trascurabile rispetto al raggio. In tal caso la tensione a vuoto
diventa 6
V0 = jωµ Hi · in N S
(92)
ed è N volte quella di una singola spira, in modo da compensare la piccolezza della tensione a
vuoto di quest’ultima.
Dipolo corto
La tensione a vuoto ricevuta da un dipolo corto può essere ottenuta a partire da quella
di un dipolo elementare.
Infatti abbiamo visto che il campo prodotto
da un dipolo elementare o quello di un dipolo corto
(con lo stesso momento di dipolo) sono uguali (almeno
A
iD B
al di fuori della zona delle sorgenti, che nel nostro caso
è molto piccola). Pertanto queste due antenne (come
visto nel paragrafo 11) riceveranno la stessa tensione
a vuoto (a parità di Ei ), purché la sorgente del campo
Fig 3: Dipolo corto
incidente sia al di fuori della zona delle sorgenti.
Per un dipolo elementare di lunghezza L e un
dipolo corto di lunghezza 2L, la zona delle sorgenti termina a 10L, ovvero comprende sostanzialmente solo una sfera di raggio paragonabile a λ 7 .
Pertanto anche un dipolo corto di lunghezza 2ℓ può essere usato come sensore di campo
elettrico con
V0 = −Ei · iD ℓ
(93)
5
La tensione a vuoto che verrà poi misurata è affetta da rumore, che è indipendente dal valore
della tensione. Pertanto l’effetto del rumore aumenta al ridursi della tensione da misurare.
6
Per dimostrare questa relazione occorre considerare che l’ultimo integrale della (89) va ora
esteso a tutto il filo che costituisce il sensore, e quindi sugli N anelli. Possiamo scrivere questo
integrale come somma di integrali, ciascuno su di un anello, e per ognuno di questi applicare
la legge di Faraday come in (90)
V0 = −
7
I
f ilo
E · it dℓ = −
XI
n
Sn
E · it dℓ = jωN
Z
S
B · in dS
in quanto, essendo lo spessore del sensore trascurabile, tutti gli integrali di flusso sono uguali.
Ricordiamo che deve risultare L ≪ λ; nella pratica un dipolo è considerabile corto se 2L < λ/8
e quindi il raggio della zona delle sorgenti è
5(2L) <
.
40
5
λ
8
essendo iD il versore parallelo ed equiverso col dipolo.
16 RISPOSTA AD UNA ONDA PIANA
Se il campo incidente è una onda piana, o almeno localmente piana (ovvero con tutte le
caratteristiche di una onda piana nella zona della antenna ricevente1 ) l’espressione della tensione
a vuoto ricevuta assume una espressione particolarmente semplice.
E
θ
i
k
iD
iD
Fig. 1: Dipolo elementare in ricezione.
θ
ik
iθ
Fig. 2: Versori per il caso di Fig. 1.
Cominciamo a considerare un dipolo elementare, su cui incide una onda piana (vedi Fig.
1) da un angolo θ. Indichiamo con ik il versore del vettore di propagazione k. Risulta (vedi Fig.
2)
Dalla (88) segue
i
iD = −ik cos θ − iθ sin θ
V0 = −Ei · iD ∆z = −Ei · (−ik cos θ − iθ sin θ) ∆z
(94)
V0 = (∆z sin θ iθ ) · Ei
(95)
ed essendo E · ik = 0 per le proprietà delle onde piane, segue, riordinando i termini,
La grandezza fra parentesi nella (95) è la altezza efficace in trasmissione del dipolo
elementare h. Si ha quindi, per onda piana incidente
1
Per una antenna molto piccola rispetto alla lunghezza d’onda, l’unica caratteristica da verificare
è che E e H siano ortogonali, e con ampiezze nel rapporto ζ. In tal caso la direzione di arrivo
dell’onda (ovvero la sua direzione di propagazione) è quella del vettore di Poynting. Infatti,
essendo la zona della antenna piccola rispetto a λ, i campi di una onda piana sono costanti
come tutti gli altri, e non è quindi possibile controllarne la variazione spaziale per determinare
se il campo è localmente piano, o la sua direzione di arrivo.
41
V0 = h · E i
(96)
coerentemente con (73).
La relazione (96) può essere usata anche in
direzione opposta, ovvero per determinare le proprietà
di irradiazione di una antenna a partire da quelle in
ricezione.
Se consideriamo una spira elementare, piana,
la tensione a vuoto, per un qualunque campo incidente, è data dalla (91) che qui riportiamo
H
i
θ
k
in
Ei
V0 = jωµ Hi · in N S
essendo N ≥ 1 il numero di avvolgimenti della spira.
Se il campo incidente è una onda piana (vedi
Fig. 3), allora
1
H i = ik × E i
ζ
Fig 3: Spira in ricezione
e sostituendo nella espressione della tensione a vuoto V0 segue
V0 = j
ωµ
ωµ
ik × E i · in N S = j
N S in × ik · Ei
ζ
ζ
(97)
avendo permutato circolarmente i tre termini del prodotto misto.
Dal confronto con la (96) segue allora, per una
spira elementare
h=j
ωµ
N S in × ik = jN βS in × ik
ζ
iφ
in
e ricordando (vedi Fig. 4) che
in = −ik cos θ − iθ sin θ
θ
ik
iθ
Fig 4: Versori coinvolti
segue
in × ik = (−ik cos θ − iθ sin θ) × ik = − sin θ iθ × ik
= − sin θ iφ
e in definitiva
h = −jN βS sin θ iφ
(98)
Riguardo ai segni, va ricordato che la corrente deve entrare nella spira dal terminale
positivo della tensione a vuoto. In altri termini, la (98) vale se la corrente IA gira nello stesso
verso di iφ .
42
17 DIPOLO MAGNETICO E SPIRA
Dalla fisica generale è noto che una spira percorsa da corrente continua è equivalente
a un dipolo magnetico (equivalenza di Ampére).
In realtà questa equivalenza vale anche per correnti sinusoidali, purché le dimensioni
della spira siano piccole rispetto a λ. In particolare una spira elementare piana di area S, con N
avvolgimenti, percorsa da una corrente IA equivale a un dipolo magnetico di momento Q pari a
Q = N S I A in
(99)
essendo in la normale alla spira (vedi Fig. 5 del paragrafo precedente).
Per determinare il campo di un tale dipolo magnetico, cominciamo col notare che, utilizzando come sorgente solo un dipolo elettrico di momento P, le equazioni di Maxwell diventano
∇ × E = −jωB = −jωµH
∇ × H = jωD = jωε0 E + jωP
Queste equazioni presentano una elevatissima simmetria tra le grandezze elettriche e
quelle magnetiche, che è ulteriormente incrementata se includiamo nelle equazioni anche il dipolo
magnetico:
∇ × E = −jωµH − jωµQ
∇×H=
jωε0 E + jωP
Ne segue che, a parte un eventuale segno, scambiare in una affermazione i termini
elettrico e magnetico conduce in genere ad una affermazione anch’essa vera. Proprietà di questo
tipo sono dette proprietà di dualità.
Consideriamo allora il campo Ee , He prodotto da un dipolo elettrico di momento P e
dato dalle (46). Per dualità, si dimostra che il campo di un dipolo magnetico Q, parallelo ad P,
vale:
1 h ei
(100)
E
µQ
µQ
ζ
P=−
P=−
ζ
ζ
La presenza dei fattori ζ occorre solo per motivi dimensionali, e il segno meno in una
delle due equazioni è legato alla differenza di segno tra le due equazioni di Maxwell.
Sostituendo le (46) nelle (100) e sviluppando si ottiene il campo 2 di Q, espresso in un
sistema sferico con l’asse z allineato con Q:
ωµ0 Q
1
Eφ =
1+
e−jβr sin θ
2λr
jβr
1
1
1 ωµ0 Q
+
(101)
e−jβr 2 cos θ
Hr = −
ζ 2λr
jβr (jβr)2
1
1 ωµ0 Q
1
+
e−jβr sin θ
Hθ = −
1+
ζ 2λr
jβr (jβr)2
h i
E = ζ He
2
H=−
Le espressioni ottenute valgono però solo se la distanza r tra il centro della spira e il punto
campo è molto più grande del raggio della spira stessa. Non è invece richiesto che r sia grande
rispetto a λ.
43
In zona di Fraunhofer il campo del dipolo magnetico vale
ωµ0 Q −jβr
e
sin θ iφ
2λr
1
H = ir × E
ζ
E=
(102)
e sostituendo la (99) si ottiene il campo lontano di una spira
ωµ0 N S IA −jβr
e
sin θ iφ
2λr
e, usando la definizione (20), la sua altezza efficace
E∞ =
E∞
h=
j
ζIA −jβr
e
2λr
=
ωµ0 N S IA −jβr
e
sin θ iφ
2λr
j
ζIA −jβr
e
2λr
= −j
ωµ0
N S sin θ iφ
ζ
identica, ovviamente, alla (98) se si ricorda che ωµ0/ζ = β.
La potenza irradiata da un dipolo magnetico, o da una spira, può essere calcolata
analogamente a quella di un dipolo elettrico.
Si trova, per un dipolo magnetico
Pirr =
1
1
ω 4 µ20 |Q|2
2 6πc2 ζ
(103)
e per una spira
Pirr
1 2πζ
|IA |2
=
2 3
N βS
λ
2
=
S2
1 2πζ
|IA |2 4π 2 N 2 4
2 3
λ
(104)
Dalla (36) possiamo ricavare la resistenza di irradiazione di una spira
Rirr
2πζ 2 2 S 2
2πζ
=
4π N 4 =
3
λ
3
βS
N
λ
2
(105)
in cui il primo fattore vale 800 Ω.
Per quanto riguarda la reattanza di ingresso di una spira elementare, questa può essere
calcolata dalla sua induttanza statica L come
XIN = ωL
(106)
dove L può, per una spira circolare di raggio RS e diametro del filo pari a 2R, essere calcolata
da
7
8RS
−
N2
(107)
L = µ0 RS log
R
4
Per spire di altra forma, la (107) può ancora essere usata assumendo che spire di uguale
superficie abbiano uguale indittanza. In particolare, per una spira quadrata (o rettangolare con
rapporto d’aspetto piccolo) e area SQ la (107) richiede
44
r
SQ
π
Notiamo infine che, anche in trasmissione, occorre usare spire con più avvolgimenti
(nonostante la relativa induttanza sia N volte più grande), in quanto altrimenti la resistenza di
ingresso risulta troppo piccola (rispetto a quella di un dipolo corto di pari ingombro).
RS =
18 ANTENNE IN TRASMISSIONE SU PIANO DI MASSA
Vedi file aggiuntivo IVb
19 ANTENNE IN RICEZIONE SU PIANO DI MASSA
Vedi file aggiuntivo IVc
Per valutare un collegamento su piano di massa, il punto critico è il calcolo della tensione
a vuoto. Se si vuole usare l’altezza efficace, occorre preliminarmente, (e solo per calcolare V0 ),
definire l’antenna ricevente. Le due possibili scelte sono
a) antenna Rx originaria;
b) antenna Rx originaria e piano conduttore.
Nel primo caso il campo incidente è da calcolarsi in presenza del piano conduttore, nel
secondo caso va calcolato in assenza del suolo.
Inoltre va verificata la condizione
45
(D1 + D2 )2
(108)
λ
in cui i due diametri DT e DR vanno calcolati opportunamente. Nel caso a) DT è il diametro
della distribuzione di corrente totale, originaria e immagine, mentre DR è quello della antenna
originaria. Nel caso b), per reciprocità, DT è il diametro della antenna originaria, mentre DR
è il diametro della distribuzione di corrente totale, originaria e immagine. Infatti, ora occorre
la altezza efficace della ricevente, che si calcola come campo lontano della della distribuzione di
corrente totale, originaria e immagine, della ricevente stessa usata in trasmissione.
Poichè le antenne complete (ma non i monopoli) possono essere lontane o vicine al piano
conduttore, la (108) può essere verificata o meno a seconda dei casi. La tabella che segue fornisce
un riepilogo della strategia normalmente più efficiente nei vari casi che si possono presentare. Per
ognuno di questi è riportato se conviene considerare la ricevente costituita da antenna originaria
e piano conduttore (Rx), o solo dalla antenna originaria (Tx). In questo secondo caso sarà il
campo della trasmittente ad essere calcolato tenendo conto del piano conduttore.
r>2
antenna Rx
completa lontana
completa vicina
monopolo
completa lontana
Tx
Rx
Rx
completa vicina
Tx
Tx o Rx
Rx
monopolo
Tx
Tx
?
Antenna Tx
La presenza di un punto interrogativo nel caso di collegamento tra monopoli indica che
in questo caso entrambe le antenne andrebbero considerate insieme al piano conduttore. Non
essendo possibile, il piano conduttore va incluso nella ricevente (quindi la casella potrebbe anche
essere un ”Rx, ma...”). Dopodiché, la tensione a vuoto vale
1
(hRS ) · (2Ei )
2
essendo hRS la altezza efficace del monopolo Rx (ovvero del dipolo corrispondente in spazio
libero). Il campo 2Ei è esattamente il campo che è prodotto dal monopolo T x in presenza del
piano conduttore (ovvero è il campo del dipolo corrispondente in spazio libero).
V0 = (hRS ) · Ei =
46
20 COLLEGAMENTI SU TERRA PIATTA
Il calcolo del campo di una antenna in presenza del suolo è stato risolto supponendo
il suolo costituito da un conduttore elettrico perfetto. Vogliamo considerare ora le variazioni
introdotte dal considerare il suolo un dielettrico con perdite (sempre però illimitato), limitatamente al calcolo del campo lontano. Per fare questo, conviene riprendere, in termini differenti,
quanto già noto per un piano conduttore perfetto.
Cominciamo quindi a considerare una antenna posta in A, a distanza H1 dal piano
conduttore (Fig. 1). Il campo nel punto B, a distanza (orizzontale) r e quota H2 può essere
ottenuto dal teorema delle immagini, come campo di due sorgenti poste in A e Ai , entrambe in
spazio libero (Fig. 2).
Il campo dovuto alla sorgente in A vale, se B è in campo lontano di A
ζI
h e−jβ|A B|
(109)
2λ|A B|
essendo I la corrente di alimentazione della antenna in A e h la sua altezza efficace nella direzione
di B.
ED = j
B
B
A
A
H1
γ
Q
H2
γ
γ
H1
γ
H2
Ai
r
Fig. 1: Collegamento su terra piatta
Fig. 2: Risultato del teorema delle immagini.
Analogamente, se B è in campo lontano di Ai , il campo misurato in B e dovuto ad Ai
vale
ERc = j
ζI
h′ e−jβ|Ai B|
2λ|Ai B|
essendo h′ la altezza efficace della antenna nella direzione del punto Q.
Poichè |Ai B| = |A Q| + |Q B|, allora lo stesso campo ER può essere espresso come
ERc = j
ζI
h′ e−jβ|A Q| e−jβ|Q B|
2λ ( |A Q| + |Q B| )
(110)
Il fattore di propagazione della (110) corrisponde a una propagazione da A al punto di
riflessione Q e poi da Q a B. E anche l’ampiezza complessiva in B è coerente con la attenuazione
su una propagazione lunga |A Q| + |Q B|.
Ne segue che il campo lontano della corrente immagine può essere anche calcolato considerando una onda piana che da A punti verso il punto di riflessione geometrico Q, con una
ampiezza data dalla espressione del campo lontano. A questa onda viene normalmente associato
un raggio, che è la curva ortogonale alle superfici equifase dell’onda, e che nello spazio libero
47
è una retta1 . Questo raggio si riflette sul piano conduttore, con coefficiente di riflessione pari
a quello di una onda piana con le stesse caratteristiche e poi si propaga fino al punto B. La
ampiezza invece va calcolata considerando una attenuazione di onda sferica sulla distanza totale
della propagazione.
Questo approccio può essere facilemente generalizzato al caso di semispazio infinito
dielettrico (o buon conduttore). Basta infatti solo utilizzare il coefficiente di riflessione relativo
al materiale ed alla interfaccia, e tener conto della corretta orientazione dei campi.
Siamo in particolare interessati ai due casi di polarizzazione orizzontale, corrispondente
ad una incidenza T E, e verticale, corrispondente ad una incidenza T M 2 .
Iniziamo dalla polarizzazione orizzontale. In Fig. 3 sono riportate i versori dei campi
ED , Ei , campo incidente sulla interfaccia, ed ER , campo riflesso dalla interfaccia. Ovviamente
ED ed Ei hanno la stessa direzione, essendo dati entrambi dalla espressione (109), naturalmente
valutata in punti e direzioni diverse. Invece i versi relativi di Ei ed ER vanno scelti facendo
riferimento alle formule di Fresnel. Ricordiamo infatti che il coefficiente di riflessione di Fresnel
è il rapporto tra la stessa componente tangente di ER ed Ei . Nel caso T E questi vettori sono
tutti tangenti, e quindi devono essere paralleli, come appunto in Fig. 3. Ne segue che nel calcolo
posiamo sottintendere i versori del campo, e sommare solo la componente orizzontale (scalare)
del campo.
ED B
ED B
A
A
Ei
Ei
ER
ER
Q
Q
Fig. 3: Incidenza T E.
Fig. 4: Incidenza T M .
Nel caso di polarizzazione verticale, ovvero T M , Fig. 4, le differenze col caso T E sono,
oltre che nel coefficiente di riflessione, anche nelle direzioni dei versori del campo, costruiti
secondo le stesse prescrizioni che hanno portato alla Fig. 3a.
Si nota in particolare che i versori del campo Ei e del campo ER hanno la stessa
componente tangente all’interfaccia (orizzontale nel disegno) e, di conseguenza, componente z
opposta. Il risultato è che i versori dei campi ED e d ER (che indicheremo con iD e d iR ) sono
quasi opposti. In prima approssimazione si potrà quindi considerare iR = −iD .
1
Possiamo pensare al raggio come la traiettoria della energia associata alla propagazione del
campo.
2
I nomi di queste polarizzazioni si riferiscono alla orientazione del campo elettrico rispetto
alla terra. Si noti però che mentre in polarizzazione orizzontale il campo E è effettivamente
orizzontale, in quella verticale E è solo approssimativamente verticale se θi ≃ 90o , mentre
diventa obliquo negli altri casi
48
21 CALCOLO DELLA MUTUA IMPEDENZA
Dalla definizione (56) di impedenza mutua, appare chiaro che questo concetto è sostanzialmente equivalente a quello di collegamento tra due antenne. Se consideriamo un collegamento
come un sistema dinamico, in cui la corrente di alimentazione di una antenna è l’ingresso, e
la tensione a vuoto sull’altra l’uscita, allora Zm è la funzione di trasferimento (nel dominio
trasformato) di questo sistema.
Quindi, da una parte è possibile scegliere se descrivere l’interazione tra due antenne in
termini di collegamento, o di mutua impedenza. Dall’altra, è possibile usare concetti (e risultati)
di un approccio per ottenere grandezze dell’altro. Vediamo allora quando possiamo calcolare
l’accoppiamento tra due antenne note.
Il primo caso è quando le due antenne sono in campo lontano l’una dell’altra (ovvero
valgono le (24)), e inoltre la loro distanza soddisfa a
(D1 + D2 )2
(108)
λ
essendo D1 e D2 i diametri delle due antenne ed r la loro distanza. In tal caso il collegamento si
può calcolare in campo lontano. Se h1 e h2 sono le altezze efficaci di ciascuna delle due antenne
nella direzione dell’altra, allora
r>2
V02 = h2 · E1i
E1i = j
con
ζI1 −jβr
e
h1
2λr
Ne segue
V02
ζ −jβr
e
h1 · h2
(111)
=j
I1
2λr
Dalla (111) segue che, all’aumentare della distanza r tra le antenne, il valore della mutua
impedenza Z12 decresce rispetto allimpedenza di ingresso delle due antenne. Per antenne lontane
possiamo pertanto trascurare il valore di Z12 purché entrambe le antenne siano alimentate con
correnti di ampiezze paragonabile. Ovviamente se una delle due correnti fosse nulla o molto
più piccola dell’altra, non è più possibile trascurare il valore di Z12 . Quest’ultimo caso è quello
tipico di un collegamento, in cui r è grande ma la antenna ricevente non è alimentata.
Un’altro caso in cui Z12 è facilmente calcolabile è quando una delle due antenne è un
dipolo elementare, oppure corto. Ricordiamo infatti che la tensione ricevuta dall’altra antenna
(nel seguito, antenna 2) è data dalla (5) della sezione IVb
Z12 =
E2 (rD )
· iD
I2
essendo E2 il campo della antenna 2, alimentata con una corrente I2 , e (I1 ∆z1 ), e iD , ampiezza
e direzione del dipolo1 , posto in rD rispetto alla antenna 2. Dalla relazione precedente segue
immediatamente
V02 = −(I1 ∆z1 )
1
Se il dipolo è corto, la sua ampiezza sarà evidentemente (I1 ℓ1 ), essendo 2 ℓ1 la lunghezza totale
del dipolo corto.
49
E2 (rD )
· iD
I2
Z12 = −(∆z1 )
(112)
che si può ottenere anche ricordando la (88) relativa alla tensione a vuoto su di un dipolo
elementare.
Se anche l’antenna 2 è un dipolo elementare (o corto), allora
Z12
ζ
= −(∆z1 ∆z2 ) j
e−jβrD
2λ rD
sin θ iθ · iD +
1
1
+
jβrD
(jβrD )2
(sin θ iθ + 2 cos θ ir ) · iD
(113)
dove ir , iθ e θ sono tutti relativi alla antenna 2.
Ovviamente, una equazione analoga alla (112) vale anche se una delle due antenne
accoppiate è una spira elementare. In tal caso, dalla (91) relativa alla tensione a vuoto su di
una spira elementare con N1 avvolgimenti, di area S1 e normale in (considerata come antenna
1) segue
Z12 = jωµ N1 S1
H2 (rS )
· in
I2
(114)
essendo rS la posizione della spira nel riferimento centrato sulla antenna 1.
In tutti gli altri casi la mutua impedenza è calcolabile solo tramite un integrale doppio.
Può essere allora utile valutare quando è possibile estrapolare una delle espressioni precedenti a
casi in cui le ipotesi di partenza non sono valide. In particolare considereremo l’estrapolazione
della (111) quando le ipotesi su cui è basata (collegamento in campo lontano tra le due antenne
di cui si vuole l’accoppiamento) non sono valide. E valuteremo il risultato nel solo caso di
due antenne a λ/2 parallele (assumendo precisioni simili anche per antenne filiformi disposte in
maniere diversa nello spazio).
Confronto mutua impedenza in campo lontano
120
Vera - Re
F.F. - Re
Vera - Im
F.F. - Im
100
Impedenza [Ω]
80
60
40
20
0
-20
-40
-60
0
0.5
1
1.5
2
d/λ
Fig. 1: Confronto tra la mutua impedenza vera
e quella calcolata in approssimazione di campo lontano.
50
L’utilizzo dalla (111) è equivalente a calcolare la mutua impedenza come se le antenne
fossero in campo lontano, indipendentemente dal valore della loro distanza. Questa approssimazione è molto semplice, ma non è particolarmente precisa, se la distanza non è abbastanza
grande. In Fig. 1 è riportato il valore della mutua impedenza vera e di quella calcolata in
approssimazione di campo lontano, per due antenne a λ/2 parallele, a distanza d.
Si vede dalla Fig. 1 che la (111) è una buona approssimazione della vera mutua impedenza solo per distanze paragonabili (o superiori) a 2λ, benché possa essere usata per distanze
superiori a λ con un errore che è essenzialmente un errore di fase (le due curve sembrano, in
questo intervallo, traslate orizzontalmente una rispetto all’altra).
Invece,per valori molto piccoli di d il suo uso è problematico, in quanto si dimostra che
|Z12 | deve essere inferiore alla impedenza della antenna isolata (nel caso della Fig. 1, inferiore a
75 Ω), cosa che non avviane per la mutua impedenza calcolata in campo lontano.
22 CAMPO DIFFUSO DA UNA ANTENNA
Come abbiamo visto, su di una antenna in ricezione si inducono delle correnti, dipendenti
linearmente dal campo incidente, che sono la causa della potenza (e del segnale) fornito dalla
antenna all’utilizzatore. Tuttavia tali correnti indotte sulla antenna sono anche la sorgenti del
campo diffuso dalla antenna, che può essere a sua volta ricevuto da un’altra antenna, come ad
esempio la stessa che ha prodotto il campo incidente. Questo campo diffuso dipende ovviamente
dalle caratteristiche della antenna, ma anche dal carico connesso alla antenna.
IS
+
ZA
V0 = h . E i
ZL
Fig. 1: Circuito equivalente di una antenna in ricezione.
Consideriamo infatti il circuito equivalente di una antenna che riceve una onda piana
incidente dalla direzione1 Ωi , connessa ad un carico ZL qualunque, riportato in Fig. 1. ZA è
l’impedenza di ingresso della antenna, vista dai suoi morsetti, ed
h · Ei
V0
=−
(115)
ZA + ZL
ZA + ZL
in cui Ei è il campo incidente e h è la altezza efficace della antenna, nella direzione Ωi
La corrente −IS è la corrente che l’antenna fornisce al carico. Ma, come si vede dalla
figura, IS è anche la corrente che entra nella antenna. Poiché esiste una continuità tra la
IS = −
1
In questo paragrafo indicheremo, per semplicità, con Ωi una direzione dello spazio, che possiamo
pensare individuata dagli angoli (θi , φi ).
51
distribuzione di corrente sulla antenna e la corrente ai morsetti2 , questa IS produce un campo
diffuso dalla antenna esattamente uguale a quello che sarebbe prodotto se la antenna fosse
alimentata da un generatore di corrente pari a IS . Il campo lontano reirradiato dalla antenna
in direzione Ωs e dovuto a IS è quindi dato da
ζ IS −jβr
e
h(Ωs )
(116)
2λ r
Il campo diffuso dato dalla (116) si annulla se l’antenna è a vuoto. Tuttavia è facile
convincersi che per molte antenne il campo diffuso esiste anche se l’antenna è a vuoto. Per
un riflettore, ad esempio, il campo diffuso è presente anche se i morsetti di ingresso, che sono
nell’illuminatore, sono aperti (e persino se l’illuminatore viene completamente rimosso). Pertanto il campo diffuso in direzione Ωs da una antenna vale, in generale
j
ζ IS (ZL ) −jβr
e
h(Ωs )
(117)
2λ r
in cui è stata esplicitata la dipendenza dalla impedenza di carico ZL . Il primo termine della
(117) è il campo diffuso quando l’antenna è a circuito aperto.
La presenza di questo termine complica abbastanza l’analisi del campo diffuso dalla
antenna. Per tale motivo le antenna vengono divise in due insiemi, quello per cui ES0 = 0,
dette antenne a minima diffusione, e tutte le altre. In particolare, come detto quando abbiamo
considerato l’accoppiamento tra le antenne, le antenne filiformi non troppo lunghe sono antenne
monomodali, ovvero la distribuzione di corrente (andamento della corrente normalizzato al suo
massimo) è fissa, indipendentemente dalle condizioni di carico e dalla presenza di altre correnti
(o antenne) nelle vicinanze. Per tale motivo, la corrente indotta su di una tale antenna filiforme
a vuoto, in ricezione, può essere considerata nulla, e quindi queste sono antenne a minima
diffusione, in cui il campo diffuso è dato dalla (116).
Per giustificare questa ultima affermazione, e valutare fino a che lunghezza una antenna
filiforme è considerabile monomodale, in Fig. 2 è riportato il valore massimo della corrente
indotta su di una antenna filiforme a vuoto, per lunghezze totali fino a 2λ, a parità di campo
incidente. L’asse verticale è in dB (con un riferimento arbitrario). Si vede che per lunghezze
prossime a λ l’antenna è risonante, con un nullo al centro, e la corrente risulta molto grande. Ma
per tutte le lunghezze superiori a 0.6–0.7 λ la corrente è comunque sensibile, mentre al di sotto si
riduce molto rapidamente. Pertanto, possiamo considerare una antenna filiforme monomodale
fino a lunghezze di poco superiori a λ/2.
Inserendo la (115), il campo diffuso da una antenna a minima diffusione diventa
ES (ZL ) = ES0 (Ωs ) + j
h(Ωi ) · Ei
ζ
e−jβr
h(Ωs )
2λ r
ZA + ZL
a cui corrisponde un vettore di Poynting diffuso pari a
ES (ZL ) = −j
SS =
1
|h(Ωi ) · Ei |2
ζ
|ES |2 = 2 2 |h(Ωs )|2
2ζ
8λ r
|ZA + ZL |2
(118)
(119)
Noi siamo interessati alle applicazioni di questi concetti ai sistemi RFId (vedi paragrafo
successivo), nei quali il campo diffuso è richiesto in genere nella stessa direzione da cui arriva
2
Si veda ad esempio la (43), in cui IA è sia la corrente di alimentazione, sia la corrente sulla
antenna per z = 0.
52
corrente massima [dB]
-20
-30
-40
-50
-60
-70
-80
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2
lunghezza della antenna (norm. a λ)
Fig. 2: Corrente massima indotta su di una antenna filiforme a vuoto.
La corrente è calcolata a parità di campo incidente, ed è riportata in unità arbitrarie.
il campo incidente. Se facciamo anche l’ipotesi di adattamento in polarizzazione tra campo
incidente e antenna: |h · Ei | = |h| |Ei |, allora si ha
SS =
|h|4
ζ
|Ei |2
8λ2 r 2 |ZA + ZL |2
(120)
dove h indica l’altezza effcace nella direzione di interesse, quella da cui arriva il campo incidente.
Introducendo il guadagno GA della antenna tramite la (38) si ottiene, dopo aver moltiplicato e diviso per 4,
2
ζ
1
λ4 G2A RA
SS = 2 2
|Ei |2 =
8λ r |ZA + ZL |2
π2ζ 2
λ
4π r
2
G2A
2RA
|ZA + ZL |
2
|Ei |2
2ζ
(121)
in cui l’ultimo termine è il vettore di Poynting dell’onda incidente Si . L’espressione precedente
può essere espressa nella forma
SS =
1
σA S i
4π r 2
(122)
dove la quantità
λ2 2
G
σA =
4π A
2RA
|ZA + ZL |
2
(123)
è detta sezione radar della antenna (e dipende dalle condizioni di carico della antenna stessa).
Dalla (120) segue che per ZL = ∞ (antenna a circuito aperto), il campo diffuso è
∗
nullo, per ZL = ZA
(antenna adattata) il penultimo fattore della (120) è unitario e il vettore di
Poynting diffuso diventa
SSm =
λ
4π r
2
G2A Si
(124)
2
Infine, per antenna in corto circuito ZL = 0, il penultimo fattore vale 4 RA/|ZA |2 ≤ 4, e
assume il valore massimo se l’antenna ha impedenza di ingresso reale.
53
23 SISTEMI RFID
I sistemi RFID (Radio Frequency IDentification) sono sistemi di comunicazione bi–direzionale (asimmetrici) in cui una postazione fissa (Reader ) interroga, emettendo un campo
elettromagnetico, uno o più ricetrasmettitori mobili (Tag) posti nelle adiacenze del reader, i
quali rispondono mandando una stringa di bit al reader.
I sistemi RFID possono essere divisi a seconda della frequenza utilizzata, e a seconda
del tipo di tag.
Le bande di frequenza usabili sono
LF 125 → 134 kHz
HF 13.56 M Hz
UHF 860 → 960 M Hz
MW 2.4 GHz
L’interazione tag–reader avviene per accoppiamento induttivo nelle bande LF ed HF,
e per comunicazione radio nelle bande UHF e MW. Noi nel seguito considereremo solo queste
ultime. In particolare tutti gli esempi verranno svolti nella banda UHF.
Relativamente al tipo di tag, si distinguono sistemi RFID :
• Attivi se il tag contiene un ricetrasmettitore che decodifica il segnale mandato dal
reader, e trasmette poi la sua informazione.
• Passivi se il tag contiene solo un IC che viene alimentato rettificando il segnale ricevuto,
e che modula la sezione radar della antenna del tag. La trasmissione tag–reader avviene
cioè usando il campo diffuso dalla antenna del tag.
• Semi–attivi se il tag contiene un ricevitore (alimentato da una batteria interna al tag)
che decodifica il segnale mandato dal Reader, ma utilizza il campo diffuso dalla antenna
per la comunicazione inversa.
I sistemi RFID attivi sono normali sistemi di comunicazione radio, per i quali valgono
le leggi usuali dei collegamenti. Ci interessiamo qui quindi solo dei sistemi passivi e semi–attivi,
che possono essere analizzati in parallelo dal punto di vista della trasmissione radio, in quanto
la sola differenza è nella potenza richiesta dal tag (decine di µW per quelli passivi, vari ordini
di grandezza più bassa per quelli semi–attivi).
Un ciclo di interrogazione–risposta avviene in due fasi. In una prima fase (forward–link)
il reader manda un segnale binario che il tag riceve e decodifica. Nella seconda fase (reverse–link)
il reader manda un segnale continuo, e il tag modula (agendo sulla impedenza di carico) la sezione
radar della sua antenna con la sequenza binaria che deve trasmettere. Durante entrambe le fasi
il tag deve anche trasformare parte dal segnale ricevuto in corrente continua di alimentazione del
suo IC (sia per la decodifica e l’elaborazione dei dati, sia per modulare il carico della antenna).
Nel seguito valuteremo quantitativamente le due fasi del colloquio.
In Fig. 1 è riportato lo schema di principio di un tag passivo. Nella fase di forward–
link il modulatore non viene utilizzato, e il segnale proveniente dalla antenna viene fornito alla
sezione di decodifica, e alla sezione di alimentazione. I parametri di interesse sono la potenza
assorbita dall’IC, e la tensione a RF Vin all’uscita della antenna e quindi all’ingresso dell’IC.
54
"Ricevitore"
Rete
Adattamento
Antenna
Alimentatore
DC
R.L.
Modulatore
Fig. 1: Circuito equivalente di un tag
(Le frecce indicano scambio di informazioni, o energia, con la rete sequenziale R.L.).
Cominciamo a considerare la trasmissione da parte del reader. Alla distanza r, la densità
di potenza e il campo prodotto dal reader valgono, ponendo1 ζ = 120π Ω
r
√
p
GPT
GPT
60GPT
=⇒
Ei = 2ζ Si = 2(120π)
=
Si =
2
2
4π r
4π r
r
In Europa vi sono delle limitazioni sul valore di ERP del reader, dipendente dalle sottobande della banda UHF. In particolare il valore massimo possibile di ERP è GPT = 3 W . A una
distanza r = 5 m il campo elettrico vale 2.7 V /m, corrispondente a una densità di potenza di
10 mW /m2 . L’antenna del tag ha una altezza efficace di 5–10 cm, e quindi la tensione a vuoto
ricevuta V0 può essere anche di solo 200 mV . Questa tensione viene usata come ingresso dello
stadio di alimentazione, che deve rettificarla e trasformarla in continua, per alimentare il IC. La
tensione continua richiesta è però di 1–3 V , e quindi occorre incrementare considerevomente la
tesione del generatore di Thevenin.
Ci
IS
+
CF
R DC
Fig. 2: Stadio di alimentazione in continua
1
ZA
V0
V in
ZL
Fig. 3: Circuito equivalente di ingresso
Porre ζ = 120π Ω equivale a porre c = 3 · 108 m/sec (al posto del valore più preciso 2.9979 ·
108 m/sec). Infatti, in tal caso, risulta
ε0 =
per cui
ζ=
r
−1
1
1
=
= 36π · 109
−7
2
−7
16
4π · 10 c
4π · 10 9 · 10
p
√
4π · 10−7
= 4π · 10−7 · (36π · 109 ) = 144π 2 · 102 = 120π
ε0
55
La sezione di alimentazione, nella forma più semplice, è costituito da due diodi e un
condensatore di filtro, come riportato in Fig. 2, dove RDC è l’impedenza di ingresso in continua
dell’IC, tipicamente di decine o centinaia di kΩ. Questo circuito, se realizzato con diodi ideali,
produce una tensione continua pari a 2|Vin |. Rispetto al segnale il condensatore di filtro si
comporta come un corto circuito, e quindi tale stadio presenta in ingresso essenzialmente la
reattanza capacitiva dovuta alle capacità parassite dei diodi. Tale reattanza va in parallelo con
l’impedenza di ingresso del demodulatore, fornendo una ZIC fortemente capacitiva. Un tipico
IC per RFID UHF ha, ad esempio, una impedenza ZIC = 36 − j117 Ω. Questo consente di avere
|Vin | > |V0 |. Infatti, con riferimento alla Fig. 3
|Vin | = |V0 |
|ZIC |
|ZIC + ZA |
essendo ZA l’impedenza della antenna. In caso di adattamento del carico si trova
1
|ZIC |
= |V0 |
|Vin | = |V0 |
2RIC
2
s
2 + X2
RIC
1
IC
= |V0 |
2
RIC
2
s
1+
2
XIC
1
XIC
≃ |V0 |
2
RIC
2
RIC
Nel caso sopra riportato, questo equivale a un incremento di circa 2 volte rispetto al
valore di un partitore resistivo. Accettando una riduzione di banda, è possibile un incremento
di tensione anche maggiore, ma normalmente non tale da garantire la tensione continua richiesta. Pertanto è spesso necessario usare più coppie di diodi, che realizzano un moltiplicatore di
tensione.
Nel caso di esempio, la tensione continua prodotta da una coppia di diodi ideali diventa
quindi di circa 750 mV , con una potenza pari a quella disponibile a RF (circa 60 µW ). Usando
due coppie, si arriva a 1.5 V , tensione normalmente sufficiente. In realtà i diodi non sono ideali,
ma cominciano a condurre quando la tensione supera un valore di soglia VON di varie centinaia
di mV . Oltre a ridurre la tensione di uscita, questo produce una riduzione della potenza fornita
al carico, in quanto una parte significativa della potenza in continua si dissipa sui diodi. La
perdita di efficienza aumenta la crescere dell’ordine di moltiplicazione della tensione, per cui è
abbastanza normale avere efficienze del 20–30 %, e quindi 10–15 µW di potenza alimentazione
in continua. Poichè questo è il limite di funzionamento del IC, la portata di un RFID passivo è
normalmente limitata dal forward–link.
Concludiamo notando che il condensatore di filtro deve essere dimensionato in modo da
garantire la continuità della tensione durante le fasi in cui il segnale a RF è più basso di quello
di uscita. Se il reader trasmettesse continuamente, basterebbe avere CF RDC > 10 TRF , essendo
TRF il periodo del segnale UHF. In realtà CF deve essere notevolmente più grande.
Infatti, finora abbiamo considerato solo la trasmissione di potenza. In realtà un reader
deve trasmettere anche informazioni, tramite un segnale binario. Poichè la rete di decodifica
(come tutto il tag) deve avere un costo molto basso, ma d’altra parte ha una potenza RF
considerevole a disposizione (fino a frazioni di µW ), l’unica soluzione praticabile è di trasmettere
le informazioni codificandole mediante trasmettitore acceso e spento. Infatti, in tal modo, un
semplice rivelatore di inviluppo trasforma il segnale in un segnale binario che può essere elaborato
da una semplice rete sequenziale.
La scelta più intuitiva è quella di associare trasmettitore acceso a ”1” e il trasmettitore
spento a ”0”, codifica detta OOK (On–Off Keying) . In tal modo, però, con una velocità di
trasmissione tipica di 100 kbps, il trasmettitore è spento per 10 µsec per la trasmissione di uno
zero. Poichè però gli zeri consecutivi possono essere molti, per mantenere la tensione costante
56
su un intervallo che può essere superiore ai 100 µsec occorre una capacità di alcuni nF . Questi
valori richiedono una area enorme, quindi fanno lievitare il costo del IC.
Fig. 4: Trasmissione di una sequenza 1010 con codifica OOK (a sinistra)
e PIE (a destra). In basso la sequenza di bit trasmessi.
Si usano allora altri tipi di codifica, varianti della codifica PIE (Pulse Interval Encoding),
in cui un bit 0 è trasmesso come sequenza acceso–spento di uguale lunghezza, mentre un bit 1
è ancora una sequenza acceso–spento, con la parte accesa lunga 2–3 volte quella spenta (e con
la parte di ”spento” uguale nei due bit 0 e 1).
Indicando con T0 il tempo di spento, la lunghezza media di un simbolo è 2.5–3 T0 . Alla
velocità di 85 kbps, questo equivale a un valore di T0 dell’ordine di grandezza di alcuni µsec, e i
condensatori di filtro necessari sono di qualche decina di pF .
Si noti anche che la codifica P IE ha un valor medio di ”acceso” intorno al 65 % del
tempo totale, e quindi la potenza in continua trasferita alla rete logica è ridotta dello stesso
fattore rispetto a quella relativa a una trasmisisone continua (per la codifica OOK tale valore
arriva al 50 %).
Passiamo ora al reverse–link. Il reader trasmette un segale continuo, e il modulatore
agisce sulla potenza diffusa dalla antenna per trasmettere le proprie informazioni. La antenna
del tag ha un guadagno di circa 1–2, e produce, a 5 m di distanza tag–reader, una densità di
potenza al reader data dalla (124) che qui si ripete
SSm =
λ
4π r
2
G2A Si = 0.3 µW /m2
(124)
L’antenna del reader ha un guadagno di circa 10, cui corrisponde una area eficace di
0.1 m2 , e quindi una potenza disponibile al reader PD di circa 30 nW . Poiché il segnale ricevuto
è ottenuto modulando quello in trasmissione, il reader può eseguire una rivelazione coerente del
segnale, moltiplicando il segnale ricevuto e quello trasmesso. In tal modo è possibile rivelare il
segnale anche con livelli di potenza molto più bassi2 . Pertanto il reverse–link è normalmente
poco critico.
2
È per questo motivo (oltre che per il minor costo rispetto a un trasmettitore effettivo) che
i sistemi semi–attivi usano comunque la modulazione della sezione radar nel reverse–link. I
livelli di potenza al reader necessari per la rivelazione di un segnale non coerente con quello
trasmesso sono molto più alti.
57
Modulando opportunamente il carico connesso alla antenna, si producono cosı̀ due stati,
corrispondenti ai due livelli logici da trasmettere, caratterizzati da due correnti diverse IS1 e
IS0 .
Per valutare come il reader riceve, e poi discrimina, questi due livelli logici, partiamo
dalla (116) che esprime il campo reirradiato dal tag, se la sua corrente è IS , e che qui riscriviamo
ζ IS −jβr
e
hT
(116)
2λ r
dove la altezza efficace hT del tag è calcolata nella direzione del reader. Il segnale (tensione a
vuoto) prelevato dal reader è allora
j
ζ IS −jβr
e
hT · hR
2λ r
dove la altezza efficace hR del reader è calcolata nella direzione del tag. Assumendo adattamento
in polarizzazione, la potenza ricevuta risulta
V0 = j
1 ζ 2 |IS |2
|hT |2 |hR |2 = KT R |IS |2
8ZR 4λ2 r 2
(125)
dove KT R è una costante.
La capacità di discriminazione del reader dipende dalla potenza associata al segnale
differenza tra i due stati da discriminare3 . Segnale differenza che è dato dalla (116) con corrente
IS1 − IS0
La potenza P∆ associata al segnale differenza vale, da (125)
P∆ = KT R |IS1 − IS0 |
2
Conviene normalizzare questa potenza a quella PD ricevuta se l’antenna del tag è adattata
2
PD = KT R |ISM |
essendo ISM la corrente con antenna adattata. Si ottiene
IS1 − IS0 2
P∆
(126)
=
PD
ISM Poiché le correnti sono ottenute cambiando l’impedenza del IC, ma con lo stesso campo
incidente, le correnti sono inversamente proporzionali alla somma della impedenza della antenna
del tag, ZA e della impedenza associata allo stato. Se indichiamo con ZA1 e ZA0 le impedenze
∗
di carico del tag nei due stati scelti, e ricordiamo che l’impedenza del tag adattato è ZA
si trova
P∆ = PD
= PD
3
i 2
h
1
1
ZA +ZL1 − ZA +ZL0 IS1 − IS0 2
= PD 1
ISM 2RA
2
ZL0 − ZL1
2 4RA
(ZA + ZL1 )(ZA + ZL0 ) (127)
Si veda ad esempio A.B. Carlson et al., Communication Systems, 4th Ed., McGraw–Hill, New
York, N.Y., Sect. 12.4.
58
La scelta più semplice è di commutare tra carico adattato e corto circuito: ZL0 = 0,
∗
ZL1 = ZA
, modulando quindi la ampiezza della corrente indotta sulla antenna. In tal caso, da
(127)
P∆ =
2
PD 4RA
2
∗
−ZA
(2RA )(ZA ) = PD
che assumiamo come livello di potenza di riferimento. Analogo risultato si ottiene commutando
∗
tra carico adattato e circuito aperto: ZL0 = ∞, ZL1 = ZA
, mentre commutando tra aperto e
corto: ZL0 = ∞, ZL1 = 0, si ottiene una P∆ normalmente più grande:
1
|ZA |2
Tuttavia questa scelta non è utilizzabile. Infatti il IC ha bisogno della tensione continua
anche durante il reverse–link. Indicando con PDC la potenza in continua assorbita in presenza
di carico adattato, la potenza media nei primi due casi vale PDC/2, in quanto durante le fasi in
cui il carico della antenna è un corto (o un aperto) la potenza assorbita è nulla. Nel terzo caso,
invece, la potenza assorbita è nulla, e quindi il IC non può funzionare.
Queste considerazioni suggeriscono di usare una modulazione della sola parte reattiva
del carico. Usando ad esempio ZL0 = RA − j(1 + α)XA , ZL1 = RA − j(1 − α)XA , con α
dell’ordine di 0.1–0.2, segue
2
−2jαXA
2 (128)
P∆ = PD 4RA (2RA + jαXA )(2RA − jαXA ) 2
P∆ = PD 4RA
Una stima della (128) si può ottenere trascurando le piccole parti reattive a denominatore. Si ha allora
2
−2jαXA 2
αXA
P∆ ≃ PD = PD
2RA RA
(129)
Considerando ZA = 36 − j117 Ω, la riduzione è di 7 dB (per α = 0.2) rispetto alla
potenza di riferimento. Se però esaminiamo la potenza in continua assorbita, vediamo che la
potenza in continua fornita al IC (uguale nei due stati) rispetto al caso di carico adattato è
M =4
2
RL1 RA
RA
1
1
=4
=
=
XA 2
2
X2
|ZL1 + ZA |
|2RA + jαXA |2
|1 + jα 2R
|
1 + α2 4RA2
A
A
che, per la stessa ZA , è intorno al 90 %. Poiché tale potenza viene fornita in maniera continua
(essendo indipendente dallo stato del modulatore), la potenza media di alimentazione è non
solo più alta dei casi di commutazione di ampiezza, ma è anche costante. Questi vantaggi
compensano abbondantemente la riduzione di P∆ , anche perché il fattore limitante la portata è
il forward–link, ovvero la alimentazione del tag.
La modulazione della parte reattiva del carico, che è una modulazione della fase della
corrente indotta sulla antenna, è quindi di gran lunga la scelta più diffusa.
59
APPENDICE 1: DISUGUAGLIANZA DI SCHWARTZ
Il prodotto scalare definito tra vettori reali si presta ad essere generalizzato a spazi
vettoriali differenti, in particolare complessi.
Un prodotto scalare (generalizzato) tra due elementi A e B di uno spazio vettoriale è
una operazione, indicata con (A, B), che gode delle seguenti proprietà
a) (A, A) è reale e risulta (A, A) ≥ 0. In particolare
(A, A) = 0
⇐⇒
A=0
b) (cA, B) = c (A, B)
c) (A, B) = (B, A)∗
d) (A + B, C) = (A, C) + (B, C)
Se lo spazio vettoriale è quello dei vettori complessi, allora si verifica facilmente che
(A, B) = A · B∗
è un prodotto scalare.
In uno spazio dotato di prodotto scalare è sempre possibile definire una norma1 , data
da
kAk =
p
(A, A)
e che soddisfa a kA + Bk ≤ kAk + kBk
Vale inoltre la seguente relazione, detta disuguaglianza di Schwartz:
|(A, B)|2 ≤ kAk2 kBk2
(130)
Inoltre si dimostra anche che se
|(A, B)|2 = kAk2 kBk2
⇐⇒
A = αB
con α numero complesso. In altri termini, si ha uguaglianza nella (130) se e solo se i due vettori
A e B sono proporzionali.
1
La norma di un elemento dello spazio vettorial misura la intensità dell’elemento. In particolare,
per i vettori complessi dello spazio tridimensionale, la norma cioincide col modulo del vettore.
60
APPENDICE 2: SVILUPPO DI FOURIER DELLA ALTEZZA EFFICACE
La altezza efficace (44) è una funzione periodica1 di θ, e può quindi essere sviluppata
in serie di Taylor. In particolare possiamo utilizzare uno sviluppo in soli seni2 della sola parte
scalare di h(θ), ovvero di
h(θ) =
λ cos(βℓ cos θ) − cos βℓ
π
sin βℓ sin θ
ponendo cioè
h(θ) =
Risulta
2
bn (ℓ) =
π
Z
π
0
∞
λ X
bn (ℓ) sin nθ
π n=1
(131)
cos(βℓ cos θ) − cos βℓ
sin nθ dθ
sin βℓ sin θ
Per antenne filiformi non troppo lunghe basta in realtà il solo primo termine della (131),
ottenibile da
2
b1 (ℓ) =
π sin βℓ
Z
π
0
2
[cos(βℓ cos θ) − cos βℓ ] dθ =
π sin βℓ
π
Z
cos(βℓ cos θ) dθ − 2 cos βℓ (132)
0
L’integrale può essere espresso in termini di funzioni speciali1 , ma è più semplice integrarlo numericamente, ottenendo, per antenne a λ/2, b1 = 0.944.
Usando la (131), limitata al primo termine, nella (45) segue3
ζ
2π
Rirr (ℓ) ≃
(2λ)2
1
2
1
Z
0
π
2
2
λ
b1 (ℓ) sin θ sin θdθ = 800 b1 (ℓ)
[Ω]
π
π
(133)
Ovviamente questo vale da un punto di vista puramente matematico. Per una antenna infatti,
l’angolo θ ∈ (0, π).
Questo sviluppo equivale a considerare la funzione estesa a (−π, 0) come funzione dispari.
Le funzioni necessaria sono le funzione di Bessel di prima specie, in particolare quella che si
indica con J0 (x) ed può essere definita2 da
Jo (x) =
1
2π
Z
π
cos(x cos θ) dθ =
−π
1
π
Z
π
cos(x cos θ) dθ
0
e sono disponibili in tutti i software matematici (MATLAB, MathCad, ...). Usando questa
definizione, la (132) fornisce allora
b1 (ℓ) =
3
2
J0 (βℓ) − cos βℓ
sin βℓ
h
i
Per una antenna a λ/2 si ottiene 72.3 Ω, Confrontandolo col valore esatto dell’integrale (45),
ovvero 73.1 Ω si vede che l’errore è del 1%.
61
L’espansione (132), specialmente limitata la primo termine, può essere molto utile per
calcolare la resistenza di irradiazione di antenne poste su di un piano di massa.
Se consideriamo, ad esempio, una antenna filiforme posta verticalmente a una distanza
D da un piano C.E.P., la sua resistenza di irradiazione vale
Rirr
ζ
2π
=
(2λ)2
Z
0
π
λ cos(βℓ cos θ) − cos βℓ 2
2
cos2 (βD cos θ) sin θ dθ
π
sin βℓ sin θ
Questo integrale non è calcolabile, ma lo diventa se approssimiamo il primo fattore
tramite la (131)
2
λ
λ cos(βℓ cos θ) − cos βℓ
≃ 2 b1 sin θ
π
sin βℓ sin θ
π
Sostituendo si ha
Z
ζ
λ2 π 2
Rirr =
b sin2 θ cos2 (βD cos θ) sin θ dθ
2π 4 2
(2λ)2
π 0 1
che può essere calcolato ponendo x = βD cos θ. Si ottiene
2 #
Z βD "
x
2ζ 2
dx
2ζ 2
Rirr =
b
cos2 x
≃
b [1 + sinc2βD]
1−
π 1 −βD
βD
βD
π 1
dove l’ultima espressione vale per βD grande.
APPENDICE 3: ANTENNE AD ELEVATE PRESTAZIONI – ANTENNE
A RIFLETTORE
Antenne di prestazioni elevate debbono necessariamente essere grandi rispetto a λ. Per
tali antenne, quindi, l’ingombro diventa un parametro fondamentale. Il modello ideale di antenna
di prestazioni elevate è quella che produce una distribuzione di correnti (vere o equivalenti)
distribuita su di una superficie piana di area (fisica) AF , costante su tale superfice, e che irradi
solo da uno dei lati. Si dimostra che la direttività di una tale distribuzione vale
4π
AF
(134)
λ2
Ne segue che per una tale antenna, area efficace e area fisica coincidono. Il valore di DF
è la massima direttività ottenibile con una antenna di area AF . Per ogni altra antenna, quindi,
la direttività D risulta inferiore a DF .
Le antenne effettivamente usate, a microonde, per ottenere direttività elevate sono di
due categorie: antenne a riflettore e allineamenti (o array) di antenne. Queste ultime sono dei
sistemi di antenne (si veda il paragrafo 6, a cui si rimanda per ulteriori dettagli), in genere
uguali e ugualmente orientate, costituiti spesso da centinaia o migliaia di antenne di dimensioni
paragonabili alla lunghezza d’onda. In questo paragrafo descriveremo invece brevemente lle
DF =
62
[dB]
0
Diagramma di irradiazione
antenne a riflettore1 e daremo qualche dettaglio comune relativo all’utilizzo delle antenne di
elevate prestazioni
Il diagramma di radiazione di una antenna di prestazioni elevate presenta un lobo
centrale2 , di larghezza molto picola, e dei lobi laterali con ampiezza massima inferiore di 20–30
dB al massimo del lobo centrale. Un esempio di diagramma di radiazione è riportato in Fig. 1.
-10
-20
-30
-40
-50
0
5
10 15 20 25 30 35 40
angolo (dal broadside) [deg]
45
Fig. 1: Diagramma di un riflettore con diametro 2R = 10 λ.
Le antenne di prestazioni elevate hanno una polarizzazione nominale, ma il campo
prodotto non è mai esattamente in quella polarizzazione. Pertanto la definizione di guadagno
di una tale antenna va modificata rispetto alla (36) come
G(θ, φ) = lim
r→∞
S (c) (r, θ, φ)
1
Pin
4πr 2
(135)
in cui S (c) è il vettore di Poynting della sola parte del campo nella polarizzazione nominale
(componente co–polare del campo). Detta S (x) l’altra parte del vettore di Poynting (componente
cross–polare), il vettore di Poynting complessivamente prodotto vale S = S (c) + S (x) . Definiamo
(c)
efficienza di cross–polarizzazione il rapporto ηx = S /S , per cui G risulta pari al prodotto del
guadagno definito dalla (36) e di ηx .
La differenza principale nelle prestazioni tra allineamenti di antenne e antenne a riflettore è nella efficienza. Di quella degli allineamenti abbiamo già parlato, e quindi consideriamo
qui quella di un riflettore. Possiamo esprimere il guadagno G di un riflettore di diametro 2R
mediante la efficenza totale del riflettore ηT come
1
Per una descrizione delle antenne a riflettore si rimanda a qualunque testo di antenne, oppure
alle pagine di Wikipedia
http://it.wikipedia.org/wiki/Antenna parabolica
http://en.wikipedia.org/wiki/Parabolic antenna
2
In realtà, oltre a queste antenne, dette pencil–beam antennas, vengono impiegate antenne in
cui la zona di campo elevato è più grande ed opportunamente sagomata, dette shaped–beam
anetnnas.
63
DISSIPATA
IRRADIATA
feed
η
LF
η
riflettore
S
spill-over
η
η
LR
bloccaggio
rugosita’
p
η
x
campo utile
cross-polare
Fig. 2: Flussi di potenza ed efficienze di un riflettore.
G = ηT DF
con
ηT = ηL ηap ηS ηp ηx
(136)
essendo
ηL efficenza dovuta alla dissipazione nei conduttori non perfetti, normalmente prossima
al 100% nei riflettori metallici ma notevolmente più piccola nei riflettori in plastica
conduttiva usati per la televisione da satellite (DVB–S ) (e ovviamente presente anche
negli allineamenti);
ηap efficenza di apertura, rapporto tra la direttività effettiva delle correnti equivalenti presenti sulla bocca del riflettore, di area AF = π R2 , e la direttività massima DF ottenibile
con tale apertura;
ηS efficienza di spill–over, legata alla potenza PS che il feed irradia ma non viene intercettata
dal riflettore; Se PF è la potenza complessivamente irradiata dal feed, si ha ηS = PS/PF ;
ηp efficenza dovuta alla perdita di potenza per altre cause: potenza che viene riflessa ma
bloccata dal feed e dalle strutture di supporto e alla rugosità superficiale del riflettore;
ηx efficenza dovuta alla potenza irradiata nella polarizzazione ortogonale a quella nominale.
In particolare l’efficienza di spill–over e quella di apertura hanno un comportamento
opposto: al crescere della direttività del feed, la prima aumenta e la seconda si riduce. Esiste
quindi una configurazione ottimale, in cui efficienza di apertura ed efficienza di spill–over sono
praticamente uguali, con un valore intorno al 90% ciascuna. L’efficienza ηp dipende invece
molto dalla configurazione del riflettore, e dalla precisione realizzativa, e varia dal 65% fino a
oltre il 90%. L’efficienza totale tipica di un riflettore è quindi variabile tra il 50% e il 65%,
ma può raggiungere il 75% per riflettori realizzati con particolare cura (ad esempio, quelli per
applicazioni spaziali). I riflettori per DVB–S hanno invece efficenze intorno al 40–45%.
Tornando a considerare antenne generiche ad alte prestazioni, notiamo che anche la
direttività si calcola in termini della polarizzazione nominale, ovvero utilizzando S (c) . Poiché al
denominatore della direttività c’è tutta la potenza irradiata, allora
1
G(θ, φ)
(137)
ηL ηx
In genere, però, ha interesse un altro parametro, legato alla direttività ma che tiene
conto del solo campo irradiato dalla apertura. Noi lo indicheremo con D̂, ma va notato che è
quest’ultimo che, nei testi tecnici, viene chiamato direttività. Risulta allora
D(θ, φ) =
D̂ = ηap DF
Poiché la zona di interesse è tipicamente quella del lobo centrale, possiamo poi approssimare il diagramma di radiazione di una antenna di pestazioni elevte con una espressione
semplice. Per un diagramma a simmetria di rotazione (caso tipico), assumendo un riferimento
64
polare con asse z ortogonale alla apertura (ovvero alla bocca del riflettore), che è anche la
direzione di massimo, possiamo approssimare il diagramma di irradiazione F (θ) assumendo
p
|h(θ, φ)| = hM cos θ
|h(θ, φ)|
F (θ) =
hM
=⇒
2
= cos2p θ
(138)
per θ ∈ (0, π2 ), e nulla per θ > π2 .
L’esponente p può essere trovato a partire dalla semilarghezza di fascio a 3 dB, che
indichiamo con θ3 . La relazione tra p e θ3 si trova infatti risolvendo:
cos2p θ3 =
1
2
=⇒
2p =
log 0.5
0.693
=−
log cos θ3
log cos θ3
(139)
Per θ3 piccolo, si ha anzi
1
cos θ3 ≃ (1 − θ32 )
2
1
1
log cos θ3 ≃ log(1 − θ32 ) ≃ − θ32
2
2
=⇒
e quindi
2p ≃
1.386
4550
=
2
2
θ3
θ3[deg]
(140)
Per quanto riguarda la direttività, è la D̂ che può essere espressa tramite il diagramma
di irradiazione approssimato (138) come
D̂(θ, φ) = DM cos2p θ
(141)
La direttività massima DM , può essere ottenuta dalla definizione (36) come3
DM = R
4π
4π
=
= 2(2p + 1) ≃ 4p
R1
cos2p θ dΩ
2π 0 x2p , dx
(142)
e sostituendo il valore di p si arriva a una relazione tra direttività e larghezza di fascio, che è di
largo uso per antenne direttive:
DM
0.693
=2 1−
log cos θ3
1.386
≃2 1+
θ32
≃
9100
2.772
=
2
2
θ3
θ3[deg]
(143)
La (143) può essere espressa in funzione del raggio R del riflettore. Si ha infatti, da
(53):
DM = ηap DF = ηap
4π
9100
πR2 =
2
2
λ
θ3[deg]
=⇒
15 λ
θ3[deg] = √
ηap R
Per valutare la precisione della approssimazione (141), in Fig. 2 sono riportati sovrapposti il diagramma vero di Fig. 1 e la sua approssimazione, e la differenza tra i due diagrammi.
3
La espressione (141) vale sia per antenne con direttività elevata, sia per antenne con direttività
piccola, come i feed per riflettore, o le antenne stampate. In tal caso DM = 2(2p + 1), senza
approssimazione, né vale la approssimazione (140) (oocorre usare la (139) ) e le sue conseguenze.
65
-5
2
[dB]
esatto
approx.
1.5
Errore di approssimazione
[dB]
Diagramma di irradiazione
0
-10
-15
-20
-25
-30
0
2
4
6
8
10
12
angolo (dal broadside) [deg]
1
0.5
0
-0.5
-1
-1.5
-2
14
0
1
2
3
4
5
6
7
8
angolo (dal broadside) [deg]
9
Fig. 2: confronto tra diagramma vero e approssimazione (141)
(a sinistra) ed errore di approssimazione (a destra).
Per l’esempio scelto si ha DM = 900 e θ3 = 3.2o . L’errore è molto piccolo fino a circa
5 = 1.5 θ3 ed accettabile, inferiore a 1 dB, fino a 2θ3 , e questi limiti della approssimazione (141)
sono indipendenti dal diametro del riflettore o allineamento.
o
Può essere utile anche esprimere DM in funzione della ampiezza dell’ angolo solido Ωp
corrispondente al lobo principale della antenna. Poiché Ωp = π θ32 risulta
8.72
Ωp
DM =
Per antenne a riflettore o allineamenti di forma rettangolare (o ellittica), la zona illuminata è sostanzialmente ellittica. Non è quindi usabile la (138), ma (se l’area è grande rispetto
alla lunghezza d’onda) possiamo usare come approssimazione
D̂(θ, φ) = DM cos2p θ cos2 φ + cos2q θ sin2 φ
purché p e q non siano troppo diversi tra loro (ovvero siano all’ interno dello stesso ordine di
grandezza).
I valori di 2p e 2q si possono determinare a partire dai due angoli a 3 dB, θ3H e θ3E ,
esattamente come nel caso di fascio a simmetria di rotazione, e quindi utilizzando la (139) o la
(140). Il valore di DM risulta invece, calcolando gli integrali
DM =
=
1
1
4π
Z
cos
2p
2
θ cos φ dΩ +
1
1
1
1
+
4 2p + 1 2q + 1
=
Z
cos
2q
2
θ sin φ dΩ
2(2p + 1)(2q + 1)
8pq
≃
p+q+1
p+q
Essendo l’antenne molto direttiva, si può utilizzare la approssimazione (140) ottenendo
DM =
4
(θ3H )2
1.386
+
(θ3E )2
1.386
66
=
5.544
+ (θ3E )2
(θ3H )2
INDICE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
App. 1.
App. 2.
App. 3.
CAMPO LONTANO DI UNA DISTRIBUZIONE DI CORRENTI
. . . .
ANTENNE – ALTEZZA EFFICACE – CAMPO LONTANO . . . . . . .
PARAMETRI DELLE ANTENNE IN TRASMISSIONE
. . . . . . . .
ANTENNE FILIFORMI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ALIMENTAZIONE DI ANTENNE FILIFORMI . . . . . . . . . . . .
SISTEMI DI ANTENNE
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
MUTUA IMPEDENZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GUADAGNO ED EFFICIENZA NEI SISTEMI DI ANTENNE
. . . . .
DIAGRAMMA DI RADIAZIONE E MASSIMI DI IRRADIAZIONE . . .
ANTENNE IN RICEZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
RECIPROCITÀ TRASMISSIONE–RICEZIONE . . . . . . . . . . . .
UGUAGLIANZA DELLE ALTEZZE EFFICACI . . . . . . . . . . . .
POTENZA RICEVUTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
COLLEGAMENTI TRA ANTENNE . . . . . . . . . . . . . . . . .
SENSORI DI CAMPO
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
RISPOSTA AD UNA ONDA PIANA . . . . . . . . . . . . . . . . .
DIPOLO MAGNETICO E SPIRA . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ANTENNE IN TRASMISSIONE SU PIANO DI MASSA . . . . . . . .
ANTENNE IN RICEZIONE SU PIANO DI MASSA . . . . . . . . . .
COLLEGAMENTI SU TERRA PIATTA . . . . . . . . . . . . . . .
CALCOLO DELLA MUTUA IMPEDENZA . . . . . . . . . . . . . .
CAMPO DIFFUSO DA UNA ANTENNA . . . . . . . . . . . . . . .
SISTEMI RFID
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
DISUGUAGLIANZA DI SCHWARTZ . . . . . . . . . . . . . . . . .
SVILUPPO DI FOURIER DELLA ALTEZZA EFFICACE
. . . . . . .
ANTENNE AD ELEVATE PRESTAZIONI – ANTENNE A RIFLETTORE
67
.
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.
. 1
. 5
. 8
11
15
17
19
21
22
26
28
31
32
34
37
41
42
45
45
47
49
51
53
60
60
62