Alcune precisazioni sul movimento lefebvriano
1. Chi sono i lefebvriani.
Sono comunemente detti lefebvriani gli appartenenti alle comunità di fedeli e agli istituti religiosi che si
riconoscono nelle idee propugnate dall'arcivescovo Marcel Lefebvre.
Il movimento gravita attorno alla Fraternità sacerdotale San Pio X, sorta di istituto religioso che, nonostante
un iniziale riconoscimento, fu giuridicamente soppresso dall'Autorità ecclesiastica dopo pochi anni di
esistenza. Incurante dei provvedimenti in cui era incorsa, la Fraternità ha continuato nella sua opera di
formazione di nuovi sacerdoti in violazione delle norme di diritto canonico e contro l'aperta proibizione della
Santa Sede: i sacerdoti in essa formati ricevono illegittimamente l'ordine sacro.
Il carattere scismatico del movimento è divenuto palese nel 1988, allorché mons. Lefebvre, in contrasto con
la volontà del Pontefice, ha conferito l'ordinazione episcopale a quattro sacerdoti della Fraternità: tale atto,
previsto come delitto dall'ordinamento giuridico della Chiesa, ha comportato di diritto la scomunica tanto per
i vescovi consacranti quanto per i vescovi appena consacrati.
2. Motivi dello scisma.
La ragion d'essere del movimento si sostanzia nella convinzione che non sia possibile mantenere integra la
fede cattolica adeguandosi all'evoluzione ecclesiale originata dal Concilio Vaticano II: da qui il rigoroso
rifiuto delle espressioni del Magistero e delle forme liturgiche delineate dal Concilio.
L'atteggiamento di mons. Lefebvre nel Concilio si collocò entro l'ala “conservatrice” del collegio episcopale
che, legittimamente e nei limiti di una corretta dialettica, manifestò il proprio sfavore circa alcuni
orientamenti che poi furono approvati1.
Negli anni successivi, il presule espresse opinioni fortemente critiche in ordine alle repentine innovazioni e
1 È stato accertato che Lefebvre, sebbene abbia espresso voto contrario in sede di approvazione di alcuni dei
documenti conciliari, appose la propria firma a ciascuno di essi, dimostrando così di uniformarsi alla volontà
espressa dalla suprema autorità della Chiesa.
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agli abusi manifestatisi nella prassi ecclesiale. Tuttavia, se in un primo momento si limitò a denunciare la
cattiva ricezione delle disposizioni conciliari, in seguito assunse toni sempre più aspri, giungendo a
sconfessare il Concilio in quanto tale.
In estrema sintesi, attraverso il Concilio la Chiesa sarebbe stata contaminata dalle ideologie rovinose che fino
ad allora aveva avversato. In particolare, le statuizioni del Concilio Vaticano II – che pure, secondo Lefebvre,
sarebbero privi di contenuti strettamente dogmatici – avrebbero enunciato dottrine in contrasto con la
perenne Tradizione della Chiesa serbata dal Magistero preconciliare2. Parimenti, comporterebbero
un'insanabile rottura con l'ortodossia della Tradizione le profonde modifiche della liturgia, introdotte nel
Novus Ordo Missae in attuazione delle disposizioni del Concilio: da ciò deriverebbe la necessità di attenersi
alla liturgia “di sempre”, riconosciuta come unica vera liturgia3.
Sulla base di queste convinzioni, Lefebvre perseguì l'intento di conservare l'ortodossia anche a costo di
disubbidire alla “Chiesa di Roma”, in attesa che questa... si ravveda e sconfessi l'operato del Concilio.
Le affermazioni di Lefebvre, inasprendo sempre più, si spinsero fino all'estremo oltraggio nei confronti del
Collegio episcopale e del Pontefice, accusati di aver attuato un vero complotto satanico contro la Chiesa.
3. Cronologia minima.
1970: mons. Lefebvre, vescovo emerito di Tulle, già arcivescovo di Dakar, trasforma la casa di spiritualità di
Econe, in Svizzera, in un vero e proprio seminario, autorizzato dal vescovo di Sion. Il 1° novembre con
decreto del vescovo di Friburgo viene eretta come pia unione di diritto diocesano la Fraternità sacerdotale
internazionale San Pio X, «società di vita comune senza voti sull’esempio delle Società delle Missioni
Estere».
1971: Lefebvre esprime il proprio rifiuto nei confronti della liturgia rinnovata.
1974: il 21 novembre, a seguito di un confronto con alcuni prelati inviati dalla Santa Sede, Lefebvre rende
una dichiarazione in cui prende le distanze dalla Chiesa di Roma, accusata di essersi orientata su posizioni
ereticali.
1975: su autorizzazione della Santa Sede, l'Ordinario di Friburgo sopprime la Fraternità.
2 In particolare, le maggiori contestazioni vertono sugli insegnamenti in materia di Collegio episcopale, di libertà
religiosa, di ecumenismo, di dialogo con i non credenti.
3 Si veda la Dichiarazione pubblica, stilata a Econe il 21 novembre 1974.
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1975: la Santa Sede vieta ai vescovi di incardinare nelle proprie diocesi i sacerdoti di Lefebvre.
1976: La Santa Sede vieta a Lefebvre di procedere a nuove ordinazioni. Alla violazione del divieto consegue
la sospensione a divinis per Lefebvre e per i sacerdoti appena ordinati. Lettera ufficiale di Paolo VI a
Lefebvre (11 ottobre).
1984: la Congregazione per la Dottrina della Fede detta norme che consentono ai Vescovi di autorizzare, in
casi particolari, la celebrazione della Messa secondo il rituale preconciliare (ossia secondo il messale di
Giovanni XXIII del 1962), per l'utilità dei fedeli che si sentano legati alla liturgia tradizionale (c.d. indulto)4.
1988: Dopo un periodo di caute trattative e di relativo riavvicinamento, Lefebvre decide di consacrare alcuni
vescovi autonomamente, senza mandato pontificio. Incurante dell'avvertimento formale e dei ripetuti
interventi della Santa Sede di desistere dall'intento, il 30 giugno Lefebvre, con la partecipazione di mons. De
Castro Mayer, vescovo emerito di Campos, conferisce l'ordine dell'episcopato ai presbiteri Bernard Fellay,
Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Gallareta. È lo scisma: gli sforzi compiuti per
conciliare le posizioni del movimento con il magistero pontificio sono vanificati.
Alla consacrazione consegue la scomunica per tutti i sei vescovi, dichiarata con il motu proprio di Giovanni
Paolo II «Ecclesia Dei» del 1° luglio e ribadita dal decreto della Congregazione per i vescovi dello stesso
giorno. Il motu proprio contiene il solenne avvertimento ai fedeli cattolici che «l'adesione formale allo
scisma costituisce una grave offesa a Dio e comporta la scomunica stabilita dal diritto della Chiesa». È
inoltre confermata l'intenzione della Chiesa di venire incontro alle giuste istanze di quelle comunità che «si
sentono vincolate ad alcune forme liturgiche e disciplinari tradizionali»: in particolare si ribadisce la
possibilità dell'indulto per l'uso del rituale tridentino.
1991: Marcel Lefebvre muore.
2007: Benedetto XVI con il motu proprio «Summorum pontificum» chiarisce che l'introduzione del Novus
Ordo Missae non ha comportato abrogazione del Vetus Ordo, poiché nessuna autorità umana ne avrebbe
avuto il potere.
La riforma liturgica non ha comportato l'introduzione di un nuovo rito, ma piuttosto l'introduzione di una
nuova forma di celebrazione, che assurge a espressione ordinaria del perenne rito latino. Rimanendo
4
Lettera circolare “Quattuor abhinc annos”, 3 ottobre 1984.
3
immutata l'unica lex orandi del rito latino, non può sussistere alcuna rottura della tradizionale lex credendi5.
La forma anteriore di celebrazione, mai soppressa, rimane come forma straordinaria della liturgia.
Il motu proprio amplia notevolmente le possibilità di ricorrere alle forme preconciliari di celebrazione dei
sacramenti e della liturgia delle ore.
2009: Per i poteri concessi dal Sommo Pontefice, con decreto del 21 gennaio la Congregazione dei Vescovi
rimette la scomunica ai vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso
de Gallareta.
4. Situazione giuridica della Fraternità.
Agli aderenti alla Fraternità non pare possibile muovere accuse di eresia, in quanto Lefebvre non è mai
spinto ad affermare precise tesi contrarie a dogmi di fede, ma piuttosto ha ricusato il Concilio nella sua
interezza e i successivi sviluppi ecclesiali.
È invece indubbio il carattere scismatico del movimento: il motu proprio «Ecclesia Dei» ha espressamente
affermato che con le illecite ordinazioni episcopali, in contrasto con la volontà della Santa Sede, gli aderenti
hanno dimostrato di abbandonare la comunione gerarchica con il Sommo Pontefice e con le altre membra
della Chiesa.
Ciò posto, è necessario distinguere nettamente l'esistenza del movimento scismatico dalla commissione del
delitto di scisma da parte dei singoli fedeli, questione che non può risolversi in via generale.
Ai sensi del can. 1364 del codice di diritto canonico, sono rei di scisma solo coloro che allo scisma hanno
aderito formalmente: ossia coloro che, oltre ad aver commesso il peccato di scisma, condividendone
liberamente e coscientemente la sostanza (l'anteporre le idee di Lefebvre all'obbedienza verso il Pontefice),
hanno manifestato esternamente tale adesione6.
Il delitto di scisma, caratterizzato dai due elementi appena indicati, comporta di diritto la scomunica, ossia il
«divieto:
1° di prendere parte in alcun modo come ministro alla celebrazione del Sacrificio dell’Eucaristia o di
qualunque altra cerimonia di culto pubblico;
5 Sono così confutate le tesi di Lefebvre espresse nella citata dichiarazione del 21 novembre 1974.
6 In questi termini si è espresso il Pontificio Consiglio per i testi legislativi in una Nota esplicativa del 24 agosto 1996.
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2° di celebrare sacramenti o sacramentali e di ricevere i sacramenti;
3° di esercitare funzioni in uffici o ministeri o incarichi ecclesiastici qualsiasi, o di porre atti di governo»
(can. 1331 § 1).
La scomunica è una pena “medicinale”, volta a indurre colui che ha commesso il delitto a recedere dalla c.d.
contumacia, cioè a pentirsi sinceramente e offrire congrua riparazione dei danni e dello scandalo procurati, o
almeno promettere seriamente di farlo. Essa permane fino a quando il colpevole receda dalla contumacia;
una volta che ciò avvenga, la censura deve essere rimossa (cann. 1347 e 1358).
Per questo delitto la pena è latae sententiae: vale a dire che il colpevole vi incorre automaticamente, in virtù
della legge stessa, senza la necessità che l'autorità ecclesiastica adotti uno specifico provvedimento di
condanna: quando l'autorità interviene, non fa altro che accertare che il reo soggiace alla pena in forza del
diritto stesso.
In relazione al delitto di scisma, l'unico pronunciamento della Santa Sede ha colpito i vescovi che hanno
compiuto le illecite ordinazioni del 30 giugno 1988 e quelli che in tale occasione hanno ricevuto l'ordine
dell'episcopato: sono incorsi nominalmente nella dichiarazione di scomunica per i delitti di scisma e di
consacrazione episcopale senza mandato pontificio (can. 1382). Nessun altro fedele aderente al movimento è
incorso da una espressa dichiarazione di scomunica, fermo restando che, come detto, la scomunica per il
delitto di scisma opera automaticamente per coloro che abbiano aderito volontariamente e liberamente allo
scisma lefebvriano.
Sul punto, la citata Nota del Pontificio Consiglio per i testi legislativi ha osservato che, in linea di massima,
può ascriversi il delitto di scisma ai sacerdoti e ai diaconi lefebvriani, in quanto l'attività ministeriale da essi
svolta nell'ambito del movimento risulta palese sintomo dell'adesione formale allo scisma. Per quanto
riguarda invece gli altri fedeli, tale adesione formale non può desumersi dalla semplice partecipazione
occasionale ad atti liturgici o ad attività del movimento lefebvriano; l'esistenza del delitto dipende, di volta in
volta, dall'atteggiamento interiore del fedele e dal suo comportamento esterno.
Inoltre, tenuto conto del consolidarsi dello scisma presso alcune comunità di fedeli, deve ricordarsi che lo
scisma non può essere rimproverato a coloro che nascono e sono istruiti nella fede nell'ambito di comunità
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cristiane separate dalla Chiesa cattolica7.
Di conseguenza, la recente rimessione della scomunica dichiarata nel 1988 si è limitata a rimuovere la pena
nei confronti dei quattro vescovi consacrati da Lefebvre. Il Pontefice, «paternamente sensibile al disagio
spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica e fiducioso nell'impegno da loro
espresso [...] di non risparmiare alcuno sforzo per approfondire nei necessari colloqui con le Autorità della
Santa Sede le questioni ancora aperte [...] ha deciso di riconsiderare la situazione canonica dei Vescovi [... ]
sorta con la loro consacrazione episcopale»8.
L'atto della Santa Sede costituisce un gesto di misericordia nei confronti dei quattro vescovi, volto a
consolidare la reciproca fiducia nelle relazioni tra la Fraternità San Pio X e la Sede Apostolica e utile a
promuovere il cammino necessario per superare le divergenze che ostano alla piena comunione della
Fraternità con la Chiesa cattolica.
È appena il caso di osservare che, in relazione a questo gesto di ampio respiro ecclesiale, nessun rilievo
hanno i giudizi personali in materia storica espressi da uno dei presuli interessati.
Restano comunque invariati i rapporti tra la Chiesa cattolica e il movimento lefebvriano, il quale, si
ribadisce, tuttora non è in piena comunione con la Chiesa. Parimenti invariata resta la situazione dei fedeli
legati al movimento. In particolare, tutti i presbiteri e i diaconi ordinati nell'ambito della Fraternità, nonché i
quattro vescovi riammessi nella comunione ecclesiale, rimangono soggetti alla pena della sospensione a
divinis, nella quale sono incorsi per aver ricevuto illegittimamente l'ordine sacro (can. 1383). La Fraternità,
infatti, non gode di alcun riconoscimento nella Chiesa cattolica e i chierici ad essa aderenti, non esclusi i
quattro vescovi sciolti dalla scomunica, non esercitano lecitamente nessun ministero nella Chiesa9.
Sul punto, merita ricordare che nemmeno la suprema autorità della Chiesa può privare di efficacia l'ordine
sacro conferito con piena intenzione: ne consegue che i sacramenti celebrati con retta intenzione dal ministro
sacro validamente ordinato, anche quando sia incorso nel divieto di esercitare la funzione di santificare,
rimangono validi, sebbene siano gravemente illeciti. Conseguentemente, i sacramenti celebrati dai sacerdoti
lefebvriani sono validi ma illeciti; pertanto è sconsigliato ai fedeli cattolici di prendere parte alle loro
celebrazioni, a meno che si trovino nell'impossibilità di adempiere altrimenti ai precetti della Chiesa.
7 Come insegna il decreto del Concilio Vaticano II Unitatis redintegratio (par. 3).
8 Decreto della Congregazione per i vescovi del 21 gennaio 2009.
9 Cfr. la Nota ufficiale della Segreteria di Stato vaticana del 4 febbraio 2009.
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In conclusione, la rimozione della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità è un gesto di grande
significato ecclesiale, ma rappresenta solo la rimozione di un ostacolo al dialogo con il movimento
lefebvriano: la riconciliazione con la Chiesa cattolica non può passare che attraverso il «pieno
riconoscimento del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo
I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI»10.
CARLO MONTALENTI
10 Così la medesima Nota ufficiale.
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