Sindrome midollare centrale post-traumatica: caso clinico

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Sindrome midollare centrale post-traumatica: caso clinico
Chiara Marazzi1, Andrea Nencioni2, Maddalena Ottaviani3, Andrea Orlandini4
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Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza e Urgenza, Università degli Studi di Parma
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Dirigente Medico Dipartimento di Emergenza ASMN Reggio Emilia
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Dirigente Medico Dipartimento di Emergenza ASMN Reggio Emilia
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Dirigente Medico Dipartimento di Emergenza ASMN Reggio Emilia
Abstract
An 80 years old man arrived at the Emergency Department after an accidental fall from a 2-meter-height. In two
hours he developed motor impairment of the upper extremities and urinary retention. An angio-MR showed an
altered signal area of post-traumatic origin in the intersomatic space between C3 and C4. Clinical and instrumental
data led us to the diagnosis of traumatic central spinal cord syndrome (CCS). CCS is the most common incomplete
spinal cord injury (SCI) syndrome, accounting for approximately 9% of traumatic SCIs; it is characterized by
disproportionate impairment (weakness and reduced function) of the upper limbs compared with the lower limbs,
bladder dysfunction and varying degrees of sensory loss at and below the level of lesion. It has a favorable prognosis among the SCIs.
Keywords: spinal cord, traumatic injury, central syndrome, motor impairment
Caso clinico
Il Sig. T.A., di 80 anni, arriva in Pronto Soccorso a seguito di una caduta accidentale da un’altezza di circa due
metri; l’impatto con il terreno è avvenuto in posizione prona, con gli arti superiori abdotti. In PS è vigile e mnesico,
riferendo unicamente cervicalgia da verosimile trauma distorsivo per ipertestensione del rachide cervicale. In valutazione primaria il paziente ha un’emodinamica normale, non emergono problematiche relative alle vie aeree,
respirazione e circolo con un’ECO-FAST che esclude versamento endoperitoneale e pericardico. Non vengono
inizialmente riscontrati deficit neurologici focali e non focali, con un GCS pari a 15/15; al log-roll il rachide
risulta dolorabile in toto. Le comorbilità segnalate sono diabete mellito, cardiopatia ischemica post-infartuale
precedentemente trattata con rivascolarizzazione percutanea, diverticolosi del sigma, esiti di ulcera duodenale e
pregressa colecistectomia per colelitiasi. Il paziente è in terapia con Acido acetilsalicilico 100 mg, bisoprololo,
ipoglicemizzante orale ed ACE-Inibitore.
La radiografia del rachide cervicale consente di esaminare i corpi vertebrali solo fino a C6, escludendo apparentemente lesioni ossee. Viene quindi effettuata una TC del rachide in toto che mostra una frattura dell’apofisi
articolare sinistra della settima vertebra cervicale. La TC encefalo è invece negativa per lesioni acute, come pure
le radiografie di torace, bacino e spalla bilaterale.
In valutazione secondaria, dopo circa 90 minuti dall’arrivo in PS, il paziente riferisce dolore ad entrambi gli arti
superiori con difficoltà alla mobilizzazione attiva; obiettivamente si evidenzia una ridotta escursione dell’articolazione scapolo-omerale bilateralmente e, a distanza di circa 120 minuti dalla prima valutazione, compare un
deficit stenico ingravescente di entrambi gli arti superiori, principalmente mani e braccia. Il collega neurologo e
neurochirurgo consultati in urgenza convergono sull’ipotesi di una lesione bilaterale del plesso brachiale mentre
l’ortopedico non ravvisò lesioni di sua competenza; tuttavia, l’instaurarsi di una franca paresi di entrambi gli arti
superiori, in assenza di deficit sensitivo-motori agli arti inferiori, ed il concomitante riscontro di ritenzione urinaria
verosimilmente da vescica neurologica per il rilievo di globo vescicale, conducono il medico d’urgenza a sospettare piuttosto una sindrome midollare centrale traumatica. Non potendo eseguire una RM midollare in urgenza, il
paziente viene trasferito presso la U.O. di Neurochirurgia-Neurotraumatologia dell’Ospedale Maggiore di Parma.
All’ingresso in reparto vengono segnalati plegia a carico dell’arto superiore di sinistra e paresi all’arto superiore
destro con conservata sensibilità, senza deficit agli arti inferiori. Un’angio-RM cervico-midollare mostra un’area
di alterato segnale, compatibile con edema di natura post-traumatica, in corrispondenza del settore mediano/
paramediano sinistro del midollo spinale all’altezza dello spazio intersomatico C3-C4. Viene quindi confermata la
diagnosi di sindrome centro-midollare traumatica e il paziente viene trattato con infusione continua di desametaItalian Journal of Emergency Medicine - Novembre 2012
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sone per 24 ore. A distanza di una settimana dal trauma, il paziente viene trasferito presso l’Ospedale ASMN di
Reggio Emilia, prima in Medicina Interna e successivamente in Medicina Fisica e Riabilitativa. Entrato in reparto
con marcata ipostenia degli arti superiori, ortesi cervicale e catetere vescicale, nel corso della degenza è stato
possibile rimuovere il catetere con ripresa della minzione spontanea ed assistere ad una graduale ripresa di forza
agli arti superiori. A distanza di 18 giorni dal trauma, una RM cervicale di controllo documenta una iniziale regressione della lesione riscontrata in acuto. Alla dimissione il paziente ha una progressiva ripresa dell’autonomia
funzionale.
L’evidenza
Nel 1954 Richard Schneider scriveva “tra i traumatismi acuti del midollo spinale cervicale, c’è una sindrome che
suggerisce un coinvolgimento della sua porzione centrale. Si caratterizza per una disparità tra un maggior deficit
motorio agli arti superiori rispetto a quelli inferiori, per disfunzione vescicale, spesso con ritenzione urinaria e per
una variabile riduzione di sensibilità al di sotto del livello della lesione” (1).
La sindrome midollare centrale è la più frequente sindrome midollare incompleta post-traumatica, e rappresenta
circa il 9% di tutte le lesioni midollari. L’eziologia più frequentemente descritta è la caduta seguita dagli incidenti
stradali e dai traumi cervicali nei tuffatori. Ha un’incidenza con distribuzione bimodale: sebbene sia di più frequente riscontro nelle persone anziane come conseguenza di una caduta in un preesistente quadro di spondiloartrosi, questa sindrome è spesso riscontrata nel giovane a seguito di traumatismo diretto (traumi della strada o,
appunto, a seguito di tuffi in acque troppo basse).
I meccanismi traumatici principalmente responsabili sono la grave iperestensione del rachide cervicale, le fratture
da compressione delle vertebre cervicali o le fratture associate a lussazione/sublussazione, l’iperflessione del rachide associata a frattura e/o lussazione vertebrale e infine l’erniazione acuta di un disco intervertebrale cervicale
post-traumatica.
Nei pazienti anziani una preesistente spondiloartrosi cervicale è un importante fattore di rischio; in questi soggetti
la dinamica del traumatismo è tipicamente quella di una caduta in avanti con distorsione del rachide cervicale in
iperestensione; in questa situazione il midollo spinale cervicale subisce una compressione tra gli osteofiti, anteriormente, e il legamento giallo, posteriormente. Con questo meccanismo, il sito di maggior danno è la porzione
centrale e inferiore del midollo cervicale (figura 1).
Figura 1. Iperestensione del rachide cervicale in spondiloartrosi
Nei pazienti più giovani, invece, questa sindrome è conseguenza di un trauma maggiore con secondarie frattura
o sublussazione vertebrale (figura 2). Anche traumi a dinamica minore possono condurre a questa sindrome in
pazienti con stenosi del canale vertebrale congenita o acquisita (1-4).
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Figura 2. Un uomo di 33 anni, a seguito di trauma crvicale dopop tuffo in una piscina poco profonda, ha immediatamente sviluppato paresi agli arti superiori con conservata funzionalità degli arti inferiori. La TC del rachide (A)
mostrava una frattura da compressione a carico di C6. La RM del midollo cervicale illustrava la frattura a carico
di C6 con dislocazione all’interno del canale midollare (B) e in aggiunta segnalava aumentato segnale e danno a
carico del legamento posteriore (asterisco), (3).
Clinicamente la sindrome è caratterizzata dalla disparità tra l’importante deficit motorio agli arti superiori rispetto
a quello degli arti inferiori. A questo si associa una perdita di sensibilità variabile al di sotto del livello di lesione
e una disfunzione vescicale con ritenzione urinaria.
Questo quadro sintomatologico così peculiare è dovuto alla distribuzione anatomica delle fibre nervose all’interno
del tratto corticospinale laterale del midollo spinale. Le fibre che conducono gli impulsi motori e sensitivi agli arti
inferiori sono localizzate nella parte più periferica, mentre le fibre con gli impulsi per gli arti superiori e la funzionalità vescicale sono più mediali con le fibre per le dita poste centralmente; le braccia ed in particolare le mani
sono quindi maggiormente colpite rispetto alle gambe (figura 3) (1, 3).
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Figura 3. Sezione del midollo spinale a livello cervicale.
Da un punto di vista fisiopatologico, l’ipoperfusione secondaria a edema perilesionale o la distruzione del midollo
centrale con ematomielia, possono entrambe essere responsabili della sofferenza ischemico/traumatica delle fibre
centrali e determinare quindi la comparsa di tali manifestazioni cliniche. Nel primo caso si assiste ad un graduale
recupero delle funzioni perse, mentre nel secondo può esserci estensione del danno in senso craniale o caudale
con successiva progressione dei sintomi fino alla tetraplegia completa e/o all’exitus (1, 3).
La valutazione del paziente include anamnesi ed esame obiettivo neurologico, essendo fondamentali un alto indice di sospetto e la valorizzazione degli aspetti clinici per formulare una corretta ipotesi diagnostica. La radiografia
del rachide cervicale può evidenziare fratture e/o lussazioni e la presenza di alterazioni osteofitiche. Può essere
utile una radiografia dinamica in flesso-estensione per la valutazione della stabilità del legamento giallo, tale
esame risulta tuttavia di scarsa utilità/praticità in urgenza. E’ da sottolineare che, nella maggior parte dei casi, la
radiografia del rachide cervicale risulta negativa per lesione ossee, per cui occorre sempre sospettare una sindrome midollare centrale nei pazienti che presentino deficit neurologici a carico degli arti superiori a seguito di un
trauma facciale o cranico in cui sia coinvolto un meccanismo di iperestensione del rachide cervicale, nonostante
la negatività dell’esame radiologico. La TC del rachide può fornire ulteriori informazioni morfo-strutturali sui somi
e sul canale vertebrale, ma è la RM l’indagine di scelta per studiare le lesioni midollari (3, 4, 5).
Nella maggior parte dei casi, la sintomatologia dei pazienti con sindrome midollare centrale migliora con il solo
trattamento conservativo (1-4). In tutti i casi sono necessari il ricovero in una struttura ospedaliera fornita di un reparto neurochirurgico e l’immobilizzazione del rachide cervicale con collare cervicale per prevenire e limitare possibili ulteriori danni. L’utilità della terapia corticosteroidea è controversa e dibattuta. Per anni si è ritenuta efficace
la somministrazione di metilprednisolone ad alto dosaggio nel favorire il recupero neurologico nei traumi midollari
acuti. Per alto dosaggio si intende quello superiore ai 15 mg/Kg o pari ad 1 gr, somministrato per via endovenosa
in un unica dose o ripetuto per un massimo di tre giorni consecutivi. La terapia dovrebbe essere iniziata entro 8
ore dal trauma con un bolo iniziale di 30 mg/Kg per via endovenosa in 15 minuti, seguito, 45 minuti dopo, da
infusione continua di 5.4 mg/Kg/ora per le successive 24 ore. Qualora il bolo iniziale venga somministrato tra le
3 e le 8 ore dal trauma, sono stati dimostrati ulteriori miglioramenti prolungando l’infusione per 48 ore. Tuttavia,
come riportato dall’ultima edizione dell’Advanced Trauma Life Support, non sono attualmente disponibili evidenze
scientifiche che supportino la reale efficacia dell’uso di cortisonici nel trauma midollare, per cui attualmente non
esiste una linea di condotta terapeutica univoca (5-7).
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Il collare deve essere mantenuto per circa 6 settimane dal momento del trauma, o comunque fino a quando non
si assista ad un recupero funzionale anche parziale, iniziando precocemente un programma di riabilitazione
motoria e funzionale del paziente.
L’intervento chirurgico è generalmente riservato ai pazienti con sintomatologia ingravescente o che non si risolve
con il solo trattamento conservativo, oppure in quelle situazioni in cui vi sia una grave compressione del midollo
spinale secondaria a frattura/lussazione vertebrale o ad erniazione discale (1-4).
La sindrome midollare centrale ha una prognosi quoad valetudinem generalmente favorevole e comunque migliore
rispetto a quella delle altre lesioni incomplete del midollo spinale. La maggior parte dei pazienti va incontro a
un recupero spontaneo della funzione motoria, e i rimanenti hanno un recupero considerevole entro le prime sei
settimane dal trauma.
Tuttavia condizionano la prognosi fattori come l’età avanzata, la comorbilità, il meccanismo e l’estensione del
danno, la precocità di intervento e di trattamento. Se la causa del deficit è l’edema, il recupero può essere relativamente precoce, se la lesione centrale è causata da emorragia o ischemia, allora il recupero è meno probabile
e la prognosi meno favorevole (1-4).
Il recupero funzionale inizia solitamente dagli arti inferiori, se questi presentavano inizialmente un deficit motorio,
seguito dal recupero della continenza sfinterica vescicale e della funzionalità motoria degli arti superiori, terminando con il recupero dei movimenti fini delle dita, che spesso non è completo. Il recupero della sensibilità è invece
indipendente e non segue uno schema definito (1).
La pratica
Il caso clinico oggetto del presente articolo è suggestivo per la quotidiana difficoltà nel riconoscere la Sindrome
Midollare Centrale. Ciò è dovuto principalmente ad alcuni fattori clinici ed organizzativi.
Da un lato, la presentazione clinica della sindrome, con iniziale scarso coinvolgimento neurologico, e dall’altro
un’anamnesi non sempre indicativa di un tipo di trauma rachideo suggestivo, sfavoriscono un procedimento clinico
diagnostico mirato.
Nel caso presentato, il paziente non fu in grado di raccontare con dettaglio la dinamica dell’accaduto, indirizzando inizialmente il medico di PS a indagare una compromissione di natura ortopedica degli arti superiori.
D’altro canto, i consulenti ortopedico, neurologo e neurochirurgo, chiamati in regime di consulenza urgente, tendevano a concentrare l’attenzione su aspetti periferici (doppia lesione di plesso, stiramento delle radici nervose
spinali cervicali). Nel contempo, l’effettuazione dell’unico esame realmente dirimente ed in grado di formulare una
diagnosi precisa, l’angio-RMN, non era disponibile in emergenza.
Ciò che, di fatto, ha suggerito di proseguire nel percorso diagnostico delle sindromi midollari incomplete, è stata la
progressione rapida del deficit stenico agli arti superiori, associata alla comparsa di “globo vescicale” evidenziato
ecograficamente. Solo con il rapido deterioramento del quadro neurologico è stata presa in considerazione l’ipotesi di organizzare un trasferimento immediato in un nosocomio in grado di eseguire immediatamente un’angio-RM
del rachide in toto e quindi di arrivare, in tempi accettabili, alla diagnosi definitiva di Sindrome Midollare Centrale.
Bibliografia
1. Schneider RC, Cherry G, Pantek H. The syndrome of acute central cervical spinal cord injury; with special reference
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2. McKinley W, Santos K, Meade M, Brooke K. Incidence and outcomes of spinal cord injury clinical syndromes. J
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3. Harrop, James S; Ashwini Sharan, Jonathon Ratliff. Central cord injury: pathophysiology, management and outcomes. The Spine Journal 2006; 6 (6 Suppl. 1): 198S–206S.
4. Yadla, S.; Klimo, J.; Harrop, J.S.. Traumatic Central Cord Syndrome: Etiology, Management, and Outcomes. Topics
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5. Advanced Trauma Life Support, VIII edizione.
6. Sayer FT, Kronvall E, Nilsson OG. Methylprednisolone treatment in acute spinal cord injury: the myth challenged
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7. Steroids for acute spinal cord injury (Review) Copyright © 2009 The Cochrane Collaboration. Published by JohnWiley & Sons, Ltd.
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Commento
a cura di Isabella Di Zio
Nonostante una maggiore consapevolezza del potenziale di lesione spinale, il mancato riconoscimento di una lesione del midollo spinale in emergenza sembra essere in aumento. La Sindrome Midollare Centrale post-traumatica
ha un’incidenza di circa il 9% nei traumi del rachide cervicale e la morbidità e la mortalità sono associate ad alcuni fattori, tra cui l’età (1) e pregresse alterazioni del rachide cervicale come stenosi del canale spinale e spondilosi
o ossificazione del legamento longitudinale posteriore (2). Gli obiettivi della diagnosi precoce sono il trattamento
delle minacce immediate per la vita, non danneggiare ulteriormente il paziente e il fattore tempo.
L’ approccio clinico-terapeutico effettuato in questo caso clinico è stato sistemico e asciutto, attraverso una analisi
in toto del paziente e l’esecuzione di una serie di azioni step by step, corrette dal punto di vista temporale e metodologico, secondo quanto previsto dall’ATLS.
Il medico di Pronto Soccorso osserva il paziente, lo valuta in fase primaria stabilizzandolo e monitorandolo costantemente, per poi passare alla valutazione secondaria e quindi al trattamento definitivo.
Durante la valutazione secondaria, dopo circa 90’ dall’arrivo del paziente, ci si accorge dell’insorgenza tardiva
di una Disability; per cui il Medico di PS attiva prontamente i colleghi previsti dal team multidisciplinare del trauma
e insieme a loro propone diagnosi ragionate da perseguire o escludere. Certo la diagnosi non è immediatamente
riconoscibile, né semplice da sospettare; fondamentali risultano una anamnesi approfondita sulle circostanze
dell’evento, la rivalutazione continua dei segni e sintomi del paziente e la pervicacia nella ricerca della causa.
Un buon medico di PS deve conoscere anche l’organizzazione delle strutture ospedaliere della regione in cui
lavora, sapere le risorse disponibili e la loro dislocazione all’interno della rete Hub & Spoke e indirizzare correttamente e prontamente il paziente verso il centro più adatto sia da un punto di vista diagnostico che terapeutico
come bene viene eseguito in questo caso clinico.
Una ulteriore difficoltà è sicuramente rappresentata dall’età del paziente: il paziente anziano è un paziente “difficile” in Pronto Soccorso. È un paziente con cui non è semplice raccogliere l’anamnesi, spesso è sordo o pudico
e restio nell’affidarsi al medico prima di instaurare con lui un rapporto empatico. Inoltre presenta un alto livello di
comorbidità e spesso i numerosi farmaci che assume influenzano il risultato del trattamento.
Questo caso clinico mette bene in evidenza la centralità della figura del medico di PS, che resta sempre e comunque il team leader nella gestione corretta di un trauma.
TAKE HOME MESSAGE del caso clinico:
• la Sindrome midollare centrale post-traumatica va sospettata in tutti I pazienti con trauma rachideo diretto o
indiretto che presentano dei sintomi neurologici.
• il medico di PS è il team leader nella corretta gestione clinica e manageriale dei pazienti con sindrome midollare centrale post-traumatica.
• il paziente anziano traumatizzato è un paziente fragile.
Bibliografia
1. ”The Mortality Inflection Point for Age and Acute Cervical Spinal Cord Injury” Martin, Niels D.; Marks, Joshua A.;
Donohue, Joshua; Giordano, Carolyn; Cohen, Murray J.; Weinstein, Michael S. Journal of Trauma-Injury Infection &
Critical Care. 71(2):380-386, August 2011.
2. ”Cervical Spinal Cord Injury Without Bony Injury: A Multicenter Retrospective Study of Emergency and Critical Care
Centers in Japan” Kato, Hiroshi; Kimura, Akio; Sasaki, Ryo; Kaneko, Naoyuki; Takeda, Munekazu; Hagiwara,
Akiyoshi; Ogura, Shinji; Mizoguchi, Takashi; Matsuoka, Tetsuya; Ono, Hidehumi; Matsuura, Kenji; Matsushima, Kazuhide; Kushimoto, Shigeki; Fuse, Akira; Nakatani, Toshio; Iwase, Masaaki; Fudoji, Junmei; Kasai, Takeshi Journal
of Trauma-Injury Infection & Critical Care. 65(2):373-379, August 2008.
Italian Journal of Emergency Medicine - Novembre 2012
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