BOLZANO La proposizione in sé è il puro significato logico della

BOLZANO
La proposizione in sé è il puro significato logico della proposizione, indipendentemente dall’essere vero o
falso, espresso o non espresso in parole e pensato o non pensato da qualcuno (es.: nel caso di un triangolo
il fatto che sia una figura che ha tre lati è la proposizione in sé, valida anche se non è conosciuta o
esplicitata, platonicamente nel suo essere in sé). La rappresentazione in sé è l’oggetto della
rappresentazione soggettiva, è la materia delle nostre rappresentazioni soggettive, che possono avvenire o
no, è la rappresentazione della realtà (es.: la rappresentazione di tre sedie esiste a prescindere dall’essere
conosciuta o no). Le verità in sé sono tutte le proposizioni valide sia che vengano pensate o non pensate e
ne fanno parte anche tutte le verità che non sono ancora state scoperte o espresse. Il piano di Bolzano,
chiamato anche piano di inseità, sostiene l’esistenza di una serie di contenuti che hanno valore in quanto
tali (anche a prescindere dall’esser veri o no); l’essere in sé di cui parla Bolzano indica che questi contenuti
sono indipendenti dalle condizioni soggettive del conoscere,cioè dalla modalità del loro processo
conoscitivo, infatti essi prescindono dalla relazione col soggetto (es.:ci sono diversi modi per imparare che
2+2=4 però questa è una verità in sé e una proposizione in sé è sempre valida).
«La “Wissenschaftlehre” di Bernhard Bolzano (1781-1848), filosofo e matematico austriaco, fino al 1819
insegnante di filosofia della religione presso l’Università di Praga, fu pubblicato a Sulzbach nel 1837. Si
componeva di quattro volumi, e aveva per sottotitolo “Tentativo di un’esauriente e in gran parte nuova
esposizione della logica, con costante riferimento agli autori che ne hanno trattato finora”. Dal punto di
vista del contenuto era un’opera eterogenea, nella quale la nozione di logica veniva impiegata per
designare lo studio delle “regole secondo le quali dobbiamo procedere nel dividere l’intero dominio della
verità in scienze singole, e nell’esposizione di esse in specifici trattati.”. In essa, tuttavia, l’autore rivela uno
straordinario interesse per tutti gli aspetti formali dl ragionamento, riuscendo a definire concetti come
quelli di validità, consistenza, derivabilità, dimostrabilità che avrebbero poi avuto una parte rilevante nei
successivi sviluppi della logica simbolica. Nei confronti del kantismo l’opera di Bolzano costituiva un
tentativo consapevole di tener conto della tradizione “pre-critica”, cercando di utilizzare soprattutto il
patrimonio della filosofia leibniziana e, in particolare, quello della logica tardo-scolastica. Lungi dal
costituire una “regressione” sul piano dei risultati scientifici, questo rifarsi indietro di Bolzano è una delle
condizioni essenziali dei suoi originali contributi alla logica formale: quando ancora gli scritti logici di Leibniz
non erano stati pubblicati, Bolzano sembra essere stato uno dei pochissimi logici dell’Ottocento a intuire
l’importanza delle concezioni leibniziane.
Un concetto fondamentale nella teoria logica elaborata nella “Wissenschaftslehre” è costituito dalla
nozione di “proposizione in sé”. Tale proposizione, che secondo Bolzano era già adombrata ne “Dialogus de
connexione inter res et verba” di Leibniz e nel libro IV dei “Noveaux essais” (entrambi comparsi nella
raccolta pubblicata da Heinrich von Raspe nel 1765), si fonda essenzialmente sulla possibilità di distinguere
in qualche modo le diverse espressioni linguistiche mediante le quali è comunicato un pensiero dal
“contenuto concettuale” che esse esprimono. Tale contenuto concettuale consta di unità minime, i singoli
concetti individuali, e di strutture più complesse, cioè di due concetti individuali connessi da una copula. La
denominazione di “proposizione in sé” spetta propriamente soltanto a quest’ultime strutture: soltanto
esse sono infatti “proposizioni”, potendosi stabilire al loro riguardo se siano vere o no. I singoli concetti
individuali componenti le proposizioni in sé sono chiamati da Bolzano “idee in sé”; e come le proposizioni
vengono distinte dalle loro enunciazioni linguistiche, così le “idee in sé” devono essere distinte dalle
rispettive rappresentazioni psicologiche. D’altra parte le “proposizioni in sé” non sono contenuti concettuali
in quanto vengono pensate: esse sono indipendenti dall’atto soggettivo di pensiero che le evoca; in senso
proprio non esistono neppure, se ciò significa attribuire ad esse un’esistenza nello spazio e nel tempo. Al di
fuori del tempo le “idee in sé” sembrano avere qualcosa in comune con le idee platoniche, ma hanno
contorni meno definiti di quest’ultime. La distinzione tra contenuti concettuali in sé (idee e proposizioni) da
un lato e concezioni soggettive di essi dall’altro è piuttosto frequente nei testi logici della tarda Scolastica, e
non è affatto da escludere che Bolzano sia giunto ad essa sotto l’influenza, oltre che di Leibniz, di autori
appartenenti alla tarda Scolastica.
BRENTANO
è un filosofo tedesco, la cui opera più importante è la Psicologia dal punto di vista empirico (1874), in cui
recuperò il concetto medievale degli scolastici di intenzionalità per proporre una teoria della coscienza,
secondo cui i nostri fenomeni psichici consistono nel fatto che quando la nostra coscienza si rapporta
all’oggetto è come se lanciasse un ponte, una linea di contatto verso l’oggetto, come se attivasse una
polarità: in ciò consiste l’intenzionalità, che è il carattere dei nostri fenomeni mentali. L’atto di
intenzionalità è il modo di funzionare del soggetto (visto come correlazione con l’oggetto attraverso
l’intenzionalità), il quale si rapporta all’oggetto, che è immanente, in modo attivo stabilendo un contatto.
Esistono diversi tipi di intenzionalità: la rappresentazione, il giudizio ed il sentimento:
nella rappresentazione l’oggetto è semplicemente presente;
nel giudizio viene affermato o negato ;
nel sentimento viene amato o odiato; Gli ultimi due si basano sulla rappresentazione perché per
averli bisogna prima rappresentarseli (es.:nulla può essere amato senza essere rappresentato).
L’innovazione, e la rielaborazione del significato di intenzionalità in Brentano, fu appunto quella di
considerare gli atti psichici non come oggetti ma come “atti con i quali la coscienza entra in relazione con
gli oggetti ”, mettendo così in luce il rapporto tra soggetto e oggetto, inteso come la tensione che il
soggetto ha verso l’oggetto.
Una prima riflessione sul concetto di intenzionalità la si trova in Brentano già nel suo primo libro “Sul
molteplice significato dell’essere in Aristotele” quando si sofferma sulla distinzione aristotelica tra essere in
senso proprio e essere nel senso della verità; qui inizia a riflettere particolarmente sul concetto di
intenzionalità: ovvero sul nostro modo (inteso, della nostra soggettività) di rapportarci le cose reali
(oggetti).In questo modo rompeva con una certa tradizione (Cartesio-Locke-Hobbes) che vede il mondo
della coscienza come una sorta di scatola, una dimensione che riceve soltanto oggetti dal mondo esterno e
che è prodotto solo di questi impulsi. Il rapporto tra coscienza e la realtà bisogna pensarlo partendo dal
presupposto che la coscienza si “intenziona”, si riferisce sempre a qualcosa.
Appunto, rileggere e ripensare il rapporto tra soggettoe oggetto partendo dalla tensione che l’oggetto ha
verso il soggetto: tutti i fenomeni psichici sono coscienza di qualcosa ( sono cioè intenzionali) ed è questa è
la vera discriminante che ci permettere di distingurere i fenomeni psichici da quelli fisici. L’intenzionalità
pertanto,sempre per Brentano, caratterizza tutti gli atti psichici ed è – solo questa- la vera differenza che
intercorre tra atti psichici e atti fisici.
Gli oggetti conosciuti, cioè rappresentati dalla nostra soggettività sono quindi realtà intenzionali. Inesistenti, nel duplice significato di “esistenti all’interno” e di “non esistenti ”.
Prima di esplicare meglio l’eredità che Husserl ha acquisito da Brentano e quindi sul successivo
“superamento” è importante disegnare quadro generale che fa da sfondo all’impostazione Husseliana
delle Ricerche logiche.
Il problema chiava, del nostro discorso, è quello di riuscire a giustificare la realtà che percepiamo; che cos’è
dunque la realtà e che rapporto intercorre tra la realtà e il nostro modo di percepirlo?
Lo sfondo su cui si stagliano queste riflessione è il paradigma cartesiano.
Come Cartesio, Husserl giustifica la realtà partendo dall’evidenza della coscienza(soggettività) e da qui poi
muove alcune critiche al maestro Brentano, accusato di essere uno psicologista: non è vero che il carattere
esterno dell’ente è solo interno al fenonomeno intenzionale della coscienza; il fenomeno è solo
parzialmente interno alla coscienza.
Come si evidenzia già dal quinto capito delle ricerche logiche, quando si critica la definizione di Brenatono
di intenzionalità offrendone una nuova chiave interpetativa, i punti di contatto tra allievo e maestro
riguardano proprio l’intenzionalità ed è da questo contronto scontro che poi Husserl sviluppa l’idea del
metodo fenomenologico.
Detto brevemente:
Prima, per Husserl l’intenzionalità non caratterizza tutti i fenomeni psichici e quindi non è la -veradiscriminante tra oggetti psichici e oggetti fisici. È piuttosto “carattere apriori dell’essenza fenomenologica
della coscienza.”
Poi, come accennato in precedenza, Husserl si allontana dall’idealismo e psicologismo di Brentano,
opponendosi alla sua tesi di irriducibilità (l’oggetto è immanente all’intenzionalità in quanto
rappresentazione psichica dell’oggetto reale), Afferma che, come abbiamo già messo in rilievo, solo una
parte dei fenomeni è interni alla coscienza. La realtà è,pertanto, trascendente, cioè più ricca del nostro
modo di percepirla,
Il tentativo speculativo di Husserl è quindi quello non soffermarsi “sulle cose” che percepiamo, ma invece
sul nostro modo di percepirle , sul loro modo di darsi.
In seguito partiremo proprio da qui, per spiegare come Husserl nell’intenzionalità distingue tra una parte
reale, soggettiva, (noesi) e una ideale (noema).