Evoluzione architettonica delle piramidi Fu il faraone Snefru della IV dinastia egizia a volere quel cambiamento nell’architettura delle piramidi che portò poi alla costruzione della Grande Piramide di Cheope. Piramide Saqqara a gradoni a La prima piramide della storia fu costruita nel 2650 a. C. (circa) a Saqqara, la necropoli vicina a Menfi, grazie al celebre architetto Imhotep, per il primo faraone della III dinastia, Djoser. La funzione della piramide era quella di ospitare il faraone defunto e facilitare, con la sua forma, l’ascesa del suo spirito verso gli dei; successivamente divenne anche simbolo del potere del faraone. La piramide di Djoser fu costruita a gradoni, evocando le scale che lo spirito del faraone saliva per ascendere al cielo; per la prima volta fu completamente in pietra, garanzia di eternità ad edifici che, in precedenza, erano costruiti in adobe e per questo scomparivano nel giro di breve tempo. La piramide a gradoni di Saqqara raggiunse i 60 metri di altezza. Piramide di Snefru a Meidum Nel 2575 a. C. (circa), Snefru, primo faraone della IV dinastia, decise la costruzione del suo monumento funerario nella necropoli di Meidum; inizialmente fu eretta come una piramide a gradoni, ma poi ci ripensò e fu trasformata in una piramide a facce piane, aggiungendo strati di muratura che però in parte crollarono; per questa ragione, oggi possiamo, scorgere alcuni degli antichi gradoni. La scelta di costruire piramidi con le facciate lisce non fu casuale, bensì dettata dall’integrazione della funzione funeraria a quella dell’espressione del potere; con le sue facce piane che risplendevano grazie al rivestimento in pietra calcarea, i colossali edifici che volgevano la loro punta verso il cielo, potevano essere visti da lontano e diventavano perfetti punti di riferimento geografici e manifestazione del potere dello spirito e del dominio del faraone. Piramide romboidale Snefru a Dahshur di Qualche anno dopo (circa 2570 a.C.), non soddisfatto della sua prima piramide, Snefru ordina la costruzione di due piramidi a Dahshur, a 45 chilometri a nord di Meidum: la piramide romboidale, le cui facce sono a doppia pendenza, e la piramide rossa, a facce piane, considerata quasi perfetta. La maggior parte degli studiosi è propensa a pensare che la forma romboidale sia dovuta ad un problema tecnico che richiese la modifica della pendenza in corso d’opera; a partire dai 47 metri di altezza, la pendenza delle facce della piramide fu ridotta a 43°, conferendo così al monumento l’originale aspetto romboidale. La piramide rossa venne, poi, costruita con un’inclinazione minore (43° contro 54°) e con una base maggiore (220 m, contro 188), ma con la stessa altezza (105 m). La piramide rossa fu costruita due chilometri a nord dalla romboidale, sempre a Dahshur. Piramide rossa di Snefru a Dahshur Il successore di Snefru fu il figlio Cheope che trasse insegnamento dall’esperienza tecnica ed architettonica delle tre piramidi del padre. Cheope (2550 a.C. circa) ordinò la costruzione della Grande Piramide sull’altopiano di Giza, la più imponente delle piramidi egizie e la prima piramide perfetta a facce lisce. La Grande Piramide ha un’inclinazione di 51° con una base di 230 m ed un’altezza di 147. Grande Piramide di Cheope a Giza Il complesso architettonico delle piramidi di Snefru a Dahshur si trova su un’area di circa 5 chilometri per 3 e mette in luce l’evoluzione architettonica delle piramidi, una sorta di anello di congiunzione tra le prime piramidi a gradoni (Djoser) e quelle più note a facce lisce (Cheope, Chefren). Piramidi egizie, mappa dei siti Per conoscere di più della meravigliosa e antica civiltà egizia, oltre ad andare in Egitto ad ammirare le piramidi dal vivo, vi consiglio in Italia la visita del Museo Egizio di Torino e la mostra temporanea (fino al 17 luglio 2016) di Bologna. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 86 P. Janosi, Le piramidi, Bologna, Il Mulino, 2006 F. Cimmino, Storia delle piramidi, Milano, Rusconi, 1996 A. Erman, Il mondo del Nilo. Civiltà e religione dell’antico Egitto, Roma-Bari, Laterza, 1982 Patrioti italiani per l’Unità d’Italia L’Unità d’Italia risale al 1861, ma fu il frutto di una lunga battaglia di idee e di valori che trovò nella Patria un ideale condiviso, ma duramente ostacolato; promotori di quell’ideale di unità e libertà dal dominio straniero furono patrioti del calibro di Ugo Foscolo, Silvio Pellico, Piero Maroncelli, Federico Confalonieri, Melchiorre Gioia. Ugo Foscolo ritratto in un Ugo Foscolo (1778-1827) fu un poeta e scrittore militante; sostenne l’avanzata di Napoleone e la liberazione di Venezia dall’oligarchia dei dogi (l’ultimo doge fu Lodovico Manin), dedicandogli la famosa ode A Bonaparte liberatore, ma non esitò a criticarlo con l’Orazione a Bonaparte, quando si rese conto di avere di fronte un nuovo imperialista. Combatté contro gli austriaci, a fianco dei francesi, per poi andare esule in Inghilterra per non stare con gli austriaci, dopo la rottura con i francesi. Silvio Pellico in un ritratto Silvio Pellico (1789-1854), anch’egli poeta e scrittore militante, divenne amico e collaboratore di Ugo Foscolo; fu arrestato dagli austriaci e rinchiuso nel carcere asburgico della Fortezza di Spielberg a Brno, nell’attuale Repubblica Ceca, dove scrisse Le mie prigioni, opera di grande importanza per il movimento risorgimentale. Nella fortezza di Spielberg vennero incarcerati diversi prigionieri politici, tra i quali numerosi patrioti italiani. Piero Maroncelli (1795-1846) vi trascorse dieci anni; Maroncelli fu compositore e scrittore militante; la sua adesione alla Carboneria gli costò la detenzione prima a Forlì, poi a Castel Sant’Angelo di Roma e infine nella fortezza di Spielberg, insieme a Silvio Pellico. Melchiorre Gioia in un ritratto Melchiorre Gioia (1767-1829) fu economista ed intellettuale; collaborò con Ugo Foscolo alla rivista Il Monitore italiano e subì il carcere e l’arresto per Carboneria. La Carboneria era una società segreta rivoluzionaria italiana, basata su valori patriottici e liberali. Federico Confalonieri ritratto in un Federico Confalonieri (1785-1846) era un nobile, ma sostenne la causa dell’Italia unita, aderendo alla Carboneria; quella scelta di valore, nonostante la provenienza da famiglia filoasburgica, gli procurò l’arresto e l’incarcerazione nella Fortezza di Spielberg. Fortezza dello Spielberg dove furono incarcerati diversi patrioti italiani Quando sono andata a Cracovia, in Polonia, di strada facemmo tappa a Brno, ebbi così l’occasione di vedere – da basso – la Fortezza di Spielberg: è una fortezza abbarbicata su un monte che emerge austero in una pianura e racconta, solo a guardarla, l’isolamento nel quale tanti prigionieri politici dovettero misurare la loro forza ed il loro coraggio nella lotta per l’indipendenza. Quella fortezza, anziché piegarli, li rese più tenaci e li ispirò maggiormente, almeno quelli che ho citato; i loro versi immortali ne sono testimonianza. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 85 C. E. Gadda, Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, Milano, Garzanti, 1967 D. G. Chandler, Le campagne di Napoleone, Milano, Rizzoli, 2006 Gli Inca Gli inca furono un popolo che seppe costruire, nell’altopiano andino, una delle maggiori civiltà precolombiane su un territorio montuoso che si allungava per oltre 4000 chilometri, da nord a sud, lungo la Cordigliera delle Ande. Organizzati e inclusivi, gli Inca seppero mantenere il controllo su circa duecento popoli ed etnie sparsi sul territorio, favorendo così il consolidamento e l’espansione dell’impero. L’impero inca al massimo della sua espansione L’impero Inca, nel periodo della sua massima espansione, si estendeva dal sud dell’attuale Colombia fino al centro del Cile e occupava gran parte dei territori andini di Perù, Bolivia ed Argentina del Nord. L’impero Inca pose le sue basi nel 1200, grazie al leggendario Manco Capac, fondatore di Cuzco, la capitale dell’impero; a Manco Capac succedettero sette re che espansero il dominio Inca che raggiunge il suo apice o massimo splendore con la salita al trono di Pachacuti, nel 1438. L’arrivo dei conquistatori spagnoli nel 1532 segnò il declino dell’impero e molte architetture inca furono distrutte dagli spagnoli di Pizarro che edificarono le loro costruzioni sulle rovine inca, come a Cuzco, ma ad esclusione di Machu Picchu che rimase a loro sconosciuta. Sito archeologico di Machu Picchu L’antica città di Machu Picchu sorge vicino alla valle del fiume Urubamba, sacro agli Inca, all’interno di un maestoso paesaggio montano, su una serie di terrazzamenti, in cima a un ripido colle, ai piedi del monte Huayana Picchu, ad un’altitudine di 2438 metri. La città venne costruita intorno al 1450, durante il regno di Pachacuti ed era una proprietà reale con palazzi, edifici religiosi e abitazioni. Gli spagnoli dominarono il Perù per quasi tre secoli, ma non scoprirono mai Macchu Picchu, e non ne conobbero nemmeno l’esistenza, meno male, perché così possiamo ammirare le sue rovine, le meglio conservate dell’America del Sud. Inca supremo e consorte in viaggio Il capo politico degli Inca, il sapa inca, dominava circa duecento popoli ed etnie, per un totale di più di dodici milioni di abitanti che parlavano venti lingue diverse. Due furono i punti di forza che permisero agli Inca di governare, senza troppi problemi, fino all’arrivo degli spagnoli nel XVI secolo: la centralizzazione amministrativa con sistema postale e l’integrazione etnica. La rete stradale dell’Impero Inca La centralizzazione amministrativa. Una delle caratteristiche più notevoli dell’impero Inca fu la capacità dimostrata dall’élite dirigente di mantenere il controllo sugli immensi territori dalla capitale Cuzco. Come? Con una rete che si estendeva per più di 40.000 chilometri tra vie, scalinate e ponti, che permetteva il trasporto a piedi di messaggi e merci attraverso veloci messaggeri (chaski o chasqui) organizzati in staffette; erano previste stazioni di servizio, piccoli rifugi sul lato del sentiero destinati al riposo dei chasqui; il sistema permetteva di coprire fino a quattrocento chilometri in un giorno. Gli Inca avevano un sofisticato sistema per trasmettere informazioni, sotto forma di cordicelle annodate (quipu) secondo un linguaggio simbolico condiviso. Un Chaski, messaggero inca L’integrazione etnica fu un altro elemento di consolidamento dell’impero. Si deve considerare che faceva parte dell’impero inca un territorio molto vasto e frammentato con circa duecento popoli, tribù ed etnie diverse, per un totale di dodici milioni di abitanti che parlavano venti lingue diverse. Gli Inca consentirono ai vinti di conservare la propria lingua, cultura ed i propri governanti. Tipologia di costruzione muraria inca a Cuzco La capitale dell’impero Inca era Cuzco, residenza del sovrano e sede del Tempio del Sole; la lingua delle classi dominanti era il quechua, ancora oggi parlata da milioni di persone in Perù ed Ecuador. Ancora oggi i discendenti degli Inca celebrano Inti, il dio Sole, con la festa di Inti Raymi, a Sacsayhuaman – una fortezza cerimoniale situata a due chilometri a nord di Cuzco – il 24 giugno. Rappresentazione di una antica festa di celebrazione del Dio Sole, Inti Raymi Il complesso storico-religioso di Machu Picchu è Patrimonio dell’Umanità Unesco; Cuzco, l’antica capitale dell’impero inca, è Patrimonio dell’Umanità Unesco. Tessuto inca con i tipici disegni geometrici Periodo migliore per visitare Machu Picchu e Cuzco è la stagione secca che va da maggio ad ottobre, con molte giornate di sole, mentre la stagione da evitare perché molto piovosa va da dicembre a marzo. Cinzia Malaguti Bibliografia: National Geographic, Patrimonio dell’Umanità, Milano, RBA, 2015 Storica NG nr. 85 A. Métraux, Gli inca, Torino, Einaudi, 1998 V. W. von Hagen, La grande strada del Sole, Torino, Einaudi, 2003 Il trionfo in Giulio Cesare Gallia di Il trionfo in Gallia espanse i domini di Roma e, soprattutto, fece crescere il potere personale di Giulio Cesare, console e dittatore romano, considerato uno dei personaggi più importanti ed influenti della storia. Avete sicuramente memoria, per averlo letto nei libri di scuola, di un certo Vercingetorige (il nome è indimenticabile!). Il periodo storico è il 52 a.C. e Vercingetorige era un valoroso combattente gallico che si ribellò al dominio di Roma, ma perse di fronte alla efficace leadership ed alla migliore preparazione tecnica e tattica delle legioni romane guidate da Giulio Cesare. La Gallia e le sue tribù agli inizi del 58 a.C. La Gallia corrisponde alle attuali Francia e Belgio ed era un territorio abitato da almeno quaranta popoli diversi e, per la fortuna dei romani, anche divisi. Busto di Giulio Cesare Giulio Cesare in Gallia non subì mai sconfitte clamorose, da una parte perché non dovette mai combattere i Galli in blocco, tanto erano divisi, dall’altra perché le truppe romane erano più preparate tatticamente e tecnicamente. Giulio Cesare seppe motivare il suo esercito e muoverlo con grande rapidità, dandogli un vantaggio sugli avversari, ma ebbe la fortuna di trovare sul suo cammino un popolo diviso, pur valoroso, e dei soldati romani ben addestrati e disciplinati. Anche la superiorità tecnologica ebbe un ruolo determinante per la vittoria finale dei romani. Schema delle fortificazioni costruite da Cesare ad Alesia L’ultimo bastione della difesa gallica fu la cittadella fortificata di Alesia, oggi identificata presso la località di Alise-Sainte-Reine, in Borgogna, dove Vercingetorige ed il suo esercito si erano rifugiati. Interessante la tattica di accerchiamento utilizzata dai romani. La cittadella di Alesia venne accerchiata con una circonvallazione di 16 chilometri costituita da una muraglia con torri ogni 25 metri e protetta da due fossati, uno dei quali colmo d’acqua; davanti ai fossati erano state poste delle trappole, come pali appuntiti conficcati in buchi del suolo e piccole punte metalliche nascoste tra l’erba; a protezione della prima linea di circonvallazione, ne fu costruita una seconda di 21 chilometri, che difese l’esercito romano dagli attacchi esterni di un esercito gallico di soccorso. Alla fine, resosi conto che era impossibile vincere, il condottiero gallo Vercingetorige si arrese a Giulio Cesare. La resa di Vercingetorige secondo Lionel Noel Roynner (1899) Se volete essere ancora più ammirati per le imprese tattiche e tecnologiche degli antichi romani, rispetto agli avversari, vi racconto anche della manovra di assediamento di un’altra cittadella gallica: Avaricum, oggi Bourges. Essendo Avaricum costruita su uno sperone roccioso, i romani costruirono delle rampe in legno per scalarlo, quindi superarono le mura difensive con delle torri d’assedio, dotate di una specie di scudi ricoperti di vimini, lana o cuoio, dietro i quali si ripararono gli assalitori romani. I galli cercarono di fermare l’avanzata dei romani, anche cercando di incendiare le torri d’assalto, ma fu tutto inutile perché Cesare sferrò il suo attacco decisivo durante un forte temporale. I massacri. L’esercito romano ai tempi di Giulio Cesare era formato da professionisti e, se pur fosse un vantaggio in battaglia, la loro mancanza di scrupoli ed aggressività fu tale che i loro attacchi vittoriosi si concludevano sempre con eccessi di violenza: massacri, stupri, schiavizzazioni, ecc.. Il mondo romano nel 50 a.C. dopo la conquista della Gallia Giulio Cesare fu anche scrittore delle sue imprese in Gallia: il De bello gallico celebra, infatti, le conquiste in Gallia con abbondanza di episodi di eroismo dei suoi centurioni. Il trionfo in Gallia di Giulio Cesare cambiò per sempre la storia di quelle regioni, corrispondenti all’attuale Francia e Belgio, ma anche della stessa Roma. Cinzia Malaguti Bibliografia: Storica NG nr. 85 A. Goldsworthy, Cesare. Una biografia, Roma, Castelvecchi, 2014 G.G. Cesare, La guerra gallica, Torino, Einaudi, 2006 Tiro, i Fenici e la Foresta dei Cedri Tiro, i Fenici e la Foresta dei Cedri sono intimamente legati tra di loro. Tiro conobbe un’epoca di grande splendore con i Fenici e fu grazie al legno di cedro, quale preziosa merce di scambio, che il re fenicio Hiram costruì il suo potente impero. L’antica Tiro si trova nella località libanese di Sur e la Foresta dei Cedri di Dio si estende sulle pendici del monte al-Makmel, sempre in Libano. Tiro e la Foresta dei Cedri di Dio sono entrambe protette Patrimonio dell’Umanità Unesco. Mappa antichi insediamenti dei Fenici Tiro e i Fenici Con i Fenici, la città di Tiro divenne una delle città portuali più importanti di tutto il Mediterraneo. Tiro fu fondata verso il 2700 a.C. da genti della città di Sidone, situata circa 40 km più a nord. Successivamente fu conquistata dagli Egizi, sotto la cui tutela rimase per secoli, finché dovettero abbandonare la zona per concentrarsi nella difesa dell’Egitto attaccato dai Popoli del Mare; questo diede a Tiro l’opportunità di rendersi indipendente dall’egemonia egizia e diventare, sotto il regno di Hiram I, a partire dal 970 a.C., il principale centro di potere della zona siro-palestinese. Grazie all’alleanza di Hiram con la monarchia di Davide e Salomone a Gerusalemme, Tiro controllò le rotte commerciali verso il Mar Rosso, che generarono buona parte della ricchezza necessaria a rinnovare la città. Tuttavia, le sue costruzioni più impressionanti, almeno per quanto è stato ricostruito dagli storici ed in parte giunto fino a noi, risalgono all’epoca romana. Tiro oggi, l’antica strada colonnata di epoca romana La ricchezza dei fenici era basata sul commercio, principalmente di porpora e legno di cedro, di cui il Libano era ricco. La porpora, per millenni, era ottenuta dalla secrezione di una ghiandola di un mollusco gasteropode, il murice comune, così prezioso che veniva pesato prendendo come riferimento l’oro. Nell’antichità, Tiro fu il centro di produzione esclusivo della porpora e per questa ragione faceva gola alle potenze straniere. Gli assiri metterono Tiro sotto il proprio controllo nell’VIII secolo a.C., le truppe babilonesi assediarono la città nel VI secolo a.C., nel 332 a.C. venne conquistata dai soldati di Alessandro Magno e nel I secolo a.C. le truppe romane sfilarono per le sue strade. Tiro oggi foto di Véronique Dauge I resti dei monumenti architettonici che possiamo oggi ammirare dell’antica Tiro sono, però, un’eredità dei Romani (la città imperiale e la necropoli); solo nei resti dell’antica città imperiale romana sono presenti anche resti delle mura fenicie. Tiro, l’odierna Sur, si trova ad 83 km a sud di Beirut (Libano) ed Patrimonio dell’Umanità Unesco. La foresta dei cedri di Dio, Libano La Foresta dei Cedri di Dio Secondo l’Antico Testamento, l’espansione di Tiro nel continente fu legata agli stretti rapporti d’affari che il Re Hiram aveva con il Re Salomone di Gerusalemme. Il Re Salomone ricevette consulenza tecnica ed aiuto materiale da Tiro per edificare il proprio palazzo a Gerusalemme e costruirvi il suo Tempio. Secondo la Bibbia, infatti, re Salomone ricevette dai fenici di Re Hiram il legno di cedro necessario per costruire il suo palazzo ed il tempio e in cambio offrì venti città della Galilea. Il cedro, infatti, ricopriva vaste aree della regione di Tiro, corrispondente all’attuale Libano, tanto da assurgere poi a simbolo stesso del paese. Antico cedro del Libano Di antichi cedri in Libano ne esistono ancora, anche se coprono territori decisamente più contenuti, grazie anche all’UNESCO che dal 1998 protegge ciò che è rimasto di quella storica area boschiva. E’ chiamata la Foresta dei cedri di Dio e si estende sulle pendici del monte al-Makmel, nella valle di Qadisha, poco distante dalla città di Bsharre. Situata a circa 2000 metri di altitudine, comprende diverse centinaia di importanti cedri del Libano, alcuni molto antichi; quattro hanno raggiunto l’imponente altezza di 35 metri e hanno tronchi della circonferenza di 12-14 metri. Cedro del Libano La Foresta dei Cedri di Dio è rigorosamente protetta Patrimonio dell’Umanità Unesco e può essere visitata solo facendosi accompagnare da guide. Cinzia Malaguti Leggi anche I fenici su Wikipedia Foto: fonte Wikipedia e Unesco Bibliografia: National Geographic, Patrimonio dell’Umanità, vol. Asia IV, Milano, RBA, 2015 Storica NG, n. 85 F. B. Chatonnet, E. Gubel, I fenici. Alle origini del Libano, Milano, Electa Gallimard, 2008 M. Gras, P. Roulillard, J. Teixidor, L’universo fenicio, Torino, Einaudi, 2000 I. Finkelstein, N. A. Silberman, Le tracce di Mosé. La Bibbia tra storia e mito, Roma, Carocci, 2002 Kha e Merit al Museo Egizio di Torino I reperti ritrovati nella tomba intatta di Kha nei pressi di Deir el-Medina, Egitto, sono tra gli oggetti di maggior prestigio esposti al Museo Egizio di Torino. Tomba di Kha, statuetta raffigurante Kha, Museo Egizio di Torino Kha era l’architetto-capo del faraone Amenhotep III, XVIII dinastia (1543 – 1292 a. C.); la scoperta della sua tomba, insieme a quella della moglie Merit, si deve all’archeologo egittologo Ernesto Schiaparelli ed è datata 1906, due anni dopo la scoperta della splendida tomba di Nefertari, grande sposa reale di Ramesse II (1303 a. C. – 1212 a.C.) ed una delle regine più influenti dell’Antico Egitto. Ritratto di Nefertari dalla sua tomba, Egitto, Tebe ovest, odierna Luxor La tomba di Nefertari è considerata tra le più belle della Valle delle Regine, ma non fu ritrovata intatta; i saccheggi ed il degrado hanno lasciato poco a noi posteri; l’ambiente, tuttavia, è stato oggetto di ottimi restauri, anche se il calcare fragile e ricco di sali ed il microclima ne permettono la visita in loco solo a studiosi e con specifica autorizzazione. Tomba di Merit, moglie di Kha, oggetti personali ritrovati, Museo Egizio di Torino La tomba di Kha e della moglie Merit, contrariamente a quella di Nefertari, fu trovata intatta e, quindi, completa di tutto il ricco corredo funerario che, secondo gli Antichi Egizi, doveva accompagnare il defunto nell’aldilà e consentirgli di proseguire l’esistenza nell’altra vita. Sono così stati trovati il sarcofago antropomorfo in legno di cedro di Kha decorato d’oro, quello della consorte, le mummie, vasi canopi (contenevano le viscere estratte dal cadavere durante la mummificazione), oggetti quotidiani quali tuniche, vesti, scacchiere per il gioco del senet, lenzuola, sedie, armadietti, resti di cibo fossilizzato e gli strumenti del mestiere dell’architetto. Nella tomba fu rinvenuto, inoltre, un papiro recante formule del Libro dei morti (secondo gli antichi egizi le formule magico-religiose ivi contenute servivano al defunto per proteggerlo ed aiutarlo nel suo viaggio verso l’aldilà). Di Merit, la tomba conservava anche gioielli, oggetti di bellezza e la sua splendida parrucca nera. Tutto questo è esposto nel Museo Egizio di Torino, di cui Ernesto Schiaparelli fu direttore dal 1894 fino alla sua morte, nel 1928. Tomba di Kha, oggetti ritrovati, Museo Egizio di Torino Al Museo Egizio di Torino, gli oggetti ritrovati nella tomba di Kha e Merit sono stati fedelmente riposizionati secondo l’originale criterio dispositivo. L’interessante visita al Museo Egizio è un’ottima occasione per visitare Torino e le sue quattro anime e le sue Residenze Sabaude, Patrimonio dell’Umanità Unesco. Buona visita! Cinzia Malaguti Leggi anche L’Antico Egitto in mostra a Bologna