Interviste Leo Lugarini Introduzione alla "Scienza

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Leo Lugarini, in Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, Rai Educational
Interviste
Leo Lugarini
Introduzione alla "Scienza della Logica" di Hegel
31/3/1994
abstrac
La logica di Hegel mira da un lato a rendere concreto il formalismo della logica della tradizione aristotelica, dall'altro a recuperare, nell'ambito della logica e nonostante Kant, la metafisica come scienza. Con la frase “la scienza logica è la vera e propria metafisica”, Hegel
mostra di voler attuare l'unificazione di metafisica e logica. Leo Lugarini espone brevemente
la struttura e il contenuto della Scienza della logica suddivisa in “logica oggettiva” e in “logica soggettiva” che ha per titolo “Dottrina del concetto”: la prima riguarda la realtà che
esiste indipendentemente dall'attività pensante in cui le cose sono legate tra loro da un rapporto di necessità; nella seconda si esce dalla necessità e si entra nella libertà, nell'autodeterminarsi del pensiero umano nelle forme concettuali. La sfera della soggettività è infatti la
sfera dell'attività concettuale, del “begreifen”, del concepire. Mentre la logica oggettiva riprende la tematica ontologica della logica tradizionale nella prospettiva però della ragione,
la logica soggettiva riprende la tematica kantiana del trascendentale che in Hegel diventa
tematica del concetto. Leo Lugarini spiega in che consista la dialettica hegeliana, e cosa significhino la nozione di “Aufhebung”, tradotta in italiano con i temini “superamento” o
“toglimento”. Lugarini conclude parlando del cosiddetto problema del “cominciamento”
nella logica hegeliana e del passaggio dall'essere al nulla.
Indice delle domande
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- Hegel rivendica con forza la novità della sua logica rispetto a quella kantiana e a
quella aristotelica. Professor Lugarini in che senso la sua è una logica innovativa? (1)
- La Scienza della logica è suddivisa in: Dottrina dell'essere, Dottrina dell'essenza e
Dottrina del concetto. Qual è il senso di questa partizione? (2)
- Cosa intende Hegel con il termine "concetto", e in che senso la seconda parte della
Scienza della logica è una logica soggettiva? (3)
Hegel è noto come filosofo della dialettica; la sua logica in quanto logica dialettica,
vuole portare alla luce la realtà nel suo movimento, nella sua processualità. Professore
Lugarini in cosa consiste la dialettica hegeliana? (4)
- Non possiamo soffermarci sull'intero processo logico descritto da Hegel. Uno dei
problemi più dibattuti degli interpreti della logica hegeliana concerne il cosiddetto
"cominciamento", anche perché la prima triade logica - quella di "essere-nulladivenire" - contiene in nuce i principali lineamenti dell'intera logica hegeliana. Professore Lugarini può illustrarci nei suoi termini generali il problema del cominciamento?
(5)
Liceo “Montale, San Dona’ di Pave (VE)
Dipartimento di Filosofia
Copia anastatica a cura del referente, P. Longo
Leo Lugarini, in Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, Rai Educational
1 - Hegel rivendica con forza la novità della sua logica rispetto a quella kantiana e a quella
aristotelica. Professor Lugarini in che senso la sua è una logica innovativa?
Risponderei citando una frase emblematica di Hegel sotto questo punto di vista: "la scienza
logica (...) costituisce la vera e propria metafisica". (G.W.F. Hegel, Werke in zwanzig Bänden, hrsg. von E. Moldenhauer und K.M. Michel, Frankfurt, Suhrkamp, 1969-1971, vol.5,
pag.16; tr. it. di A. Moni, Scienza della logica, Bari, Laterza, 1984, pagg.5-6).
In Aristotele - ma piuttosto nella trasformazione scolastica e medioevale della logica aristotelica, la cosiddetta logica tradizionale, che non nella logica dello stesso Aristotele - le cose
non stanno affatto così. In Aristotele, o nella tradizione scolastica, la logica ha un carattere
strettamente formale: le forme del pensiero, i principi - di identità, di non contraddizione e
del terzo escluso -, il concetto, il giudizio, il sillogismo. Essa è interpretata, a partire da Andronico di Rodi, come una metodologia generale per le scienze, ivi inclusa la filosofia. Logica e metafisica sono dunque, secondo Aristotele o, meglio, la tradizione scolastica, separate,
e anche i testi in cui sono trattate sembrano disgiunti (ho detto "sembrano" perché gli studi
degli ultimi decenni hanno messo in discussione questa separazione).
In Kant la logica diventa trascendentale. Egli riprende la questione in modo nuovo inserendola nella problematica gnoseologica, che è diventata primaria nel pensiero moderno, e intende i concetti, o meglio i temi della logica, come concetti puri a priori. Il problema sta nel
rapporto conoscitivo tra soggetto e oggetto; Kant sposta l'asse tematica, il centro di gravità
della conoscenza dall'oggetto alla conoscenza stessa, al soggetto. Nella sfera del soggetto
reperisce poi concetti puri a priori - le categorie - che sono i fattori costitutivi del mondo della conoscenza, cioè del mondo dell'esperienza possibile. Tutto ciò costituisce il tema dell'Analitica trascendentale, dove il problema metafisico rimane escluso, per ripresentarsi però,
all'interno della Critica della ragion pura, nella seconda e ultima parte della Logica trascendentale, la Dialettica trascendentale. Qui ci imbattiamo in concetti diversi dalle categorie, le idee trascendentali, i cui contenuti sono metafisici, cioè oltrepassano ogni esperienza
possibile: Dio, anima, mondo. Kant sostiene, con grande ricchezza di argomenti, che non
possiamo conoscere nessuno di questi oggetti, sicché la metafisica in quanto scienza rimane
esclusa.
Hegel da un lato mira a rendere concreto il formalismo proprio della logica della tradizione
aristotelica, dall'altro lato a recuperare, nell'ambito della logica, la metafisica come scienza,
nonostante Kant e in contrapposizione a Kant. Di qui la proposizione che ricordavo all'inizio: "la scienza logica è la vera e propria metafisica", e che si può anche rovesciare in quest'altra: "la vera e propria metafisica è la scienza logica". Questa proposizione trova espressione anche in talune affermazione cardinali di Hegel, come per esempio quella secondo la
quale la vera essenza delle cose può essere colta soltanto con i concetti, e i concetti, quando
sono veramente tali, esprimono l'essenza delle cose. In questa maniera si può guadagnare,
secondo Hegel, la congiunzione dei poli separati della conoscenza, il soggetto e l'oggetto, e
raggiungere lo scopo che egli intende attuare, cioè l'unificazione della metafisica e della logica.
2 - La Scienza della logica è suddivisa in: Dottrina dell'essere, Dottrina dell'essenza e Dottrina del concetto. Qual è il senso di questa partizione?
Innanzitutto occorre sottolineare che la Dottrina dell'essere e la Dottrina dell'essenza formano un globo unitario che Hegel chiama Logica oggettiva, mentre la Dottrina del concetto
costituisce un altro globo unitario, la Logica soggettiva, e per orientarci dobbiamo ora acLiceo “Montale, San Dona’ di Pave (VE)
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cennare alla differenza tra questi due globi. La logica oggettiva riguarda la realtà, che esiste
indipendentemente dal considerare se il concetto - l'attività pensante - intervenga o no a costituirla. Kant sostiene che l'intelligenza - o l'intelletto, come egli la chiama - interviene mediante concetti puri a priori a costituire la base portante dell'esperienza possibile. La logica
oggettiva hegeliana, invece, considera la realtà fuori da questa prospettiva, e la considera
prima al livello dell'essere, e poi a un livello più profondo, che per Hegel è addirittura radicale, quello dell'essenza. Il livello dell'essere è quello delle cose come si presentano nella loro immediatezza, di cui si tratta di cercare di cogliere e di fissare le determinazioni caratteristiche - Hegel le trova nella qualità, nella quantità e nella misura. L'essenza è invece ciò che
sta dietro a quanto si presenta immediatamente, ciò che sta alla sua radice. Bisogna però ricordare che per Hegel l'essenza - "la verità dell'essere", come egli la qualifica - non è alcunché di positivo, non è il compatto fondo sostanziale delle cose con cui abbiamo a che fare,
ma una pura e semplice negatività. Allorché ci si incammina nella Dottrina dell'essenza che, ripeto, è la seconda parte della Logica oggettiva -, ci troviamo di fronte ad una posizione straordinariamente abnorme: dal "non" della negazione si tenta di mostrare il sorgere del
mondo in cui noi viviamo, nelle sue due articolazioni successive di mondo del "fenomeno"
(Erscheinung), e di mondo della "realtà effettuale" (Wirklichkeit).
Ma da ultimo la Dottrina dell'essenza e, nel suo complesso, la Logica oggettiva sfocia nel
concetto. Hegel, arrivato al concetto, dichiara e sostiene che la logica oggettiva nel suo
complesso espone non tanto la realtà dal punto di vista della logica dell'essere o della logica
dell'essenza, ma espone la genesi del concetto. Si entra così nella Logica soggettiva, che ha
per titolo appunto Dottrina del concetto. Egli caratterizza questa nuova sfera come dottrina
della soggettività e della libertà - due parole decisive, soprattutto la parola "soggettività".
Hegel afferma che il pensare, e in particolare il concetto, è il nostro più proprio e intimo fare. La logica oggettiva, in particolare la Dottrina dell'essenza, al suo epilogo presenta la
realtà secondo una scansione di relazioni tra le cose, relazioni caratterizzate da una necessità di rapporto; la relazione - Hegel direbbe - è qui cieca, non ancora illuminata dal concetto.
Allorché si approda al concetto tutto questo viene oltrepassato; si esce dalla necessità "naturalistica" - anche se l'espressione è assai impropria - e si approda a quella che Hegel chiama
la libertà, intendendo propriamente l'autodeterminazione, l'autodeterminarsi del pensare
umano nelle forme concettuali.
3 - Cosa intende Hegel con il termine "concetto", e in che senso la seconda parte della
Scienza della logica è una logica soggettiva?
La logica "soggettiva" è tale perché, innanzitutto e in generale, si riferisce a quella sfera della soggettività che è l'attività concettuale, il begreifen (in tedesco "concetto" si dice Begriff;
il verbo begreifen corrisponde all'italiano "concepire" e al latino "concipere"). Ma questa
sfera della soggettività a sua volta presenta articolazioni molteplici, e la logica soggettiva è
tutta dedicata a indagarla nei suoi vari aspetti, in modo da mettere in luce in che consiste
quella attività concettiva che ci caratterizza in quanto uomini.
La sua articolazione fondamentale è tripartita. Dapprima Hegel tratta il concetto come tale,
nella prima sezione della logica soggettiva, dove riprende l'intero mondo della logica formale della tradizione aristotelica: concetto, giudizio, sillogismo. Qui si può toccare con mano
l'enorme differenza della logica hegeliana rispetto a quella della tradizione aristotelica: se
quest'ultima si sofferma unicamente sui principi e le forme del pensare, cioè concetto, giudizio e sillogismo, questa materia è trattata da Hegel soltanto in una piccola sezione, la prima
della logica soggettiva. In questo contesto torna in scena Kant; non era forse Kant colui che
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si era rivolto all'attività concettuale - l'intelletto e le categorie, la ragione, le idee trascendentali, la "spontaneità del pensare"? Egli ha dato una tematizzazione dell'attività concettuale, di ciò che Hegel in una parola chiama il "concetto"; ed Hegel riprende proprio questa
tematica e la trasforma fin dalle radici, rimanendo però in continuità con Kant. Nel quadro
complessivo della bipartizione tra logica oggettiva e logica soggettiva, abbiamo questa articolazione di fondo: la logica oggettiva è la ripresa della tematica ontologica, metafisica con i mezzi però della ragione -, mentre la logica soggettiva è la ripresa della tematica kantiana, quella che per Kant è la tematica del trascendentale e che in Hegel diventa la tematica
del concetto.
4 - Hegel è noto come filosofo della dialettica; la sua logica in quanto logica dialettica,
vuole portare alla luce la realtà nel suo movimento, nella sua processualità. Professore
Lugarini in cosa consiste la dialettica hegeliana?
La domanda è molto complessa; per rispondere mi avvarrò di un esempio che è dello stesso
Hegel, e che si trova nelle primissime pagine della Fenomenologia dello spirito. È l'esempio
del boccio del fiore: se osserviamo un boccio di fiore, notiamo che esso finisce per trapassare nel fiore. Che cosa avviene in questo trapasso? Dal punto di vista che Hegel rifiuta e che
attribuisce all'intelletto, al Verstand, la risposta a questa domanda può esser riassunta così:
allorché sopravviene il fiore il boccio non c'è più, dunque il fiore è la negazione del boccio.
Analogo sarebbe il rapporto tra il fiore che ora è sbocciato e il frutto che dal fiore verrà fuori: allorché c'è l'uno non c'è l'altro, e viceversa. Questa è la negazione che viene riscontrata
dall'intelletto. Hegel però obietta che questo è soltanto il rinnegarsi simplex, la prima negazione. Se osserviamo la cosa più da vicino, quello che succede - anche il linguaggio lo dice è che il boccio sboccia, e il suo sbocciare comporta che esso trapassi nel fiore. Il fiore in
questo senso è sì la negazione del boccio (il boccio è scomparso), ma ha nel seme la conservazione. Questa è la negatio duplex: la negazione del boccio in quanto boccio è la sua conservazione in quanto fiore, nel senso che nel fiore il boccio trapassa. Abbiamo così adottato
un altro punto di vista nel considerare il medesimo fenomeno; il primo era il punto di vista
dell'intelletto - la forza che divide, il Verstand -, l'altro è il punto di vista della ragione, della
Vernunft. La quale, nelle divisioni dell'intelletto, trova il raccordo, trova il terzo termine
nell'aut-aut della logica dell'intelletto.
In questo quadro il movimento dialettico prende una connotazione molto rivelante espressa
nella parola tedesca Aufhebung. Aufhebung è una parola mal traducibile in italiano con un
solo termine, perché contiene almeno tre elementi lessicali: il togliere, il conservare e l'innalzare o elevare. Tornando all'esempio del boccio del fiore, il fiore è per l'intelletto semplicemente la negazione del boccio, mentre per la ragione è la negazione conservativa. In quest'ultimo caso il boccio non c'è più e in questo senso viene "tolto", ma insieme è "conservato"
e la sua conservazione è un "innalzamento", per parlare in termini assai metaforici, del boccio stesso in ciò che sopravviene, e cioè nel fiore. Questi sono dunque i tre momenti semantici racchiusi nella parola tedesca aufheben, che in italiano si traduce in tanti modi. Ciascuno
traduce come ritiene di poter fare meglio; per esempio con "superare" - termine che non mi
sembra molto adeguato, pur essendo valido ed efficace. Oppure si traduce con "togliere";
Moni, il traduttore italiano della Scienza della logica, ha usato questa traduzione, e personalmente sono d'accordo sulla sua relativa adeguatezza. L'importante è in fin dei conti cogliere il senso complesso di Aufhebung, che non soltanto nell'esempio del boccio, ma in tutti i
passaggi hegeliani, sia nella Scienza della logica, che nella Fenomenologia o nella Filosofia
del diritto, esprime la legge del movimento che Hegel chiama "dialettico" e che mette in moto
tutti i contenuti di volta in volta considerati.
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5 - Non possiamo soffermarci sull'intero processo logico descritto da Hegel. Uno dei problemi più dibattuti degli interpreti della logica hegeliana concerne il cosiddetto "cominciamento", anche perché la prima triade logica - quella di "essere-nulla-divenire" - contiene in nuce i principali lineamenti dell'intera logica hegeliana. Professore Lugarini può
illustrarci nei suoi termini generali il problema del cominciamento?
La questione è estremamente complessa, e gli interpreti difficilmente riescono ad accordarsi
sul senso da dare al cominciamento stesso. Limiterei la mia analisi al primo passaggio - al
passaggio cioè essere-nulla -, banalizzandolo alquanto, e senza prendere in considerazione
le argomentazioni hegeliane, che sono alquanto sottili. Hegel spiega l'essere come puro essere senza nessuna determinazione, quindi come puro essere totalmente indeterminato. Se proviamo a domandarci quale fisionomia esso assuma, diremmo che non ha questa determinazione, né quest'altra, e nemmeno quest'altra ancora ecc. - possiamo andare avanti sine die. Il
risultato è un niente: l'essere è uguale a nulla. Ho espresso, ripeto, in termini molto banalizzati il passaggio essere-nulla con cui comincia a muoversi la logica hegeliana.
Ma secondo il mio parere il punto importante è un altro, è a monte: che significa l'assunzione da parte di Hegel del puro indeterminato essere come cominciamento di tutta la logica?
C'è un luogo in cui Hegel dice che il filosofo che sia animato da spirito di profondità caratterizza l'inizio come ciò che è il massimamente semplice, il più semplice e il più indeterminato,
e lo scopre come un germe dell'intero sviluppo. Questo vuol dire che non è un germe vuoto.
Consideriamo, ad esempio, un germe vegetale: è ricco di tutto quello che si sviluppa, contiene virtualmente, in potenza - "in sé", direbbe Hegel - tutto quello che ne verrà fuori e che
quindi sarà l'attualizzazione di un cumulo di potenzialità, sarà il passaggio, in termini hegeliani, dall'"in sé" al "per sé", anzi all'"in sé e per sé".
Queste indicazioni di Hegel, contenute in una delle ultime cose che ha scritto prima di morire, la Prefazione del 1831 alla Scienza della logica, fanno pensare. Noi ci dobbiamo infine
pur domandare: quella espressione tanto infelice di "puro essere" significa veramente un'indeterminatezza dalla quale non si capisce come si possa passare al determinato, o un vuoto
che non si capisce come possa essere riempito? O piuttosto dietro di essa si nasconde altro?
Vorrei a questo proposito richiamare un'ammonizione dello stesso Hegel: non dimentichiamo
che dietro la Scienza della logica sta la Fenomenologia dello spirito. La Fenomenologia dello spirito termina con il sapere assoluto, nel quale rifluisce tutto il mondo di esperienze della
coscienza, l'intero mondo delle figure della coscienza e dello spirito, in modo tale però che si
opera la saldatura tra soggetto e oggetto, tra "certezza di sé" - direbbe Hegel - e "verità" - in
breve tra "Io" e "mondo", tra la sfera dell'ego e la sfera del non ego, dell'altro dall'ego. Tutto
questo rifluisce nel sapere assoluto rimanendo nella sua immediatezza, in una immediatezza
che poi è espressa, nella logica, dal puro essere. Hegel lo dice a tutte lettere: "Nella sua vera
espressione questa semplice immediatezza è il puro essere " (G.W.F. Hegel, Werke in zwanzig Bänden, hrsg. von E. Moldenhauer und K.M. Michel, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 19691971, vol.5 pag.68; tr. it. di A. Moni, Scienza della logica, Bari, Laterza, 1984, pag.53).
Tutto questo fa pensare che il "puro essere" non sia un indeterminato da cui dedurre determinazioni, non sia un vuoto che occorra in qualche maniera riempire dall'esterno, ma un indeterminato entro cui bisogna andare a guardare animati - riprenderei l'espressione di Hegel - da "spirito di profondità". Il passaggio dall'essere al nulla e poi al divenire, che costituisce il problema su cui ci si inceppa tanto spesso, deve allora essere inteso come un primo
passo che Hegel muove verso il compimento di quell'astratto, indeterminato, vacuo, che va
sotto il titolo di "puro essere", ma che è la vera espressione di quello che nella FenomenoloLiceo “Montale, San Dona’ di Pave (VE)
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gia dello spirito ha preso la caratteristica del sapere assoluto, e cioè della forma vera e non
semplicemente apparente del sapere.
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Interviste
Leo Lugarini
La dottrina del concetto nella logica hegeliana
31/3/1994
abstrac
Leo Lugarini decrive la struttura della Scienza della logica di Hegel, distinta in “logica oggettiva” e in “logica soggettiva” o “dottrina del concetto”, dove per soggettività si deve intendere l'attività del concepire nelle sue varie articolazioni. La dottrina del concetto è suddivisa in tre sezioni: la soggettività, l'oggettività, l'Idea. Qui la soggettività riguarda la soggettività del concetto, vale a dire il concetto nella sua immediatezza e si articola in concetto,
giudizio, sillogismo; l'oggettività vista nella prospettiva dell'attività concettuale si sviluppa in
meccanismo, chimismo e teleologia. Leo Lugarini riporta la critica hegeliana alla logica
formale riguardo al rapporto tra universale, particolare e singolare; spiega il significato
dell'“universale concreto” in Hegel e del sillogismo disgiuntivo. Si sofferma quindi a parlare
del rapporto tra meccanismo e teleologia. Nella Critica del giudizio Kant distingue tra giudizio determinante e giudizio riflettente, a sua volta distinto in giudizio estetico e in giudizio teleologico, e ritiene che il giudizio teleologico rientri nell'attività riflettente dell'attività giudicativa e non in quelle determinante. Per Hegel, invece, l'attività teleologica è un'attività determinante e non semplicemente riflettente. Leo Lugarini chiarisce le nozioni di “finalità
esterna” e di “finalità interna” e la definizione hegeliana dell'Idea come l'“assoluta unità
del concetto e dell'oggettività”. Conclude, quindi, spiegando l'espressione “idea assoluta”,
punto d'arrivo della Scienza della logica.
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- Professor Lugarini, questa conversazione verte sulla Dottrina del concetto nella
Scienza della logica di Hegel. Vuole innanzitutto presentarcene un inquadramento generale? (1)
- Visto questo contesto in cui si inquadra, come si articola poi la dottrina del concetto?
(2)
- A questo punto sarà opportuno tracciare quanto meno uno schema della prima sezione del La dottrina del concetto. Che cosa significa il titolo stesso, La soggettività,
che Hegel attribuisce a questa sezione? (3)
- Dunque, il sillogismo, in particolare il sillogismo disgiuntivo, costituisce, secondo
Hegel, la forma appropriata all'esplicarsi dell'attività concettuale. Questo è il risultato
della prima sezione della Dottrina del concetto. Vogliamo ora passare alla seconda sezione dedicata all'oggettività. Che cosa significa qui il termine "oggettività"? (4)
- Ecco, Lei accennava giustamente a Kant, che si intravede sullo sfondo di questa parte della logica hegeliana relativa al rapporto tra meccanicismo e teleologia. Qual è il
giudizio che Hegel formula su Kant a questo proposito? (5)
- Poco fa ha parlato di "finalità esterna" e "finalità interna". Vuole precisarne meglio il
rapporto secondo Hegel? (6)
- Siamo dunque arrivati alla terza sezione della Logica soggettiva: L'idea. Che cos'è
l'idea per Hegel? (7)
- Dunque l'idea esprime l'unità di concetto e oggettività, ma in cosa consiste l'idea assoluta, che è poi il punto di arrivo della logica hegeliana? (8)
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1 - Professor Lugarini, questa conversazione verte sulla Dottrina del concetto nella Scienza
della logica di Hegel. Vuole innanzitutto presentarcene un inquadramento generale?
La Dottrina del concetto rientra nella Logica soggettiva, che a sua volta è la seconda parte
della logica speculativa hegeliana. La logica speculativa hegeliana si compone quindi di Logica oggettiva - articolata in Dottrina dell'essere e Dottrina dell'essenza -, e Logica soggettiva - che fa tutt'uno con la Dottrina del concetto. Dunque la Dottrina del concetto si inserisce
nell'ultima fase della logica hegeliana e risulta dall'epilogo della Logica oggettiva.
In breve, la logica oggettiva si occupa della "realtà", per usare un termine molto vago, prima
dal punto di vista dell'"essere", poi dal punto di vista dell'"essenza". Dal punto di vista della
logica dell'essere la realtà è considerata così come si presenta quotidianamente, in modo anche immediato, a partire dal vacuo, indeterminato essere puro. La dottrina dell'essenza, invece, interpreta la realtà a partire dall'essenza, che Hegel presenta come la verità dell'essere
- una verità negativa. Muovendo dalla negatività dell'essenza Hegel mostra come sorga prima il mondo del fenomeno e poi la realtà effettuale, e come in ultimo si concluda questo ciclo, che egli pone sotto il titolo di "metafisica". Infatti, nell'impostare la stessa Scienza della
logica, Hegel dichiara che la logica oggettiva prende il posto della metafisica precedente. Il
riferimento è alla metafisica wolffiana, la struttura della quale prevedeva da un lato la metaphysica generalis - chiamata anche "ontologia" -, il cui tema è l'ens in generale, e dall'altro una triplice articolazione della metaphysica specialis: psicologia razionale, cosmologia
razionale, teologia razionale. Sono le tre branche che Kant discute nella Dialettica trascendentale della Critica della ragion pura, sostenendo che non è possibile una dottrina filosoficamente scientifica né dell'anima, né del mondo, né di Dio - posizione dalla quale consegue
l'impossibilità per Kant della metafisica come scienza. Hegel, dunque, avverte subito il lettore che la logica oggettiva prende il posto dell'ontologia o metafisica generale; poiché affronta anch'essa la questione dell'ens in generale, merita a sua volta il titolo di "ontologia". Ma
questa ontologia si sviluppa a due livelli: anzitutto al livello della logica dell'essere, e poi al
livello della logica dell'essenza; è uno svolgimento grandioso e molto arduo a seguirsi.
Il risultato di tale sviluppo è l'emergere del concetto dalla sfera della realtà effettuale. Circa
l'espressione "realtà effettuale", dirò solo che designa la sostanza spinoziana "riveduta e
corretta"; la realtà cioè concepita non come scissa in due sfere, in un "al di qua" e in un "al
di là", ma in maniera unitaria, sulla scia di Spinoza. Da questa realtà spinozianamente riconfigurata, Hegel, al termine della Logica oggettiva, nella Dottrina dell'essenza, vede sorgere il concetto.
Con il concetto si apre un'altra sfera, la sfera della soggettività, e perciò Hegel intitola questa seconda parte della Scienza della logica - costituita dalla Dottrina del concetto - Logica
soggettiva. Il mondo della logica oggettiva è il mondo della metafisica classica nata con Platone e Aristotele, e poi trasformata nel corso dei secoli; la logica soggettiva, invece, si muove
nell'ambito dischiuso da Kant, il quale nella Critica della ragion pura - in particolare nella
Logica trascendentale -, ha reso tematica la considerazione dell'attività pensante, di quell'attività che egli chiama "concetto trascendentale", "io trascendentale" - insomma l'attività del
concepire nelle sue varie articolazioni. Hegel riprende questa tematica kantiana; pur radicalizzandola, trasformandola e rendendola addirittura irriconoscibile, egli si mette, nella Logica soggettiva, lungo la strada aperta da Kant. La "soggettività" di cui qui si tratta, indica
non tanto il dominio dei sentimenti, delle passioni, delle rappresentazioni, delle conoscenze,
empiriche o scientifiche che siano, quanto l'ambito del concepire, del concipere, del begreiLiceo “Montale, San Dona’ di Pave (VE)
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fen (Begriff, che traduciamo con "concetto", ha per corrispondente il verbo begreifen, che
traduciamo con "concepire" e che in latino tradurremmo con concipere).
2 - Visto questo contesto in cui si inquadra, come si articola poi la dottrina del concetto?
La Logica soggettiva è suddivisa in tre sezioni, intitolate, nell'ordine, La soggettività, L'oggettività, L'idea. La parola "soggettività" non ha nel primo di questi tre titoli il significato
che prima indicavo riferendomi al titolo generale di Logica soggettiva; allora osservavo che
Logica soggettiva rimanda alla sfera della soggettività, e in particolare all'elemento pensante che in questa sfera rientra. Invece il titolo della prima sezione - La soggettività -, riguarda
la soggettività del concetto. Hegel intende qui il concetto nella sua immediatezza - si pensi,
per esempio, al concetto di rosa, al concetto di vegetale, al concetto di uomo etc.. Questa
prima sezione si articola in tre capitoli: Il concetto, Il giudizio, Il sillogismo. La seconda sezione, L'oggettività, riguarda non più quel mondo di oggettività dove non figurano gli agganci con l'attività concettuale - che era il tema, l'ambito di movimento della Logica oggettiva -,
ma riguarda l'oggettività del concetto, l'oggettività nella prospettiva dell'attività concettuale
- una posizione che ci rimanda di nuovo a quella kantiana propria dell'Analitica trascendentale. Questa seconda sezione si sviluppa attraverso i tre momenti de Il meccanismo, de Il
chimismo e de La teleologia, per approdare alla terza sezione intitolata L'idea. Qui si entra
nella sfera conclusiva della Scienza della logica, in cui, come Hegel subito annuncia, si attua
l'assoluta unità del concetto e dell'oggettività. Potremmo dire che quanto è stato esposto nella prima sezione - La soggettività -, e poi nella seconda, - L'oggettività -, viene a confluire
nella terza sezione che va sotto il titolo, in parte enigmatico, de L'idea.
3 - A questo punto sarà opportuno tracciare quanto meno uno schema della prima sezione
del La dottrina del concetto. Che cosa significa il titolo stesso, La soggettività, che Hegel
attribuisce a questa sezione?
Sotto questo titolo Hegel intende mettere in chiaro la struttura formale del concetto. La logica tradizionale di derivazione aristotelica prevede, nella sistemazione scolastica medioevale,
la trattazione dei famosi principi logici - il principio di identità, di non contraddizione e del
terzo escluso -, e quella delle dottrine del concetto, del giudizio e del sillogismo. Nella logica
hegeliana avviene qualcosa che può anche riuscire sorprendente: il mondo della logica della
tradizione aristotelica viene ridotto a una sezione - la prima della Logica soggettiva -, mentre la logica hegeliana stessa si estende alla logica oggettiva - cioè al regno della metafisica,
dell'ontologia -, e, nelle sezioni intitolate L'oggettività e L'idea, ad altri aspetti della logica
soggettiva. All'interno della prima sezione della Logica soggettiva si attua una trasformazione di quanto si sosteneva tradizionalmente circa la struttura del concetto. La struttura del
concetto segna questi momenti di esplicazione: Il concetto nella sua immediatezza, Il giudizio, Il sillogismo.
Il concetto nella sua immediatezza è, per esempio, il concetto di vegetale. Hegel, riprendendo
un motivo classico della logica formale, riconosce che sono tre i momenti strutturali del concetto nella sua immediatezza: l'universalità, la particolarità, la singolarità. La sua posizione
differisce però da quella tradizionale perché l'universale non è disgiunto dal particolare e il
particolare non è disgiunto dal singolare. Se prendiamo come esempio di universale il concetto di vegetale - e quindi ci poniamo nella prospettiva tradizionale che è quella, per Hegel,
dell'intelletto, del Verstand -, allora l'universale - il vegetale - è disgiunto dal particolare albero, fiore, o erba che sia. Abbiamo allora tre livelli: l'universale è il vegetale, il particolare sono le ramificazioni del genere universale - come l'albero o il fiore -, mentre il singolare
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è la rosa o un qualunque fiore determinato. Nell'ottica dell'intelletto, del Verstand, l'universale non è il particolare e il particolare non è il singolare (esemplificando come sopra: il vegetale non è erba, non è fiore, non è pianta, e il fiore non è rosa, non è giglio etc.). Questa è,
per Hegel, una situazione dovuta alla vis divisiva dell'intelletto; se rivediamo lo stesso esempio dal punto di vista e con i mezzi della ragione, della Vernunft, constatiamo - ed è quello
che si constata anche empiricamente tutti i giorni - che l'universale, il vegetale, non sussiste
isolato nei particolari, ma è determinato intrinsecamente come pianta fiore, erba ecc. E a
sua volta il particolare è determinato intrinsecamente come rosa, giglio, orchidea garofano...
Nel complesso nell'ottica della Vernunft risulta che l'universale è intrinsecamente determinato come particolare e come singolare. In questa connessione indissolubile di universale, particolare e individuale, Hegel riconosce la concretezza costitutiva dell'universale in dissenso
da larga tradizione della logica formale.
Il secondo momento in cui si articola la struttura del concetto è quello del giudizio. Noi alla
parola "giudizio", secondo l'eredità della logica formale, diamo senza difficoltà il senso di
"rapporto tra soggetto e predicato uniti dalla copula" - per esempio ne "la rosa è un fiore",
abbiamo soggetto, copula, predicato. Hegel viceversa riconosce nel giudizio il secondo momento del concetto. La parola "rosa" per se stessa non ha significato; se vogliamo dargliene
uno dovremmo dire, per esempio: "la rosa è un fiore". Il concetto di rosa si è così sdoppiato
in due concetti, e precisamente in quei concetti che nella forma del giudizio si collocano l'uno come soggetto - la rosa -, e l'altro come predicato - il fiore. Il giudizio è pertanto la "partizione originaria" (Ur-Teil) del concetto - noi traduciamo Urteil con la parola "giudizio",
che non ha alcun rapporto con il significato che Hegel conferisce al termine tedesco. Siamo
dunque passati da un momento di unità immediata non ancora dispiegata e articolata, che è
il concetto nella sua immediatezza, alla partizione di questo concetto nella forma del giudizio. Ma a questo punto si apre un'antinomia in seno al giudizio; la partizione originaria è
una contraddizione. Proviamo a riscontrarla nell'esempio di prima. L'esempio era questo: se
vogliamo dare senso alla parola "rosa", dobbiamo esplicitarlo mediante un rapporto predicativo: "la rosa è un fiore". Ma in questo modo sul piano formale affermiamo che il singolare
- la rosa - è un particolare - il fiore; se poi proseguiamo affermando che il fiore è un vegetale, si ripete la stessa situazione: il fiore - il particolare -, è un vegetale - è cioè un universale.
C'è però un'incongruenza di comprensione, di ampiezza, tra universale, particolare e individuale. La copula "è" dice, ma nasconde; dice un rapporto unificante, ma nasconde il rapporto separante, nasconde proprio ciò che il giudizio pensato come Ur-Teil, come partizione
originaria, esprime. Il giudizio non esprime proprio ciò che esso enuncia: la discrepanza tra
soggetto e predicato. Questa è la contraddizione del giudizio da cui Hegel vede scaturire la
dialettica del giudizio stesso. L'unità del concetto, che si è nascosta sotto la separazione costituita dal giudizio, poco per volta, lievemente, senza che sia colta sulle prime, emerge, si fa
strada, fino a che da ultimo giunge a mostrarsi; si ristabilisce così l'unità che il giudizio, in
quanto "partizione originaria", ha spezzato.
Allorché l'unità del concetto si ristabilisce non si ha più il giudizio, ma un'altra figura: il sillogismo. Il sillogismo infatti non ha più due termini, ma tre: gli estremi e il medio. Il medio
ha la funzione di unificare, di congiungere quello che nel giudizio sono semplicemente il
soggetto e il predicato. Il medio, nella misura in cui realizza questa sua funzione unificante,
ristabilisce l'unità del concetto perduta nel giudizio. Si chiude così il ciclo che è partito
dall'unità del concetto, ne ha seguito la scissione nella forma apparentemente unificante del
giudizio e poi, attraverso la dialettica del giudizio, ha mostrato il ricostituirsi della stessa
unità. In essa il concetto riattua se stesso secondo la sua unità originaria, che ora non più
immediata, ma è mediata da tutte le mediazioni intercorse.
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Il sillogismo a sua volta presenta ricche articolazioni. Nella storia del pensiero occidentale si
sono affermate tre tipi di sillogismo: quello categorico aristotelico, quello ipotetico introdotto dagli Stoici, e quello disgiuntivo sopravvenuto poi negli sviluppi ulteriori della storia della
logica. Il giudizio del sillogismo categorico è quello celeberrimo dell'esempio famoso: "tutti
gli animali sono mortali, tutti gli uomini sono animali, dunque tutti gli uomini sono mortali".
Ma questa è semplicemente la concatenazione tra giudizi e, come tale, ripete per tre volte
l'inconveniente del giudizio - cioè l'antinomia o la contraddizione del giudizio alla quale accennavo prima. Il sillogismo categorico è quindi una forma ancora imperfetta di unificazione
degli estremi attraverso il medio, e costituisce soltanto un primo passo nel processo del ristabilirsi dell'unità del concetto nella forma del medio. Il secondo tipo di sillogismo è rappresentato dal sillogismo ipotetico di origine stoica; l'esempio celeberrimo degli Stoici è: "se
c'è luce è giorno; ma c'è luce, dunque è giorno". Qui la concatenazione non è affatto presente; il sillogismo ipotetico si svolge semplicemente su un piano empirico e per Hegel non ha
un grande rilievo nel processo che deve ristabilire l'unità del concetto. Questa unità secondo
Hegel si ristabilisce alla fine di tutto un difficile cammino, in fondo al quale compare il sillogismo disgiuntivo. Il sillogismo disgiuntivo era stato, dopo aver avuto una sua storia, ripreso
in termini molto pregnanti da Kant nella Critica della ragion pura. Il suo schema formale è il
seguente: "A (l'universale) è o B o C o D", per esempio "il vegetale è o fiore o pianta o erba"
(premessa maggiore); "A non è né C né D", per esempio "il vegetale non è né pianta né erba"
(premessa minore); dunque "A è B", cioè "il vegetale è fiore" (conclusione). Abbiamo dunque
un processo di esclusione, che si può esprimere con un esempio molto spicciolo; supponiamo
di entrare da un fiorista e di chiedergli dei fiori. Il fiorista dice: "Volete questi? Sono rose", e
noi: "No"; "Volete questi altri? Sono orchidee", e noi: "No"; "Volete questi altri? Sono garofani?" e noi: "No". Infatti noi vogliamo, per esempio, delle violette; sulla base di una disgiunzione, che è l'articolazione del fiore in quanto fiore, siamo arrivati a determinare un
particolare, uno specifico fiore, che è ad esempio la violetta piuttosto che la rosa. Secondo
Hegel, questa è la forma del sillogismo in cui si attua pienamente l'unità del concetto.
Ricapitolando: quella unità che nella sua immediatezza è un concetto qualsivoglia, si è scissa
nella figura del giudizio, ed ha solo cominciato a ristabilirsi con il primo tipo di sillogismo, il
sillogismo categorico. Soltanto nell'ultimo e più maturo tipo di sillogismo, il sillogismo disgiuntivo, tale unità si ristabilisce pienamente, e il concetto raggiunge la propria piena compiutezza; si ha allora a che fare con il concetto in sé e per sé.
4 - Dunque, il sillogismo, in particolare il sillogismo disgiuntivo, costituisce, secondo Hegel, la forma appropriata all'esplicarsi dell'attività concettuale. Questo è il risultato della
prima sezione della Dottrina del concetto. Vogliamo ora passare alla seconda sezione dedicata all'oggettività. Che cosa significa qui il termine "oggettività"?
Come titolo globale della Dottrina dell'essere e della Dottrina dell'essenza la Logica oggettiva considera la libertà, per esprimermi molto semplicisticamente, indipendentemente da
eventuali interventi dell'attività concettuale. Invece nella seconda sezione della Dottrina del
concetto, l'oggettività è intesa in un altro senso: è l'oggettività del concetto. Hegel distingue
molto accuratamente due sensi o significati di "oggettività"; uno è quello corrente, per il
quale l'oggettività è ciò che sta di contro al soggetto, al concetto - e non è questo il senso in
cui Hegel tratta dell'oggettività nella seconda sezione della Dottrina del concetto. Secondo
l'altro significato, invece, l'oggettività è l'essere in sé e per sé del concetto, il concetto che
formalmente si è compiutamente realizzato, affermato - il che è avvenuto nella forma del sillogismo, in particolare del sillogismo disgiuntivo.
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Vorrei, per dare un orientamento più preciso, richiamarmi a risultati della Logica oggettiva;
allorché compare il concetto e si entra nella sfera della Logica soggettiva, Hegel sostiene
che l'essenza e l'essere con tutte le loro determinazioni molteplicemente configurate tramontano - nel senso hegeliano della negazione conservativa, dell'Aufhebung - nel concetto; nasce
un concetto senza realtà. Si fa allora avanti il problema, dice Hegel, della "realizzazione del
concetto". Più precisamente il concetto a questo punto avrà da attuare quella realtà che in
lui è scomparsa, tirandola fuori da se stesso, generandola con i propri mezzi, che sono per
Hegel mezzi strettamente dialettici. Questo tema della realizzazione del concetto in generale
trova la sua prima attuazione nella sezione intitolata L'oggettività.
A prima vista il concetto ha che fare con una attività concettuale nostra, umana, e con una
realtà esteriore che è di fronte a noi e che sembra già costruita, già elaborata e costituita.
Ma facciamo un passo indietro, risaliamo un momento a Kant: che cosa aveva sostenuto
Kant a questo proposito? Che quella che a noi si presenta empiricamente come una realtà
già costituita in effetti è il prodotto di un'attività del concetto; l'attività concettuale, attraverso quelle sue forme che sono i concetti puri e a priori, e cioè le categorie, viene a costituire
l'esperienza possibile - in termini hegeliani: viene a costituire l'oggettività. Allora l'oggettività non è più da prendere come una realtà già compiuta di fronte alla quale noi ci troviamo e
che saremmo tenuti a cercare di capire, ma va rinnegata a partire da quella funzione oggettivante che, già in Kant, è l'attività concettiva. L'oggettività, seconda sezione della Dottrina
del concetto, si incarica di assolvere proprio a questo compito, su un piano non più trascendentale, kantiano, ma dialettico, hegeliano.
I momenti di questa prima fase della realizzazione del concetto in generale sono: meccanismo, chimismo, teleologia. I primi due li assocerei senz'altro sotto il termine, che anche Hegel usa per riferirsi a tutti e due, di "meccanicismo". Di nuovo disponiamo di una specie di
pietra di paragone nella Critica della ragion pura, precisamente nell'Analitica trascendentale. Infatti ne L'oggettività viene esposta l'attività mediante la quale il concetto con le sue funzioni categoriali organizza il mondo dell'esperienza possibile - Hegel direbbe: la soggettività
foggia l'oggettività. Nell'ambito della prospettiva kantiana dell'Analitica trascendentale,
l'oggettività è strutturata secondo quella categoria-principe che per Kant è la relazione causa-effetto. Dietro questa posizione kantiana c'è la fisica newtoniana, di cui Kant, secondo alcuni interpreti - e alludo in particolare alla scuola di Marburgo - ha inteso offrire la fondazione filosofico-trascendentale. Si ha allora, in Kant, una struttura globalmente meccanicistica dell'oggettività, della realtà esteriore. Ma in realtà l'oggettività si presenta come costituita da un'azione determinante dell'attività concettuale, che in Kant va sotto il termine globale di "meccanicismo" e in Hegel si articola in due momenti: meccanismo e chimismo. Più
un terzo: la finalità, e qui i conti di Hegel e Kant tornano diversamente.
Hegel chiama la finalità "teleologia", e riconosce a Kant il grande merito di aver fatto una
distinzione di estrema importanza, quella di finalità esterna e finalità interna. Ciò che Hegel
intitola Teleologia, cioè il terzo momento della realizzazione del concetto nell'oggettività, riguarda la finalità esterna. (La finalità interna sarà trattata più avanti, ed Hegel non mancherà di rimandare ad Aristotele come a colui che per primo ne ha istituito il concetto). Nel rapporto meccanicistico tra un fenomeno ed un altro, i termini sono due: causa ed effetto. Il
rapporto teleologico, invece, si configura in modo diverso. Riporto un esempio di Hegel, l'esempio dell'aratro. Se vogliamo seminare un campo, dobbiamo utilizzare l'aratro; i termini
del rapporto teleologico sono tre: noi che vogliamo arare quel campo, il campo da arare e
l'aratro che ci serve da mezzo per ararlo. Questo terzo termine è il medio che, nella struttura
formale del concetto, ha preso la figura del sillogismo. Si passa così dalla figura duale del
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giudizio alla figura triale del sillogismo: l'aratro è il medio che permette la congiunzione tra
noi che vogliamo seminare un campo e la semina del campo stesso. Inoltre è sopravvenuto il
concetto di scopo, che presenta delle caratteristiche peculiari. La relazione causale non è reversibile, è unidirezionale: se diciamo che il fulmine è la causa del tuono non possiamo rovesciare e fare del tuono la causa del fulmine. Nell'esempio della semina, invece, lo scopo precede e dà direzione a quello che io voglio fare: la causa dell'operazione chiamata aratura è
lo scopo, il termine d'arrivo. Il rapporto causa-effetto si ribalta grazie all'intervento del termine mediatore, che nel nostro esempio è l'aratro. Grazie all'intervento della funzione non
più giudicativa, ma sillogistica del concetto, si stabilisce così un'unità dove il concetto di
scopo è la fine - l'obiettivo che voglio realizzare - e insieme l'inizio - ciò che mi spinge a
compiere quelle determinate azioni. La fine, perciò, oltre ad essere nello stesso tempo l'inizio, è anche la causa e insieme l'effetto. Questa è la circolarità che sopravviene allorché si
passa alla sfera dell'attività teleologica del concetto - un tema che del resto aveva indicato
già Kant.
5 - Ecco, Lei accennava giustamente a Kant, che si intravede sullo sfondo di questa parte
della logica hegeliana relativa al rapporto tra meccanicismo e teleologia. Qual è il giudizio
che Hegel formula su Kant a questo proposito?
Dobbiamo rifarci adesso non più alla Critica della ragion pura, ma alla Critica del Giudizio,
dove Kant affronta il tema della finalità esterna e interna . Nella Critica del Giudizio la parola "Giudizio" non indica il rapporto soggetto-predicato, ma traduce Urteilskraft, cioè l'attività giudicativa (è per questa ragione che in italiano bisogna scriverla con l'iniziale maiuscola). Kant in quest'opera distingue due funzioni dell'attività giudicativa: una funzione "determinante" (Giudizio determinante), ed una funzione "riflettente" (Giudizio riflettente). Determinante è, ad esempio, l'attività concettuale nell'Analitica trascendentale della Critica
della ragion pura: l'intelletto, mediante le categorie, connette i fenomeni e conferisce loro
l'impalcatura categoriale che è in grado di dar conto della struttura meccanicistica del mondo, o dell'esperienza possibile. Il concetto, cioè, "determina" l'oggettività; Kant dice che in
questo caso l'universale - che è il concetto - sopravviene a determinare il particolare - i fenomeni di cui di volta in volta si tratti. Del Giudizio riflettente Kant si occupa in maniera tematica e molto ampia nella Critica del Giudizio. L'attività riflettente del giudicare è costituita da un rapporto inverso rispetto a quella determinante: si muove dal particolare anziché
dall'universale, e muovendo dal particolare si mira all'universale, cioè all'elemento di universalità che il particolare non esprime di per sé. Per esempio, se partiamo da un'opera d'arte particolare e ne cerchiamo un elemento di universalità - il suo "valore estetico" -, il processo è dal particolare all'universale. Kant chiama questo tipo di attività giudicativa Giudizio "riflettente", perché è "riflettendo" sul particolare che possiamo avviarci in direzione
dell'universale, e questa riflessione fa sì che la funzione determinante del concetto sia esclusa. Il giudizio teleologico secondo Kant rientra nelle attività riflettenti del Giudizio, e non in
quelle determinanti.
Hegel dissente totalmente da Kant su questo punto perché ritiene che anche l'attività teleologica sia un'attività determinante e non semplicemente riflettente; infatti la teleologia , pur
venendo dopo il meccanismo e il chimismo, continua sulla stessa linea, poiché anch'essa è
un'attività determinante del concetto. Il distacco da Kant è dunque vistoso: Hegel intende attribuire all'attività concettuale una funzione determinativa, analoga a quella che presso Kant
hanno le categorie nella Critica della ragion pura, e di riportare così la sfera della Critica
del Giudizio al mondo dell'Analitica trascendentale. A proposito della teleologia torniamo
all'esempio di prima, quello dell'aratro. In cosa consiste l'azione, determinata mediante il
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concetto di scopo, sull'oggettività? Nel fatto molto semplice che aro il campo e lo predispongo per la semina (e poi compirò quell'altra operazione che si chiama semina). Poiché lo scopo è un concetto, l'oggettività viene dunque forgiata anche teleologicamente dal concetto,
dalla nostra attività concettuale. Il concetto che ho di ciò che voglio attuare non è più semplicemente un giudicare riflettente, ma, secondo Hegel, è un'attività determinante. A questo
punto però il livello non è più quello del meccanismo e del chimismo, ma è quello della teleologia. L'attività riflettente ha preso, come prima accennavo, la configurazione del sillogismo
per via del medio, piuttosto che quella della partizione originaria, dell'Ur-Teil, del giudizio.
Siamo nella fase di piena esplicazione del concetto che si è ormai avviato a realizzare, in
maniera vicino a esser compiuta, se stesso.
6 - Poco fa ha parlato di "finalità esterna" e "finalità interna". Vuole precisarne meglio il
rapporto secondo Hegel?
Sotto il titolo di Teleologia Hegel tratta solo della finalità esterna. Nell'esempio della semina
l'aratro è il medio tra colui che vuole seminare qualche cosa e la semina. C'è un rapporto di
diversità tra un estremo - colui che vuole arare -, l'altro estremo - aratura e semina - e il medio - l'aratro. Nel sillogismo che questi tre termini costituiscono gli estremi non si possono
sostituire l'uno l'altro, e il medio rimane medio, non è intercambiabile con gli estremi. Questa per Hegel è soltanto una forma ancora esterna di attività teleologica, appunto perché
formalmente non è suscettibile di una intercambiabilità fra gli estremi. Il medio ha una direzione unilineare: dal concetto - lo scopo di arare - all'uso del mezzo - l'aratura.
Quando si entra nella finalità interna le cose cambiano. Di nuovo sullo sfondo della trattazione hegeliana c'è Kant, e in particolare la Critica del Giudizio. Con l'espressione "finalità
interna" Kant si riferisce al mondo dei viventi, all'organismo; egli osserva che nell'organismo non c'è qualcosa che punti ad altro e che rimanga in qualche maniera esteriore, ma ogni
membro è parte integrante di quel tutto che è l'organismo stesso, il vivente. Ogni membro è il
mezzo per il sussistere e il vivere dell'organismo, ma è anche il suo fine, nel senso che l'organismo si riversa a sua volta nel membro: la mano fa parte dell'organismo, come ne fa parte il cuore, il polmone e tutto il resto. C'è una reciprocità per cui si inverte la direzione unilineare che prima notavamo nella finalità esterna. In luogo di un passaggio irreversibile da un
estremo ad un altro estremo attraverso un medio, sopravviene la reversibilità. Hegel vede
come questo concetto di organismo o di vita da Kant prospettato nella Critica del Giudizio
nell'ambito della sua discussione del giudizio teleologico, sia stato affermato per la prima
volta da Aristotele, per poi esser dimenticato per molti secoli. Hegel riprende dunque da
Kant e da Aristotele questo tema e lo inserisce nel quadro generale dell'attività teleologica
del concetto.
In questo modo si passa dalla finalità esterna alla finalità interna e sopravviene quella struttura formale in cui gli estremi del sillogismo si intercambiano: non solo le membra sono in
funzione dell'organismo, ma l'organismo a sua volta è in funzione delle sue membra. L'organismo nasce compiuto e si sviluppa nella stessa compiutezza, si dispiega; le mani non si aggiungono strada facendo, né i polmoni, ma tutto l'organismo è un tutto compiuto in se stesso
e concresce in se stesso e su se stesso in questa sua stessa compiutezza. Per dirla in termini
aristotelici si ha un'attuazione di ciò che virtualmente è già contenuto fin dall'inizio nell'organismo, nel vivente; l'organismo attuato - direbbe Aristotele - è la sua entelécheia, è nel
proprio télos, cioè nel proprio fine attuato, è il passaggio globale dalla potenza all'atto.
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Hegel riprende questi motivi, per lui aristotelici prima che kantiani. Di grande importanza è
per lui la discussione che Kant fa nella Critica del Giudizio in cui si interpreta il vivente l'"organismo", come egli lo chiama - nel senso di una finalità interna, dove la novità rispetto
alla finalità esterna, argomento della Teleologia, è l'intercambiabilità tra gli estremi del sillogismo e il medio. Il rapporto causa-effetto perciò non soltanto si inverte, ma si inverte attraverso la mediazione apportata dal medio, e questa inversione dà luogo a un tutt'uno organico che prende appunto il nome di "organismo". Si entra così nella terza ed ultima sezione
della Logica soggettiva: L'idea.
7 - Siamo dunque arrivati alla terza sezione della Logica soggettiva: L'idea. Che cos'è l'idea per Hegel?
A questo punto il concetto ormai è alle soglie del sua completa realizzazione. Il primo momento di questa sezione si occupa della vita. Che cosa intende Hegel per "idea"? La risposta
apparentemente è curiosa: l'assoluta unità del concetto e dell'oggettività. Qui occorre dare
alcuni chiarimenti, perché la parola "idea" ha ricevuto significati molto diversi fra loro. In
Platone, l'"idea" (idéa, eîdos) è il modello rispetto agli individui e alla molteplicità di quanto
si incontra dell'esperienza, e dunque ha un significato che potremmo caratterizzare come
"metafisico". In Cartesio "idea" ha tutt'altro significato. Egli parla di "idee chiare e distinte",
e intende con questa parola le nostre conoscenze chiare e distinte, cioè le conoscenze vere;
non si ha più un significato metafisico, ontologico, ma un significato strettamente gnoseologico. Per Kant le idee trascendentali - le tre famose idee dell'anima, del mondo e di Dio - sono concetti, non conoscenze; concetti ai quali, secondo Kant, non può corrispondere nessun
oggetto. Le idee trascendentali non appartengono alla sfera conoscitiva, ma, direi, ad una
sfera concettuale; hanno però una propensione di carattere metafisico che ci riporta, come
del resto Kant stesso fa, al pensiero di Platone. In Hegel la parola "idea" prende ancora un
altro significato. Secondo la definizione drastica che egli ne dà, l'idea è "l'assoluta unità del
concetto e dell'oggettività" (G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften
im Grundrisse §213, Hamburg, Meiner, 1975, pag. 182; tr.it. di B. Croce, Enciclopedia delle
scienze filosofiche in compendio, Bari, Laterza, 1980, pag. 198). Questa unità si presenta per
la prima volta allorché sopravviene la finalità interna, vale a dire allorché si entra nel mondo dei viventi e in generale - come Hegel intitola il primo momento de L'idea - della vita,
perché il concetto di scopo non è più qualcosa di estrinseco rispetto all'obiettivo da raggiungere, ma si attua quella reciprocità a cui prima accennavo fra gli estremi del sillogismo, che
sono uniti nel loro intercambiarsi. È il concetto che realizza pienamente se stesso nel mondo
degli organismi, dei viventi e della vita.
Forse è opportuno richiamare il percorso precedente: la sezione intitolata L'oggettività descrive il processo attraverso il quale il concetto si realizza, forgiando, improntando di sé una
realtà presuntivamente esteriore, una esteriorità. Con l'aiuto di Kant Hegel approda a un livello in cui la struttura meccanicistica del mondo fisico non è in sé, ma è dovuta all'operosità
dell'intelletto - come direbbe Kant - o alla operosità del concetto, della Vernunft - come dice
Hegel. Così l'attività concettuale - il begreifen - comincia a realizzarsi, ma in modo ancora
incompiuto, perché permane la struttura duale del giudizio. Anche la teleologia per Hegel,
diversamente da Kant, possiede una virtù determinante, che non appartiene a un giudizio che
dall'esterno riflette sui particolari, ma ha una struttura formale che più che del giudizio è
propria del sillogismo. Il concetto quindi realizza maggiormente se stesso allorché impronta
teleologicamente l'oggettività, la plasma, come accade nella sfera della vita. Per Hegel quello della finalità interna è il momento in cui la realizzazione del concetto e la sua presa
sull'oggettività raggiungono il loro compimento, un compimento però ancora iniziale, che ha
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da compiersi a sua volta. Si arriva così al mondo dell'idea. Ecco perché Hegel dichiara che
l'idea non è una entità metafisica - come in Platone -, né una conoscenza - come in Cartesio e nemmeno il concetto che rimanda al di là delle esperienze possibile, ma è tout court l'unità
compiutasi di concetto e oggettività; la parola "idea" presenta nella logica hegeliana questo
preciso significato.
8 - Dunque l'idea esprime l'unità di concetto e oggettività, ma in cosa consiste l'idea assoluta, che è poi il punto di arrivo della logica hegeliana?
L'idea, terza sezione della Dottrina del concetto, ha a sua volta uno svolgimento. Hegel presenta la vita come l'idea nella forma dell'immediatezza; essa è, dunque, il primo affacciarsi
di quella unità di concetto e oggettività alla quale Hegel dà appunto il nome di "idea". Questa immediatezza a sua volta comporta uno svolgimento, uno sviluppo dialettico, sicché alla
vita seguono l'idea del vero e del bene - cioè la vita teoretica e la vita pratica, e infine l'idea
assoluta. Hegel afferma che quando il concetto ha realizzato compiutamente se stesso - e ciò
avviene dopo essere passati attraverso le sfere della vita, dell'attività pratica e dell'attività
teoretica - la presunta realtà esteriore si presenta come un mondo compaginato e sostenuto
dal concetto; il concetto ha realizzato pienamente sé stesso e ha raggiunto sé stesso, si ritrova nell'oggettività. Hegel sostiene perciò che l'idea assoluta è il compimento della sua logica.
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Biografia di Leo Lugarini
VITA
Nato a Parma nel 1920, Leo Lugarini si è laureato nel 1944 in Filosofia, presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, con una tesi sul pensiero di Kant,
giudicata degna di stampa. Assistente volontario alla cattedra di Filosofia teoretica della medesima Facoltà dal 1944 al 1950, nel 1951 ha conseguito la libera docenza in Storia della filosofia. Nella stessa Facoltà è stato incaricato dal 1951 al 1965, dell'insegnamento di Storia
della filosofia antica e successivamente di Filosofia della religione e di Filosofia morale. Dal
1966 al 1974 ha coperto, in qualità di professore straordinario e poi ordinario, la cattedra di
Filosofia nella Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi de L'Aquila e, nello stesso periodo, è stato preside della Facoltà e prorettore. In seguito è stato chiamato a ricoprire la cattedra di Storia della filosofia antica e poi quella di Filosofia nella Facoltà di Magistero
dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Negli anni accademici 1976-77 e 1984-85 è
stato direttore, nella medesima Facoltà, dell'Istituto di Filosofia e Storia della filosofia.
OPERE
La logica trascendentale kantiana, 1950, L'unità dell'idea nel "Parmenide", 1951; Il problema
delle categorie in Aristotele, 1955; Il giudizio in Hegel, 1957; Sulla questione heideggeriana
del superamento della metafisica, 1958; Aristotele e l'idea della filosofia, l96l; Esperienza e
verità, l964; Filosofia e metafisica, 1964; L'esperienza di sé. Criticismo e "fondazione soggettiva", 1966; Hegel dal mondo storico alla filosofia, l973; Critica della ragione e universo della cultura. Gli orizzonti cassireriani della filosofia trascendentale, 1983; Prospettive hegeliane, 1986. Va inoltre ricordato che dal 1957 Lugarini dirige la rivista "Il pensiero", fondata
l'anno precedente da Giovanni Emanuele Barié, suo Maestro.
PENSIERO
L'attività di studioso di Lugarini ha riguardato principalmente, sul piano storiografico, il pensiero antico e quello moderno e contemporaneo, concretandosi in numerosi lavori attinenti sia
all'uno sia all'altro dominio. Riandando alle sorgenti greche della filosofia occidentale, Lugarini si è dedicato allo studio diretto di aspetti del pensiero platonico e di quello aristotelico. In
seguito, un primo contatto con Hegel e con Heidegger gli ha aperto nuove prospettive, orientate verso la rimeditazione dei classici rapporti tra filosofia e dialettica, alla luce, anche, del
tema heideggeriano della "differenza ontologica". Sorretto da intensi rapporti col pensiero
classico-greco e anche da concomitanti riflessioni sulla fenomenologia di ispirazione husserliana, il lavoro filosofico di Lugarini è successivamente approdato ad una posizione teoretica
personale con la quale si è in certo modo conclusa la prima fase della sua attività di studioso.
Contemporaneamente Lugarini ha cominciato a cimentarsi con Hegel, ricostruendo, in un
primo tempo, l'evoluzione del suo pensiero e abbordando poi la Scienza della logica, in vista
di un approfondimento sistematico di quel grande testo. Frutto del decennale lavoro è un voluminoso libro di prossima pubblicazione sulla logica hegeliana.
Liceo “Montale, San Dona’ di Pave (VE)
Dipartimento di Filosofia
Copia anastatica a cura del referente, P. Longo
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