centro di animazione teatrale
Teatro e Scuola
Convegno – seminario
7 settembre 2006
Villa Mariani - Casatenovo
Testi degli interventi:
presentazione e saluti delle autorità
prof. Gaetano Oliva: educazione alla teatralità e formazione
prof. Claudio Bernardi: educazione alla teatralità e creatività
UNOTEATRO Società Cooperativa
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via Risorgimento, 67 23900 Lecco
www.unoteatro.org
tel.fax.:0341 286506
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presentazione e saluto delle autorità
Il "CRT teatro" della Provincia di Lecco ha ufficialmente dato avvio alle sue attività.
Giovedì 7 settembre 2006, presso villa Mariani a Casatenovo (LC), si è tenuto il Convegno-seminario "Teatro
e Scuola". Con questa iniziativa il Centro Risorse Tematiche per il Teatro della Provincia di Lecco ha aperto
ufficialmente le sua attività. Il primo dato positivo da registrare è stata l'elevata partecipazione dei docenti del
territorio che hanno risposto positivamente mostrando elevato interesse alle tematiche affrontate nella giornata
di lavoro. Il Sindaco della città, Antonio Colombo ha accolto i partecipanti sottolineando l'impegno
dell'Amministrazione comunale per l'iniziativa e, più in generale, per il progetto che è sicuramente costruttivo e
utile per rafforzare il rapporto del teatro con i docenti delle scuole. Sulla stessa linea le altre personalità
intervenute al momento della presentazione del convegno: Alberto barbieri dell'Ufficio Scolastico Regionale, la
preside Maria Teresa Rigato della Scuola Media Statale "M.G.Agnesi" capofila del progetto, e il Presidente
della Provincia di Lecco Virginio Brivio, il quale ha ricordato ai presenti quante e quali attività l'Amministrazione
provinciale abbia realizzato per la diffusione del teatro nella scuola e ha proseguito dicendo:"Ora si tratta di un
progetto da condividere fra tutte le scuole in quanto l'obiettivo del CRTt è proprio quello di costituire un
momento di riflessione e collaborazione. I CRT aiutano il mondo della scuola a evolversi e non bisogna
scordarsi che una delle loro prerogative è quella di favorire una sintesi sulla finalità del progetto stesso".
È poi intervenuta la Preside Maria Teresa Rigato : " Questo Centro delle risorse dedicato al teatro è stato
istituito lo scorso anno presso la scuola media" M.G.Agnesi". "E' l'ultimo dei tanti che, in ambiti diversi, nella
Provincia di Lecco danno risposte che nascono dalla base. A questo CRT si sono iscritte 21 scuole. Devo
ringraziare l'Ufficio scolastico regionale, qui rappresentato dal professor Alberto Barbieri, l'Ufficio scolastico di
Lecco, la Provincia, presente oggi anche con gli assessori Carla Zanetti, Istruzione, e Chiara Bonfanti, Cultura,
l'Amministrazione comunale di Casatenovo. Quindi tutte le compagnie teatrali che hanno contribuito a questa
realtà, anzi che da anni ne hanno sollecitato la nascita. Un particolare ringraziamento a tutti i docenti
dell'istituto di Casatenovo, per prima alla professoressa Rosita Corbetta, al personale Ata, a tutti coloro che si
sono impegnati in questo progetto."
Altre importanti riflessioni e contributi di idee sono stati offerti dalla professoressa Carla Zanetti, Assessore
all'Istruzione della Provincia di Lecco. I due interventi, quello della Preside Rigato e il successivo intervento
dell'Assessore Carla Zanetti, possono essere ascoltati avviando la riproduzione audio di questa pagina.
Il convegno è entrato nel vivo dell'attività con gli interventi del professor Gaetano Oliva, docente dell'Università
Cattolica di Milano e quindi il professor Claudio Bernardi docente dell'Università di Brescia che hanno
affrontato l'argomento della "Educazione alla teatralità e formazione".
La mattinata si è concluso con il contributo dell'attore Carlo Rivolta che ha presentato una lezione spettacolo
sulla lettura espressiva. Più avanti sono riportate le sintesi scritte dei contributi teorici del Prof. Oliva e del Prof.
Bernardi, le registrazioni audio complete dei loro interventi e la registrazione delle lezione spettacolo di Carlo
Rivolta. Dopo un lauto buffet all'aperto, nel primo pomeriggio i docenti sono stati coinvolti direttamente in
attività di laboratorio teatrale coordinate e presentate dall'attore Meco Salvadore.
I partecipanti sono stati divisi in gruppi di lavoro e hanno potuto toccare con mano le possibilità del teatro nella
scuola attraverso un breve ma significativo percorso fra alcune tecniche teatrali:
LABORATORIO PERCORSO TEATRO DI FIGURA
Gambe di legno e mani leste: interpretazioni della fantasia
LABORATORIO PERCORSO Narrazione /COMMEDIA DELL'ARTE
Facce di tolla : la maschera e la parola
LABORATORIO PERCORSO TEATRO DANZA
Cuori di vetro: elementi di movimento creativo
I diversi laboratori sono stati realizzati grazie all'apporto delle compagie teatrali che operano sul territorio
provinciale: "ASSOCIAZIONE CULTURALE ALBERO BLU", "IL CERCHIO TONDO", "RONZINANTE",
"SOPPALCO/TEATRO INVITO", " UNOTEATRO", e gli artisti Filippo Ughi e Analia Zamorano; compagnie e
operatori teatrali a cui va il nostro più sincero ringraziamento.
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prof. Gaetano Oliva: educazione alla teatralità e formazione
L'educazione alla teatralità rivela una molteplicità di finalità e scopi per contribuire al benessere psico-fisico e
sociale della persona; in particolare vuole aiutare ciascuno a realizzarsi come individuo e come soggetto
sociale; vuole dare la possibilità ad ognuno di esprimere la propria specificità e diversità, poiché portatore di
un messaggio da comunicare mediante il corpo e a voce vuole stimolare le capacità; vuole accompagnare
verso una maggiore consapevolezza delle proprie relazioni interpersonali; vuole concedere spazio al processo
di attribuzione dei significati, poiché accanto al fare non trascura la riflessione, che permette di acquisire
coscienza di ciò che è stato compiuto.
Aspetto fondamentale del laboratorio teatrale è la relazione personale tra gli attori e degli spettatori.
Questa caratteristica propria dell'uomo è l'apertura all'altro; l'essere con; un'apertura che non è un semplice
scambio di comunicazione, ma un'esperienza di partecipazione affettiva e di reciprocità. Il desiderio di
incontrare l'altro deve essere però reale ed autentico: ciò implica che ciascuno accetti l'altro così com'è.
Il laboratorio quindi è un'occasione per crescere, per imparare facendo, con la convinzione che l'aspetto più
importante consiste nel processo e non nel prodotto: la performance è solo la conclusione di un percorso
formativo. L'attività teatrale stimola il bisogno di una conoscenza interpersonale che comporta una relazione in
cui l'altro è riconosciuto nella sua dignità. Il laboratorio teatrale offre anche l'occasione di capire che è
possibile cambiare determinate situazioni e cambiare se stessi.
Il laboratorio teatrale ha una forte valenza pedagogica ed offre un importante contributo nel processo
rieducativo, poiché, nel percorso che ognuno compie su di sé, conduce ad imparare a tirare fuori ciò che urla
dentro, a conoscere e controllare la propria energia, a convivere con ciò che in un primo momento si è
represso o rimosso.
Non bisogna dimenticare che l'essere dell'uomo dipende dalla qualità delle sue esperienze che caratterizzano
il suo modo di relazionarsi o non relazionarsi, in breve il suo stile di vita. Il teatro, vissuto nella dimensione del
laboratorio, permette di ampliare il campo di esperienza e di sperimentare situazioni di vita qualitativamente
diverse da quelle abituali, che possono contribuire alla ridefinizione di sé, del mondo, degli altri.
Fare teatro, in questo senso, significa allora rivedersi nel proprio passato: rivivere angosce, rivisitare certi
comportamenti o situazioni non per rimuoverle, ma per prendere coscienza di essere cambiati e riconoscere le
proprie positività.
In tale ottica, il teatro si presenta come esercizio del bello, che permette di pensare la realtà in maniera
diversa dal solito e ritrovare qualcosa di bello ovunque. Interpretare la realtà secondo la dimensione del bello
permette di uscire dalla ripetitività dell'esperienza che inibisce ogni crescita e aiuta a comprendere la
complessità del reale fatto di bello e di brutto.
Il teatro dunque può essere considerato come educazione al bello, come acquisizione di uno strumento di
giudizio nuovo, come possibilità importante di socializzazione, come strumento di cambiamento, come
rappresentazione catartica che permette di pensare che ci sia del bello in ogni incontro umano, in ogni
interazione, in ogni ambiente
Università Cattolica del Sacro Cuore
Facoltà di Scienze della formazione
Cattedra di Teatro di Animazione
Prof. Gaetano Oliva
"Educazione alla teatralità"
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Bibliografia essenziale
AÀ. Vv.
Educare al teatro
Brescia. La Scuola 1998
CLAUDIO BERNARDI-BENVENUTO CUMINETTI-SISTO DALLA PALMA [a cura di]
I fuoriscena. Esperienze e riflessioni sulla drammaturgia nel sociale
Milano, Euresis 2000
CLALDIO BERNAROL-BENVENUTO CUMINETTI
L'ora di teatro. Orientamenti europei ed esperienze italiane nelle istituzioni educative Milano, Euresis 1998
ANNAMARIA CASCETTA-LAURA PEIA
Ingresso al teatro
Firenze, Le Lettere 2003
ROSA DI RAGO [a cura di]
Il teatro della scuola
Milano, Franco Angeli, 2001
GAETANO OLIVA
Il laboratorio teatrale
Milano, LED 1999
GAETANO OLIVA
Il teatro nella scuola. Aspetti educativi e didattici
Milano, LED 1999
GAETANO OLIVA
Una didattica per il teatro attraverso un modello: la narrazione
Padova, Cedam 2000
GAETANO OLIVA-SERENA PILOTTO
La scrittura teatrale
Milano, ISU 2002
GAETANO OLIVA-SERENA PILOTTO
Il teatro antico
Milano, ISU 2002
GAETANO OLIVA
Pinocchio in scena
Brescia, La Scuola Editrice 2003
SERENA PILOTTO
La drammaturgia nel teatro della scuola
Milano, LED 2004
ALESSANDRO PONTREMOLI
Storia della danza
Firenze, Le lettere 2002
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prof. Claudio Bernardi: educazione alla teatralità e creatività
Istituzioni
La scuola del soggetto
La scuola, da quella materna fino all’università, costituisce l’esperienza sociale e comunitaria più lunga e
importante per la quasi totalità di bambini, ragazzi e giovani dell’età contemporanea. Statale o privata che sia,
la scuola rappresenta il luogo per eccellenza della formazione umana. Essendo quasi impossibile evitarla,
nella scuola finiscono per confluire non solo tutti i sogni educativi, le utopie politiche, gli esperimenti didattici
ed educativi, ma anche problemi e contraddizioni, i nodi irrisolti, le pratiche e i saperi delle diverse culture e
visioni del mondo contemporaneo.
Fra e molte stranezze delle scuole italiane colpisce a diffusissima pratica delle attività teatrali. È difficile
trovare una qualsiasi scuola di ogni ordine e grado che non segnali o un laboratorio teatrale o un saggio di fine
anno o spettacoli di vario genere, promossi da singoli docenti o da professionisti chiamati dall’esterno per far
fare teatro ai ragazzi. Non si contano le rassegne e le svariate manifestazioni che riguardano il teatro a scuola
in particolare e lo spettacolo dal vivo in generale. Eppure nel programmi scolastici il teatro come disciplina o
anche come obiettivo o metodo non compare direttamente. Essendo fra l’altro, interesse dei teatranti quello di
sviluppare un educazione al teatro per l’acquisizione di nuovi e consapevoli spettatori dei loro spettacoli, la
crescente richiesta di teatro dei (e con) bambini, ragazzi e giovani indica che il fenomeno viene dal basso, cioè
dalla scuola - scolari e insegnanti, un po’ meno i genitori che considerano spesso le attività ludiche una perdita
di tempo. Si danno molte spiegazioni parziali al fenomeno, come la necessità di contrastare la comunicazione
seduttiva dei media o di sostenere precisi programmi di integrazione scolastica per disabili, stranieri, individui
variamente in difficoltà o di essere l’attività-fulcro di diversi progetti di prevenzione dell’uso di droghe,
educazione sessuale, stradale, civica, ecologica, sanitaria, alimentare e via discorrendo. In realtà il successo
del teatro a scuola segnala che sta avvenendo una profonda mutazione del modello formativo che,
semplificando, consiste nel passaggio da uno schema in cui prevaleva la mente a un altro in cui la mente è
fortemente integrata al corpo. I filosofi direbbero che la res cogitans cerca l’unità con la res extensa. Gli
psicologi parlano di intelligenza emotiva.
I teatranti di corpo-mente.
Per capire questo sotterraneo percorso della scuola attuale, occorre richiamare brevemente quale è stato (e
quale è ancora per molti) il fondamento della scuola statale moderna da cui discendono vizi e virtù del nostro
sistema educativo. Ci serve per cogliere innanzitutto le ragioni del rifiuto categorico di inserire le discipline
teatrali nei curricolo didattico del passato e, al contrario, per spiegare il loro immenso successo in questi ultimi
anni. Il teatro, infatti, è strettamente legato alla concezione politica della scuola, che a sua volta determina il
comportamento pubblico quotidiano. Se sta cambiando la concezione politica della società, sta cambiando la
concezione della scuola e sta cambiando anche il suo modello didattico, che non e più il libro, ma l’attore. La
formazione da critica, diventa psicofisica.
Il sociologo francese Alain Touraine ha brillantemente sintetizzato la storia del sistema scolastico, partendo
dai problemi di oggi, da una scuola che non riesce a trovare il giusto equilibrio tra preparazione generale e
preparazione professionale, che si sente scavalcata dai media e dalla televisione, che vede penetrare nelle
sue mura la violenza, che non sa accettare la cultura dei giovani, che non trova più una vera giustificazione
per l’istruzione pubblica. Nata nell’epoca moderna come agenzia di integrazione fra razionalità e
individualismo morale, la scuola si sviluppa in Europa come progetto politico di educazione del cittadino.
Il sistema scolastico pubblico si fonda su tre principi fondamentali:
* liberare il bambino dai particolarismi ed elevarlo al mondo superiore della ragione e della conoscenza,
affrancandolo innanzitutto dalla tradizione (religiosa e popolare) per dargli gli strumenti per far progredire la
società;
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* afferrare il valore universale della scienza: una dura disciplina doveva formare lo studente sia in senso
morale che intellettuale; il sapere insomma non era semplicemente utilitaristico, ma celebrazione di una civiltà
superiore ed esaltazione di una società civilizzatrice, in quanto portatrice di valori universali;
* stabilire una scala di valori il cui raggiungimento determinava la gerarchia sociale: coloro che più si
avvicinavano ai valori universali della razionalità e dell’etica, che più si liberavano dai condizionamenti sociali,
dalle credenze e dalle tradizioni particolari, erano destinati a costituire la classe dirigente; chi appariva
incapace di disciplinare l’intelletto e la volontà si ritrovava invece a frequentare i corsi professionali; la
fisiologia politica e sociale era chiarissima: chi sa usare la testa sarà il capo del corpo politico e sociale, chi sa
usare le mani sarà la manodopera; quelli che sanno usare solo i piedi svolgeranno le attività più umili.
L’educazione classico-umanistìca, che si afferma in Europa a partire dal XVI secolo, raggiunge il suo vertice
nel XIX secolo, quando cambia il sistema scolastico in relazione al nuovo modello di formazione richiesto dalla
nuova classe dominante: la borghesia. Dapprima, come nei celebri Collegi dei gesuiti, era la disciplina del
sangue ossia dei nobili a determinare l’eccellenza, poi nella società democratica e borghese il merito e la
competenza ebbero la meglio sull’origine sociale. Anche se in tutte e due i casi la conoscenza superiore era
quella umanistica, nell’ideologia borghese trionfarono la razionalità, l’astrazione e la formalizzazione. Per
questo motivo nel campo scientifico la matematica si poneva al vertice del sapere, così come nel campo delle
lettere tale posto era riservato alla filosofia. La gerarchia delle nostre scuola superiori è la più chiara
esemplificazione della gerarchia della ragione di antico regime: al primo posto sta il liceo classico, segue lo
scientifico, poi il linguistico, poi le scuole professionali e tecniche. Nelle scuole di nuovo regime lo scientifico
dovrebbe scavalcare il classico. Nelle vette del sapere, le università, il primo posto è assegnato alle facoltà
scientifiche, poi ci sono quelle umanistiche e infine quelle pratiche, come le arti...
La scuola borghese si fondava inoltre sull’identificazione di una nazione con dei valori universali, che Touraine
elenca per Stato: libertà economica e democrazia per la Gran Bretagna; i tre principi rivoluzionari per la
Francia; il pensiero teorico per la Germania; la filosofia politica per l’Italia; i principi costituzionali e
l’uguaglianza delle opportunità per gli Stati Uniti. Per tutti valeva il principio che l’acquisizione dei valori e della
libertà personale passava attraverso la partecipazione alla vita sociale, anzi a quella nazionale, vista come
espressione non solo della sovranità popolare ma anche dell’identità storica e culturale. Non a caso la lingua
nazionale la storia e la geografia, in gran parte locali, avevano (e hanno) un peso rilevante e quindi ideologico
nel curricolo scolastico. In definitiva, la scuota classica era un sistema educativo non centrato sull’individuo,
ma sulla società, anzi sullo Stato.
Nonostante i molti meriti della scuola borghese, la serie di sciagure provocata dalla ragione occidentale nella
storia del Novecento (due guerre mondiali, Olocausto, bomba atomica, totalitarismo, nazismo, fascismo,
comunismo, colonialismo, razzismo ecc.) ha convinto tutti a ridiscutere profondamente i valori della modernità.
Chi non era o non è disposto a farlo deve arrendersi comunque all’evidenza che nella società globale lo Stato
ormai conta poco. Come evidenzia Zygmunt Barman, nessuno Stato è più in grado di dare ai suoi cittadini
tutto quello che un tempo aveva loro promesso e garantito in cambio di obbedienza, fedeltà e cessione della
propria identità fin dalla nascita (tutti iscritti a forza nell’anagrafe di Stato; da subito quindi sudditi e patrioti per
legge e non per scelta). Il paradosso dell’era globale è racchiuso nel beffardo manifesto comparso, sui muri di
Berlino nel 1994 richiamato da Barman: «Il tuo Cristo è un ebreo. La tua macchina è giapponese. La tua pizza
è italiana. La tua democrazia è greca. Il tuo caffè è brasiliano La tua vacanza turca. I tuoi numeri arabi. Il tuo
alfabeto latino. Solo il tuo vicino è uno straniero».
Touraine pone la stessa questione in modo diverso: si può vivere insieme, nel contempo uguali e diversi? Si
possono conciliare quei valori che il Novecento ha vissuto come antitetici? La situazione odierna è
caratterizzata dalla mondializzazione dell’economia, favorita dallo sviluppo dell’informatica, delle scienze, della
tecnologia, da un movimento di apertura non solo del mercato e delle merci, ma anche di uomini, idee,
rapporti, mai registrato finora nella storia dell’uomo. La globalizzazione del mercato d’altra parte accentua la
ricerca di identità, il rifugio in una comunità omogenea vista come difesa dalle invasioni degli altri, immigrati e
non, percepiti come seria minaccia al proprio benessere.
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Il nazionalismo o la patria o la propria terra segnalano un movimento di chiusura opposto a quella di apertura
del mercato, un’ipertrofica valorizzazione del proprio mondo, della propria lingua, del proprio territorio e delle
proprie tradizioni, un rifiuto polemico della cultura altrui.
Il vecchio equilibrio sociale – cittadini della stessa nazione rispettosi della vita privata di ciascuno o, in termini
più espliciti, la politica separata dagli affari – non esiste più nel momento in cui l’economia internazionale
declassa l’indipendenza degli Stati nazionali. I media, in particolare l’informatica, hanno fatto saltare tutte le
barriere di spazio e di tempo e la separazione fra vita pubblica e privata. Siamo in un altro mondo. E allora
quale soluzione è possibile per evitare la libertà solitaria dell’economia globale o la spersonalizzazione dello
stato?
La risposta di Touraine è dare spazio al soggetto, come attore capace di costruire la propria esistenza
personale in relazione sia alla sua partecipazione al mondo della tecnica e dell’economia, sia al suo impegno
comunitario e sociale. La valorizzazione del Soggetto non è una fuga, ma una difesa sia contro la tendenza
omologante del mercato sia contro i poteri comunitari o statali. In tal modo si conciliano innovazione e
tradizione, individualismo e solidarietà, uguaglianza e differenza. Il Soggetto non è più il soggetto etico, quello
del dovere sociale, ma un Soggetto che si impegna a costruire il meglio della propria vita e si mette
positivamente in relazione con altri Soggetti o li tiene a bada trovando così un accettabile assetto di vita non
solo per sé, ma anche per gli altri.
Il modello formativo che ne consegue è chiaro.
a) Si passa da uno Stato che forma l’individuo a un Soggetto che forma lo Stato. Se il soggetto della scuola
antica imparava a essere al servizio del progresso, della patria o del sapere, ora la società democratica e la
sua scuola devono essere al servizio del Soggetto. La scuola deve innanzitutto formare e rinforzare la libertà
del Soggetto. La scuola non deve più limitarsi a imporre norme, programmi e tutto ciò che è fissato dal potere
politico, ma deve riconoscere l’esistenza li domande personali e sociali dei suoi studenti. Ciò significa che lo
studente non viene più concepito come una pagina bianca da riempire con gli alti contenuti dei professori.
Emozioni, conoscenze e valori fanno già parte dei bagaglio personale dell’allievo e la scuola deve interagire
con questa storia personale, tendere quindi non più a portare il particolare (o l’individuo) all’universale ma, al
contrario, a individualizzare la formazione.
b) Il secondo principio della scuola del Soggetto è che il sapere non sarà più centrato sui valori e sulla cultura
della società di appartenenza, ma sulla diversità storica e culturale e sul riconoscimento dell’altro, a partire
dalle differenze che esistono tra donna e uomo, adulto e giovane, fino ad arrivare alle forme di comunicazione
interculturale. All’educazione statale succede un educazione dialogica, conscia dell’eterogeneità culturale e
diffidente di qualsiasi omogeneizzazione civile, religiosa, televisiva o pubblicitaria. L’idea di patria o nazione o
paese è indifendibile quando il tempo e lo spazio non esistono più ed emigrazioni, turismo e collegamenti
mediali ci mettono in contatto, in tempo reale, con tutto il mondo. Resta inteso che il riconoscimento dell’altro
passa attraverso la profonda conoscenza della tradizione storico-culturale in cui si è vissuti e nati.
c) Il terzo principio della scuola del Soggetto, delineata da Touraine, è che occorre correggere le
discriminazioni della scuola, offrire realmente a tutti uguali opportunità, partendo da situazioni concrete di
disagio. L’eliminazione delle ineguaglianze non avviene con la propaganda astratta dell’uguaglianza dei diritti,
ma affrontando attivamente il problema dell’esclusione, sul posto, con soluzioni discusse e messe in atto da
insegnanti, genitori, studenti, enti, associazioni. Una democrazia di fatti, dunque, non di principi. Atti, non
parole. Solo la politica del Soggetto, dichiara Touraine, è una politica democratica.
La scuola del Soggetto deve essere veramente laica, dove laicità non significa però anticlericalismo, ma
accettazione della diversità contro l’omogeneità culturale sia di tipo religioso che statale. La fede, ogni fede,
non va quindi programmaticamente respinta ma va rispettata, studiata e accolta come intimità preziosa di ogni
individuo. Più ancora, la laicità deve rinunciare alla separazione tra pubblico e privato, tra istruzione pubblica
ed educazione familiare. Quest’ultima infatti non esiste più o non ha più l’incidenza di un tempo. Poiché è
proprio il sostegno della famiglia a determinare il successo dei più bravi, occorre ricreare a scuola una famiglia
per coloro che ne siano privi.
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Solo così si ricompone la frattura tra la formazione formale degli adulti che pensano al futuro professionale dei
figli e l’educazione informale della cultura giovanile attenta ai problemi personali. Il rifiuto della scuola di Stato
non significa passaggio alla scuola di mercato. L’educazione scolastica ha cominciato a perdere d’importanza
quando, con la rivoluzione industriale, il cittadino ha lasciato il posto al lavoratore, la politica all’economia. La
riduzione della scuola a semplice preparazione personale, a formazione delle capacità per il mondo del lavoro,
non suscita grande entusiasmo negli studenti, che sono invece molto più preoccupati della loro vita e dei loro
progetti personali, delle relazioni familiari e degli affetti degli amici. Il mercato del lavoro peraltro è così
mutevole che una scuola semplicemente professionale rischia di sfornare disoccupati e di essere sempre e
comunque in ritardo sulle innovazioni della tecnica, della scienza e della produzione.
Bisogna rinunciare allora a educare per lo Stato o per il mercato. Rinunciare a formare per il sistema, politico o
economico. Bisogna invece aiutare il Soggetto a formarsi, a costruirsi per la scelta professionale che più lo
attira e per la società in cui si trova meglio. Questo compito spaventa molti insegnanti, che si rifiutano di
prendere in carico i problemi dei giovani sostenendo che la scuola è semplice luogo di trasmissione delle
conoscenze. Non bisogna invece separare il sapere astratto da quello concreto, i progetti professionali dalle
motivazioni personali. La scuola non è solo istruzione, ma pluralità di funzioni. La scuola è educazione che
incoraggia la diversità culturale e favorisce l’attività attraverso la quale si afferma e si forma la personalità degli
studenti. La scuola non si deve più occupare di formare buoni cittadini e bravi lavoratori, ma deve impegnarsi
ad accrescere la capacità degli individui di essere Soggetti liberi, attori della propria vita e della propria storia
nonché costruttori della propria società.
Il vero cambiamento della scuola è il passaggio dall’istruzione alla comunicazione. Se l’antica scuola era
definita dai contenuti, dai programmi, dalle conoscenze trasmesse, dalle valutazioni e dagli esami degli
studenti, la nuova scuola è scuola di comunicazione, che dà importanza particolare più alla capacità di
esprimersi in tutti i modi che a quella di comprendere i messaggi scritti od orali. È attraverso l’interazione
quotidiana che si capisce l’altro, si discute con l’altro, si acquisisce la democrazia, si impara a viveri insieme. E
il linguaggio non è un puro parlarsi addosso, ma ricerca di azioni positive, di soluzioni ai molti problemi della
società. Il sapere, il metodo scientifico, l’analisi storica e critica, tutti gli strumenti scientifici vengono orientati
non all’astrazione ma all’azione che arricchisce la personalità dell’individuo e riduce l’ineguaglianza e la
sofferenza di molti. Ma la scuola del Soggetto non può essere gestita da burocrati o da teorici della pedagogia,
né tanto meno dal mercato. Suoi protagonisti non possono essere che altri Soggetti, anzi i soggetti principali
della formazione: gli insegnanti.
Una scuola che si dà il compito di promuovere la capacità e la volontà degli individui di essere degli attori e
d’insegnare a ciascuno a riconoscere negli altri la sua stessa libertà, il suo identico diritto all’individuazione e
alla difesa degli interessi sociali e dei valori culturali, è una scuola di democrazia nel momento in cui riconosce
che i diritti del soggetto personale e le relazioni interculturali hanno bisogno di garanzie istituzionali che non
possono essere ottenute se non attraverso un processo democratico.
Da una scuola che tira a campare, che difende la corporazione degli insegnanti come semplici trasmettitori di
conoscenze, strenui difensori del programma e della propria disciplina, che distribuisce inutili pezzi di carta,
che si affida al contesto familiare per assicurare la fortuna professionale nella vita e alla balia televisiva per
riempire l’immaginario e le emozioni adolescenziali, si passa a una scuola innovativa, una scuola di Soggetti
capace di sperimentare, motivare e proporre dal basso i cambiamenti sociali necessari, non elaborati
astrattamente ma con estrema concretezza. Questa è la scuola nuova, la scuola del Soggetto.
Per "soggetto" non si deve intendere l’Io assoluto o metafisico che, come evidenzia Luc Ferry, viene poi
interpretato come onnipotenza dell’ego, individualismo narcisistico, fine della spiritualità e della trascendenza
e immersione totale nel mondo della tecnica, dell’antropocentrismo e del materialismo. Al contrario il Soggetto
è la scoperta della trascendenza, la scoperta che il senso della vita va al di là della stessa vita, la scoperta che
sono libero di fare del bene o del male al mio prossimo e che è la mia relazione con l’altro che mi costituisce in
quanto uomo, unico essere vivente che può scegliere per amore di dare tutto se stesso, perfino la vita, a una
causa, a una persona, a una passione.
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Quello che viene pensato, discusso e auspicato nei dibattiti sulla scuola viene nel frattempo realizzato da
molte scuole, da docenti e studenti, operatori teatrali. Il teatro sperimentato nelle scuole negli ultimi anni è un
teatro laboratorio, un teatro del Soggetto, un teatro di gruppo e un teatro di comunità. I laboratori teatrali nelle
scuole hanno spazzato via il tradizionale approccio delle scuole al teatro. Pulman che scaricavano masse di
studenti per le recite scolastiche nei teatri pubblici, con attori spesso imbufaliti per il chiasso in platea e
studenti precettati in vena di protagonismo distruttivo. Rispetto religioso, ma in genere altrettanto disinteresse
per le modalità comunicative cattedratiche, riscuotevano e riscuotono le lezioni di storia e critica teatrale nelle
scuole. Anche nelle modalità attive di lavoro teatrale finisce col frantumarsi la supponenza magistrale, che
impone testi o idee o regie sulla base dell’esclusivo possesso della luce e della grazia da parte del maestro e
dell’artista e della colpevole condizione di ignoranza, oscurità e incapacità degli allievi e dei discepoli.
Anche il teatro rientra nella concezione borghese e illuministica dell’educazione del cittadino. Per questa sua
nobile funzione è largamente sovvenzionato dallo Stato, è un apparato dello Stato, punta, come la scuola della
ragione, a denunciare gli errori e gli orrori del mondo, a promuovere gli universali valori dell’umanità, è
disposto ad attaccare lo stesso Stato, a criticare tutto e muovere tutto, salvo i rapporti che regolano l’artista e il
suo pubblico. I grandi pedagoghi del teatro del Novecento, come Copeau, Stanislavskij, Grotowski, decisero di
far fuori il teatro per inventare e approfondire il tema cruciale della formazione di se stessi e delle relazioni,
informali e istituzionali, con gli altri. Quando si parla di scuola vecchia e scuola nuova, bisogna parlare anche
di teatri antichi e nuovi. Il laboratorio scolastico è un teatro nuovo perché cerca di abbandonare le modalità
antiche di relazione e creazione e sperimenta nuove vie: non un testo già fatto, ma un testo da creare, un
testo non pensato a tavolino, ma frutto di un concreto lavoro di ricerca espressiva; non il primato del successo
artistico a scapito delle relazioni del gruppo, ma il primato del percorso personale, di gruppo e poi, per
contagio, della comunità. Il laboratorio teatrale cerca un tempo equo per il processo e per il prodotto, un
equilibrio anche tra le due modalità di fare teatro per evitare la dipendenza da palco ( l’identità fra arte e vita )
o, al contrario, la mistica di gruppo e di setta e l’auto esclusione confraternale ("noi diversi dagli altri") della
prospettiva unicamente laboratoriale. La correzione sia del "trip teatrale" o beatitudine scenica sia della
congrega in costante auto terapia è la solidarietà del Soggetto e del gruppo con ciò che avviene fuori,
attraverso la soluzione di problemi vivi, concreti, o la cura di persone in situazione di disagio reale. Tutte le
belle idee e le nozioni che si apprendono a scuola, tutte la capacità e le competenze acquisite vengono messe
in gioco per riuscire a risolvere almeno qualcuno dei problemi che si incontrano quotidianamente nella scuola
e nella vita. Gli altri sono una grande occasione di formazione per il Soggetto, soprattutto se la loro esistenza
dipende da quello che il Soggetto è capace di fare o pensare o inventare, per cui acquisisce con passione
conoscenze, abilità, professionalità, ma anche umanità, benessere fisico, energia, sentimento. Agli altri non si
dà solo tanto. Dagli altri si riceve tanto. Capire se stessi, capire gli altri, provare la relazione e il benessere con
se stessi, provare la relazione e il benessere con gli altri sono le grandi scoperte del laboratorio teatrale.
Succede il contrario nella scena di classe dove scatta una competizione a volte terribile, una rivalità al limite
della crudeltà, con compagni destinati a diventare lo zimbello di tutti o a essere comunque esclusi; con docenti
che non ci sono, o se ci sono non sono lì per gli studenti o solo per scaricare su di loro un mare di frustrazioni.
A tutti i presidi, i professori, gli studenti, i genitori che considerano il teatro una perdita di tempo, qualcosa che
sconvolge l’ordinato programma di studi, si consiglia un piccolo laboratorio di una settimana per capire la
differenza che passa tra la relazione che si istituisce normalmente nelle classi scolastiche e quella che si
costruisce in un laboratorio teatrale. Il teatro non estingue magicamente i molteplici disagi degli adolescenti e
dei giovani in età scolastica, ma è capace di diminuirli drasticamente perché, al contrario dell’istituzione
scolastica e anche di quella familiare, non mette al centro l’istituzione e ai margini l’individuo, ma pone al
centro la persona per darle la possibilità di essere quello che vuole essere e per offrire, nel confronto/incontro
dei desideri del gruppo, a sua volta artefice di un progetto comunitario e di un impegno pubblico, creativo e
sociale. Come scrive Crepet:
Una ragazzina da mesi non mangia e non ha più le mestruazioni: è più utile per lei un’ora di Letteratura
italiana o uno spazio in cui il linguaggio del suo corpo martoriato finalmente si manifesta?
UNOTEATRO Società Cooperativa
[email protected]
via Risorgimento, 67 23900 Lecco
www.unoteatro.org
tel.fax.:0341 286506
[email protected]
centro di animazione teatrale
Un ragazzo iperattivo e violento: per lui è meglio un corso di Cibernetica o la possibilità di usare la propria
esuberanza per riuscire a trovarsi al centro dell’attenzione senza essere escluso? L’una e l’altra cosa,
probabilmente, ma allora perché la scuola si fa bastare la Letteratura o la Cibernetica?
Il teatro non è solo piacere. È anche dovere. È un divertimento impegnato. Non è solo razionalità, ma anche
emozione. Non cura solo la formazione individuale, ma anche quella sociale. Coniuga immaginario e realtà.
Mente e corpo. Pubblico e privato. Unisce la disciplina al gioco. Fa dialogare adulti e giovani.
Sono molteplici oggi le esperienze e o metodi che ricorrono, a vario titolo, a dispositivi teatrali e drammaturgici
nel campo della formazione, scolastica ed extrascolastica. C’è chi ricorre al gioco drammatico, chi ai burattini,
chi al teatro danza, chi alla narrazione, chi alla messa in scena di testi autoprodotti o di autori classici
rimaneggiati, chi al laboratorio, chi alla drammatizzazione. In tutti i riti teatrali, studenti e professori, attraverso i
personaggi e i loro drammi, stanno cercando di creare un buon Soggetto.
UNOTEATRO Società Cooperativa
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