Ricordi della guerra in Jugoslavia
1941-1943
Diario di Rolando Bertoni
A cura di Chiara Pastorelli e Serena Mandolla.
(Istituto tecnico commerciale statale “Renato Serra”
Ci è sembrato interessante ripresentare i pochi brani
superstiti del diario riportati in appendice al volume La mia Odissea,
di Rolando Bertoni, fuori commercio ed ormai introvabile. Una vera
e propria Odissea, ricostruita a memoria, proprio a partire da questi
frammenti e dalle poche fotografie inviate a casa per posta. La sua
storia, come quella di tanti altri della sua età, ha inizio con la
partenza da Fano, nell’aprile del 1940, come spavaldo soldato del
Duce diretto a combattere in Jugoslavia, a fianco degli alleati
tedeschi, per finire poi, dopo tre anni e mezzo di guerra, prigioniero
degli stessi, ormai divenuti nemici e da loro inviato in Germania
come IMI (Internato Militare Italiano) in condizioni di
semischiavitù. Dai lager Bertoni ritornerà dopo due anni,
nell’ottobre del ’45, dopo essere stato “liberato” dagli americani.
Del diario, scritto in tempo reale, restano due soli frammenti. Il
primo descrive la partenza per la guerra e l’inizio delle ostilità. Il
secondo riporta le vicende immediatamente successive all’8
settembre 1943, data in cui, tramite un disco trasmesso alla radio, il
gen. Pietro Badoglio, comunicò alla nazione la resa senza
condizioni dell’Italia ai paesi alleati. I soldati italiani, sorpresi e
privi di ordini, furono ben presto costretti ad arrendersi su tutti i
fronti al nuovo nemico, gli ex alleati tedeschi, che già informati di
quanto stava per accadere, avevano da tempo predisposto i piani
necessari per sopraffarli. Per quelli che non accettarono la resa
l’alternativa fu lo sterminio.
Maurizio Balestra
“Nel mondo non c’è una nazione, un popolo in pace”
(Rolando Bertoni in: La mia Odissea)
La rabbia, il vuoto, la paura… Cinque lunghissimi anni di
guerra e di prigionia, le certezze che svaniscono, il dubbio di non
poter rivedere la propria famiglia, la paura di non esserci più il
giorno successivo. La voglia comunque di scrivere per ricordare, per
far ricordare. Rolando Bertoni aveva vent’anni quando partì per
quell’esperienza che avrebbe segnato in modo decisivo la sua vita.
Costretto dal fascismo a lasciare la famiglia, la sua casa e la
fidanzata partì per un paese a lui sconosciuto con il suo bagaglio
d’inesperienza e leggerezza tipica dei ragazzi di quell’età. Ma
l’inesperienza e la leggerezza lasciarono presto il posto alla
responsabilità e alla sofferenza, grazie alle esperienze durissime
vissute in quel periodo. Esperienze che proprio nel momento in cui
la vita diventa più difficile Rolando intende fermare sulla carta. E
così, nei momenti di pausa, incomincia a scrivere sui fogli di
un’agenda trovata per caso in Jugoslavia. Il suo diario parte dal 2
aprile 1941, giorno in cui partì da Fano per Bari, da dove si imbarcò
di nuovo per Durazzo, per poi interrompersi il 17 settembre 1943,
quando da un grande penitenziario della Bosnia viene deportato
come prigioniero di guerra in Germania, dopo il suo rifiuto di
combattere a fianco dei camerati tedeschi. La rabbia di tante
delusioni scatenò in lui una grande forza e la voglia di sopravvivere
e di reagire, così ritornò a casa, dopo cinque anni, dove riprese a
vivere in modo normale. In lui però resteranno sempre vive le
immagini della morte di migliaia di persone, delle città rase
completamente al suolo, del suo corpo che all’età di 25 anni pesava
solo 38 chili. La storia di cinque anni passati in una situazione
estrema di fame, solitudine e incertezza. In una società che ancora
oggi come allora sembra fondata sull’ignoranza e sull’odio, questo
potrebbe essere un piccolo contributo per riflettere proprio
sull’ignoranza, sull’odio e sulla guerra che ne è sempre la
conseguenza diretta e magari cogliere l’importanza di valori oggi
scontati come la vita e la libertà.
Chiara Pastorelli, Serena Mandolla
Ricordi
La guerra in Jugoslavia
Il giorno 2 aprile 19401 alle ore 17,15 si parte da Fano per Bari. Alla
stazione c’era mia madre2 e Anna3 con sua madre, confesso
francamente che la loro presenza mi infusero un pensiero piuttosto
preoccupante, la guerra, pensiero che in tradotta, in compagnia di
amici allegri mi svanì. Il viaggio fino a Bari, andò discretamente, fra
canti patriottici e risate. Arrivo a Bari alle ore 17 del giorno 3 – A
piedi e con lo zaino affardellato raggiungemmo subito il porto. La
piccola marcetta fu snervante, lo zaino pesava maledettamente, e
parecchi rimasero a metà strada, io, e mi meraviglio, resistei. Al
porto di Bari rimasi fino le ore 24, poi fui imbarcato sul piroscafo
“Città di Milano” diretto a Durazzo4, dove arrivai il giorno 4 alle ore
14. L’attraversata fu calma, ma verso le tre del mattino venne
l’ordine “indossare il salvagente” si profilava la sagoma di un
sottomarino Inglese che però sparì dalla circolazione vedendo la
nostra scorta. Passai per circa un’ora dei momenti brutti, di ansia
atroce, sembrava che la nave dovesse saltare da un momento
all’altro. A circa 1 chilometro da Durazzo si profilava sulla
superficie del mare i resti della nave Italiana “La Paganini”
affondata dagli Inglesi, qui ancora un po’ di fifa, sembrava fosse un
cattivo auspicio per noi che si doveva andare in linea. Arrivati al
posto di Durazzo, appena scesi, tutti tirammo un gran sospiro di
1
Non è il 1940 ma il 1941. Il diario di Rolando Bertoni incomincia poco prima
della sua partenza da Fano per l’Albania, dopo un periodo di preparazione durato
circa un anno.
La prima pagina della seconda parte del diario “Nnel piccolo villaggio di
Doljani…”
2
Francesca Guerrieri.
3
La fidanzata di Rolando Bertoni, che poi, al suo ritorno, diventerà sua moglie.
4
Città dell’Albania situata sulla costa settentrionale. L'Albania, conquistata
precedentemente dall'Italia in soli sei giorni (6-12 aprile 1939) senza alcuna
resistenza, venne utilizzata come un ponte per la futura espansione italiana nei
Balcani.
sollievo guardando il mare – Da qui, sempre col fido zaino sulle
spalle mi portarono al campo “C” di Durazzo, lontano dalla città
circa 10 chilometri. Era un caldo spaventoso, la strada sembrava non
finisse mai, in più, il continuo via vai dei camion, autotreni e veicoli
di ogni sorta, ci facevano perdere la bussola, avevo una grande
debolezza ed una gran sete, da Fano a Durazzo mi diedero da
mangiare solo 2 scatolette e due gallette. A strappi, ma senza
ritirarmi, raggiunsi il campo “C” grondavo dal sudore – Feci subito
la tenda, e senza mangiare mi addormentai sfinito. Qui si stava
discretamente, ma si stava male per l’acqua potabile arrivava l’auto
pompa solo una volta al giorno, noi eravamo tanti, così, molte volte
si rimaneva senz’acqua, e quando andava bene, si riempiva a metà
la boraccia – Il caldo ci tormentava tremendamente, non ci
potevamo neppure lavare ed invocavamo la pioggia come il Dio
liberatore, si beveva l’acqua degli acquitrini, non si pensava a
malattie. Finalmente il giorno 6 si disfano le tende, ed
autotrasportati si raggiunge Kukli, a circa 100 Kilometri da Scutari.
Il viaggio in camion è facile immaginarselo. A Kukli, appena
arrivati incomincia a piovere maledettamente, dal caldo tremendo si
passa al freddo, si ripiantano le tende sul terreno intriso d’acqua e si
va a dormire…. per terra. I giorni che seguirono li passammo sotto
la tenda perché tutti i giorni pioveva. Eravamo infangati fino ai
capelli, e senza poterci lavare, il giorno 9 mi feci rasare i capelli a
zero per….. igiene. Il giovedì (g. 10) la sveglia suonò alle ore 4 ed
alle 11 sempre autotrasportati , si partì per Scutari e precisamente a
Zusi, un accampamento a Nord-ovest da Scutari, vicino alla
frontiera Jugoslava. Qui, i battaglioni vengono dislocati in assetto di
guerra ed incominciano i collegamenti con le prime linee. La prima
notte, all’alba, veniamo svegliati di soprassalto dal rombo dei
cannoni della nostra batteria, lontani dall’accampamento circa 200
metri. Gli Jugoslavi però non rispondono, non hanno mezzi di lunga
portata e si difendono solo con il mortaio5 e la mitraglia, il giorno
12 è stato per noi il battesimo di sangue, i battaglioni sono in
5
Arma a tiro curvo, semplice e maneggevole, per il lancio di bombe di grande
potenza distruttiva.
contatto con il nemico, dalle staffette apprendiamo che il nemico
attacca senza successi, si lamentano da parte nostra per ora 2 morti,
qualche ferito e una ventina di prigionieri, dalla parte Jugoslava,
molti, fra morti e feriti e prigionieri. In un momento di sosta,
andiamo a perlustrare le case degli Albanesi costretti a sgomberare
il settore, facciamo caccia grossa, 4 polli e sei galletti che servono
per santificare la Pasqua. La notte del 13 non si dorme, il cannone, il
mortaio amico e nemico canta sempre accompagnato dalla
mitraglia. La domenica del 13, Pasqua, dopo la messa al campo, ci
diamo da fare per cuocere i polli. Si rimedia dalla cucina un poco di
condimento e tutti, eravamo sei, facevamo qualche cosa per far
riuscire meglio il pranzo, che in verità fu eccellente – Al pomeriggio
un’altra nostra incursione nell’abitato, ci frutta ancora 3 galline che
subito vengono spennate e cucinate. Fra una cosa e l’altra si pensava
sempre a casa, il nostro pensiero era comune, ed ogni tanto, uno di
noi diceva: Chissà cosa faranno a casa, staranno in pensiero per noi
invece….. Verso l’imbrunire del giorno di Pasqua, sul più bello
della cena, le sirene di Scutari suonano per un allarme aereo.
Visione magnifica, si vedeva l’aereo Jugoslavo contornato dai
proietti della batteria, si vedeva bene la scia luminosa e quando
colpivano il bersaglio, l’aereo riesce a buttare 3 bombe che non
raggiungono gli obiettivi militari, ma è costretto ad atterrare nel suo
territorio perché era gravemente danneggiato. Nelle prime ore del
14, fuoco intenso di artiglierie e mortai contro le linee nemiche. Il
15 aprile, alle ore 13 viene l’ordine dell’avanzata, in un baleno si
disfano le tende ed iniziamo la marcia che è piuttosto faticosa e
pericolosa poiché il nemico spara all’impazzata attaccato dai nostri
battaglioni e dalla “Centauro”. Si marcia sempre, il nemico avanza
all’inglese6 e noi lo inseguiamo senza dargli tregua, finalmente alle
ore 18 dello stesso giorno il nemico alza la bandiera bianca. Grande
nostro entusiasmo, la fatica è coronata dalla vittoria – La notte
trascorre calma (16-4) ma la pioggia ci tormenta. Sudati, stanchi,
bagnati fino alle midolla, e con una fame da leoni, ci buttiamo sopra
delle cataste di tavole ed anche la notte passa; - alle ore 3 sveglia e
si inizia il collegamento radio fino alle ore 14 – Piove sempre e
6
Si ritira.
molto, stanco ed affamato, in un momento di sosta mi siedo per
terra, ove c’era per lo meno 10 centimetri d’acqua e mi addormento
profondamente. In quel breve spazio di tempo, non sentivo più
neppure le cannonate della nostra artiglieria che sparava a 20 metri
da me, dimenticai la guerra, e ricorderò sempre che sognai, sogni
confusi, senza capo ne coda, era la debolezza io credo, forse
deliravo, ricordo che vedevo Anna ed andavamo a passeggio a
Pesaro ed anche lì pioveva – Mi rimise nel mondo reale una pedata
del sergente maggiore, dovevamo rientrare. Il nemico intanto non si
fa più vivo – Alle ore 17 ci attendiamo in un campo acquitrinoso,
sembrava una palude, era l’unico posto dove potevamo accamparci.
La guerra ormai può dirsi finita. Finalmente, ci viene distribuita una
scatoletta di carne congelata ogni due soldati ed una galletta,
divoriamo sia l’una che l’altra in un baleno, ci si sveglia l’appetito
avevamo più fame di prima. La galletta e la carne ci stimola la sete,
dove si può trovare un po’ di acqua? Per quanto abbiamo fatto, non
l’abbiamo potuta trovare – Ci venne distribuita la posta, unica e
soddisfacente funzione della giornata. Leggendo, non pensammo
più alla sete, avevamo bisogno di una parola di conforto dalle
persone a noi più care, ma dopo, la sete si sviluppò in un modo
incredibile, ci dovemmo accontentare di riempire una gavetta
d’acqua di un fosso, tutta torbida, la facemmo stare un po’ per farla
diventare chiara e…. giù – Ricordo benissimo che accendemmo un
gran fuoco per scaldarci ed asciugarci ma la pioggia, dispettosa
invece di diminuire aumentò, ci spense il fuoco e ci costrinse ad
entrare sotto le tende. Dalle ore 20 alle 2 dovetti stare seduto sopra
l’elmetto perché sotto la tenda, l’acqua scorreva come un ruscello,
eppure riuscii a dormire, perché ero stanco ed affaticato, dormii
poco, ma pensavo molto a casa, ad Anna. Alle 2,30 arrivarono i
torpedoni7, ed alle 2,45 si parte (17 – 4) Durante la strada qualche
rara fucilata ci accoglie, sono bande di ribelli8 sperdute fra i monti –
Si vedono ovunque le tracce del nemico del nemico costretto alla
resa ed alla fuga, durante [lungo] la strada un’infinità di materiale
7
Autobus aperto.
8
Partigiani jugoslavi.
abbandonato e molti morti fanno ala al nostro passaggio. Passiamo
per Budva, Ilbar, Antivari. Qui sosta di circa un’ora per consumare
il solito pasto frugalissimo, una galletta e mezza scatoletta di carne –
Vediamo un grosso bombardiere inglese abbattuto. Si riparte ed
arriviamo alle 18,45 a Cattaro senza nessun incidente. Cattaro è una
cittadina marinara graziosa nel suo piccolo, gli abitanti, sono
dalmati, hanno gli usi e costumi affini ai nostri e quasi tutti parlano
un po’ d’Italiano che assomiglia molto al dialetto Veneziano – La
vita qui è molto costosa, non si trova nulla, solo verdura – Al
pomeriggio del 18-4 passa una divisione corazzata di Tedeschi,
provenienti dalla Francia e diretti in Grecia – La popolazione
dimostra simpatia per l’Italiano, ma non può vedere i Tedeschi che
suscitano loro paura. 20-4 – domenica – a Cattaro è Pasqua per gli
ortodossi9 e quindi festa, per noi invece è giornata di molto lavoro,
alla sera non si esce, ma siamo allegri perché finalmente, dopo tanto
tempo abbiamo visto spuntare il sole – Le giornate trascorrono
lavorative fino al giorno 24. Alle ore 9 si parte alla volta di Cettigne.
Eravamo allegri perché si andava nel M. Negro alla capitale.
Credevamo di trovare chissà che cosa invece presto abbiamo
costatato che era una grande illusione. Il viaggio in torpedone fu
interessante. Dalle famose serpentine si vedeva molto bene il
panorama di Cattaro, i golfi e le conche: Si saliva sempre, fino a
circa 2.000 metri di altezza. Sentivamo un gran freddo perché nella
strada c’era ancora la neve. Comincia la discesa e finalmente
arriviamo a Cettigne che è ad 850 metri. Qui, al palazzo reale
facemmo la sfilata davanti le autorità italiane e montenegrine, ci fu
la cerimonia dell’alza bandiera, ma quei pochi borghesi che
9
L’ortodossia (in greco, “retta professione di fede”) si caratterizza per l’adesione
ai primi sette concili ecumenici e per il costante riferimento alla teologia e alla
prassi ecclesiale del I millennio. Grande è il rilievo dato al culto e all’esperienza
spirituale. La frattura fra Chiesa cattolica apostolica romana e Chiesa grecoortodossa risale all’XI secolo ed ha all’origine i tentativi di supremazia del Papa
di Roma ed alcune innovazioni dottrinali, che scatenarono la protesta degli
ortodossi. La Chiesa ortodossa rimane immutata nella dottrina e nella fede sin
dal tempo dell’antica Chiesa degli Apostoli. Oggi Chiese ortodosse sono insediate
nei Paesi balcanici e soprattutto, in Russia. Nota caratteristica di tali Chiese è la
loro “autocefalia”, cioè la loro indipendenza amministrativa.
facevano ala al nostro passaggio, si dimostrarono poco entusiasti –
Cettigne è una piccola cittadina montanara – I costumi sono
caratteristici – ovunque andiamo sentiamo sempre il solito
ritornello: ne rasumie nista talianco (non capisco affatto l’italiano) e
nema nista (non c’è nulla). Comunque la cittadina è discreta ma
molto fredda, piove continuamente, ovunque si guarda si vedono
alte montagne ricoperte di neve che da un so che di sfiducia e di
malumore. I giorni che seguono divengono sempre più
insopportabili e noiosi, e Cettigne ben presto ci diventa persino
odiosa – Finalmente si profila all’orizzonte la speranza di tornare a
Cattaro, allora baldoria; ricordo che, pur non essendo abituato,
tracannai 18 bicchierini di rachia (grappa) liquore usato molto da
questi beduini, quindi rientrai in caserma più allegro del solito, e per
dirlo apertamente ero sbronzato – Il 28 festa di Anna, quanta
nostalgia – Finalmente il giorno 9 maggio (festa nazionale) fui
inviato a Cattaro come furiere di alloggiamento10 – Durante la
discesa della serpentina, l’autocarretta guidata dall’autiere Galeazzi,
per l’improvviso guasto del freno, si ribaltò e grazie all’abilità e
sangue freddo dell’autiere, non andò a finire dentro il burrone alto
parecchie centinaia di metri – Il ten. Franchellucci si salvò per
miracolo pur facendosi male e l’autiere ebbe la frattura della gamba
destra in tre parti – L’autocarretta ove ero io l’evitò non so come ed
ebbi uno spavento indescrivibile – Caricati i feriti, rimasi solo per 5
ore in aperta campagna a guardia dei rottami, finché non vennero a
prendermi e finalmente arrivai a Cattaro – Dopo appena due giorni
che arrivò la compagnia a Cattaro fui comandato al centralino del
Presidio, così risparmiai molte seccature e cicchetti per la pulizia
della caserma che assomigliava più ad un porcile che ad
un’abitazione – Qui me la passai molto, ma molto bene, ero quasi
sempre libero, senza aver mai rotture di scatole da alcuno, e questo
sotto le armi vuol dire già molto –
[Una pagina è strappata]
idea11: Prendere all’improvviso con l’aiuto di paracadutisti russi
che, buon per loro non si son fatti vedere, e ricacciare le truppe
Italiane a Cattaro per poi imbarcarle per l’Italia. Sono contrarissimi
al fascismo – Ai nostri fatti prigionieri, non torcevano un capello, li
disarmavano e li lasciavano liberi, al contrario, le camicie nere, i
finanzieri e tutti i volontari, li fucilavano e li sfregiavano senza
pietà. Con questi, si comportavano come i rossi di Spagna12. Cattaro
si manteneva calma, pur tuttavia, si fece l’epurazione di tutti i
comunisti13, uomini e donne che vennero imbarcati e portati a
Durazzo in un campo di concentramento. Però la sera del 16 nelle
vicinanze di Cattaro si vide un’insolito movimento che placò la
cacciatorpediniera Castore14 ormeggiata nel porto, con i suoi
proietti, era la volta di Cattaro ma non ci riuscirono. Tutti i giorni e
specie di notte molte pattuglie venivano dislocate nelle località più
sospette. Intanto a Budva succedevano fatti raccapriccianti; un
battaglione di camicie nere (Btg. Ancona) preso in un’imboscata
venne decimato ed i prigionieri fatti morire di morte lenta, la nostra
5° compagnia subì la stessa sorte. A Cettigne i ribelli assediarono il
palazzo reale. A Niksie, a Podgoriza, a Niegusì, Ver Pazar, i ribelli
facevano strage. Il 18 luglio fui richiamato, dal centralino in
11
Dopo il vuoto lasciato da una pagina strappata questo punto del diario, in cui
vengono descritti i combattimenti sostenuti con i partigiani jugoslavi, resta di
difficile comprensione.
12
I combattenti antifranchisti nella Guerra civile spagnola. La Guerra civile
spagnola oppose tra il 1936 e il 1939 le forze nazionalistiche capeggiate dal
caudillo F. Franco e quelle del legittimo Stato repubblicano, guidato dal
presidente della repubblica M. Azana e dal presidente del consiglio F . Largo
Caballero. Benché le grandi potenze si fossero accordate per rispettare il principio
del “non intervento”, Italia e Germania inviarono massicci aiuti militari e
numerosi “volontari” a sostegno dei nazionalisti. Dalla parte del governo
repubblicano si schierarono invece le Brigate Internazionali, reclutate tra i
democratici antifascisti di tutto il mondo.
13
14
10
Sottoufficiale addetto alla contabilità di un reparto.
Termine che si lega a partigiani.
Nave da guerra, con dislocamento fino a 4000 tonnellate, con compiti
antisiluranti, antiaerei e antisommergibili, armata con cannoni, siluri, missili.
compagnia e dislocato con una staz. radio e 3 fanti a Costone (2
Km. da Cattaro). Addio vita comoda del “Santo centraletto”. Avrei
preferito andare in linea tanto era lo sdegno e l’odio verso i ribelli.
La sera del 19 incendiammo due case abbandonate dai proprietari
per andare nelle bande15 fu uno spettacolo bello e terrificante. Ogni
tanto si sentivano delle esplosioni provocate dalle bombe nascoste
nelle case e diversi colpi di pistola mitraglia e fucile. Finito
l’incendio, trovai in un pollaio ben sotterrate, 12 daghe16 bellissime
ed affilate, un moschetto ultimo tipo e diversi caricatori che
consegnai al Ten. della Batteria. Intanto i morti aumentavano. Prima
di iniziare l’attacco i ribelli avevano abilmente accerchiate le nostre
compagnie dislocate che, piuttosto di arrendersi preferivano
resistere e morire. I primi prigionieri cadono nelle nostre mani e li
inviamo al tribunale militare, ma quasi tutti venivano fucilati appena
presi. Da Costone vengo dislocato sempre con la radio al fortino
Tribligne Cattaro. Per giungere dovevo fare diversi chilometri e ci
devastano [gli] scalini. Marcia memorabile, la ricorderò sempre.
Avevo degli [?] con 12 bombe a mano, viveri di riserva, caricatori,
coperte, telo da tenda, ecc. In più si parte a mezzo giorno con un
caldo terribile, quindi arrivai più morto che vivo. Durante la strada
non si camminava ma si correva per paura di qualche imboscata. Il
caldo, il sudore, il terribile dolore di schiena e la debolezza, mi
fecero piangere e per la prima volta invocai la mamma con tutta
l’anima. Rimasi due ore steso per terra senza dar segno di vita, poi
un bagno entro un mastello trovato per caso mi ristorò e ripresi il
collegamento – Alla notte si stava guardinghi, non si dormiva
perché era una continua sparatoria, si sparava all’impazzata, il
Castore ci aiutava, io badavo sempre al mio servizio – Facciamo
molti prigionieri e tutti fanno la stessa fine – Quando finirà…..?
Intanto arrivano altre due divisioni: La Taro. la div. Alpina Pusteria
e molti Btg. di camicie nere e artiglieria da montagna – I prodi
Alpini della Pusteria proveniente dalla Grecia compiono atti
15
Bande di partigiani.
16
Spada corta e larga, a due fili.
memorabili. Hanno carta bianca, nessuno sfugge dalle loro mani.
Cominciano il rastrellamento, ovunque mettono piede vi lasciano
l’impronta. Bruciano case, devastano tutto, fanno terrore è anzi poco
– Cito qualche fatterello degli
[il resto è mancante]
8 settembre
Nel piccolo villaggio di Doljani oggi è festa, si commemora la
“Gosposta Mala“17Davanti alla chiesetta le ragazze vestite di nuovo
coi loro caratteristici costumi, cantano ed intrecciano balli
tradizionali – Fra tanta semplicità risalta la fede.
Mentre guardavo questo spettacolo nuovo per me, un improvviso
ordine mi trasferisce con la radio, da Doljani a Nuova Sela – I
partigiani infestano un paesetto vicino, bisogna rastrellare la zona –
Giungo sul posto alle ore 19 – L’ordine di avvicinamento è fissato
alle ore 23 – Come al solito, controllo la taratura della stazione poi
mi siedo per riposare qualche ora – Ad un tratto sento grida di gioia;
sono i fanti che fanno festa. Perché? Fra tante voci confuse si sente
Pace, armistizio, casa, ecc.18
17
18
“Gospoda Mala”, festa della piccola signora.
Tra il 9 e il 10 luglio del 1943 gli alleati sbarcarono in Sicilia e incontrando una
resistenza pressoché nulla da parte dell’ esercito italiano ormai privo di mezzi di
difesa. Il 25 luglio dopo una discussione, a maggioranza, i membri del Gran
consiglio del fascismo, nella speranza di salvare se stessi e il regime votarono la
sfiducia di Mussolini che venne, nello stesso giorno, destituito e arrestato dal re.
Seguì la nomina del generale Pietro Badoglio e il suo proclama in cui si affermava
che la guerra sarebbe continuata al fianco dei tedeschi. Mentre l’esercito alleato
risaliva la penisola da sud, il governo italiano segretamente trattava la resa; i
tedeschi, invece, preoccupati di un tradimento, inviarono in Italia nuove divisioni
per occuparla e contrastare l’avanzata italiana. Il 30 agosto l’esercito tedesco
aveva già avuto l’ordine di disarmare quello italiano ed erano già stati predisposti
i piani per la liberazione di Mussolini. Il 3 settembre 1943 la resa senza
condizioni dell’Italia venne firmata a Cassibile e annunciata la sera dell’8
settembre; nel frattempo il re, la corte, Badoglio e l’intero stato maggiore
fuggivano da Roma cercando la salvezza verso il sud. L’esercito tenuto all’oscuro
di tutto da quel momento rimase senza ordini e senza capi e in pochi giorni si
sfaldò completamente.
Un fante viene da me e mi dice: sergente il rastrellamento è stato
sospeso; Non si combatte più, l’Italia si è arresa, presto andremo a
casa. Tanta gioia viene repressa da poche parole dell’ufficiale
medico che ci rende edotti della situazione. Abbiamo i Tedeschi a
pochi chilometri, bisogna stare in guardia.
Le ore della notte trascorrono lente – attendiamo ordini. All’alba si
sentono i primi colpi di cannone alla nostra sinistra – Sono i
tedeschi che hanno attaccato i nostri presidi – Alle ore 5,45 del
giorno 9 settembre viene l’ordine di ripiegare in fretta su Metkovic.
Intanto, mentre noi ripieghiamo, i nostri compagni della 5
compagnia, sono stati disarmati a Tasovcic e fatti prigionieri – Il II
Btg combatte per difendere le posizioni di Clepci, Nisic e Krupa –
Sparano all’impazzata su una autocolonna Tedesca che avanza. I
ponti saltano – Radio fante19 comunica già i morti, feriti e
prigionieri. Quando già tutti fuggono verso Ragusa, così pure il III.
Noi nel frattempo marciavamo verso Metkovic – In tempo di
primato percorriamo circa 30 chilometri per raggiungere questa
località quando già i fatti sopra esposti erano avvenuti.
La nostra calma a vedere tanto disordine diventa nervosismo e
paura. Si a[tten]spettava a noi per far saltare il ponte di ferro.
Terrificante è stata l’attraversata della città fra il fuoco delle
baracche, gli scoppi delle munizioni ecc. Tutti si sbandano, il
disordine accresce il batticuore – le donne urlano, e piangono
insieme ai bambini, i soldati fuggono urlando o chiamando il nome
di qualche amico, i proiettili delle artiglierie tedesche scoppiano
vicini e per di più i borghesi vilmente ci sparano dalle finestre. Un
sordo boato risuona nell’aria: il ponte è saltato in aria. Finalmente
mi trovo non so come sulla strada che porta a Ragusa – Quale
terrificante spettacolo. I Tedeschi sparano alle nostre spalle, tutti
corrono e urlano. Sembrano pazzi. Gli automezzi carichi di uomini e
materiale corrono per mettersi in salvo – L’artiglieria abbandona i
pezzi ed i cavalli si lanciano in una corsa sfrenata – tutti cercano un
mezzo per poter fuggire alla svelta da quella bolgia infernale. Non è
facile ricostruire la scena di tanto disordine – auto che cozzano
19
Le voci che circolavano fra i soldati.
contro auto, altre invece si rovesciano nei burroni, urla, strilli. I
cavalli imbizzarriti corrono e calciano, mentre si che ancora
corriamo con la speranza di aggrapparci a qualche mezzo, subiamo
urti, battute e calci – La maggior parte dei soldati si sbarazzano
delle armi pesanti, zaini, biciclette ed altro materiale – che buttate a
casaccio ingombrano le strade [e] causando disgrazie ed incidenti.
Da lontano si vede Metkovic fra le fiamme ed ancora si sentono le
esplosioni delle munizioni e di depositi di carburante – Quanta
tristezza, su ogni volto c’ è l’espressione interrogativa di come
andremo a finire.
Dopo circa dieci chilometri di corsa, vedo un autocarro che avanza
lentamente per l’eccessivo carico e per la strada in salita. E’ la mia
salvezza – Mi faccio animo, lo raggiungo e dopo qualche sforzo
sono sopra.
Quanta gioia a trovarmi con tre amici della mia compagnia –
Buffoni si sfoga in lacrime; io non ho neppure quella consolazione,
sono sfinito. A poco a poco però il morale si rialza e ci raccontiamo
le nostre sventure Dove sarà la nostra compagnia, avanti? dietro?
I nostri amici saranno tutti salvi. Non so neppure dove sia andata a
finire la mia radio.
Ogni tanto le nostre conversazioni cessano e il nostro pensiero vola
automaticamente a casa – Quanta nostalgia di trovarci insieme ai
nostri cari vecchi. Molti pensieri martellano la nostra mente –
Verso l’imbrunire giungiamo a Slano ma per miracolo perché
durante il tragitto, per tre volte dovevamo finire in un burrone ed
una volta l’automezzo si doveva incendiare per aver cozzato contro
una autoblinda ed una autoambulanza.
L’autocolonna ferma sulle alture di Slano per riordinarsi e passarvi
la notte – Però nel posto sottostante ci sono tre piroscafi e la nostra
mente già fantastica progetti – Alla fine, risaliti, partiamo io,
Buffoni, Severini, Marulli ed altri amici – La notte ci favorisce e
riusciamo ad imbarcarci – clandestinamente – Dormo [sotto una
barca], sopra un mazzo di corde che mi torturano la schiena, ma non
importa, la stanchezza supera ogni ostacolo e poco dopo mi
addormento –
Mi sveglio che già eravamo in alto mare. Quale gioia, finalmente
posso tornare in Italia, a casa, a riabbracciare i miei cari – però la
nave ad un certo punto inverte la rotta e con nostra meraviglia e
costernazione, dopo qualche ora, vediamo il porto di Ragusa. Alle
ore 9 del giorno 10, sbarco a Ragusa con gli amici di ventura –
Procuriamo un po’ di frutta perché non mangiavamo da tre giorni,
poi cominciamo ad informarci della situazione. Qui tutto è calmo, i
tedeschi non ci sono. Ogni tanto andevamo al porto per vedere se c’
era qualche partenza – Suonano le sirene, cosa sarà? Allarme aereo.
Una squadriglia di Stukas20 affondano un piroscafo nelle vicinanze
di Ragusa – Anche qui, in tre allarmi, corse a destra e a sinistra per
cercare un rifugio – A Ragusa non sappiamo cosa fare – I miei
amici mi chiedono continuamente consigli, fanno progetti, ma
purtroppo nessuno si poteva attuare – Sembriamo scemi, non
riusciamo a ragionare – Passiamo la notte seduti su un banco vicino
al porto ed al mattino del giorno 11 ricominciano i nostri giri
intorno alle navi, però nessuna parte, hanno avuto l’ordine di non
muoversi – Disperati, prendiamo lo zaino e ci incamminiamo per
Orasac, perché avevamo saputo che il 94 fant. Si era concentrato in
quella località – facciamo 6 Km. A piedi e finalmente ci riuniamo
alla rimanente della CCR21. Ci credevamo già in Italia….. Qui si
parlava di un accordo Italo Tedesco ed è questo: I tedeschi
sarebbero passati indisturbati per raggiungere Ragusa, per presidiare
il posto. Noi non dovevamo opporci perché a nostra volta, appena
giungeva il convoglio navale, tornevamo in Italia. Il progetto non
era brutto ed eravamo allegri.
I tedeschi intanto passavano con molti camion e munizioni – La
giornata di Orosac trascorre allegra, avevamo dimenticato i giorni
passati e pensavamo al rimpatrio. Per festeggiare questo evento
molte borracce di vino nuovo furono vuotate –
Il risveglio del giorno 12 è stato abbastanza brusco – 6 tedeschi con
le mitraglie, circondavano l’accampamento, ed uno ci intimò la
consegna delle armi – Urlammo di voler combattere, ma il generale
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Aerei tedeschi da combattimento.
Compagnia Comando Reggimentale.
dette l’ordine di consegnare le armi perché diceva, i tedeschi non si
fidano lasciarci armati, però il rimpatrio è sicuro, state tranquilli –
Baciai la mia pistola prima di buttarla nel mucchio delle armi –
Come eravamo avviliti! Alle ore 11 circa senza mangiare, ci
incolonnano, e scortati ci accompagnano a Lapad, una penisoletta
sulla punta del porto di Ragusa – Attraversare Ragusa non fu bello, i
borghesi ci compiangevano e qualch’uno rideva e sfotteva. I lati
delle strade erano pieni di munizioni. Arrivati al campo di
concentramento, i tedeschi piazzarono le mitraglie e ci
cominciarono a trattare in modo brusco. Portarono via gli ufficiali.
Solo allora, scemi, ci svanì la speranza di tornare a casa, e ci
accorgemmo che eravamo stati venduti vilmente22 – da qui
cominciò la Via Crucis della prigionia – Non voglio trascrivere
alcuni episodi di quei giorni perché…. Non so ora se sia lecito
scrivere –
Da quando partimmo da Metkovic, mangiammo una sola volta,
galletta e scatoletta ed un po’ di frutta, e qui, dopo tre giorni ancora
non ci davano nulla. Quante fesserie trasmetteva radio fante…. A 40
Km da noi l’Emilia23 combatteva per venirci a liberare, una notte,
tutti d’accordo dovevamo tentare il colpo appena sentivamo l’
Emilia avvicinarsi – Striscevamo come bisce da tenda a tenda per
avvisare tutti e quando tutto era pronto 6 stukas tedeschi
martellarono l’Emilia facendo una strage – però ancora resistevano
– addio belle speranze – la fame aumentava terribilmente, ed allora
cominciammo a macellare tutti i cavalli dell’ artiglieria che
avevamo – E’ difficile descrivere queste scene – eravamo circa
6.000 soldati nel campo, tutti affamati – i più arditi, rischiando di
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Il passaggio è un po’ confuso. Leggendo il diario sembra che pur non essendoci
stato un vero e proprio tradimento da parte degli ufficiali italiani, a loro, però,
vadano imputate: una inscusabile ingenuità; la colpa, grave, di non aver previsto
un possibile intervento tedesco; l’aver accettato con troppa leggerezza di
disarmare il reggimento. In una intervista successiva Bertoni afferma che se ci fu
tradimento, non fu quello degli ufficiali italiani ma dei tedeschi. Gli ufficiali
italiani vennero a loro volta ingannati e fatti prigionieri. Quindi, riuniti ai soldati,
furono tutti incolonnati verso la penisola di Lapad. Qui, però, gli ufficiali vennero
divisi dal resto della truppa e i soldati da quel momento non li rividero più.
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Era un’altra divisione italiana.
essere mitragliati andavano a prendere i cavalli; appena giungevano
nel campo, migliaia di soldati si accodavano con il coltello pronto,
con la speranza di rimediare un po’ di carne. Invidiavamo quelli che
avevano la fortuna di toccare il cavallo – Quest’ultimo avanzava
buono e tranquillo, guardandoci con i suoi occhioni lucenti, fino al
luogo della macellazione – Unico mezzo per abbattere queste bestie
era un piccone – il malcapitato animale cadeva fra atroci tormenti e
dolore da far impietosire i sassi – Eppure noi, affamati, non
vedevamo nulla – Quando finalmente il cavallo cadeva, migliaia di
soldati piombavano su di lui come una nuvola di cornacchie, e
prima che morisse già molti avevano tagliato la parte migliore delle
cosce ecc. – Avveniva talvolta che il cavallo, ferito gravemente,
cominciava a correre e distribuir calci, oppure si imbizzarriva ed
allora con tanti soldati, l’uno sopra l’altro, tutti con il coltello
aperto, pronto per tagliare, nello sbandamento, molti rimanevano
feriti ed anche gravemente, ma chi si curava di loro? A noi faceva
gola la carne – Procurata quest’ultima, tutti cucinavano: chi la
faceva bollita, chi ai ferri ecc.
Confesso che era buona e ci sfamava anche senza alcun condimento
– però dopo un giorno il cavallo si vendicava – cominciando a dar
calci al nostro stomaco provocandoci vomito e diarree da primato
con intercoliti ecc. I tedeschi finalmente si ricordano di noi; ci
proibiscono la macellazione e ci danno i seguenti viveri per una
giornata:
una galletta in 10 persone – una scatoletta ogni 10-30 grammi di
minestra, un grammo di conserva, 1 grammo di zucchero e 3
grammi di surrogato a testa, in tutto per un giorno, con tanta roba
che avevano preso alle nostre sussistenze –
Finalmente il giorno 15 ci portano alla stazione e ci spediscono, 50
per ogni carro bestiame, con destinazione ignota – Rifacciamo in
treno, tutta la strada da noi percorsa in autocolonna, ed
attraversiamo i nostri presidi – La popolazione di Caplijna, Krupa
ecc. si dimostra ancora simpatizzante, ci regala pane e frutta, mentre
noi, con lo spirito alto, ma la testa bassa, accettiamo ben volentieri il
loro pezzo di pane. A pensare che fino a pochi giorni prima eravamo
noi che sfamevamo quei borghesi – Attraversate queste località
conosciute il morale è in ribasso e non si fa altro che parlare di
politica, inveendo contro questo o quel superiore, poi tutti si fanno
silenziosi e pensano come me, ne sono certo, a casa – Mamma,
mamma quanto soffrire ed ancora non basta, ci mancava la prigionia
– Dove ci porteranno?
Sappiamo già da qualche borghese che in Italia combattono
aspramente, gli anglo americani avanzano, ed altre notizie politiche
– A Ragusa ci chiesero se volevamo combattere con i battaglioni di
camicie nere dicendo che il Duce a Roma aveva ricostituito il
fascio24 – pochi aderirono. Bisognava combattere ancora e noi ne
siamo arcistufi. Il mangiare come al solito si vedeva col binoccolo –
In due giorni di tradotta mangiamo soltanto due mescoli di polentina
formata da zucca macinata e cavoli – Soltanto una volta ci dettero il
caffè, ma del pane non se ne parla – Durante il viaggio tutti
cambiano coi borghesi, effetti di corredo per il pane – Io
disgraziatamente non ho che due fazzoletti e due coperte, così debbo
accontentarmi di guardare e sbadigliare – Il 17 arriviamo a Zenica,
ci portano nel penitenziario più terribile della Bosnia – “Sette
sottoufficiali ogni cella” ci dice un maresciallo tedesco e noi
ubbidiamo. Abbiamo lo spazio necessario per distenderci – Qui in
fatto di mangiare si ragiona un po’ meglio – Ci danno una pagnotta
ogni tre giorni, caffè al mattino che nessuno prende perché è acqua
calda ed amara, e un rancio alle ore 11 composto da orzo macinato
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Fa riferimento allo stato collaborazionista creato dai nazisti nelle regioni
italiane militarmente occupate dopo l’8 settembre 1943. La RSI (Repubblica
sociale italiana) nacque da un’idea di Adolf Hitler, che subito dopo l’annuncio
dell’armistizio riunì le personalità fasciste fuggite in Germania, imponendo loro
di formare un governo provvisorio in attesa dell’arrivo di Mussolini, che nel
frattempo veniva fatto fuggire dalla prigione. In questo modo Hitler pensava di
poter sfruttare il carisma di Benito Mussolini e di celare dietro l’apparente
autonomia del suo governo la completa subordinazione della nuova repubblica. Il
nuovo governo si costituì il 23 settembre 1943 ed i suoi compiti vennero ristretti
al mantenimento dell’ordine pubblico e all’organizzazione del territorio, mentre ai
tedeschi spettava quello di condurre la guerra in cambio di più della metà delle
entrate fiscali. La RSI oltre all’esercito disponeva di una seconda armata: la
Guardia Nazionale Repubblicana, in competizione con la prima nella spartizione
dei soldati e dello scarso armamento. I tedeschi non fidandosene completamente,
utilizzarono tali armi soprattutto per compiti di polizia, in funzione antipartigiana,
per tenere sotto controllo le retrovie del fronte. La RSI dissolse nell’aprile 1945.
condito a modo loro – Sulla porta a sinistra della mia cella, la N° 8
c’ è scritto – N° 3 bandit, N° 1 criminal. Incuriosito guardo dal foro
spia della porta e vedo 4 giovani, uno dei quali è vestito
elegantemente, con colletto inamidato. Sarà lui il criminale? Sui
muri della mia cella ci sono disegni ed iscrizioni croate di diverse
specie e calligrafie. Date, generalità, iscrizioni in cirillico ecc.
Mentre guardo e penso mi ritorna in mente un libro di V. Hugo che
lessi molti anni fa, intitolato l’ ultima ora di un condannato. A
Zenica i giorni trascorrono lenti. Giorno per giorno riesco a vedere
quasi tutto il carcere – E’ orribile per le sue celle, camere di
punizione, gabbie di ferro ecc. però come penitenziario è a posto,
non manca di nulla – tutto il giorno non si fa altro che parlare di
mangiare e di politica. Molte sono le notizie che corrono da bocca a
bocca, io non ne credo neppure una: intanto però si sentono ad
intervalli e non tanto lontani, esplosioni e bombardamenti. Si dice
che i ribelli hanno circondato il paese ed attendono ordini. Forse per
questo un bel mattino ci smistano in tutta fretta – Ci portano alla
stazione e ci spediscono, per dove? Non so, si dice che si va in
Germania, a Monaco oppure a Vienna25.
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Rolando Bertoni e i suoi compagni furono inviati nei campi di concentramento per loro predisposti
in Germania. Prima furono internati in campi di smistamento e ospedalizzazione, chiamati
“Stammlager”. Da qui poi furono avviati al lavoro obbligatorio presso gli “Arbeitskommandos”
(comandi di lavoro) sparsi in tutta la Germania. I soldati vennero separati dagli ufficiali, per i quali, se
pur per poco, fu rispettata la Convenzione di Ginevra che li dispensava dal lavoro. Bertoni è destinato
al campo di Francoforte da dove viene inviato al lavoro presso una fabbrica di materiale aeronautico,
distrutta, poco dopo, dai bombardamenti alleati. Poi è condotto al campo di concentramento di Halbau
e da qui smistato in vari campi di lavoro. Ogni volta che venivano rase al suolo le fabbriche dove
lavorava od i campi, ripartiva, andando sempre più ad est. In questo modo arrivò oltre il confine con la
Polonia. Il 26 agosto del 1944 fu dichiarato “internato militare”, definizione che non cambiò le sue
condizioni, anzi, le peggiorò, se prima infatti come prigioniero gli erano riconosciuti dei diritti, ora,che
era diventato un libero lavoratore, aveva perduto anche questi. Nei campi di concentramento fu adibito
a vari mestieri: fece lo spazzino, il minatore, il contadino e lo schiavo. Nei pressi di Frankenstein (città
del sud della Polonia) fu impiegato per il lavoro in uno zuccherificio e da qui finalmente ebbe un
incarico nell’ospedale della fabbrica, questa fu una vera fortuna perché lì, almeno, si mangiava.
Conobbe anche una ragazza ebrea di nome Lucjna con la quale nell’inverno del 1944 approfittando
dello scompiglio causato dai bombardamenti, fuggì. Vivendo di fortuna i due riuscirono ad arrivare
salvi fino al giorno in cui incontrano gli americani. Purtroppo Lucjna morì, per gli stenti patiti, poco
prima di partire sulla tradotta che doveva portarli lontano dalla Germania. Arrivato a Cattolica Bertoni
rischiò ancora di morire, asfissiato in galleria dal fumo di carbone del treno, ma ancora una volta ce la
fece. A casa troverà ad aspettarlo Anna, la sua ragazza, che di li a poco diverrà sua moglie.