Esposito

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XX Scuola Estiva di Astronomia – STILO (RC) 20-25 luglio 2015
Il paradosso di Olbers
D.T. Massimo Esposito
Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e la Valutazione del Sistema Nazionale di Istruzione
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Il paradosso di Olbers
“The story of Olbers’ Paradox is the story of our
evolving view of the Universe”:
•
•
•
•
•
4 secoli di storia della scienza…da Copernico al Big Bang
Cosmologia
Relatività
Termodinamica
Non solo scienziati, anche…Edgar Allan Poe
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Il paradosso di Olbers
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Il paradosso di Olbers
“Were the succession of stars endless, then
the background of the sky would present us a
uniform luminosity…since there could be
absolutely no point, in all that background, at
which would not exist a star”
Edgar Allan Poe, “Eureka”, 1848
“Se le stelle fossero in numero infinito, allora
lo sfondo del cielo ci presenterebbe una
luminosità uniforme…in quanto non
potrebbe assolutamente esistere alcun
punto, in tutto lo sfondo, in cui non sia
presente una stella”
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Il paradosso di Olbers
Il paradosso si basa su un modello di Universo:
• Infinito (non ha confini)
• Uniforme (densità di materia costante)
• Statico (non c’è espansione né contrazione)
• Eterno (esiste da sempre)
…anche molti nostri ragazzi hanno in testa questo modello!
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Il paradosso di Olbers
Un po’ di storia…
Prima della rivoluzione copernicana, si pensava che le stelle fossero disposte in una
sfera che ruotava ogni giorno, con la Terra immobile al centro. Quindi si riteneva
che le stelle fossero in numero finito, distribuite in modo più o meno uniforme sulla
superficie della “sfera celeste”. Non c’era alcun paradosso!
Thomas Digges nel 1576, nel suo lavoro ‘Perfect Description of the Celestial
Spheres’ , ipotizzò l’infinità dell’universo; fu anche il primo ad accennare al
paradosso che nasceva da questa concezione. Digges, che tra l’altro aveva
osservato la SN 1572, la penultima osservata nella Via Lattea, fu divulgatore
dell’ipotesi eliocentrica.
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Un po’ di storia…
Keplero nel “De Stella Nova” del 1606 (in cui descriveva la supernova del 1604,
ultima osservata nella Via Lattea) sosteneva che un corpo infinito non può essere
capito dal pensiero, e si rifaceva alla visione aristotelica per cui un infinito non può
essere “in atto” ma solo “in potenza”. Per sostenere la sua argomentazione, usò il
fatto che il cielo notturno è nero!
Nella sua «Disseratio cum Nuncio Sidereo», risposta al «Sidereus Nuncius», Keplero
scrive che in un universo infinito «l’intera volta celeste sarebbe luminosa come il
sole»
Successivamente, lo sbalorditivo successo della Legge di Gravitazione di Newton
rese più plausibile l’idea di un universo infinito e omogeneo, per giustificarne il
mancato collasso gravitazionale…
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Un po’ di storia…
Halley (1705) e soprattutto de Cheseaux (1744) furono i primi a tentare una
soluzione matematica rigorosa del paradosso…
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Il paradosso di Olbers
m 
m 
3
n
4R 2 dx
3
J
 
s
L
Densità stellare (costante)
Volume calotta sferica
Luminosità stella
Sulla Terra arriverà dalla calotta sferica una densità di
energia pari a:
Indipendente da R. Integrando da 0 a ∞,
L
nL
du  n  4R dx 

dx l’energia che arriva sulla Terra dovrebbe
2
4R c c
essere infinita….
2
Se intorno a noi ci fosse un bosco infinito, vedremmo alberi in ogni
direzione
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Un po’ di storia…
de Cheseaux ipotizzò (molto timidamente, in verità…) che l’oscurità fosse dovuta
alla riflessione della luce da parte di materia interstellare.
Olbers (1826) non fece altro che riprendere i lavori di Halley e de Cheseaux,
giungendo alle stesse conclusioni. Il suo reale contributo fu una nuova formulazione
del paradosso, che risultò particolarmente efficace.
La spiegazione più accreditata del paradosso continuava ad essere la presenza di
«pulviscolo» interstellare che assorbiva la luce.
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Herschel (1831) obiettò che in tal caso il pulviscolo si sarebbe riscaldato fino ad
emettere la stessa luce delle stelle. E’ interessante sottolineare che l’argomento di
Herschel comportava il fatto che la condizione di equilibrio verso cui l’universo
tende è quella di INFINITA luminosità, il che deriva dal convincimento dell’epoca che
le stelle fossero sorgenti NETTE di energia, di età INFINITA.
Il principio di conservazione dell’energia fu formulato a partire dalla metà del XIX
secolo!
Gli astronomi del XX secolo, nel riferirsi al problema della luminosità del cielo,
partirono comunque dalla discussione di Olbers, da cui il paradosso prende il nome
da allora.
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Edgar A. Poe (!) nel 1848, nel suo saggio “Eureka: A prose poem” propose una sua
teoria cosmologica, che si basava su un universo newtoniano, ma in evoluzione, che
aveva avuto origine dalla frammentazione di una particella primitiva e che da
allora è in espansione.
Gli astronomi professionisti lo ignorarono, ma come spesso accade la sua intuizione
riguardo al paradosso di Olbers si è rivelata sostanzialmente giusta: essa si basava
sull’idea che la dimensione dell’universo è grande rispetto alla velocità della luce,
per cui gran parte della luce che servirebbe per rendere il cielo luminoso non è
ancora arrivata a noi.
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Un po’ di storia…
Un altro importante contributo, caduto nel dimenticatoio fino al 1985, fu quello di
Lord Kelvin, che nel 1901 pubblicò l’articolo “On Ether and Gravitational Matter
through Infinite Space”, in cui dimostrava che secondo il modello di universo
infinito, uniforme, statico, di età infinita, non c’erano abbastanza stelle per coprire
tutto il cielo.
Kelvin fece uso di due concetti fondamentali: le stelle non possono emettere luce
per sempre, e la velocità della luce è finita, per cui discusse le distanza tra le stelle
in termini di tempo-luce.
In effetti, Ole Roemer aveva mostrato già nel 1676 la finitezza della velocità della
luce ed è quindi davvero sorprendente che nessuno avesse fatto uso di questo
risultato prima.
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Pur basandosi su assunti completamente sbagliati dal punto di vista quantitativo,
Lord Kelvin individuò correttamente i concetti fondamentali che sono alla base della
soluzione del paradosso:
1) La velocità della luce è finita: quando osserviamo il cielo, guardiamo nel
passato
2) La vita media delle stelle è molto minore del “tempo-luce” necessario per
attraversare l’universo
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Un po’ di storia…
XX secolo:
Progresso
Tecnologico
Relatività
Generale
Legge di Hubble
Soluzione di
Friedmann
Universo
in
espansione
Modelli
cosmologici
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XX secolo:
Friedmann
Lemaitre
Bondi Gold
Hoyle
«BIG BANG»
Età finita,
discontinuità
iniziale
«STEADY
STATE»
Età infinita,
stabile, no
conservazione
materia
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Un po’ di storia…
Nell’ambito del modello «Steady State» Bondi (1957) sostiene che il paradosso di
Olbers può essere spiegato dalla sola espansione dell’universo, che causa due
effetti che concorrono a rendere il cielo oscuro:
1) Aumento dello spazio intergalattico
2) Redshift cosmologico
La soluzione di Bondi ha conosciuto un duraturo successo, anche dopo che il
modello «Big Bang» si è progressivamente affermato, soprattutto con la scoperta
della CBR
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Un po’ di storia…
E’ solo negli anni ’70 e ’80, grazie ai lavori di Harrison, Wesson, Gribbin e altri, che
si ottiene una corretta spiegazione del paradosso, in base a considerazioni
prevalentemente termodinamiche: l’Universo è troppo giovane, le stelle sono state
luminose per un tempo troppo breve e non è stata emessa abbastanza luce per
rendere il cielo chiaro. In altre parole:
“the luminous emissions from stars are much too feeble to fill in their lifetime the
vast empty spaces between stars with radiation of any significant amount.”
Insomma, quando gli uomini sono sbarcati sulla Luna, ancora non erano certi del
perché si muovevano in uno spazio scuro!
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…e un po’ di numeri
1
𝑚3
𝐽
𝑠𝑒𝑐
𝐽
𝑚3
𝑛
𝐷𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à 𝑠𝑡𝑒𝑙𝑙𝑎𝑟𝑒
𝐿
𝐿𝑢𝑚𝑖𝑛𝑜𝑠𝑖𝑡à 𝑠𝑡𝑒𝑙𝑙𝑎𝑟𝑒
𝑢
𝐷𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑒𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎
𝜎
𝑆𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑡𝑒𝑙𝑙𝑎
𝑚2
𝑐
𝑉𝑒𝑙𝑜𝑐𝑖𝑡à 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑙𝑢𝑐𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑣𝑢𝑜𝑡𝑜
𝑚
𝑠𝑒𝑐
𝜆
𝐶𝑎𝑚𝑚𝑖𝑛𝑜 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 (𝑚𝑒𝑎𝑛 𝑓𝑟𝑒𝑒 𝑝𝑎𝑡ℎ)
𝜌
𝐷𝑒𝑛𝑠𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎
𝑚
𝑘𝑔
𝑚3
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…e un po’ di numeri
du  n  4R 2 dx 
L
nL
Integrando da 0 a ∞, l’energia che arriva

dx
sulla Terra dovrebbe essere infinita….
4R 2 c c
Halley e altri sostenevano che il modello deve tener conto del fatto che le stelle
non sono puntiformi, per cui parte della radiazione in arrivo viene intercettata…
Le stelle presenti in un volume 𝐿2 𝑑𝑥 sono 𝑛𝐿2 𝑑𝑥, e
complessivamente costituiscono un “ostacolo” di area
pari a 𝑛𝜎𝐿2 𝑑𝑥. La probabilità che un fotone sia quindi
“intercettato” è:
𝐴𝑟𝑒𝑎𝑠𝑡𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑛𝜎𝐿2 𝑑𝑥
=
= 𝑛𝜎𝑑𝑥
𝐴𝑟𝑒𝑎𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒
𝐿2
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…e un po’ di numeri
Il fascio di fotoni di intensità I perderà una quota di energia proporzionale alla
probabilità di essere intercettato:
𝑑𝐼 = −𝐼𝑛𝜎𝑑𝑥
𝑑𝐼
𝑑𝑥
= −𝐼𝑛𝜎 → 𝐼 = 𝐼0
𝑒 −𝑥𝑛𝜎
𝑥
𝜆
−
= 𝐼0 𝑒 ; la costante di decadimento dell’intensità del
𝟏
fascio è quindi 𝝀 = 𝒏𝝈 , che ha le dimensioni di una lunghezza e che rappresenta il
percorso medio libero compiuto da un fotone prima di incontrare un ostacolo,
1
“mean free path” 𝜆 = 𝑛𝜎. Infatti, la probabilità che in un tratto dx un fotone venga
intercettato è pari a:
𝐼 𝑥 − 𝐼(𝑥 + 𝑑𝑥) 1 −𝑥
𝑑𝑃 𝑥 =
= 𝑒 𝜆 𝑑𝑥
𝐼0
𝜆
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In media, la lunghezza del percorso che compie un fotone prima di essere
intercettato («mean free path») è dunque:
∞
𝑥 =
∞
𝑥𝑑𝑃 𝑥 =
0
0
𝑥 −𝑥
𝑒 𝜆 𝑑𝑥 = 𝜆
𝜆
Il contributo di densità di energia dovuto alla calotta sferica di spessore dx sarà
quindi:
 nL  - 
du    e dx
 c 
x
La densità di energia totale:

nL
L
 nL  - 
u     e dx 

c 
c
c
0
x
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Per definizione la luminosità di una stella è data da:
L  u * c
dove u* è la densità di energia sulla superficie della stella. Risulta quindi:
u  u*
dunque la densità di energia in un punto qualunque O dovrebbe essere uguale a
quella presente alla superficie di una stella, quindi il cielo dovrebbe essere chiaro e
caldissimo (“bright sky paradox”).
Dunque l’assorbimento della luce da parte dei corpi celesti che ne “ostacolano” il
percorso verso di noi non risolve il paradosso.
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Per risolvere il paradosso i parametri chiave sono quelli legati al tempo:
Età dell’universo
Vita media delle stelle
Tempo luce
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Età dell’universo
Una stima si può ottenere a partire dalla Legge di Hubble:
𝑲𝒎 𝒔𝒆𝒄
𝒗 = 𝑯𝟎 ∙ 𝑫, dove 𝑯𝟎 = 𝟔𝟕, 𝟖
(costante di Hubble)
𝑴𝑷𝒂𝒓𝒔𝒆𝒄
Il reciproco della costante di Hubble dà l’ordine di grandezza dell’età
dell’universo, con approssimazione per eccesso, perché ipotizza
un’espansione lineare, mentre c’è stata un’iperinflazione iniziale.
𝟏
𝒕=
≅ 𝟏𝟎𝟏𝟎 𝒂𝒏𝒏𝒊 ≅ 𝟏𝟎𝟏𝟕 𝒔𝒆𝒄𝒐𝒏𝒅𝒊
𝑯𝟎
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Vita media delle stelle
una stella media irradia
𝝐 ≅ 𝟏𝟎−𝟑
𝑱
𝑲𝒈∙𝒔𝒆𝒄
considerando che nel ciclo di reazioni termonucleari dall’idrogeno al ferro
viene convertito in energia circa l’1% della massa, l’ordine di grandezza della
durata di vita di una stella media è:
𝟐
∗
−𝟐 𝒄
𝒕 = 𝟏𝟎 ∙ ≅ 𝟏𝟎𝟏𝟎 𝒂𝒏𝒏𝒊 ≅ 𝟏𝟎𝟏𝟕 𝒔𝒆𝒄𝒐𝒏𝒅𝒊
𝝐
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Tempo luce

nL
L
 nL  - 
u     e dx 

c 
c
c
0
x
Gran parte della densità di energia che si
accumula in O deve provenire da distanze
dell’ordine di grandezza del mean free path λ.
Quanto tempo impiega un fotone a
percorrere il mean free path?
𝝀
𝟏
𝑴
𝒖∗ 𝑴 𝒖∗
𝝉= =
=
=
=
𝒄 𝒏𝝈𝒄 𝝆𝝈𝒄
𝝆𝑳
𝒏𝑳
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Tempo luce
𝝀
𝟏
𝑴
𝒖∗ 𝑴 𝒖∗
𝝉= =
=
=
=
𝒄 𝒏𝝈𝒄 𝝆𝝈𝒄
𝝆𝑳
𝒏𝑳
dove M è la massa media di una stella e ρ la densità media di materia
𝑲𝒈
presente nell’universo (circa 𝟏𝟎−𝟐𝟕 𝒎𝟑 ). Considerando ad esempio il nostro
Sole, 𝑴 ≅ 𝟐 ∙ 𝟏𝟎𝟑𝟎 𝑲𝒈, 𝝈 ≅ 𝟏, 𝟓 ∙ 𝟏𝟎𝟏𝟖 𝒎𝟐 , si ottiene 𝝉 ≅ 𝟏𝟎𝟐𝟒 𝒂𝒏𝒏𝒊.
Tra poco vedremo che in pratica τ è la costante di tempo
termodinamica dell’universo.
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1) L’età dell’universo t dovrebbe essere
tempo di raggiungerci
≥ 𝝉,
perché i fotoni abbiano avuto il
2) La durata della vita media di una stella 𝒕∗ dovrebbe essere ≈
stelle possano contribuire alla densità di energia u
𝝉, perché tutte le
Questi due presupposti NON si verificano:
1) L’universo è troppo giovane rispetto alla costante di tempo 𝝉
2) La vita media delle stelle è troppo breve rispetto alla costante di tempo 𝝉
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Adoperando un modello semplicissimo, cerchiamo di capire come «giocano» i 3
parametri temporali t, 𝒕∗ e 𝝉
Supponiamo che l’osservatore nel punto O sia circondato di stelle tutte uguali,
uniformemente distribuite, che si “accendono” tutte all’istante t=0. Essendo c la
velocità della luce, il nostro osservatore vedrà una sfera luminosa che si allarga
con velocità c.
Integrando:
 nL  - 
du    e dx
 c 
x
da 𝒙 = 𝟎 a
all’istante t.
𝒙 = 𝒄𝒕
otteniamo la densità totale di energia nel punto O
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t


u  u * 1  e 





𝝉 è dunque la costante di tempo termodinamica del fenomeno di riempimento di
energia radiante per un universo statico. Essendo, come abbiamo visto, 𝒕 ≪ 𝝉,
l’equazione può essere scritta:
u u
*
t

la densità totale di energia nel punto O cresce quindi al crescere di
quando...
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t
fino a
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all’istante 𝒕∗ , le stelle si spengono, e a causa
della finitezza di c, l’osservatore in O si vedrà
circondato da una sfera di stelle morte di
raggio
*

c t t

che si espande con velocità c, seguita da una
calotta di stelle luminose, di raggio
ct *
La densità di energia in O, da questo istante
in poi, sarà costante e pari al valore massimo
raggiunto:
u u
*
t
*

 u *
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Dati gli ordini di grandezza dei tempi, la luce che ci arriva dall’universo è circa
1
13
10
di quella che servirebbe a rendere il cielo luminoso! (in un modello statico…)
Analizziamo ora la situazione dal punto di vista termodinamico
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Immaginiamo che tutta la materia presente nell’universo sia convertita in
radiazione di corpo nero. Quanta densità di energia otterremmo? La densità
spettrale di energia di Planck:
4
8h 3
u  , T  
I  , T  
c
c3
1
e
h
kT
1
u , T  è la densità spettrale di energia: energia per unità di volume per unità di
frequenza. Integrando sulla frequenza, otteniamo la densità di energia…
Ma la densità di energia, secondo la relatività ristretta, non può essere che:
  c2
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Dunque:

8h 3
0 c3 
Effettuando la sostituzione x 
1
e
h
kT
d    c
2
1
h
kT
8 kT 
x3
2
 x
dx    c
3
hc 0 e  1
4

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…e un po’ di numeri
Ma dal momento che:

x3
4
0 e x  1  15
Troviamo:
8 5 kT 
2



c
3
15hc
4
Stefan-Boltzmann:
7,56 1016  T 4    c 2
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…e un po’ di numeri
Poiché :
  10
 27
kg
m3
m
c  310
s
8
Troviamo:
T 4  1,19 105 kelvin4
T  20K
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…e un po’ di numeri
Quindi, se tutta la materia fosse convertita in energia, la temperatura di equilibrio
sarebbe molto bassa, molto inferiore alla temperatura superficiale di una stella.
Risulta chiaro che, in definitiva, non c’è nell’universo abbastanza energia da
rendere il cielo luminoso!
Un’altra considerazione da fare è che il grande squilibrio termico esistente tra le
stelle e lo spazio interstellare ci parla di un universo molto lontano dall’equilibrio
termodinamico, e quindi molto giovane.
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Il modello che ci ha portato all’equazione:
u u
*
t*

 u *
è statico…
L’espansione dell’universo concorre a spiegare il paradosso di Olbers?
In effetti è l’argomento più usato per spiegarlo, ma…
D.T. Massimo Esposito
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XX Scuola Estiva di Astronomia – STILO (RC) 20-25 luglio 2015
Il paradosso di Olbers
Consideriamo un elemento di volume V in espansione cosmologica (“comoving
volume”), delimitato da pareti perfettamente riflettenti verso l’interno e verso
l’esterno, immerso in una radiazione uniforme e isotropica. In queste condizioni, un
osservatore interno a V e uno esterno misureranno la stessa densità di radiazione e lo
stesso spettro: quello esterno attribuirà il redshift al progressivo allontanamento delle
stelle, e cercherà di valutare la radiazione totale integrando tutti i contributi che
arrivano, quello interno attribuirà il redshift alle successive riflessioni della radiazione
proveniente dalle sorgenti vicine, e potrà valutare la densità di radiazione in base a
considerazioni termodinamiche.
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Il paradosso di Olbers
…e un po’ di numeri
d (uV )  pdV  dQ
Dove p è la pressione di radiazione sulle
pareti della scatola V, dQ è la variazione di
energia, che contiene un termine positivo
(energia fornita dalle stelle in V), e uno
negativo (perdita dovuta alla radiazione
intercettata dalle stelle stesse).
Determiniamo la pressione di radiazione…
La pressione è forza su area, cioè trasferimento di quantità di moto nell’unità di tempo
su area…
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Il paradosso di Olbers
…e un po’ di numeri
Nello spazio compreso tra 2 pareti riflettenti di area A a
distanza L, la densità di energia è:
E
u
A L
Ogni fotone, rimbalzando sulla parete,trasferisce una quantità di moto pari a:
2 p  cos
Il tempo tra due rimbalzi successivi è
2L
c  cos
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…e un po’ di numeri
quindi il contributo di un singolo fotone alla pressione è:
2 p  cos
pc  cos2  dE  cos2 
dP 


 du  cos2 
A2 L c  cos 
A L
A L
Per ottenere la pressione
totale, dobbiamo integrare
questi contributi su tutti gli
angoli θ, da 0 a π:
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Il paradosso di Olbers
…e un po’ di numeri
P  u  cos2   u 
d (uV )  pdV  dQ
2
cos
 d sind
 d sind


2  cos2  sin d
0

2  sin d
0
Con la sostituzione:
  cos
1
2

 d
P  u  1 1
 d
1
 u
3
1
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Il paradosso di Olbers
…e un po’ di numeri
d (uV )  pdV  dQ
1
4
udV  Vdu  udV  dQ  udV  Vdu  dQ
3
3
Determiniamo dQ: l’energia fornita dalle stelle in V nel tempo dt è nVLdt
*
u
ma essendo:

nL
l’energia fornita è:
u
*
V

dt
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…e un po’ di numeri
1
4
udV  Vdu  udV  dQ  udV  Vdu  dQ
3
3
L’energia persa per assorbimento nel volume V nel tempo dt è invece:
u
V

dt
dunque:


4
V
udV  Vdu  u *  u dt
3

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Il paradosso di Olbers
…e un po’ di numeri


4
V *
udV  Vdu  u  u dt
3

Moltiplicando primo e secondo membro per
1
V
1
3
4
3
4


4 3
V
V udV  V 3 du 
u *  u dt
3

d
 uV
dt 
4
3
4
3
 V
*

u
u
 



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…e un po’ di numeri
4
3
4
d  3 V
*
 uV  
u
u


dt 
 


Questa equazione per dV=0 (modello statico) ci riporta a:
t


u  u * 1  e 





Per rappresentare l’evoluzione di V, trascurando l’iperinflazione, adottiamo un
semplice modello del tipo
V  t 3
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…e un po’ di numeri
4
3
4
d  3 V
*
 uV  
u
u


dt 
 


V  t 3
In genere, α viene assunto dell’ordine dell’unità:

1
3
Modello di Dirac

2
3
Modello di Einstein – De Vitte
 1
Modello di Milne
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…e un po’ di numeri
4
3
4
d  3 V
*
 uV  
u
u


dt 
 


V  t 3
Risolviamo per via numerica, al variare di α e a confronto con il modello statico, e
vediamo l’andamento di u in funzione di t, con t che va da 0 fino a t*, quando le stelle
cominciano a “spegnersi”, cioè fino al momento in cui u raggiunge il valore massimo:
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Il paradosso di Olbers
u
u*
t (sec)
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Il paradosso di Olbers
Si vede che la previsione di densità di energia è
minore per i modelli espansivi, come era
immaginabile, e dopo il tempo t* la densità nel
modello statico resta costante, in quelli dinamici
diminuisce con
4
V3
…ma l’ordine di grandezza è lo stesso. In altri termini, dal punto di vista
quantitativo L’ESPANSIONE DELL’UNIVERSO HA IMPORTANZA SECONDARIA AI
FINI DELLA SOLUZIONE DEL PARADOSSO DI OLBERS
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Il paradosso di Olbers
Quanto al redshift cosmologico…


 H0
D
c
La perdita di energia della radiazione che riceviamo è proporzionale a ∆λ/λ; per il più
grande redshift che conosciamo, quello subito dalla radiazione di fondo,


 103
Si tratta comunque di un effetto quantitativamente meno significativo rispetto a
quello “termodinamico”
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Il paradosso di Olbers
Starlight is too feeble to fill the entire Universe; the fireball of creation did the job
more than adequately, but faded long ago…
The resolution of Olbers’ Paradox tells us that the Universe may well be infinite and
uniform, but it cannot be eternal…
That is a powerful thing indeed to deduce from a glance to the sky.
J. Gribbin, “The mystery of the shining”
GRAZIE!
D.T. Massimo Esposito
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