RECENTI PUBBLICAZIONI SULLA BATTAGLIA DI STALINGRADO

RECEN TI PUBBLICAZIONI SU LLA BA T T A G LIA DI STALIN GRADO
La battaglia di Stalingrado rappresenta la svolta decisiva del conflitto
russo-tedesco, cioè di tanta parte della seconda guerra mondiale. Ricordiamo
brevemente i fatti. Nei sei mesi della loro offensiva del 1941 i tedeschi
avevano conseguito grandiosi successi territoriali ed inflitto perdite gravis­
sime ai russi, ma non avevano raggiunto 1 loro obiettivi strategici : l’Ucraina
era stata conquistata, ma Mosca e Leningrado resistevano ancora (in queste
tre direzioni si era indirizzato l’attacco tedesco) e l’esercito rosso era in grado
di scatenare la sua prima controffensiva nell’inverno 1941-42, respingendo
i tedeschi da Mosca, ed una seconda nella primavera 1942, andando però
incontro ad una dura sconfitta nella zona di Charkov. L ’estate 1942 vedeva
i tedeschi nuovamente all’offensiva nel settore meridionale, con grandi suc­
cessi; occupato il bacino del Don, l’avanzata proseguiva in due direzioni:
a sud verso il Caucaso e la zona petrolifera di Baku, ad est verso Stalingrado,
l’ultimo grande centro industriale della Russia meridionale, nodo di tutte le
vie di comunicazione della regione : la sua conquista significava per i tede­
schi il consolidamento del loro fronte meridionale, spinto avanti molto
arditamente, e la possibilità di fronteggiare da questa base una controffen­
siva russa o di riprendere la difensiva.
La città, investita in agosto, venne sottoposta a continui sanguinosi
attacchi in settembre, ottobre, novembre; malgrado la superiorità tedesca
in aerei, carri armati, artiglieria, malgrado la difficoltà dei rifornimenti (che
dovevano attraversare il Volga sotto il fuoco nemico), i russi difesero osti­
natamente la città, quartiere per quartiere, casa per casa, pianerottolo per
pianerottolo. Mentre i tedeschi gettavano anche le ultime riserve nella for­
nace, credendo sempre che ogni sforzo fosse l’ultimo, il comando supremo
russo riusciva invece a costituirsi poderose riserve, che il 19 novembre 1942
sfondavano le linee naziste, accerchiando nella città 22 delle migliori divi­
sioni tedesche, più di 300.000 uomini. La strapotenza dell’offensiva russa
e la riluttanza dei tedeschi (e specialmente di Hitler) a rinunciare alle con­
quiste territoriali tentando di rompere l’accerchiamento con una tempestiva
ritirata, portarono ad una tragica conclusione: il 31 gennaio gli 80.000
stremati superstiti della 6a armata tedesca prendevano la via dei campi di
prigionia russi.
L ’importanza della battaglia non si limita alle cifre delle pur forti perdite
tedesche, perchè Stalingrado rappresenta anche la svolta decisiva della
guerra russo-tedesca. Fino ad allora i tedeschi avevano quasi sempre avuto
superiorità di mezzi, soprattutto come migliore organizzazione bellica, un
maggior rendimento in campo tattico: vantaggi che si traducevano nella
quasi costante iniziativa sui campi di battaglia e nella lunga serie di successi
che avevano portato la 6a armata sulle rive del Volga. Ma a partire da
Stalingrado si ha un capovolgimento dei rapporti di forze e i russi avranno
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una superiorità sempre più notevole di mezzi e di uomini con un’efficienza
tattica pari a quella tedesca e assumeranno stabilmente l’iniziativa delle ope­
razioni, con una serie ininterrotta di vittorie fino all’occupazione di Berlino.
Stalingrado è quindi avvenimento decisivo nel campo militare, ma
anche, e giustamente i russi vi insistono, in tutti i campi di lotta. Per la
prima volta dopo tre anni di vittorie la grande macchina bellica tedesca
accusa una sconfitta' di proporzioni così grosse che la propaganda non potrà
nasconderla. Per gli eserciti in lotta, per tutti i popoli che soffrivano sotto
il dominio e la minaccia nazista, Stalingrado era un annuncio di letizia, la
fine della paurosa serie di successi del III Reich, l’apertura di una prospettiva
per il futuro.
* * *
Una guida ampia, esatta e non ristretta agli avvenimenti puramente
militari è lo studio del Samsonov (1), che possiamo considerare ufficiale, e
si basa sugli archivi statali e di partito, nazionali e regionali. Il primo
elemento che balza agli occhi di chi prende in esame l'opera del Samsonov
è la grandiosità dello sforzo russo che precedette e rese possibile la vittoria.
Le forze armate sovietiche erano, allo scoppio della guerra, inferiori a quelle
tedesche per numero e per efficienza ed enormi furono le loro perdite nei
18 mesi che precedettero Stalingrado, valutabili a milioni e forse superiori
agli effettivi alle armi nel giugno 1941.
La sostituzione di queste perdite si presentava particolarmente difficile.
Nei territori conquistati dai tedeschi nel 1941 si trovava circa il 40% della
popolazione sovietica, si estraeva il 63% del carbone, si produceva il 68%
della ghisa, il 58% dell’acciaio, il 38% del grano. Solo parte delle attrez­
zature industriali potè essere trasferita nelle regioni orientali, grazie ad
un’opera di evacuazione condotta in proporzioni gigantesche, ma che immobilizzava per molti mesi gli impianti trasferiti. Cosi la produzione globale
dell’industria sovietica diminuiva di 2,1 volte dal giugno al novembre 1941,
ed una nuova crisi si aveva nel 1942, quando altri ricchi territori erano
occupati dai tedeschi. La produzione di ghisa passava così da 14,9 milioni
di tonnellate nel 1940 a 13,8 nel 1941 e 4,8 nel 1942, quella di acciaio da
18,3 a 17,9 e 8,0; l’estrazione di minerali di ferro scendeva nel 1942 al
39% del 1941, quella del carbone al 49,8%, del petrolio al 66,6%, la produ­
zione di energia elettrica al 61,7% .
Nel medesimo tempo la produzione industriale tedesca era in aumento :
per es. da 31,8 milioni di tonnellate di acciaio nel 1941 a 32,1 nel 1942
in Germania e paesi controllati. Particolarmente notevole l’incremento della
produzione bellica dal 1941 al 19 42: da 4.000 a 10.000 i mortai, da 2.900
a 5.600 i carri armati medi, da 3.000 a 5.000 gli aerei da caccia, ecc. Si può1
(1) A . M. S amsonov, Salingrado, fronte russo, ed. Garzanti, Milano, 1961,
pp. 448 - Ed. russa i960 a cura dell'Istituto di Storia dell’Accademia delle scienze
sovietica.
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Giorgio Rochat
così comprendere come i Tedeschi si attendessero sempre un imminente
sfacelo delle forze russe.
Eppure i russi riuscirono a far fronte al mortale pericolo ed il merito
va innanzitutto ai supremi dirigenti politici e militari che, al di sopra di
errori anche gravissimi, ebbero subito chiara la vastità del conflitto, il suo
carattere di guerra totale, le immense necessità di uomini e materiali della
guerra moderna. Tutte le energie produttive dello stato sovietico furono
mobilitate, con piani estremamente ampi e pari agli immensi bisogni, tutto
l'apparato industriale fu piegato alla produzione bellica con una concentra'
zione di capitali, di tecnici e di macchinari ed una compressione dei consumi
possibili solo in un’economia rigidamente pianificata. I dati dello sforzo in­
dustriale sono scarsi, ma significativi i risultati: malgrado il tracollo della
produzione nazionale, nel 1942 si producevano 8,8 volte più carri armati
che nel 1940, 2,6 volte aerei, 3,1 cannoni, 6,1 mortai. Ed alla fine del 1942,
quando a Stalingrado si scatenava la controffensiva russa, la produzione belli­
ca sovietica superava quella tedesca di 2 volte per i carri armati e per gli
aerei, di più di 4 volte per i cannoni, di 5 volte per i mortai.
* * #
Una prima spiegazione della vittoria russa è già in queste cifre. Però
Stalingrado non si spiega soltanto con statistiche industriali, ma anche e
soprattutto con la tensione di tutte le energie morali di una popolazione
che accettava sacrifici senza fine in difesa della sua terra e del suo modo di
vivere. E uno degli aspetti di questa cosciente accettazione di sacrifici e
sofferenze è il comportamento dei difensori di Stalingrado, su cui ci porta
ampia e commossa testimonianza il volume recentemente pubblicato in Italia
del comandante della 62* armata russa, che difese la città nei cinque anni
di lotta (2).
Vasili Cinikov è un tipico esponente delle nuove gerarchie militari
sovietiche. Nato nel 1900 nella campagna di Mosca, volontario a 18 anni
nell’esercito rosso, membro del partito e comandante di reggimento a 20
anni, generale a 30, comandante d’armata nel 1940; distintosi nei combatti­
menti dell’estate 1942, fu nominato comandante della Ó2a armata che difen­
deva Stalingrado il 12 settembre, in sostituzione di un generale troppo pro­
penso a ritirate. Gli ordini, impartitigli dal gen. Eremenko, comandante del
fronte di Stalingrado, e da Nikita Krusciov, membro del consiglio di guerra,
(cioè responsabile politico del fronte) erano chiari e si possono riassumere
con la frase che divenne il motto dei combattenti di Stalingrado : « al di là
del Volga non c’è terra per noi », cioè resistenza fino al successo o alla
morte sul posto. Di questa decisa volontà di resistenza Cinikov fu energico
interprete, non abbandonando le sue truppe neppure quando il loro schie-2
(2) V . C inikov, La battaglia di Stalingrado, Editori Riuniti, Roma, 1961, pp. 380 Ed. russa 1959.
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ramento non aveva più di tre-quattro cento metri di profondità e il Volga
alle spalle. Dopo la vittoria condusse la sua armata di successo in successo
fino a Berlino; comandante delle truppe russe in Germania, poi della regione
di Kiev, insignito delle più alte decorazioni e del grado di maresciallo, Cini'
kov ha attualmente anche cariche politiche di rilievo.
Per superare la resistenza russa nella zona di Stalingrado, i tedeschi
seguirono la loro tattica abituale: massicci bombardamenti dell’artiglieria e
dell’aviazione sulle linee nemiche, quindi attacco combinato di carri e fanteria. Ma i carri sono poco mobili e molto vulnerabili tra le rovine di un
abitato e così il peso del combattimento ricadeva essenzialmente sulla fan­
teria; inoltre aviazione ed artiglieria avevano sminuito il loro rendimento,
per l’efficace protezione e mascheramento offerti dalle macerie e perchè i
russi diminuivano le distanze, serrando sotto al nemico in modo da sottrarsi
ai suoi bombardamenti. La superiorità tedesca in aerei, carri e cannoni non
poteva quindi essere sfruttata, mentre la fanteria russa rivelava una inso­
spettata efficienza ed un altissimo morale, fino ad imporsi alla fanteria
tedesca. Piccoli capisaldi, nelle macerie di una casa o di un isolato, presidiati
da un numero variabile d’uomini con molte armi automatiche e da posizione,
attrezzati in modo da resistere anche circondati, formavano l’ossatura della
difesa russa; mentre l’anima era costituita dai « gruppi d’assalto stalingradesi », nati in questa occasione per il combattimento ravvicinato, di forza
variabile, dotati di armi automatiche e bombe a mano, se necessario di armi
pesanti (anticarro, esplosivi, pezzi d ’artiglieria usati singolarmente a tiro
diretto), impiegati in colpi di mano, contrattacchi lungamente studiati o
azioni d’iniziativa, spesso di notte per riguadagnare il terreno perduto di
giorno.
Allo sviluppo di nuovi procedimenti tattici si accompagna da parte
russa una continua cura del morale dei combattenti, attraverso l’opera dei
commissari politici e dei membri del partito, che spiegano le ragioni della
lotta e le intenzioni dei comandanti; ne scaturisce un impegno cosciente, un
sacrificio ragionato e produttivo. « Dovevamo fare in modo che ogni soldato
della 62* armata si trasformasse in una fortezza, scrive Cinikov. Non im­
portava se il soldato rimaneva solo, affidato alla propria iniziativa, in una
cantina o in un sottoscala, bastava che conoscesse l’orientamento generale
dell’armata. Bastava dargli un giusto orientamento e investirlo della fiducia
che si concede ai generali ».
Grazie all’elevato rendimento della loro fanteria, i russi riuscirono a
logorare con forze inferiori le migliori unità tedesche; mentre il comando
russo alimentava con parsimonia la difesa e concentrava per un’ampia ma­
novra aggirante le grandi riserve che il paese gli forniva, i tedeschi continua­
vano a gettare nella fornace della battaglia anche le ultime riserve disponi­
bili, credendo sempre che un ulteriore sforzo bastasse a provocare il collasso
del nemico. Attribuendo la resistenza russa a cieco fanatismo di reparti Scel­
tissimi, i tedeschi erano indotti a sottovalutare le forze del nemico e si
esponevano così alla controffensiva russa, che avrebbe portato la 6a armata
alla catastrofe.
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Giorgio R achat
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Del resto, tutta la guerra russo-tedesca è dominata da una costante
sottovalutazione del nemico da parte tedesca. Nel 1941 la Germania aveva
scatenato l’offensiva senza piani a lunga scadenza, nell’illusione che un ro­
busto scrollone (8 settimane di guerra, si disse) avrebbe provocato il crollo
del colosso dai piedi d’argilla. Ed anche dopo che l’esercito russo aveva
dimostrato la sua vitalità nell’inverno, nel 1942 i tedeschi tornavano all’offensiva sempre con forze sufficienti per grandi vittorie parziali, ma non in
grado di strutture il successo fino all’annientamento del nemico. E ’ degno
di nota il fatto che sin dall’inizio della guerra i russi avevano già curato al
massimo l’incremento della produzione bellica, mentre i tedeschi sfrutta­
rono le loro risorse fino in fondo solo nel 1943-44; Pr‘ma dei loro avver­
sari essi avevano intuito le forme assunte dalla guerra moderna ed il suo
carattere totale, ma non tennero conto del fatto che anche il nemico avrebbe
approfittato dell’esperienza.
Perdono così ogni senso le dispute a posteriori, con cui generali e
storici tedeschi tendono oggi ad addossare ad Hitler la colpa della sconfitta
militare, salvando la responsabilità dello Stato Maggiore e della casta degli
ufficiali, che avrebbero avuto l’unico torto di ubbidire al potere politico
(si vedano la biografia e le note di inquadramento con cui il curatore, W.
Gòrlitz, accompagna i brevi scritti del maresciallo Paulus (3), comandante
della 6a armata tedesca scomparsa a Stalingrado, presentato come una vitti­
ma del suo senso dell’onore e dell’ubbidienza). Eppure non si è mai potuto
sostenere apertamente che un diverso impiego delle forze tedesche ne
avrebbe assicurato la vittoria; ed una sola volta Hitler decise in contrasto
con tutte le maggiori autorità militari interessate, ordinando di non abban­
donare Stalingrado accerchiata malgrado il parere contrario, più o meno
esplicito, di Paulus e dei suoi superiori, Manstein e Zeitler.
Ma proprio questo dissenso ci sembra indicativo. Fino al novembre
1942 era esistito un sostanziale accordo tra Hitler e i suoi generali nella
condotta delle operazioni, basato sulla accettazione di notevoli rischi (si
veda il prolungamento delle linee tedesche fino a Stalingrado, malgrado
l'insufficiente protezione) e giustificato dalla sottovalutazione del nemico.
L ’aggressione tedesca si fonda cioè sul presupposto nazista della superiorità
germanica al di fuori dei reali rapporti di forze, che i generali accettano
senza afferrarne le estreme conseguenze (per es. i campi di eliminazione),
rinunciando anche alla tradizionale indipendenza della Wehrmacht dal potere
politico. Lo sfondamento russo e l’accerchiamento della 6a armata di Paulus
a Stalingrado è un richiamo alla realtà per i generali, che si rendono conto
di aver troppo osato e propongono una ritirata che salvi il salvabile. Hitler
invece continua nella sua logica: si deve accettare il rischio maggiore per­
chè la vittoria è certa e i tedeschi non possono darsi per vinti. La fede
nazista nella vittoria non salverà le truppe della 6a armata dalla catastrofe3
(3) F. P a u l u s , Stalingrado, ed. Garzanti, Milano, J961, pp. 294 - Ed. tedesca
i960, a cura di W . Gòrlitz.
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ma non viene messa in crisi la collaborazione con Hitler dei generali, che
continueranno a combattere per il regime.
Un interessante scorcio su questi problemi ci è fornito dal volume citato,
che raccoglie brevi scritti del maresciallo Paulus; estratti di rapporti ufficiali
degli anni di guerra, e rapide ed incomplete note stese durante la prigionia
in Russia. Secondo la tradizione militare tedesca, Paulus, che pure ebbe ca­
riche di rilievo, non si occupava di politica : indifferente di fronte al nazismo,
egli vedeva in Hitler l’uomo politico che aveva afferrato l’importanza del­
l’arma corazzata e ne aveva favorito lo sviluppo. Brillante ed efficiente
ufficiale di S. M., specialista della guerra corazzata, Paulus fu il principale
elaboratore dei piani dell’offensiva tedesca del 1941 e tenne poi il comando
della 6a armata dal gennaio 1942 alla resa di Stalingrado. Dopo lo sfonda­
mento russo e l’accerchiamento della 6a armata, Paulus tentò di convincere
i suoi superiori dell’impossibilità di alimentare la resistenza delle truppe
rinchiuse a Stalingrado, ma di fronte al preciso ordine di Hitler continuò
la lotta fino al completo collasso dei reparti tedeschi.
Gli è stato rimproverato di non aver disobbedito a ordini che riteneva
sbagliati, con una tempestiva ritirata che salvasse le unità più valide della
sua armata o più tardi con la resa prima del precipitare della catastrofe.
Nella implicita risposta, Paulus ed il Gòrlitz, riordinatore delle sue note,
insistono su elementi tecnici : un comandante d’armata non poteva avere una
visione abbastanza ampia delle operazioni in corso per assumersi a cuoileggero la respoiSabilità di disobbedire ad un ordine del comando supremo;
Paulus si rendeva conto che se questo comando supremo era disposto a
sacrificare la 6a armata, ciò poteva essere per considerazioni ed elementi
sconosciuti al responsabile di un settore del fronte.
L ’argomento è validissimo, ma ci sembra si debba aggiungergliene un
altro altrettanto valido ; per assumersi la responsabilità di un netto rifiuto
d’obbedienza non potevano bastare dissensi tecnici e nemmeno la sfiducia
nelle capacità di un uomo o di un comando; occorreva una decisa scelta poli­
tica, la chiara volontà di rifiutare un regime, di opporsi al nazismo. Ma
nulla era più lontano dalla mentalità di un generale tedesco.
Solo dopo la resa della 6a armata, Paulus sarà indotto a scindere le
sue responsabilità da quelle del regime e condannerà l’aggressione tedesca :
uno dei pochi alti ufficiali a prendere posizione contro il nazismo. Ma ancor
oggi la maggioranza delle memorie e degli studi tedeschi, e le stesse note
con cui il Gòrlitz presenta gli scritti di Paulus, sembrano rifiutare questa
scelta politica e condannare Hitler solo perchè ha rischiato troppo e perso
tutto.
GIORGIO RO CH AT.