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Periodico della bIos s.p.A. fondata da Maria Grazia Tambroni Patrizi
L’editoriale
Francesco Leone
2
Tenosinovite villo-nodulare pigmentosa associata ad artrite reumatoide
Lelio R. Zorzin, Silvana Francipane
3
Direttore Responsabile
Fernando Patrizi
Direzione scientifica
Giuseppe Luzi
segreteria di Redazione
Gloria Maimone
Coordinamento Editoriale
Licia Marti
Mixing
Alessandro Ciammaichella
A tutto campo
Quando (quanto) siamo normali
Giuseppe Luzi
6
8
Comitato scientifico
Armando Calzolari
Carla Candia
Vincenzo Di Lella
Francesco Leone
Giuseppe Luzi
Gilnardo Novellli
Giovanni Peruzzi
Augusto Vellucci
Anneo Violante
Hanno collaborato a questo numero:
Alessandro Ciammaichella, Silvana Francipane,
Stefano Gaudino, Francesco Leone, Giuseppe Luzi,
Giuditta Valorani, Lelio R. Zorzin.
La responsabilità delle affermazioni contenute
negli articoli è dei singoli autori.
1
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Il Punto
Tiroide e gravidanza
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11
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n. 186 del 22/04/1996
36
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Finito di stampare nel mese di maggio 2012
Leggere le analisi
Il protidogramma elettroforetico
a cura di Giuseppe Luzi
37
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Dir. Sanitario: Dott. Francesco Leone
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Un punto di forza per la vostra salute
From bench to bedside
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41
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professionale, desiderano contattare gli autori
degli articoli pubblicati sulla rivista Diagnostica
bios, possono telefonare direttamente alla sig.ra Pina
buccigrossi al numero telefonico 06 809641.
EDIToRIALE
Francesco Leone - Direttore sanitario Bios S.p.A.
CAPIRE LE AnALIsI
uando il medico, dopo una visita, decide
che devono basarsi su adeguati sistemi di con-
di prescrivere le analisi, il paziente è abi-
trollo (qualità, specificità, sensibilità).
2
L’EDIToRIALE
Q
tuato ormai a leggere, forse distrattamente, i
In particolare, soprattutto per le analisi così
valori che verranno riportati sulle tabelle e sul-
dette di routine, si ricorre a strumentazione au-
le pagine con bella carta intestata dei vari la-
tomatica e quindi lo specialista medico e/o il
boratori. Vicino al valore riportato è scritto di
tecnico di laboratorio debbono effettuare
solito il range dei valori “normali”.
un’accurata sorveglianza sull’intero ciclo di
L’approccio dell’utente è semplice: se i ri-
lavoro che per ogni analisi prevede diversi
sultati che riguardano i parametri esaminati so-
passaggi: controlli interni al sistema, valida-
no nella norma, vuole dire che tutto è a posto.
zione con campioni di riferimento, eventuale
Qualche dubbio si insinua se il lettore vede i
ripetizione dei test se emergono elementi di
risultati nella zona di confine, vicino ai valori
non congruenza con la metodica usata.
di riferimento bassi o alti. Ancora di più l’in-
Soffermarci su questi aspetti e sottolinea-
certezza emerge quando, magari di poco, il pa-
re come il laboratorio sia la risultante di va-
rametro che viene controllato risulta fuori sca-
rie discipline convergenti (fisica, chimica,
la. Si torna dal medico e si aspetta il commen-
ingegneria, biologia cellulare, chimica/fisi-
to. Ma quanti conoscono il “curriculum” di
ca, immunologia, etc.) è importante sia per
ogni analisi?
l’utente che fruisce del risultato sia per il me-
In passato, un passato molto lontano, si di-
dico che acquisisce il valore, con consape-
ce che il medico “meno bravo” fosse quello
volezza ovviamente professionale rispetto al-
che nei reparti ospedalieri veniva collocato a
l’utente.
leggere i campioni delle urine o a fare quelle
Da questo numero (pag. 37) iniziamo a
poche analisi un tempo disponibili. Tutto era
esaminare alcuni dei parametri noti nella pra-
clinica: segni, sintomi, anatomia macroscopi-
tica della diagnostica di laboratorio per rende-
ca, morfologia e (diciamolo) anche un po’ di
re più agevole la lettura dell’indagine sia al-
chiacchiere. Così evolve la scienza, ogni di-
l’utente, sia al medico non specialista di labo-
sciplina, anche per… tentativi.
ratorio, bravo clinico e competente professio-
Ai nostri giorni il laboratorio è parte inte-
nista ma talora non adeguatamente informato
grante di ogni valutazione clinica e lo studio
sulla dinamica delle procedure che riguardano
dei parametri biologici permette di fare dia-
il risultato atteso per il parametro in valuta-
gnosi precoci, di confermare sospetti diagno-
zione. Questo consentirà, entro certi limiti, di
stici, di controllare l’andamento di un processo
fare anche un po’ di storia della medicina e for-
morboso già noto. La diagnostica di laborato-
nirà, ci si augura, uno stimolo efficace per un
rio utilizza complessi meccanismi e procedure
maggiore interesse sulla materia.
TEnosInovITE vILLo-noDULARE
PIGMEnTosA AssoCIATA AD ARTRITE
REUMAToIDE
Lelio R. Zorzin - Specialista Reumatologo
Silvana Francipane - Medico in formazione Medicina Generale (MG)
3
Fig. 1 – Artrite reumatoide. Evidente tumefazione delle articolazioni interfalangee prossimali. Deviazione
assiale del III dito della mano destra a livello dell’articolazione interfalangea prossimale. Piccolo nodulo
in prossimità dell’articolazione interfalangea prossimale del II dito della mano sinistra.
N
ell’artrite reumatoide (AR) le lesioni granulomatose sinoviali a carico delle articolazioni si accompagnano ad analoghe manifestazioni a
carico delle guaine tendinee e a noduli reumatoidi. Dette lesioni sono l’espressione di una stimolazione sistemica di natura autoimmunitaria.
La tenosinovite villo-nodulare pigmentosa
(TSVNP) si differenzia però dalle altre sinoviti
infiammatorie per la caratteristica istologica della presenza di depositi di emosiderina in uno
stroma di fibre reticolari e collagene, cellule giganti multinucleate e cellule schiumose (1). La
TSVNP può coesistere con l’osteoartrosi delle
grandi (2, 3) e piccole articolazioni e l’artrite
psoriasica (4). Una TSVNP a carattere destruente è stata descritta a carico di entrambi i polsi da
A.U. Jamieson e coll. (5). La diagnosi di TSVNP
può porre seri problemi di interpretazione della
sua natura quando si associa alla AR, simulando
un’estroflessione della sinovite articolare oppure la presenza di un nodulo (fig. 1).
Il caso presentato in questa sede è quello di
una donna di 63 anni, affetta da circa venti anni
da AR, con grave impegno poliarticolare, in par-
Fig. 2 – stesso caso della fig. 1: anchilosi completa
delle ossa del carpo bilateralmente, evidenti erosioni delle articolazioni interfalangee prossimali e di
alcune metacarpofalangee. Rima radicarpica scomparsa bilateralmente. Coesistono noduli di Heberden e rizoartrosi.
4
ticolare delle articolazioni metacarpofalangee,
interfalangee prossimali e anchilosi delle ossa
del carpo bilateralmente (fig. 2). La paziente ha
notato l’insorgenza a carico del secondo dito della mano sinistra di una formazione nodulare,
morbida, non dolente, in discontinuità con l’articolazione interfalangea contigua. Nel dubbio
della presenza di un “nodulo reumatoide”, condizionante una certa gravità di malattia, si è resa
indispensabile l’asportazione chirurgica di detta
formazione per l’esame istologico. Dal punto di
vista istologico è stata chiarita l’ipotesi di una
TSVNP, grazie all’impiego della colorazione di
Perls, che ha dimostrato la presenza di depositi di
emosiderina (fig. 3). Il caso conferma la sede
prediletta della TSVNP a carico delle mani, secondo, e terzo dito, la maggiore incidenza nel
sesso femminile, mentre si dissocia per l’insorgenza in età avanzata. Non comune l’associazione con l’AR. La segnalazione sull’utilità di RM
(6), TC e spettrofotometria dell’essudato (7) nella diagnosi differenziale delle varie sinoviti ipertrofiche e della stessa TSVNP presenta limiti in
rapporto alle dimensioni della sede da esaminare. Ne deriva che solo la biopsia della neoformazione localizzata può dirimere la diagnosi, come
nel caso in oggetto.
Anche il nostro caso ripropone la problematica segnalata da A.U. Mertens e coll. nel 1993
(8): se la sinovite villo-nodulare pigmentosa o
“tumore a cellule giganti” sia espressione di una
vera e propria neoplasia o di una proliferazione
reattiva infiammatoria.
Fig. 3 – Tenosinovite villo-nodulare pigmentosa.
L’esame istologico della neoformazione sottocutanea della mano sinistra evidenzia uno stroma connettivale con abbondante deposizione di pigmento
ferrico (emosiderina). Metodica istochimica del
Perls (10 x; 40 x).
bibliografia
1. Zorzin L. et al.
Tenosinovite villonodulare pigmentosa associata
a gonoartrosi: descrizione di un caso. Atti II Congresso AIRO [1986]; 51-55.
2. Graham G.P., et al.
The knee. In: Klippel J.H., Dieppe P.A., Practical
Rheumatology. Mobsy; 1955: 103.
3. Church C.A., Rowe M., Llaurado R., Liwnicz
b.H., Martin P.A.
Pigmented villonodular synovitis of the temporomandibular joint: a report of two cases. Ear Nose
Throat J. 2003 Sep; 82 (9): 692-5.
4. Archer-Harvey J.M. et al
Pigmented villonodular synovitis associated with
psoriatic polyarthropathy: an electron microscopic and immunocytochemical study. J Pathos. 1964;
144: 57-68.
5. Jamieson A.U. et al.
Bilateral pigmented villonodular synovitis of the
wrist. Orthop Rev 1990; 19 (5): 432-36.
6. barile A., sabatini M., Iannessi F., Di Cesare
E., splendiani A., Calvisi v., Masciocchi C.
Pigmented villonodular synovitis (PVNS) of the
knee joint: magnetic resonance imaging (MRI) using standard and dynamic paramagnetic contrast
media. Report of 52 cases surgically and histologically controlled. Radiol Med. 2004 Apr; 107
(4): 356-66. English, Italian.
7. beloenko E.D. et al.
Spectrophotometric study of synovial exudate in
differential diagnosis of pigmented villonodular
synovitis. Orthop Traumatol prot 1990; 5: 32-43.
8. Mertens F. et al.
Chromosome aberrations in tenosynovial giant
cell tumors and nontumorous synovial tissue
genes. Chromosomes Cancer 1993; 6: 212-217.
5
Il prof. Lelio Zorzin, reumatologo, già professore associato di Reumatologia nella Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma “La
Sapienza”, svolge attività di consulenza presso la BIOS S.p.A. di Roma
in via Domenico Chelini 39.
Info CUP 06 809641
6
MIxInG
GLI AnTICHI RoMAnI A TAvoLA
I nostri antenati, al pari di quelli greci, avevano
l’abitudine di mangiare reclinati su un fianco
(motivo sconosciuto). È una posizione antifisiologica in quanto ostacola la deglutizione.
CARDIovERsIonE nELLA
FIbRILLAZIonE ATRIALE
PRoGnosI DA FIbRILLAZIonE
ATRIALE
La fibrillazione atriale valvolare, per alterazione
della mitrale, ha un rischio di ictus cinque volte
più elevato della forma non valvolare: questa poi
scompare più facilmente con i farmaci.
vIRUs EboLA
È di tre tipi: 1) farmacologica, al primo episodio:
amiodarone, propafenone, flecainide; 2) elettrica
trans toracica: se la fibrillazione atriale persiste;
3) endocavitaria con pace-maker.
Causa di una febbre emorragica spesso letale, è
così denominata dal nome di un affluente del fiume Congo, dove si è verificata la prima epidemia.
DAnnI DA sTATInE
Il danno muscolare è il più frequente: viene liberata la mioglobina che passa nel sangue e quindi nelle urine a causa della miosite che, nelle for-
me più gravi, può determinare insufficienza renale acuta; nelle forme più leggere e più frequenti vi è la mialgia. Il danno renale, più raro e
più grave, è assente con la fluvastatina.
CUoRE E CERvELLo
Il “buon medico” sarebbe bene che cercasse di
curare il cuore attraverso il cervello e di curare il cervello attraverso il cuore (un saggio anonimo).
7
LE GRAnDI MEnTITRICI
Tra le affezioni che sono più spesso scambiate
per altre figurano connettivite mista, sindromi
paraneoplastiche, porfiria epatica, feocromocitoma, epilessia, isterismo.
TRoMbosI vEnosA E TUMoRI.
ALLATTAMEnTo AL sEno
ConTRoInDICATo
In casi molto limitati il lattante va nutrito con latte in polvere: madre sieropositiva e/o curata con
farmaci anti-AIDS, con uso di droghe, con chemio- o radioterapia ancora in corso.
Tra le cause delle flebotrombosi non vi sono solo le neoplasie polmonari (sindromi paraneoplastiche), ma anche farmaci antitumorali, come il
tamoxifene, usato per il cancro della mammella.
IPERTRoFIA ConCEnTRICA DEL
vEnTRICoLo sInIsTRo.
È più grave di quella eccentrica: vi è aumentato
ingresso di ioni calcio nei miociti, che favorisce
le aritmie atriali e ventricolari. Il miocita ipertrofico diventa poi insufficiente. Sartani e ACEinibitori sono i più efficaci.
a cura di A. Ciammaichella
QUAnDo (QUAnTo) sIAMo noRMALI
Giuseppe Luzi
Professore associato (f.r.) di Medicina Interna
f(x)
0,4
0,3
8
A TUTTo CAMPo
f (x) =
0,2
2
1
σ√2
σ√
2π
e
−µ)
– (x2σ
2
0,1
x
0,0
0
1
2
µ−σ
3
µ
4
µ+σ
5
6
Esempio di curva gaussiana
S
i dice comunemente: questo evento è normale. Va bene, ma come ci accordiamo con
questo lemma intrigante? Sul vocabolario troviamo che è normale quello che è regolare,
conforme alla regola o alla consuetudine. Ma
sembra un po’ troppo generico se non impreciso. Sul vocabolario Treccani, on line, troviamo
scritto meglio come segue.
normalità: carattere, condizione di ciò che è o si
ritiene normale, cioè regolare e consueto, non
eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del
mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, ecc.) più generali: n. di un comportamento, di una reazione; stanchezza fisica,
mutamenti di umore, escursioni termiche, va-
riazioni climatiche, oscillazioni di mercato,
ecc. che rientrano nella (o escono dalla) normalità. In senso più astratto, condizione o situazione normale: vivere, restare nella n.; tornare alla n.; il ritorno alla n. dopo un periodo
di disordini (nel linguaggio politico, l’espressione ritorno alla n. è spesso servita a
mascherare un forzato, e talora sanguinoso,
ristabilimento dell’ordine o comunque l’adozione di metodi repressivi).
Le cose vanno abbastanza bene ma non tanto. In Medicina quando si è normali? Un aiuto lo
fornisce la matematica, o meglio, la statistica.
Vediamo come. Navigando in internet e fermandoci “banalmente” su Wikipedia troviamo una
discreta definizione, che ci riconduce meglio alla realtà, si tratta della definizione di distribuzione normale: “In teoria della probabilità la distribuzione normale, o di Gauss (o gaussiana) dal
nome del matematico tedesco Carl Friederich
Gauss, è una distribuzione di probabilità continua che è spesso usata come prima approssimazione per descrivere variabili casuali a valori reali che tendono a concentrarsi attorno a un singolo valore medio. Il grafico della funzione di densità di probabilità associata è a forma di campana, nota come Campana di Gauss (o anche come
curva degli errori, curva a campana, ogiva). La
distribuzione normale è considerata il caso base
delle distribuzioni di probabilità continue a causa del suo ruolo nel teorema del limite centrale.
Più specificamente, assumendo certe condizioni, la somma di n variabili casuali con media e
varianza finite tende a una distribuzione normale al tendere di n all’infinito. Grazie a questo teorema, la distribuzione normale si incontra spesso nelle applicazioni pratiche, venendo usata in
statistica e nelle scienze naturali e sociali come
un semplice modello per fenomeni complessi. La
distribuzione normale dipende da due parametri,
la media m e la varianza σs2; è indicata tradizionalmente con: N (m , s2)”.
Molti studenti, delle diverse facoltà, prima o
poi incontrano la curva di Gauss. E la curva di
Gauss è così importante che ha avuto anche successo grafico, come nell’immagine della banconota in marchi tedeschi di qualche anno fa.
Dobbiamo molto a Gauss, nella vita di tutti
i giorni e nelle più semplici operazioni che
compiamo. Carl Fiedrich Gauss era il figlio unico di genitori in modeste condizioni economiche. Nasce il 30/4/1777 a Brunswick (morirà il
23/2/1855 a Goettingen). Con notevoli capacità
precoci in campo matematico presenterà una
sua dissertazione sul teorema fondamentale dell’algebra a 22 anni (nel 1799). Due anni dopo
vede la luce “Disquisitiones Arithmeticae” testo basilare per la teoria dei numeri. Il suo lavoro spazia dai numeri complessi all’astronomia, dall’elettromagnetismo al calcolo delle
probabilità. È nell’ambito di questi studi che
elabora la celeberrima “curva gaussiana”. È interessante ricordare che grazie a suoi studi sull’andamento dei mercati finanziari fu in grado
di acquisire anche buone condizioni economiche. Per Gauss la matematica è la “regina delle
scienze”.
Come entra la curva di Gauss nella vita di un
medico? In Medicina (e nelle scienze correlate)
9
è l’unico indice di prima approssimazione con il
quale fare i conti per interpretare un fenomeno,
osservare l’andamento di un processo morboso
e, entro certi limiti, impostare il ragionamento
per una diagnosi corretta. La curva gaussiana
non è poi tanto semplice, come sembra suggerire la sua rappresentazione grafica: la così detta
variabile casuale normale (la “gaussiana) è ge-
f(x) =
10
1
σ√2π
e
– (x−µ)
2σ
2
2
nerata dalla funzione:
e descrive il comportamento e l’entità degli errori di misurazione. La variabile normale è sicuramente una delle più importanti variabili casuali, ed è assai diffusa in statistica. Il nome “normale” prende origine dall’osservazione che molti fenomeni si distribuiscono con frequenze più
elevate nei valori “centrali” e con frequenze progressivamente più piccole verso gli estremi della variabile considerata. Nelle discipline sperimentali, come in fisica, la curva viene anche definita “degli errori accidentali”, con riferimento
al fatto che la distribuzione degli errori effettuati durante la misurazione ripetuta di una stessa
grandezza si approssima piuttosto discretamente
nell’andamento della gaussiana tipica.
Possiamo dire, con buona approssimazione,
e con accettabile buon senso, che la curva di
Gauss ci avvicina alla realtà, ma non troppo.
Ecco quindi che essere “normali” è un po’ meno banale di quanto possa sembrare. Per esempio, tra i tanti possibili parametri, se vogliamo
misurare l’altezza degli uomini appartenenti a
una certa popolazione, vedremo che se prendiamo un buon numero di unità, 1.000-10.000
soggetti, avremo una curva a campana che si ac-
centra attorno a un valore medio di circa 175
cm (in Italia), con una deviazione standard di
una ventina di cm. In pratica, se vogliamo stare nei numeri, la maggior parte degli uomini (il
95%) ha un’altezza compresa tra 154-155 e
194-195 centimetri (più o meno, ma con buona
approssimazione). Quindi un italiano che misura un metro e sessantacinque centimetri magari
non è alto ma è abbastanza “nella norma”.
In Medicina questo problema è serio soprattutto se analizziamo alcuni dei parametri più comuni nei vari test di laboratorio, test che possono
dare “false indicazioni” se interpretati con superficialità. Innanzi tutto uno dei punti pericolosi consiste nel considerare il campo di
variazione (così detto range) con valore assoluto
di “normalità”. Un altro aspetto, altrettanto pericoloso, riguarda la scarsa conoscenza della distribuzione di un parametro. Sotto questo profilo
è assai pericoloso soffermarci sui valori così detti
borderline. L’osservazione può valere per qualunque parametro: per esempio la glicemia. Se
in un laboratorio si fissa un valore massimo di
110 mg/dl, e si osserva un risultato con 112 o di
116, possiamo dire che il soggetto è diabetico?
Ovviamente no: ricorrendo alla gaussiana opportuna non è tanto significativo comprendere
quanto un valore sia vicino all’andamento della
popolazione studiata (si presume sana) ma è importante quanto se ne è discostato, talmente discostato da avere scarsissime probabilità di
essere derivato da un individuo sano (almeno in
quel momento, quando è stato effettuato il prelievo).
Nella pratica di laboratorio, pertanto, l’evidenza di valori limite (alti e bassi) che si discostino moderatamente dal range della norma non
rappresenta necessariamente un dato patologico;
TIRoIDE E GRAvIDAnZA
L
e malattie della tiroide costituiscono le endocrinopatie di maggior riscontro in gravidanza e dopo il parto.
La frequenza di donne in gravidanza che presentano tireopatie conclamate o subcliniche,
spesso non idoneamente controllate e pertanto
potenzialmente dannose per il feto è notevolmente aumentata.
Quando viene sospettata l’insorgenza di una
tireopatia in gravidanza è pertanto necessario
intraprendere con celerità l’iter clinico-diagnostico ed eventualmente terapeutico adeguato
onde evitare complicanze alla madre ed effetti
dannosi al feto dovuti al passaggio transplacentare di anormali quantità di ormoni materni, anticorpi anti-recettore del TSH o di farmaci tireostatici.
Negli anni più recenti sono stati dedicati numerosi studi alla comprensione dei meccanismi
che regolano il rapporto tiroide-gravidanza e sono state elaborate linee guida che stabiliscono
condotte molto precise; tuttavia molti aspetti rimangono ancora non completamente chiariti e
permangono ancora incertezze e controversie.
InTRoDUZIonE
La gravidanza si accompagna a profonde modificazioni dell’equilibrio endocrino della madre
e del feto: esse avvengono in maniera autonoma,
si influenzano reciprocamente soprattutto attraverso la placenta e sono determinate dalla necessità di adattamento dell’organismo della gestante a quello del feto per garantirne il corretto
IL PUnTo
Stefano Gaudino
Medico Specialista in Endocrinologia, Geriatria e Medicina Interna
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Ipotalamo
TRH
Ipofisi
TSH
HCG
Tiroide
T4, T3
Fegato
TBG
Ormoni liberi
Estrogeni
12
Placenta
Desiodazione placentare
Tipo II: da T4 in FT3
Tipo III: da T4 in T3 reverse
Fig. 1 – Modificazioni della funzionalità tiroidea in gravidanza
(Modificata da Nader e col. Thyroid Desease and Pregnancy, In: Creasy R.K:, ResnicK)
sviluppo (fig. 1).
1) FIsIoLoGIA MATERnA
In gravidanza la tiroide è una delle ghiandole maggiormente sottoposte a un aumentato carico funzionale dovuto al variare di numerosi fattori che agiscono indipendentemente e/o in cooperazione fra di loro con l’effetto di incrementare la richiesta di ormoni tiroidei del pool plasmatico e quindi aumentare la loro disponibilità
tissutale:
• Aumento della concentrazione sierica della globulina legante la tiroxina (TbG)
Rappresenta sicuramente il fattore più im-
portante.È determinato dall’azione che gli
estrogeni secreti dalla placenta esercitano a
carico del fegato aumentando la sua sintesi e
riducendo il suo catabolismo.
La sua concentrazione nel siero inizia ad aumentare intorno al 20° giorno dall’ovulazione, raggiunge il massimo durante la seconda
metà della gravidanza per mantenersi costante sino al parto, per poi diminuire nell’arco di circa 5 settimane.
L’importanza di tale evento è data dal fatto
che fisiologicamente l’ormone biologicamente attivo è quello libero e la TBG lega
circa il 75% della T4 e l’80% della T3; per-
•
•
tanto ogni variazione della concentrazione
di TBG comporta una variazione di quella
degli ormoni totali e delle frazioni libere.
Il suo aumento determina l’aumento delle
concentrazioni di ormoni tiroidei totali e una
riduzione delle frazioni libere: ciò comporta
una aumentata sintesi di TSH da parte dell’ipofisi che a sua volta determina una aumentata increzione di ormoni da parte della tiroide al fine di mantenere l’eutiroidismo.
Aumento dell’attività desiodasica
Le desiodasi sono enzimi che regolano il metabolismo periferico degli ormoni tiroidei.
Sono di tre tipi:
- il tipo I, che non si modifica in gravidanza, determina la conversione di T4 in T3;
- il tipo II determina la formazione di FT3,
che viene utilizzato dal feto;
- il tipo III ha la proprietà di inattivare il T4
trasformandolo in T3 reverse che è un ormone inattivo.
Il tipo II ma soprattutto il tipo III sono secreti dalla placenta e pertanto con l’aumentare
del volume placentare, che avviene nella seconda fase della gravidanza, cresce significativamente l’attività questi enzimi.
Ciò comporta un aumentato catabolismo della T4 che necessariamente deve essere compensato da un’aumentata sintesi di ormoni da
parte della tiroide mediante l’attivazione dello stesso circuito di controregolazione ipotalamo-ipofisario precedentemente descritto.
È stato valutato che il sovraccarico funzionale della tiroide che si verifica durante la gravidanza oscilla tra il 40 ed il 60%: ciò è stato determinato valutando l’aumentato fabbisogno di L-tiroxina (LT4) in donne tiroidectomizzate o sottoposte a trattamento metabolico con radioiodio.
Aumento del fabbisogno giornaliero di iodio
Esso è determinato dall’aumento della clearence renale dello iodio che implica una sua
maggiore escrezione urinaria e dalla quantità
di questo elemento che viene messa a disposizione del feto.
Nelle zone caratterizzate da carenza iodica si
può assistere alla comparsa di deficit di iodio
in quanto questo aumentato fabbisogno può
non essere soddisfatto; ciò comporta che diviene difficile riuscire ad aumentare la sintesi di ormoni tiroidei in risposta all’aumento
di TBG e alle necessità del feto, che vanno di
pari passo con lo sviluppo e la maturazione
della sua tiroide.
• Aumento della gonadotropina corionica
(HCG)
È una glicoproteina essenziale nel mantenimento del corpo luteo e nella sua trasformazione in corpo luteo gravidico: la sua secrezione inizia dopo il concepimento, raggiunge
il suo picco alla 10° settimana di gravidanza
per poi diminuire sino a un valore minimo alla 20° settimana.
È stato segnalato che attiva il recettore del
TSH mimandone l’effetto: troppo modesta,
comunque, questa azione per causare un ipertiroidismo; fenomeno che invece può accadere in alcune patologie come la mola e il coriocarcinoma nel corso delle quali viene secreta una quantità anomala di HCG.
Questi eventi non presentano difficoltà di
adattamento da parte di una tiroide normale; qualora, invece, la ghiandola non sia esente da patologia non riesce ad adeguarsi facilmente alle
nuove esigenze e pertanto spesso occorre intervenire farmacologicamente.
2) FIsIoLoGIA PLACEnTARE
La placenta ha una struttura tale da rendere
possibile il passaggio di iodio mentre funge come barriera per gli ormoni tiroidei, del TSH e
della tireoglobulina: al suo interno è presente una
elevata concentrazione dell’enzima desiodasi tipo III che, come precedentemente descritto, determina una degradazione della T4. Comunque
piccole quantità di T4 materna raggiungono il feto prima che questo inizi la sua funzione tiroidea
e ciò è di estrema importanza per assicurare il
normale sviluppo del sistema nervoso nelle prime settimane di gestazione.
La placenta è invece permeabile al TRH (l’or-
13
mone ipotalamico) ma questo elemento è di scarsa importanza in quanto la concentrazione di tale ormone nel siero della madre è molto ridotta.
3) FIsIoLoGIA FETALE
Gli ormoni tiroidei sono indispensabili per la
differenzazione e la crescita dei tessuti del feto
ma soprattutto per il sistema nervoso; di qui l’importanza anche di quelle piccole quantità di ormoni tiroidei materni che superano la placenta
nelle primissime fasi della gestazione, quando
ancora l’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide fetale non
funziona autonomamente.
Dall’analisi del liquido amniotico è possibile studiare l’attività della tiroide fetale e la sua
evoluzione durante la gravidanza.
La tireoglobulina, che è la proteina dove vengono sintetizzati e immagazzinati gli ormoni tiroidei e che non attraversa la placenta, è stata evidenziata già nella quinta settimana di gestazione:
essa raggiunge il livello più alto verso la 27ª-28ª
settimana per rimanere costante sino alla nascita.
I follicoli compaiono intorno alla 10ª settimana di gestazione. Il processo di captazione
dello iodio da parte della tiroide inizia alla 11ª12ª settimana. Anche l’ipofisi inizia a secernere
TSH in questo periodo e raggiungere il suo valore massimo intorno alla 36ª settimana.
Il T4 inizia a formarsi dalla 12ª settimana, aumenta progressivamente sino a eguagliare i valori della madre poco prima del termine della
gravidanza.
Il T3 si mantiene relativamente basso per tutta la gravidanza e aumenta rapidamente dopo la
nascita mentre aumenta la frazione dell’rT3.
Il meccanismo di controregolazione FT4TSH raggiunge l’equilibrio solo dopo il parto.
14
Tab. 1
Cambiamenti fisiologici
Conseguenze tiroidee
↑ TBG sierica
↑ T4 e ↑ T3
↑ hCG nel primo trimestre
↓ TSH basale, ↑ FT3 e ↑ FT4
↑ eliminazione urinaria di iodio
↑ trasporto placentare dello iodio al feto
↓ T4, ↑ TSH, gozzo
(in zone a carenza iodica)
↑ della desiodazione
accelerata degradazione di T4
Nella tabella 1 vengono sintetizzati i cambiamenti fisiologici di maggior rilievo della tiroide in corso di gravidanza con i rispettivi effetti.
vALUTAZIonE DELLA FUnZIonALITà
TIRoIDEA
Dal momento che l’aumento fisiologico della TBG in gravidanza determina un aumento dei
livelli delle T3 e T4 totali l’indice più fedele della funzionalità tiroidea della donna in gravidanza è il dosaggio delle frazioni libere che rappresenta la quota metabolicamente attiva.
Nella maggior parte delle tireopatie le variazioni della FT3 e della FT4 sono consensuali aumentando nell’ipertiroidismo e diminuendo nell’ipotiroidismo: in tali patologie varia invece il
rapporto tra i due ormoni in quanto la FT3 aumenta di più dell’altra frazione nell’ipertiroidismo mentre diminuisce di meno nell’ipotiroidismo. Questo comporta che la determinazione
dell’FT3 è più specifica per lo studio dell’aumentata funzionalità della ghiandola, quella di
FT4 quando essa è diminuita.
Esistono tireopatie nelle quali i livelli degli
ormoni, invece, si presentano discordanti: questo avviene ad esempio nella forma di T3tossicosi nel corso della quale si evidenzia un aumento isolato della FT3, nei soggetti eutiroidei
che vivono in aree a carenza iodica nei quali si
dimostra ancora un aumento della FT3 e diminuzione dell’FT4, nell’ipotiroidismo subclinico
con l’FT3 normale e l’FT4 che può essere anche
ridotto e infine in tutte quelle forme cliniche eutiroidee che costituiscono le cosiddette sindromi
con bassa T3 dovute di solito a gravi malattie extratiroidee o al digiuno e caratterizzate da valori
normali di FT4 e bassi di FT3.
Il dosaggio del TsH è di fondamentale importanza nella diagnosi delle tireopatie: esso è
divenuto talmente sensibile da rendere inutile la
esecuzione del test al TRH che rimane importante solo nella diagnosi differenziale tra ipotiroidismo ipofisario e quello ipotalamico. Il TSH
diminuisce nell’ipertiroidismo, ma occorre evidenziare che esso può risultare ridotto nel primo
trimestre per l’influenza della gonadotropina corionica, anche in perfetto eutiroidismo; aumenta,
invece, in tutte le forme di ipotiroidismo sia primitivo sia centrale.
CAREnZA IoDICA
L’importanza biologica dello iodio deriva dal
fatto che questo elemento è il costituente essenziale degli ormoni tiroidei.
La principale fonte è costituita dal mare e
pertanto ne sono ricchi tutti gli alimenti di origine marina: i pesci di mare (115 microgr/100 gr)
e i crostacei in particolare (300 microgr/100 gr)
costituiscono la sua fonte maggiore ma anche
uova (70 microgr/100 gr), carne (60 microgr/100
gr) e latte (10 microgr/100gr) contengono una discreta quantità di tale elemento.
Il suo fabbisogno giornaliero negli adulti è di
circa 150 microgr ma in molti paesi del mondo,
e tra essi anche l’Italia, lo iodio è presente in
quantità ridotte e pertanto tale fabbisogno non
può essere soddisfatto (tab. 2).
Durante la gravidanza il processo di adattamento funzionale della tiroide richiede un aumento del tasso di sintesi e di secrezione degli ormoni tiroidei e ciò implica necessariamente l’aumento della disponibilità nutrizionale di iodio:
pertanto durante questo periodo il suo apporto
consigliato è significativamente più alto e deve
raggiungere almeno i 250 microgr/die.
L’organo che più risente di un eventuale deficit di questo elemento è la tiroide che in un primo momento sopperisce con una iperplasia/ipertrofia (gozzo) e in seguito, qualora esso dovesse
persistere, va incontro a un quadro conclamato
di ipotiroidismo.
Si è valutato che in Italia, sino circa a 10 anni fa, fossero almeno 5 milioni le persone affette
da gozzo da carenza iodica localizzate soprattutto nelle regioni extraurbane centro-meridionali:
grazie alla iodoprofilassi tale valore si è significativamente ridotto nel corso degli ultimi anni.
Adulto
150 m g/die
Gravidanza e allattamento
250 m g/die
Bambini
1-3 anni
70 m g/die
4-6 anni
90 m g/die
7-10 anni
120 m g/die
Neonato
40 m g/die
Tab. 2 – Fabbisogno giornaliero di iodio
Le gestanti residenti in zone con carenza iodica non riescono a soddisfare l’esigenza di un
aumento dell’apporto di iodio e pertanto vanno
frequentemente incontro ad alterazioni morfofunzionali della tiroide; infatti si è dimostrato
che, in questi casi, l’aumento di volume della
ghiandola può arrivare sino al 30% quando invece può raggiungere al massimo il 10% in donne in gravidanza residenti in zone con apporto
iodico ottimale per l’ipervascolarizzazione della
ghiandola presente normalmente in gravidanza.
Gli indici sierologici di questo eccessivo carico funzionale sono rappresentati da valori ai limiti inferiori di FT4, dalla secrezione preferenziale di FT3 con un rapporto elevato di FT3/FT4,
dall’aumento del TSH e della tireoglobulina.
La somministrazione di iodio si accompagna
a una netta riduzione delle modificazioni del volume della ghiandola. Le donne gravide che presentano patologia gozzigena possono essere trattate anche con l’aggiunta di L-tiroxina in quanto
l’ormone attraversa la barriera placentare solo in
minima quantità e non influenza lo stato tiroideo
del feto normale: il dosaggio deve essere tale da
sopprimere il TSH.
Il feto risente notevolmente del deficit di iodio della madre in quanto durante la gravidanza,
e in particolare nel primo trimestre, la sua funzione tiroidea dipende interamente dallo iodio
che gli proviene attraverso la placenta: si possono verificare aborti spontanei, natimortalità, la
presenza di anomalie congenite.
Anche il neonato ne risente in quanto lo iodio
è presente in alte concentrazione nel latte mater-
15
Nella donna in gravidanza
Gozzo
Ipotiroidismo
Aborto spontaneo
Parto prematuro
Nel feto
Anomalie congenite
Mortalità perinatale
Cretinismo
Nel neonato
Ipotiroidismo
Gozzo
Nell’adolescente
Gozzo
Ipotiroidismo
Ritardo mentale
Difetti neuropsichici minori
Ritardo di accrescimento
Nell’adulto
Gozzo
Ipotiroidismo
Deficit intellettivo
Tab. 3 – Disordini da carenza iodica
16
no: la sua tiroide fa difficoltà a produrre ormone
e ciò si traduce, a secondo della gravità del deficit, nella comparsa di gozzo o nel cosiddetto
“ipotiroidismo neonatale transitorio” (tab. 3).
Una dissertazione a parte meritano i disturbi
neuropsichici causati da mancanza di iodio durante la gravidanza o nei primi anni di vita. La
loro entità è determinata dal periodo di insorgenza, dalla gravità e dalla durata della carenza.
Nelle aree dove il deficit è moderato i disturbi
sono minori e si limitano a modesti difetti di percezione, di attenzione e ritardo dei tempi di reazione: se invece la carenza iodica è stata grave e
protratta le alterazioni possono essere molto più
gravi fino a giungere al quadro clinico di “cretinismo endemico” caratterizzato da gravissimo ritardo mentale, sordomutismo e grave deficit neuromotorio.
L’iodoprofilassi si è dimostrata un metodo efficace nella prevenzione dei disordini da carenza iodica. I metodi sono molteplici e la scelta è
legata soprattutto allo sviluppo socio-economico dell’area geografica. In Italia che, come in tutti i paesi industrializzati, dispone di una adeguata rete di distribuzione il metodo utilizzato è
quello più semplice e meno costoso dell’aggiunta di iodio al sale da cucina.
La nostra legislazione attuale prevede una
commercializzazione di 30 mg di iodio per kg di
sale. Il suo utilizzo è assolutamente volontario e
ciò comporta che il suo consumo attuale è di cica il 7% quando dovrebbe essere almeno del
70% in quanto tutta la popolazione italiana è a
rischio e bisognerebbe che se ne facesse uso in
tutte le regioni.
La forma di iodoprofilassi alternativa al sale
iodato è costituito dall’olio iodato (lipiodol) usato soprattutto nelle zone endemiche del terzo
mondo. La sua somministrazione può avvenire
per via intramuscolare o per via orale; una singola iniezione assicura un apporto di iodio per 3-5
anni mentre una singola somministrazione orale
fornisce la copertura per 1-2 anni; offre il vantaggio di una somministrazione unica, lo svantaggio
di dover essere somministrato individualmente.
Altre forme di profilassi sono costituite dallo iodio introdotto nell’acqua ma la sua applicazione su larga scala risulta problematica in quanto risulta difficile il controllo di tutte le fonti di
approvvigionamento idrico.
TIRoIDITI AUToIMMUnI
Sono processi infiammatori cronici dovuti alla presenza di autoanticorpi antitiroidei circolanti: determinano distruzione della tiroide mediante un processo di immunità anticorpale sierica e
cellulo-mediata e causano un’insufficienza funzionale della tiroide più o meno grave.
L’autoimmunità tiroidea si associa spesso ad
infertilità dovuta a endometriosi e disfunzione
ovarica ma non sono stati ancora chiariti quali
siano i rapporti diretti esistenti tra questi quadri
clinici: è indispensabile, pertanto, eseguire lo
screening immunitario tiroideo in tutta la popolazione femminile infertile. Esso è ancora più
importante prima di un’eventuale riproduzione
assistita: l’iperstimolazione ovarica, che è caratterizzata da un aumento degli estrogeni circolanti, può determinare in presenza di una tiroidite autoimmune un‘alterazione della sua funzionalità che può perdurare anche durante tutta la
gravidanza.
Le tiroiditi autoimmuni colpiscono quasi il
9% delle donne di età inferiore ai 30 anni: ciò
comporta che sono molto frequenti in gravidanza.
Possono influenzare il decorso della gestazione e la funzionalità tiroidea del feto e del neonato così come esse stesse possono essere influenzate dal processo di immunosoppressione
proprio della gravidanza e dalla riaccensione immunitaria che avviene dopo il parto.
La malattia clinica si sviluppa quando si altera quell’equilibrio esistente tra i fattori favorenti l’autoimmunità tiroidea e i meccanismi della tolleranza autoimmunitaria.
I principali autoantigeni tiroidei sono la tireoglobulina, la perossidasi tiroidea e il recettore del TSH che determinano la formazione degli
specifici anticorpi.
Il primo approccio per identificare l’origine
autoimmune della tiroidite è la determinazione
degli anticorpi antiperossidasi (anti-TPo) e
degli anticorpi antitireoglobulina (anti-TG).
I primi sono molto più frequenti e pertanto la
loro positività rappresenta l’indice diagnostico
più sensibile di tireopatia autoimmune (fig. 2).
La più accreditata genesi patogenetica è che
tali anticorpi possono danneggiare la cellula tiroidea tramite una attivazione del complemento
e la formazione di cellule citotossiche
Va precisato che l’entità di questi autoanticorpi circolanti è spesso condizionata dalla terapia in quanto essi possono essere ridotti anche
significativamente dai tireostatici nel Basedow e
dal LT4 nell’Hashimoto e nella forma atrofica
Attraversano normalmente la placenta ma
non determinano nessun danno alla tiroide del
feto e del neonato.
Gli anticorpi contro il recettore del TsH
(TRAb) si distinguono in due tipi a seconda della loro attività stimolante (TsAb) o inibente
(TsHbAb). I primi sono responsabili del quadro clinico del Basedow e delle fasi tireotossiche
transitorie del morbo di Hashimoto, i secondi
esplicano un’azione inibente e contribuiscono alla patogenesi dell’ipotiroidismo da tiroidite autoimmune.
100
AbTPO
AbTg
80
60
40
20
0
Normali
Morbo di Tiroidite di Tiroidite
Tumore
Basedow Hashimoto atrofica della tiroide
Gozzo
Fig. 2 – Presenza degli anticorpi antiperossidasi (AbTPo)
e antitireoglobulina (AbTg) nelle patologie della tiroide
Questi anticorpi a differenza dei precedenti
possono passare la placenta e pertanto causare
disturbi clinici non solo della madre ma anche
del feto e del neonato.
Non esiste una uniformità di vedute sull’importanza clinica della determinazione dei TRAb:
essi comunque risultano sicuramente importanti
nella valutazione del rischio di ipo o ipertiroidismo neonatale nei nati da madri affette da tiroidite autoimmune.
Spesso in gravidanza si evidenzia un miglioramento delle manifestazioni cliniche in tutte le
forme di tiroidite autoimmune, soprattutto di
quelle ipertiroidee: esse però dopo il parto tendono a peggiorare. Fino al 50% delle pazienti basedowiane può andare incontro a una remissione
della malattia ma almeno il 70% presenta una recidiva dopo il parto; anche nelle forme di ipotiroidismo da tiroidite di Hashimoto si può assistere a riduzione del TSH ma dopo il parto anche queste donne vanno incontro a netto peggioramento del quadro clinico.
Non sono ancora completamente tutti chiari i
meccanismi immunitari che determinano le variazioni cliniche in gravidanza ma sono stati dimostrati alcuni fenomeni:
- i livelli degli anti-TPO, anti-TG e gli anti-
17
18
corpi tireostimolanti si riducono soprattutto
nella seconda parte della gestazione e aumentano nel post-partum;
- le cellule citotossiche posseggono una capacità litica ridotta;
- i linfociti T helper risultano ridotti;
- il rapporto tra linfociti T helper e quelli T soppressor è ridotto al termine della gravidanza.
È stato descritto che la frequenza dell’aborto spontaneo aumenta nelle donne con presenza
di autoanticorpi circolanti anche senza deficit
della funzionalità tiroidea e tale aumento è stato
quantificato nel 15%: raggiunge quasi il 36% in
donne che presentano una sindrome dell’aborto ricorrente.
Il meccanismo attraverso il quale ciò avviene
è ancora controverso. Una prima ipotesi chiama
in causa una eventuale interazione tra gli anticorpi e gli ormoni secreti dalla placenta che porterebbe a un insufficiente apporto di progesterone;
una seconda ipotesi potrebbe essere che la causa
non sarebbe dovuta a una loro azione diretta ma
alla disfunzione autoimmunitaria più generalizzata aspecifica; infine altri ipotizzano che la presenza degli anticorpi rappresenti solo il segnale di un
deficit tiroideo in atto o che si sta sviluppando in
quanto in gravidanza diversi fattori quali l’iperestrogenismo, l’azione tireostimolante della HCG e
la eventuale comparsa di una carenza iodica portano a una maggior richiesta di ormone tiroideo.
Le malattie autoimmuni della tiroide si manifestano con alterazioni funzionali che vanno
dall’ipertiroidismo all’ipotiroidismo (tab. 4).
La più frequente è il morbo di Hashimoto
che rappresenta l’esempio più classico in quanto soddisfa in misura completa i classici criteri
accettati per stabilire la etiologia autoimmune organo-specifica della malattia.
L’ereditarietà costituisce uno dei fattori di rischio più importanti: autoanticorpi antitiroide si
trovano nel 50% dei fratelli e in misura del 25%
negli altri parenti di pazienti affetti da questa patologia.
Esistono due forme: quella atrofica (senza
gozzo) e quella più classica e frequente con la
presenza di gozzo.
Nella maggior parte dei casi le gestanti rimangono eutiroidee per tutta la durata della gravidanza: una forma di ipotiroidismo subclinico
è presente in una percentuale ridotta mentre un
quadro clinico conclamato di ipotiroidismo si
evidenzia solo nel 7% dei casi (fig. 3).
Spesso sono assolutamente asintomatiche e
l’obbiettività può essere completamente negativa a eccezione della presenza di un gozzo più o
meno voluminoso.
Per quanto riguarda la terapia in nessun caso
è giustificato il trattamento con farmaci anti-infiammatori e/o immunosoppressori. È necessario solo il controllo ripetuto della funzionalità ti-
Tab. 4 – Tireopatie autoimmuni in gravidanza e dopo il parto
Tiroidite autoimmune asintomatica (con eutiroidismo)
Fig. 3
Ipotiroidei
7%
Tiroidite di Hashimoto con gozzo e ipotiroidismo
Tiroidite atrofica
Morbo di Basedow
Tiroidite post-partum
Ipotiroidei subclinici
30%
Eutiroidei
63%
roidea e in caso di evoluzione verso la sua insufficienza la pronta correzione con L-tiroxina.
La presenza di una tiroidite autoimmune nella gestante può determinare alterazioni anche
gravi a carico della tiroide del feto e del neonato: è determinata dalla presenza degli anticorpi
materni contro il recettore del TSH (TRAb) che
come già segnalato sono capaci di attraversare la
placenta: cominciano ad essere presenti nel feto
già alla 22ª settimana per poi raggiungere lo stesso livello della madre alla 30ª settimana.
Possono causare quadri clinici di ipertiroidismo o ipotiroidismo fetali e neonatali: sono rari
ma quando presenti possono richiedere un trattamento specifico.
La loro insorgenza è legata alla presenza e attività biologica dell’anticorpo tireostimolante
(TSAb) o di quello bloccante (TSBAb) l’azione
del TSH:
Ipertiroidismo
Se dall’anamnesi materna emerge una tireopatia autoimmune, la presenza di livelli di TSAb
materni molto elevati alla 20ª-30ª settimana deve far sospettare la presenza di un ipertiroidismo
fetale-neonatale in quanto gli ab, passando la placenta, possono andare a stimolare la tiroide del
feto a produrre un eccesso di ormoni tiroidei.
Il sospetto è ancora più fondato se la gestante è affetta da morbo di Basedow con gozzo molto voluminoso, oftalmopatia e mixedema pretibiale e se ha la necessità di elevate dosi di tionamidi per mantenere l’eutiroidismo.
Nel feto i segnali clinici sono dati dalla tachicardia con più di 160 battiti al minuto e dal
ritardo di crescita intrauterina: raramente una
ecografia fetale riesce ad evidenziare la presenza di un gozzo. Qualora fosse presente un elevato sospetto di tale quadro clinico può essere valutata l’opportunità di eseguire un prelievo mediante funicolocentesi per la determinazione degli ormoni tiroidei: il rischio della metodica è,
infatti, controbilanciata dalla entità di informazioni che questo prelievo può fornire. Tale patologia è molto rara e ha una mortalità molto alta.
La terapia consiste nella somministrazione di
tionamidi alla madre in quanto questi farmaci su-
perano la placenta: la dose va regolata sulla base della frequenza cardiaca del feto.
Anche la forma neonatale è molto rara e comunque è di solito transitoria in quanto la vita
media degli TSAb di origine materna è di circa
due settimane; di solito si esaurisce in 2-3 mesi.
Il neonatologo, visitando il neonato, deve insospettirsi di fronte a una o più delle seguenti situazioni: tachicardia, esoftalmo, gozzo, ipereccitabilità, aritmie, il basso peso alla nascita e infine uno scarso incremento di peso nonostante
un buon appetito. Va comunque precisato che di
solito la tireotossicosi non si manifesta alla nascita in quanto nella maggior parte dei casi questi neonati nascono da donne in trattamento con
tireostatici: poiché questi farmaci superano la
placenta la funzionalità tiroidea è sotto controllo sino alla nascita; l’iperfunzione della ghiandola compare dopo circa 24-48 ore e risulta clinicamente evidente dopo la prima settimana di
vita.
Per individuare precocemente l’ipertiroidismo neonatale può essere necessaria la determinazione degli ormoni tiroidei sul sangue del cordone ombelicale.
Il trattamento di solito è temporaneo e si basa sulla somministrazione di tireostatici e ioduro:
durante la terapia è opportuno eseguire frequenti controlli degli ormoni tiroidei onde evitare
iperdosaggi e soprattutto dei TSAb, perché la loro scomparsa preannuncia l’esaurirsi dell’ipertiroidismo.
Ipotiroidismo
Esso è provocato dal trasferimento dalla madre al feto di TSHBAb che sono dotati di attività
inibente il TSH. Costituisce circa 1-2% di tutti i
casi di ipotiroidismo congenito.
Nella quasi totalità dei casi la madre ha una
tiroidite autoimmune nella forma atrofica ed è
ipotiroidea o in terapia sostitutiva.
Esso si sviluppa di solito nelle ultime settimane della gestazione e per tale motivo non risulta indispensabile una diagnosi pre-partum;
anche se la precocità della diagnosi e della terapia risulta estremamente importante per evitare
l’insorgenza di alterazioni neurologiche.
19
Anche questa forma è transitoria in quanto
gli anticorpi hanno nel neonato una vita media
di 2-4 settimane.
Il trattamento sostitutivo con LT4 deve essere iniziato con rapidità in quanto il deficit ormonale non trattato può procurare gravi deficit neurologici e mentali: esso va protratto per tutto il
primo anno di vita.
IPoTIRoIDIsMo
Per ipotiroidismo si intende una sindrome caratterizzata dalla riduzione degli ormoni tiroidei
nelle cellule bersaglio e circolanti; clinicamente si
manifesta con la riduzione delle funzioni di quasi
tutti i sistemi e soprattutto di quello cardiovascolare, gastrointestinale, nervoso e cutaneo.
È detto primario quando è causato da insufficienza della ghiandola tiroidea, secondario
quando dipende da un deficit di TSH, terziario
quando è dovuto a un deficit di TRH e infine periferico quando dipende da un deficit recettoriale; il primario può essere congenito per una agenesia della ghiandola o per una sua ridotta funzionalità alla nascita e acquisito come risultato
di un processo infiammatorio.
È detto subclinico quando a un TSH aumentato si associano valori normali di FT3 e FT4 in
assenza di segni clinici; franco o manifesto quando anche gli ormoni tiroidei risultano ridotti e
compare la sintomatologia caratteristica dell’i-
20
Tab. 5 – Fattori di rischio di ipotiroidismo in gravidanza
Familiarità per patologie tiroidee
potiroidismo.
Nella popolazione generale l’ipotiroidismo è
la patologia tiroidea più frequente: studi epidemiologici eseguiti in Inghilterra hanno indicato
che nel sesso femminile la prevalenza di tale patologia è del 7,7% se si considerano solo le forme spontanee mentre si arriva a quasi il 10% se
si includono anche le forme determinate da trattamenti radiometabolici o interventi chirurgici.
Durante la gravidanza queste percentuali risultano più basse: ciò avviene sia perché la stessa patologia è causa di ridotta fertilità sia perché
essa è più frequente dopo la quinta decade di
vita.
Nella tabella 5 vengono riportati i fattori correlati a un elevato rischio di sviluppare una patologia ipotiroidea in gravidanza
Negli Stati Uniti uno studio eseguito su 2.000
gravide tra la 15ª e la 18ª settimana di gestazione ha messo in evidenza che il 2,2% aveva un
TSH superiore a 6 mU/l e una FT4 normale e
pertanto un ipotiroidismo subclinico mentre lo
0,3% aveva un ipotiroidismo franco con TSH alto e FT4 basso
La causa più comune dell’ipotiroidismo in
gravidanza è costituita dalle tiroiditi autoimmuni con la presenza di anticorpi (90% delle donne
con ipotiroidismo franco) mentre nelle zone con
carenza iodica la causa più frequente è il deficit
alimentare di iodio (tab. 6).
La diagnosi clinica di ipotiroidismo in gravidanza può non essere facile in quanto molti
Tab. 6 – Cause di ipotiroidismo in gravidanza
Primitivo
Post operatorio
Post-radiolgico
Tiroidite autoimmune
Tiroidite subacuta
Da carenza iodica
Da sostanze esogene
Secondario
Ipofisario
Precedenti patologie ipofisarie
Terziario
Ipotalamico
Presenza di diapete mellito di tipo I, vitiligine, M. di Addison
Periferico
Resistenza agli ormoni tiroidei
Precedente terapia per ipotiroidismo o ipertiroidismo
Precedente terapia radiante al collo
Precedente tiroidite post-partum
Presenza di gozzo
Terapia con litio e amiodarone
sintomi
%
segni
%
Astenia
90
Intolleranza al freddo
60-95
Aumento di peso
50-75
Ipotermia
70-90
Psicosi e depressione
20-70
Capelli fini, secchi
70-90
Voce rauca
50-70
Cute secca, pallore
70-90
Stipsi
35-65
Edema periorbitale
40-90
Parestesie
50-60
Rallentamento dei movimenti
70-90
Riduzione della memoria
35-60
Iporeflessia
50-60
Iperpolimenorrea
20-50
Bradicardia
10-30
Mialgia e artralgia
15-35
Macroglossia
10-15
Riduzione della libido
10-40
Versamento pericardico
10-15
Gozzo
10-20
Ipertensione
10-15
S. tunnel carpale
5-10
Tab. 7 – Clinica dell’ipotiroidismo
sintomi lamentati sono spesso presenti normalmente nelle donne gravide: eccessiva intolleranza al freddo, secchezza dei capelli e la loro
aumentata caduta, astenia ingravescente e difficoltà di concentrazione; spesso sono anche
presenti le parestesie e il caratteristico ritardo
del processo di rilasciamento neuromuscolare
per il rallentamento dei riflessi osteotendinei,
segni caratteristici dell’ipotiroidismo conclamato (tab. 7).
È estremamente importante la precocità della diagnosi per evitare che la carenza funzionale
della ghiandola possa determinare effetti negativi a carico del feto, in quanto nelle prime settimane di gravidanza, quando l’apporto ormonale
è esclusivamente materno, gli ormoni tiroidei sono determinanti per il corretto sviluppo del sistema nervoso del feto.
Una anamnesi accurata è indispensabile per il
riconoscimento delle donne a rischio di sviluppare tale patologia anche perché lo screening del
primo trimestre di gravidanza non comprende
ancora la valutazione della funzionalità tiroidea:
una familiarità positiva, una storia personale di
presenza di una tireopatia, di una patologia autoimmunitaria, di diabete mellito di tipo I o di
una malattia che richiede l’utilizzo di farmaci
che possono interferire con la funzionalità tiroidea devono sempre far sospettare una possibile
insorgenza di ipotiroidismo in gravidanza.
Il test più importante per la diagnosi è costituito dalla determinazione del livello sierico del
TsH che risulta di solito aumentato; spesso solo
il TSH è elevato mentre gli ormoni tiroidei sono
ancora nella norma come avviene nella forma
subclinica: occorre sempre tener presente che, come è stato già precedentemente segnalato, il TSH
viene influenzato dai livelli aumentati di HCG.
Il dosaggio della FT4 ha minore importanza
per l’interferenza determinata dalla presenza di
aumentati valori di TBG ma comunque il riscontro di valori bassi associati a un aumento del
TSH depone per un quadro di ipotiroidismo franco. Anche la determinazione di FT3 può risultare di scarso valore in quanto può essere normale
nonostante un valore basso di FT4 e può risultare alterato per la presenza nella gestante di patologie extratiroidee.
21
Fondamentali
Complementari
TSH, FT4, FT3
Anticorpi anti-Tg e anti-TPO
Ioduria
Ecografia tiroidea
ECG
Cortisolemia
Colesterolemia totale, HDL, trigliceridemia
Emocromo
Sideremia
Anticorpi antiparete gastrica
Vit. B12 sierica
Tab. 8 – Indagini su ipotiroidismo in gravidanza
La determinazione dell’ioduria è importante
in quanto l’aumento della clearence renale dello
iodio comporta un aumento della eliminazione
di questo elemento con le urine.
La ricerca degli anticorpi risulta opportuna
per cercare di individuare un’eventuale etiopatogenesi autoimmunitaria dell’ipotiroidismo; le
donne in gravidanza affette da tiroidite autoimmune risultano positive all’anti-TPo per circa
il 90% e all’anti-Tg per circa il 50%; in circa il
20% di quelle affette da tiroidite atrofica si trova la presenza di anticorpi diretti contro il recettore del TsH che esplicano un’azione bloccante l’effetto biologico della tireotropina sulla
tiroide (tab. 8).
Anche l’ECG costituisce un indagine fonda-
22
Tab. 9 – Complicanze dell’ipotiroidismo non trattato in gravidanza
Ipotiroidismo
clinico
%
Ipotiroidismo
subclinico
%
21,0
15,0
Anemia
6,0
3,0
Emorragia post partum
6,6
3,5
Distacco placenta
5,0
0,0
16,6
8,7
Nascita di feto morto
6,6
1,7
Parto pretermine
5,0
0,0
Malformazioni congenite
3,3
0,0
Complicanze
Materne
Fetali
Ipertensione gravidica
(con o senza preeclampsia)
Basso peso alla nascita
mentale in quanto può mostrare la presenza di
bassi voltaggi su tutte le derivazioni e alterazione della ripolarizzazione ventricolare.
Lo studio ecografico, indagine non invasiva
e ripetibile, può servire per la conferma di una
diagnosi formulata già precedentemente alla gravidanza (come nelle forme postchirurgiche) o per
lo studio della evoluzione di patologia nodulare,
anche eventualmente con l’ausilio dell’esame citologico.
Tra le indagini complementari va segnalata
la determinazione della colesterolemia che spesso si presenta aumentata nell’ipotiroidismo, dell’emocromo (frequente presenza di anemia normocitica) e della cortisolemia per escludere la
presenza di una insufficienza corticosurrenalica
che a volte si accompagna a quella tiroidea.
Le complicanze legate all’ipotiroidismo non
trattato sono diverse e interessano la madre, il feto e il neonato: come riportato nella tabella 9,
hanno percentuali di insorgenza diverse a secondo se si tratta di una forma franca o di una subclinica.
A carico della madre la più frequente è la
preeclampsia che si può manifestare con la sua
triade sintomatologica ipertensione arteriosa,
proteinuria ed edemi ma più frequentemente con
la sola ipertensione; altre possibili complicanze
sono l’anemia e l’emorragia post-partum con
percentuali intorno al 5-6%.
La presenza di un deficit tiroideo anche in
forma subclinica si associa a incremento significativo di complicanze ostetriche determinando
un rischio tre volte aumentato di aborto e parto
pretermine.
È descritto che l’incidenza di ipotiroidismo
in donne che presentano aborti ricorrenti arriva
quasi al 30% in quanto, soprattutto nelle prime
fasi della gravidanza, sarebbe responsabile di alterazioni irreversibili sull’unità feto-placentare.
È assolutamente comprovata l’importanza
degli ormoni tiroidei per la crescita e lo sviluppo neurologico del feto. È noto che la tiroide fetale è in grado di produrre ormoni solo a partire dalla 10ª-12ª settimana di gravidanza; per tale motivo gli ormoni necessari in questa fase so-
no unicamente quelli di origine materna. Qualora, pertanto, la gestante dovesse essere affetta da deficit funzionale della tiroide, il feto potrebbe andare incontro a danni più o meno gravi a secondo della gravità di tale deficit e dell’eventuale associazione di carenza iodica: in questo caso, che prefigura la presenza di un ipotiroidismo materno/fetale/neonatale, si può assistere a un danno irreversibile dello sviluppo
neurologico e intellettivo che, nella sua forma
più grave, configura il quadro clinico del cretinismo endemico.
La terapia si basa sulla somministrazione di
sale sodico della l-tiroxina a dosi cosiddette “sostitutive” tenendo conto di tre direttive:
- riportare l’equilibrio ormonale nel più breve
tempo possibile compatibilmente con le condizioni cardiache;
- la dose da somministrare di solito è più alta di
quella usata nel periodo pre- e post-gravidico;
- eseguire frequenti controlli ormonali onde
poter evidenziare l’adeguatezza del trattamento.
Il farmaco esplica la sua azione dopo conversione periferica in T3 riproducendo la situazione fisiologica della desiodazione periferica
del T4 in T3: ha una emivita biologica abbastanza lunga e pertanto una sola somministrazione
giornaliera permette di ottenere una concentrazione ematica costante di ormoni; deve essere assunto a digiuno circa 20 minuti prima della colazione e nei casi di vomito anche dopo aver
mangiato: non sono descritte reazioni allergiche
e i fenomeni collaterali sono legati solo a un
eventuale iperdosaggio.
Nel caso di una forma di ipotiroidismo conclamato neodiagnosticato in gravidanza è opportuno ripristinare con celerità il pool corporeo della tiroxina: alcuni autori giungono a consigliare
la somministrazione di una iniziale dose tripla per
poi continuare con i normali dosaggi giornalieri
ma tale condotta può determinare l’insorgenza di
tachicardia e altri sintomi propri dell’iperdosaggio. La dose ottimale è strettamente individuale
ed è quella che permette di riportare il valore del
TSH nel range di normalità: la frequenza dei con-
Al concepimento
2-5 settimane dopo il concepimento
2-5 settimane dopo ogni adeguamento di dose di L-T4
Almeno una volta a trimestre
3-5 settimane dopo il parto
(avendo ridotto la dose di L-T4 al livello pregravidico)
Tab. 10 – Monitoraggio di laboratorio nell’ipotiroidismo in gravidanza
trolli varia dai 30 ai 60 giorni ma anche essa è
molto soggettiva dipendendo dalle problematiche
connesse alla patologia di base (tab. 10).
Nelle donne che sono già in terapia sostitutiva per un ipotiroidismo diagnosticato prima della gravidanza il fabbisogno di tiroxina di solito
aumenta: esso si può manifestare già entro le prime 4 settimane dal concepimento e pertanto è
opportuno iniziare a eseguire controlli del TSH
immediatamente dopo la prima mancanza mestruale e successivamente almeno ogni 30-40
giorni in quanto la necessità di aumentare la dose si può rendere necessaria anche in fasi più
avanzate della gravidanza. Circa l’85% delle
donne ipotiroidee deve ricorrere in gravidanza a
un incremento del trattamento che varia di solito tra i 25 ed i 100 microgr/die con un valore medio del 47%: mediamente esso risulta necessario
nelle prime 16-20 settimane. Alcuni autori consigliano di aumentare il dosaggio della tiroxina
del 30% ancora prima di eseguire i controlli ormonali (tab. 11).
Occorre comunque sempre tener presente che
il dosaggio dell’ormone è definito “trimestre-dipendente” in quanto spesso il passaggio dal terzo al quarto mese di gravidanza e dal sesto al setTab. 11 – Cause di aumentato fabbisogno di L-T4 in gravidanza
Aumento di peso
Aumentato volume di distribuzione
Alti livelli di TBG
Aumentata attività desiodasica nella placenta
Ridotto assorbimento gastrointestinale dovuto alla supplementazione di ferro
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timo richiede più frequentemente una correzione
del dosaggio.
Infine occorre sempre tenere in considerazione l’eventuale insorgenza di ipotiroidismo fetale transitorio per il passaggio di anticorpi materni TRab attraverso la placenta alla 20ª e 30ª
settimana o parziale transitoria remissione nel
corso di ipotiroidismo da tiroidite di Hashimoto.
IPERTIRoIDIsMo
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Per ipertiroidismo si intende una sindrome caratterizzata dall’aumento degli ormoni tiroidei;
rientra nel quadro più ampio delle tireotossicosi
che comprendono anche le forme cliniche da cause extratiroidee come la loro somministrazione
esogena, l’ipersecrezione di TSH e la sindrome da
resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei.
È una patologia molto frequente nelle donne
in età fertile e di conseguenza in gravidanza: raramente la malattia insorge con l’inizio della gestazione ma di solito si tratta di persone che hanno già una storia clinica pregressa o in corso di
ipertiroidismo. Si valuta che 1-2 gravidanze su
1.000 (0,2%) siano associate a ipertiroidismo.
Le donne ipertiroidee hanno di solito una fertilità normale ma occorre sempre evitare, ove
possibile, una gravidanza durante le fasi più tossiche della malattia sia per gli effetti negativi del
quadro clinico sia per la tossicità legata all’alto
Tab. 12 – Cause di ipertiroidismo e tireotossicosi in gravidanza
Ipertiroidismo
Gozzo diffuso tossico (morbo di Basedow)
Gozzo multinodulare tossico
Adenoma tossico
Mole idatidiforme
Iperemesi gravidica
Ipertiroidismo indotto da iodio
Tireotossicosi da eccesso di ormoni tiroidei esogeni
Tireotossicosi fattizia o medicamentosa
dosaggio dei farmaci eventualmente necessari
(tab. 12).
Circa l’80% di tutte le donne ipertiroidee in
gravidanza sono affette da morbo di BasedowGraves o gozzo tossico diffuso: è una malattia
autoimmunitaria dovuta ad autoanticorpi diretti
contro il recettore del TSH e clinicamente caratterizzata dalla triade ipertiroidismo, gozzo e oftalmopatia.
Più rare sono le forme di gozzo tossico multinodulare dove uno o più noduli, preesistenti da
vecchia data, aumentano gradualmente la loro
funzionalità e quelle da adenoma tossico dove
invece è presente un singolo adenoma iperfunzionante in una tiroide normale; queste sono forme rare in quanto sono patologie che insorgono
a una età più tarda rispetto alla terza-quarta decade di vita di solito interessate dalle gravidanza.
Altra forma, rara ma caratteristica della gravidanza, è quella legata alla presenza della mole
idatidiforme e del coriocarcinoma. Sono malattie
neoplastiche del trofoblasto che insorgono nelle
prime settimane di gravidanza: poiché, come già
segnalato, l’ormone è provvisto di un’azione
agonista per il recettore del TSH questi tumori
possono causare un quadro clinico di ipertiroidismo; esso di solito è lieve e clinicamente evidente solo nel 2% dei casi e recede completamente dopo la sua asportazione.
Anche l’iperemesi gravidica può associarsi a
ipertiroidismo. È una condizione morbosa caratterizzata da vomito e perdita di peso; inizia entro
la 7ª settimana di gestazione e di solito recede
spontaneamente alla 18ª-20ª settimana. Anche in
questo caso sembra che l’associazione sia da attribuire ai valori elevati di HCG: l’ipertiroidismo
è lieve e recede spontaneamente con la diminuzione dei valori dell’ormone placentare senza la
necessità di alcun trattamento specifico.
Ancora più rare sono considerate le forme
determinate da abnorme assunzione di ormoni
esogeni o di iodio
Quando la donna in gravidanza abbia già
una storia clinica di ipertiroidismo, in atto o
pregressa, la diagnosi clinica non presenta difficoltà, cosa che invece può accadere per i casi
di nuova insorgenza: ciò è determinato dal fatto che molti sintomi quali la cute calda, l’intolleranza al caldo, l’iperidrosi, l’aumento della
PA differenziale, l’iperemesi, l’astenia e l’ansietà propri dell’ipertiroidismo possono essere
presenti normalmente in gravidanza anche se di
solito, in questo periodo, essi si accentuano significativamente (tab. 13).
Comunque i sintomi caratteristici dell’ipertiroidismo sono il dimagrimento (mentre di solito
la gestante tende all’aumento di peso), la tachicardia e il cardiopalmo, i tremori, l’alvo tendenzialmente diarroico, la presenza di gozzo soprattutto in aree a sufficiente apporto iodico e/o la
percezione di fremito-soffio sulla tiroide; l’oftalmopatia, l’onicolisi del quarto e quinto dito e
infine la presenza di mixedema pretibiale sono
segni clinici caratteristici della forma da morbo
di Basedow.
Va tenuto comunque sempre presente che a
causa dei cambiamenti della condizione immunitaria che insorgono in gravidanza si può assistere, soprattutto nella seconda parte di essa, a
un miglioramento clinico del morbo di Basedow
e di un suo eventuale peggioramento nel postpartum (tab. 14).
La diagnosi di laboratorio di ipertiroidismo
si basa sulla evidenza di valori elevati di FT3 e
FT4 e bassi o indosabili di TSH con l’unica eccezione di quei casi in cui vi è la presenza di un
adenoma ipofisario TSH-secernente dove i livel-
li di questo ormone sono normali o elevati; nel
gozzo tossico multinodulare e nell’adenoma tossico vi può essere l’aumento isolato di FT3.
La diagnosi differenziale tra le varie tireopatie si basa, oltre che sull’obbiettività, sulla
ecografia e sulla ricerca degli autoanticorpi essendo in gravidanza la scintigrafia controindicata. L’ecografia rappresenta un esame senza
alcun rischio e ci permette di definire con assoluta precisione la morfologia della tiroide e la
presenza di uno o più noduli: lo studio con colordoppler evidenzia l’entità della sua vascolarizzazione.
Per la diagnosi di malattia di Basedow sono
di grande importanza la ricerca nel siero degli
anticorpi antitireoglobulina e antiperossidasi ma
soprattutto dei TRAb, vale a dire di quelli diretti contro il recettore del TSH: questi ultimi sono
particolarmente importanti in quanto la loro presenza a titolo molto elevato può far sospettare un
ipertiroidismo fetale e far prevedere la comparsa di un ipertiroidismo neonatale. I livelli delle
fosfatasi alcaline e dell’idrossiprolinuria di solito risultano aumentati per l’azione che gli ormoni tiroidei hanno sull’osso: la colesterolemia è,
invece, spesso ridotta.
Un ipertiroidismo non diagnosticato o diagnosticato in ritardo o non adeguatamente trattato può far insorgere complicanze anche molto
gravi a carico della madre, del feto e del neonato (tab. 15).
Tab. 13 – Clinica dell’ipertiroidismo
sintomi
%
Tab. 14 – Indagini per l’ipertiroidismo in gravidanza
segni
%
Nervosismo
40-95
Tachicardia
60-100
Cardiopalmo
40-90
Tremori
50-90
Insonnia
40-90
Oftalmopatia
50-90
Intolleranza al caldo
60-90
Gozzo
80-90
Astenia
30-70
Perdita di peso
35-80
Alvo frequente, diarrea
15-50
Cute umida
60-80
Oligomenorrea, amenorrea
30-50
Onicolisi
40-50
Ridotta libido
30-40
Esoftalmo
10-30
Mixedema pretibiale
10-15
Fondamentali
TSH, FT4, FT3
Ab anti-TR
Anticorpi anti-Tg e anti-TPO
Ecografia
ECG
Complementari
Colesterolemia, HDL
Fosfatasi alcalina
Idrossiprolinuria
25
Materne
Fetali
Ipertensione
Basso peso alla nascita
Preeclampsia
Prematurità
Distacco di placenta
Morte endouterina
Aborto spontaneo
Morte neonatale
Parto prematuro
Malformazioni congenite
Scompenso cardiaco
Ipertiroidismo fetale
Anemia
Ipertiroidismo neonatale
Tab. 15 – Complicanze dell’ipertiroidismo non trattato in gravidanza
Nella madre le complicanze più frequenti sono quelle a carico dell’apparato cardiovascolare:
l’eventuale associazione dell’ipertensione arteriosa all’aumentata gittata cardiaca e alla tachicardia
propri dell’ipertiroidismo possono determinare la
comparsa di una insufficienza cardiaca.
Così come segnalato per l’ipotiroidismo anche nel corso di ipertiroidismo possono insorgere complicanze quali il distacco di placenta, la
preeclampsia e l’anemia; sono state descritte crisi tireotossiche al momento del parto in donne
non trattate.
Le complicanze fetali e neonatali comprendono l’aborto con percentuali che vanno dal 4 al
25% a secondo delle casistiche, il ritardo di crescita intrauterina, il basso peso alla nascita, la
prematurità, la nascita di un feto morto e la morte neonatale; infine sono state descritte malformazioni congenite quali l’anencefalia, l’ano imperforato e il labbro leporino.
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Tab. 16 – opzioni terapeutiche per l’ipertiroidismo in gravidanza
Modalità terapeutica
Possibile impiego
Terapia medica
Tionamidi
Ioduro
Beta-bloccanti
Sì
In casi eccezionali
Cautela
Tiroidectomia totale
In casi eccezionali
Radioiodio
No
Il controllo dell’ipertiroidismo con la terapia
antitiroidea si accompagna a una notevole riduzione della frequenza di queste complicanze che
è tanto maggiore quanto più precoce è l’inizio
della terapia specifica (tab. 16).
Per il trattamento delle forme di tireotossicosi determinate da assunzione di ormoni tiroidei
esogeni o di iodio è sufficiente la sospensione di
tali somministrazioni: le forme altrettanto rare
causate dalla presenza di neoplasie trofoblastiche richiedono la loro asportazione.
Tutte le altre, quali il morbo di Basedow e i
gozzi tossici, richiedono una terapia volta alla riduzione degli ormoni circolanti bloccando la loro sintesi o la loro dismissione: in gravidanza la
scelta della linea terapeutica è determinata dalla
presenza del feto e pertanto dal passaggio transplacentare dello iodio e dei farmaci impiegati.
Iodio radioattivo
L’uso dello iodio radioattivo rappresenta la terapia di prima scelta nei pazienti con recidiva dopo chirurgia tiroidea, in quelli con grave malattia
concomitante e in quelli oltre 40 anni: lo scopo
di questa metodica è di curare la malattia inducendo una tiroidite da radiazioni con conseguente distruzione delle cellule tiroidee.
Lo iodio radioattivo attraversa facilmente la
barriera placentare, viene captato dalla tiroide fetale sin dalla 10ª settimana di gestazione e pertanto può comportare la sua distruzione: per tale
motivo è assolutamente controindicato in gravidanza.
È possibile che tale sostanza venga somministrata erroneamente qualora la gravidanza, pur
presente, non sia stata ancora accertata; se ciò
avviene ai fini diagnostici la dose usata risulta
troppo bassa per poter creare danni collaterali e
non occorre intervenire; il feto potrebbe, invece,
incorrere in danni anche gravi qualora l’assunzione dello iodio radioattivo fosse a dosaggio terapeutico e pertanto è consigliata la somministrazione alla madre di tionamide e ioduro per almeno 7 giorni
Tionamidi
La terapia con farmaci antitiroidei costituisce
la prima scelta nel trattamento dell’ipertiroidi-
smo in gravidanza.
I più usati appartengono al gruppo delle tionamidi e sono rappresentati fondamentalmente
dal metimazolo e dal propiltiouracile. Agiscono
attraverso l’inibizione della perossidasi, enzima
responsabile dell’ossidazione dello ioduro, bloccano la formazione dello iodio organico e pertanto la formazione di mono- e diodiotironina.
Il propiltiouracile agisce anche a livello periferico inibendo la conversione del T4 in T3 ma
ciò nonostante il metimazolo esplica un’azione
più rapida e avendo una emivita plasmatica più
lunga richiede una frequenza di somministrazione ridotta. Non bloccano il rilascio degli ormoni
preformati e pertanto il raggiungimento dell’eutiroidismo si ottiene solo dopo almeno una settimana di trattamento.
Gli effetti collaterali gravi sono rari, meno
dell’1%; sono costituiti soprattutto dall’agranulocitosi, dalla trombocitopenia e dalla vasculite.
Più frequenti, tra l’1 ed il 5%, sono quelli meno gravi: essi sono le manifestazioni cutanee tipo eruzioni cutanee, prurito e orticaria, febbre e
dolore alle articolazioni, leucocitopenia transitoria ed epatopatia.
Ambedue i farmaci sono ormai considerati
abbastanza sicuri in gravidanza anche se, attraversando facilmente la placenta, possono creare danni a carico del feto qualora usati a dosaggio elevato e/o non appropriato.
Non tutti gli autori sono concordi su quale dei
due farmaci sia più opportuno utilizzare in gra-
vidanza: si preferisce comunque il propiltiouracile che in virtù della sua minore liposolubilità e
il suo maggior legame alle proteine sembra avere una minore capacità di passare la placenta rispetto al metimazolo.
Le dosi giornaliere massime consigliate sono 30 mg per il metimazolo suddivise in due
somministrazioni e 300 mg per il propiltiouracile divise, invece, in tre somministrazioni: occorre sempre seguire la linea di condotta per cui il
dosaggio deve essere quello più basso possibile
per mantenere l’eutiroidismo. È accettabile anche mantenere la gestante in lieve ipertiroidismo.
Le dosi del farmaco vanno pertanto ridotte
ogni qual volta le condizioni cliniche e i valori
ormonali lo consentono.
Di solito si è propensi a continuare il trattamento per tutta la gravidanza anche a dosaggi
molto bassi onde prevenire recidive.
Diversi autori invece preferiscono sospendere la terapia dopo un periodo di eutiroidismo ed
eventualmente riprenderla e proseguirla, poi, per
tutta la gravidanza. Se tale tentativo fallisse e l’ipertiroidismo si riattivasse, generalmente viene
ridotta dopo il primo trimestre e interrotta durante il terzo trimestre.
Le tionamidi, come già segnalato, attraversano la placenta e pertanto, se usate a dosaggio elevato possono determinare ipotiroidismo e gozzo
nel feto; comunque diversi studi hanno dimostrato che una corretta terapia non determina deficit della funzione cognitiva e della crescita soTab. 17 – Monitoraggio dell’ipertiroidismo in gravidanza e nel post-partum
Controllo dell’FT3, FT4 e TSH almeno ogni 4 settimane
Ridurre la dose di tionamide fino a quella minima sufficiente a mantenere l’FT4 materna ai limiti alti della norma
Controllare FC, peso, dimensioni tiroide, TSH, FT4, FT3 ogni 4 settimane
Controllare la FC fetale (se il siero della madre contiene TRAb)
Sorvegliare ecograficamene il feto (tre controlli ecografici rispettivamente nel primo, secondo e terzo trimestre)
Dosare i TRAb alla 20ª e 30ª settimana di gestazione
Controllare la funzione tiroidea del neonato (sangue del cordone, 1ª e 2ª settimana di vita)
Controllare la funzione tiroidea della madre nel post-partum
Verificare la presenza di TRAb nel siero del neonato (se nel siero della madre erano presenti TRAb)
27
28
matica dei bambini esposti a questi farmaci nella vita intrauterina (tab. 17).
La maggior parte delle pazienti possono essere seguite ambulatoriamente; qualora l’ipertiroidismo fosse molto grave e scoperto dopo la
28ª settimana di gestazione, è consigliabile il ricovero in quanto il rischio di complicanze materne e fetali è elevato.
Si è portati ormai ad escludere una possibile
azione teratogena dei tireostatici: persistono comunque dati controversi su un possibile rapporto
causa/effetto tra la somministrazione di metimazolo e l’insorgenza di aplasia cutis, forma morbosa caratterizzata dall’assenza di cute e relativi
annessi in aree circoscritte di cuoio capelluto.
Ioduro inorganico
Altro farmaco usato nella terapia dell’ipertiroidismo è lo ioduro inorganico (lugol) che ha la
caratteristica di ridurre la captazione di iodio da
parte della tiroide e inibire l’organificazione intraghiandolare dello ioduro.
Si caratterizza soprattutto per la sua azione
inibente la secrezione di ormoni preformati e
pertanto è di solito usato nelle crisi tireotossiche:
di solito in associazione con le tionamidi in
quanto la sua azione antitiroidea è transitoria.
Attraversa facilmente la placenta e nel feto
non presenta il fenomeno di scappamento proprio delle persone adulte; ciò comporta che a dosi elevate può determinare danni anche prolungati a carico della tiroide del feto e del neonato
quali gozzo e ipotiroidismo fetale-neonatale.
Il suo uso, pertanto, è di solito sconsigliato in
gravidanza: va preso in considerazione solo nei
casi di grave crisi tireotossica o per la preparazione all’intervento di tiroidectomia (ma non più
di 5-7 giorni).
betabloccanti
I betabloccanti vengono utilizzati per ridurre
la frequenza cardiaca qualora elevata; non hanno
alcun effetto sulla sintesi degli ormoni tiroidei.
Non hanno controindicazione in gravidanza ma
è stato dimostrato che il loro uso prolungato può
determinare ritardo nella crescita intrauterina.
Tiroidectomia totale
La chirurgia costituisce una terapia di secon-
da scelta e consiste nella tiroidectomia totale che
ormai viene preferita a quella subtotale: le indicazioni sono date dalla presenza di un gozzo di
grandi dimensioni e quindi con gravi sintomi
compressivi a carico degli organi vicini, dall’intolleranza ai farmaci tireostatici e dalla loro inefficacia e dal riscontro di ipotiroidismo fetale in
corso di terapia tireostatica necessaria per il controllo clinico materno.
In gravidanza è preferibile evitare questo intervento sia per gli eventuali effetti sul feto quali l’anossia, l’aborto od il parto prematuro sia per
quelli a carico della madre costituiti soprattutto
dall’alterazione del metabolismo calcio fosforico legato all’insorgenza di un eventuale ipoparatiroidismo.
Qualora la tiroidectomia fosse indispensabile
è opportuno che venga eseguita all’inizio del 2°
trimestre previa una corretta preparazione; la paziente dovrà, dopo l’asportazione della ghiandola,
iniziare subito un trattamento sostitutivo con tiroxina per evitare l’insorgenza di un ipotiroidismo.
Si è detto precedentemente come siano molto rari i casi nei quali l’ipertiroidismo inizia in
gravidanza e pertanto la maggior parte delle gestanti sono pazienti che hanno già una diagnosi
di ipertiroidismo e sono già in terapia.
È pertanto opportuno che le donne fertili
ipertiroidee pianifichino le loro gravidanza seguendo alcune direttive:
- se si assumono tireostatici attendere l’eutiroidismo a bassi dosaggi del farmaco;
- attendere almeno un anno da un eventuale
trattamento metabolico con iodio radioattivo;
- in caso di tiroidectomia attendere che la terapia sostitutiva porti a un eutiroidismo stabile e siano stati corretti gli effetti di un eventuale ipoparatiroidismo.
L’uso delle tionamidi non controindica l’allattamento in quanto passano nel latte materno
in basse quantità.
È stato segnalato che nelle 24 ore la percentuale di metimazolo escreta nel latte è appena di
circa 0,47%: quello del propiltiouracile è ancora
più basso (0,07%) ed è anche per tale motivo
che, alcuni, preferiscono l’utilizzo di questo farmaco per la terapia dell’ipertiroidismo in gravidanza.
Diversi studi clinici hanno dimostrato che
neonati allattatti al seno dalle madri che assumevano sino a 10 mg di metimazolo o 150 mg di
propiltiouracile non presentavano alterazioni dei
livelli di TSH e FT4.
È comunque opportuno, per maggior prudenza, che il farmaco venga assunto in modo più
frazionato e che il neonato venga sottoposto a
frequenti controlli bioumorali.
noDULo TIRoIDEo
Il nodulo costituisce la patologia tiroidea più
frequente. Colpisce soprattutto la donna con una
percentuale di circa il 6% nelle popolazioni senza carenza iodica mentre essa è molto più alta
(circa il 15%) nei paesi, come l’Italia, affetti da
deficit nutrizionale di iodio.
Questi dati, però, sono verosimilmente sottostimati in quanto non diagnosticati per la mancanza di sintomatologia: infatti è descritta la presenza di noduli tiroidei nel 50% di persone sottoposte a riscontro autoptico.
Questa asintomaticità comporta che spesso
viene fatta diagnosi di patologia nodulare della
tiroide proprio durante la gravidanza, quando i
controlli medici sono più accurati; va anche evidenziato che la gestazione di per se stessa è gozzigena e pertanto può mettere in maggior evi-
denza un nodulo già preesistente.
I noduli tiroidei si possono presentare singoli ma più spesso sono multipli configurando il
quadro di gozzo multinodulare. Solo una minoranza (circa il 5%) sono maligni (tab. 18).
Da un punto di vista anatomo-patologico i
noduli singoli si distinguono in:
• solidi benigni
L’adenoma follicolare è sicuramente il più frequente, nella variante micro (follicoli piccoli e
con poca colloide), macro (follicoli dilatati e
voluminosi) ed embrionale (struttura primitiva
con pochissima colloide). Sono neoformazioni costituite da aree ben circoscritte di iperplasia ghiandolare a componente colloidale
più o meno abbondante, con architettura
uniforme e ordinata, con poche mitosi, circondati da una capsula intatta. Non mostrano
segni di invasività né danno metastasi.
A secondo della loro capacità di captare radioiodio e quindi essere funzionanti e secernere ormone si distinguono in caldi e freddi.
I primi si accompagnano spesso a una sintomatologia di ipertiroidismo mentre quelli
freddi (circa il 90% dei casi) sono invece
completamente asintomatici.
Raramente si sviluppano sino a dimensioni
tali da determinare compressione meccanica
su trachea ed esofago come può avvenire nelle forme multinodulari.
• cisti
Formazioni benigne, rappresentano dal 7 al
20% dei noduli solitari della tiroide a carico
Tab. 18 – Classificazione anatomo-patologica clinica dei noduli tiroidei
noduli solidi benigni
noduli infiammatori
nodulo colloide
tiroidite cronica autoimmune (tiroidite di
nodulo benigno a prevalente componente cellulare
Hashimoto)
tiroidite subacuta
Adenoma tiroideo
tiroidite acuta
iperfunzionante
malattie granulomatose
non funzionante
noduli neoplastici maligni
noduli “cistici”
primitivi
pseudocisti (noduli misti)
metastatici
cisti tiroidee vere
29
•
•
30
della tiroide. Possono avere contenuto sierico,
emorragico o simile ad acqua di roccia. Spesso sono formazioni pseudocistiche vale a dire
aree a contenuto liquido in noduli solidi.
infiammatori
Sono formazioni benigne che insorgono nell’ambito di infiammazioni acute e croniche
della ghiandola tiroidea: di solito hanno l’aspetto di “pseudonoduli”. Tipici sono quelli
che compaiono nella tiroidite di Hashimoto,
dove sono l’espressione macroscopica dell’infiltrazione linfocitaria, o nella tiroidite subacuta, dove il processo infiammatorio tende alla formazione di granulomi.
neoplastici maligni primitivi
Sono i tumori endocrini maligni più frequenti e rappresentano la seconda causa di
morte per tumore maligno dopo il carcinoma ovarico.
Sono classificati in 4 istotipi: papillare, follicolare, midollare e anaplastico (tab. 19).
Il papillare ed il follicolare sono definiti anche differenziati e originano dalle cellule
epiteliali follicolari tiroidee; il papillare è in
assoluto il più frequente e rappresenta il 5070% di tutti i carcinomi tiroidei seguito dal
follicolare che rappresenta il 15-25%; pertanto, i carcinomi differenziati sono responsabili del 70-90% di tutti i tumori della tiroide.
Il papillare è senza dubbio il tumore più frequente nelle donne in età fertile e pertanto
quelli più frequenti in corso di gravidanza. È
anche la forma più benigna metastatizzando
per via linfatica e raramente per via ematica
Tab. 19 – Carcinomi della tiroide: isotipi, frequenza, metastasi
Isotipo
Frequenza %
Metastasi
Papillare
50-70
Linfoghiandole locali, polmone, ossa
Follicolare
15-25
Polmone, ossa
Midollare
5-10
Anaplastico
<5
Linfoghiandole locali, polmone, ossa
Strutture adiacenti
•
a distanza (ossa e polmone).
Il follicolare colpisce di solito in età più adulta e pertanto sono abbastanza rari in gravidanza: è più frequente nelle aree a carenza iodica e metastatizza per via ematica.
Il carcinoma midollare, nelle varianti sporadica e familiare, origina dalle cellule parafollicolari e secerne calcitonina. La forma
sporadica è, in assoluto, la più frequente ma,
insorgendo di solito nel quinto/sesto decennio di vita, è di difficile riscontro nelle gestanti; la familiare, più rara, spesso associata
a tumori di altre ghiandole endocrine nell’ambito della poliendocrinopatia neoplastica multipla, mostrando un picco di insorgenza nel secondo/terzo decennio, può più frequentemente interessare donne in gravidanza. La via di metastatizzazione è sia linfatica
che ematica.
Il carcinoma anaplastico è estremamente maligno ma raramente compare in età fertile in
quanto insorge di solito in soggetti con più di
60 anni. Origina in genere da un tumore della tiroide, adenoma o carcinoma differenziato, o da un gozzo di vecchia data. Metastatizza localmente ai linfonodi laterocervicali,
negli organi adiacenti, e a distanza alle ossa,
al polmone, al cervello e al fegato.
neoplastici maligni secondari
I linfomi e metastasi tiroidee da neoplasie di
altri organi vengono menzionati per completezza ma sono estremamente rari in età
Fig. 4 – sequenza delle indagini diagnostiche per
il nodulo tiroideo in gravidanza
Nodulo tiroideo
Indagini di laboratorio:
Valutazione funzionale (FT4, FT3, TSH)
Marcatori di autoimmunità tiroidea (TGAb, TPOAb)
Marcatori di neoplasia tiroidea (calcitonina e tireoglobulina)
Ecografia
Citologia mediante agoaspirazione con ago sottile
fertile.
A conclusione vale la pena ulteriormente precisare che nelle donne giovani la maggior parte dei carcinomi tiroidei sono neoplasie papillari differenziate e scarsamente aggressive.
L’iter diagnostico del nodulo tiroideo ha soprattutto lo scopo di differenziare tra malignità e
benignità della patologia e valutare la gravità di
eventuali fenomeni compressivi che possono
portare a un’indicazione chirurgica.
La diagnosi differenziale si basa sull’anamnesi, sull’esame obbiettivo e sulle indagini di laboratorio e strumentali (fig. 4).
Un’accurata raccolta anamnestica è di estrema importanza: la comparsa di un nodulo in
donne residenti in zone caratterizzate da carenza iodica orienta per la presenza di una lesione
benigna cosi come la comparsa con estrema rapidità e dolore per la presenza rispettivamente
di una emorragia o cisti o un nodulo infiammatorio; devono invece orientare per la forma maligna una familiarità positiva per carcinoma tiroideo e una storia pregressa di irradiazione al
collo.
Alcuni dati evidenziabili dall’esame obbiettivo possono indirizzare verso il sospetto della
presenza di una formazione maligna: un aumento di volume di un lesione preesistente nonostante la terapia soppressiva di L-tiroxina, la consistenza dura, la fissità ai piani profondi, il rilievo di una linfoadenopatia laterocervicale, la
comparsa di disfonia. Segni clinici di ipertiroidismo devono invece orientare per un nodulo benigno (adenoma tossico).
La determinazione degli ormoni liberi circolanti e del TSH è di poca utilità per la diagnosi differenziale circa la benignità o meno del
nodulo: un abbassamento del TSH e un aumento dell’FT4 e soprattutto dell’FT3 orienta per la
presenza di un adenoma tossico mentre un aumento del TSH per la presenza di un nodulo infiammatorio. Il dosaggio della tireoglobulina
spesso è aumentata anche se occorre far presente che essa può risultare aumentata anche
nelle forme di patologia nodulare diffusa. Il ri-
lievo di valori elevati di calcitonina permette di
diagnosticare un carcinoma midollare. Di scarsa importanza la positività o meno degli anticorpi antitiroidei volti a evidenziare la presenza di una autoimmunità.
Dal punto di vista delle indagini strumentali
va innanzitutto precisato che la scintigrafia tiroidea in gravidanza è controindicata e pertanto la
valutazione del nodulo deve prescindere dalla distinzione tra freddo e caldo.
Lo studio ecografico risulta l’esame di prima scelta nelle tireopatie nodulari in gravidanza per la sua facilità di esecuzione e per l’assoluta assenza di rischi radiologici. Tale metodica
permette innanzitutto di conoscere le caratteristiche del nodulo (solido, liquido o misto); non
fornisce invece alcun elemento capace di fare
una diagnosi sicura sulla natura del nodulo ma
la sua ipoecogenità, la presenza di calcificazioni e di vascolarizzazione intranodulare orientano maggiormente per la presenza di un carcinoma.
L’esame citologico mediante agoaspirazione
con ago sottile del tessuto tiroideo (FNA) fornisce una diagnosi sulla natura della lesione ed è
quindi indicato per stabilire la benignità o malignità di un nodulo tiroideo. È una tecnica estremamente semplice e non presenta alcuna controindicazione in gravidanza.
Come regola generale tutti i noduli superiori
ad 1 cm dovrebbero essere sottoposti ad agoaspirazione.
L’FNA è fondamentale per porre diagnosi di
carcinoma papillare, midollare e anaplastico con
una accuratezza diagnostica maggiore del 90%:
invece, per le neoplasie follicolari e i noduli a
cellule di Hurthle è ampiamente riconosciuta la
difficoltà di differenziare le forme benigne da
quelle maligne.
La condotta terapeutica è strettamente legata
all’esito dell’esame citologico che distingue il
nodulo in benigno, maligno ed a citologia non
dirimente.
• benigno
Tra gli endocrinologi non vi è una linea di
condotta univoca.
31
•
32
•
Qualora la paziente non sia già in trattamento, alcuni, in considerazione dell’innocuità
della terapia con L-tiroxina e dell’azione gozzigena della gravidanza, reputano opportuno
iniziare subito la terapia soppressiva del TSH
già durante la gestazione onde evitare preventivamente un ulteriore aumento di volume della lesione e la formazione di altri noduli; altri, invece, reputano più idonea la sola osservazione e non concordano sul trattamento preventivo e preferiscono intervenire
con la l-tiroxina solo qualora la lesione dovesse effettivamente aumentare significativamente di volume.
Maligno
La terapia medica soppressiva con L-tiroxina
va iniziata immediatamente: ad essa deve necessariamente associarsi quella chirurgica di
tiroidectomia totale.
I tempi di esecuzione dell’intervento saranno determinati soprattutto dal tipo di carcinoma presente, al fine di creare i minori rischi al feto e alla madre.
Qualora si tratti di carcinoma papillare, in
considerazione del fatto che ha una crescita
molto lenta, che la gravidanza non sembra
modificare la sua storia naturale e che metastatizza raramente, se non vi sono metastasi linfonodali e se il nodulo è di dimensioni modeste (al di sotto di 1,5 cm) la tiroidectomia non deve essere considerata con
carattere di urgenza e può essere rimandata
a dopo il parto. Se, invece, la lesione dovesse essere di dimensioni maggiori si è
orientati a eseguire l’intervento qualora la
diagnosi fosse fatta entro il 2° trimestre e a
procrastinarlo a dopo il parto se essa viene
fatta dopo la 24ª settimana per il rischio elevato di parto prematuro.
I carcinomi anaplastici e i linfomi richiedono
un trattamento chirurgico e chemioterapico
molto celere e costituiscono l’unica indicazione all’interruzione della gravidanza.
Dubbio
Questa eventualità avviene, come è stato precedentemente segnalato, nei casi di carcino-
ma follicolare e qualora con la FNA non si
riesca a ottenere materiale adeguato per la
scarsa presenza di cellule per fenomeni degenerativi e/o fibrotici. In questi casi la condotta terapeutica è attendista e segue le linee
descritte per la forma papillare.
Sembra ormai accertato che le donne che
hanno subito un intervento di tiroidectomia per
carcinoma tiroideo e successivo trattamento con
radioiodio, se trattate adeguatamente non presentano rischi particolari per una nuova gravidanza né per problemi genetici né per eventuali
aborti: comunque è indispensabile attendere almeno un anno dal trattamento metabolico e il
raggiungimento di un controllo ottimale della terapia soppressiva con l-tiroxina.
TIRoIDE E PosT-PARTUM
Nel corso del primo anno dopo il parto circa
il 5-10% delle donne va incontro a una alterazione dell’equilibrio ormonale della tiroide (ipo
o ipertiroidismo).
Le principali cause di tale disfunzione sono la
sindrome di Sheehan, l’ipofisite autoimmune, il
morbo di Basedow del post-partum e la tiroidite
post-partum.
La sindrome di sheehan è anche definita
“infarto ipofisario”: è causata da un processo di
necrosi ischemica a carico dell’ipofisi come conseguenza di un eccessivo sanguinamento e alla
conseguente ipotensione al momento del parto.
Il meccanismo di questa necrosi non è ancora del tutto chiarito anche se si ritiene che questa
condizione sia legata a un processo di vasospasmo dei vasi ipofisari; non è noto se le modificazioni dell’ipofisi durante la gravidanza, con il
suo marcato incremento volumetrico sotto l’influenza dell’aumentata increzione estrogenetica,
costituiscano una aumentata sensibilità dell’ipofisi agli stimoli vasoattivi oppure se la ghiandola divenga più vulnerabile all’ipossia.
È divenuta ormai molto rara nel mondo occidentale soprattutto grazie al miglioramento del-
l’assistenza ostetrica in corso di parto.
Il deficit di secrezione di TSH comporta un
ipotiroidismo che comunque non raggiunge mai
la stessa intensità delle forme primitive e pertanto non porta mai alla formazione di gozzo; è accompagnato a un quadro clinico variabile di ipopituitarismo in quanto determinato dall’entità
della lesione ipofisaria e pertanto dall’insufficienza delle varie ghiandole bersaglio.
I segni clinici caratteristici sono la mancanza
della montata lattea, l’astenia e la facile stancabilità, la mancanza della ricomparsa del ciclo
mestruale, la riduzione dei peli pubici e ascellari e l’ipotensione.
La terapia si base sulla somministrazione a
dosi sostitutive della l-tiroxina e degli altri ormoni deficitari.
Ancora più rara è l’ipofisite autoimmune
linfocitaria. È un processo infiammatorio a carico dell’ipofisi, su base autoimmunitaria, caratterizzato da una focale o diffusa infiltrazione policlonale linfocitaria.
La storia naturale di questa patologia è la progressione dell’infiammazione sino alla fibrosi e
alla completa atrofia della ghiandola.
Colpisce le donne durante il 2° o 3° trimestre
di gravidanza e nei primi sei mesi dopo il parto.
Clinicamente si caratterizza per la presenza
di cefalea e di disturbi visivi per la compressione sul chiasma ottico.
Dal punto di vista endocrino, come la sindrome di Sheehan, oltre alle manifestazioni proprie dell’ipotiroidismo si evidenziano quelle relative ai deficit delle varie ghiandole bersaglio
determinato dal grado dell’ipopituitarismo.
Anche in questa forma il trattamento è volto
a sostituire gli ormoni eventualmente deficitari.
Spesso il morbo di basedow compare per la
prima volta entro l’anno successivo alla gravidanza.
Indagini epidemiologiche condotte in Svezia
hanno dimostrato che più della metà delle donne
basedowiane in età fertile hanno presentato per la
prima volta la malattia nel periodo dopo il parto.
È verosimile che ciò sia da addebitare alla esacerbazione immunitaria secondaria alla gravidanza, anche se as-
solutamente normale, o a un aborto.
Il periodo di insorgenza non caratterizza il
quadro clinico e pertanto si rimanda a quanto descritto precedentemente.
La causa più comune di disfunzione tiroidea
nel periodo dopo il parto è costituita dalla cosiddetta tiroidite post-partum (PPT).
È un processo infiammatorio autoimmunitario che si manifesta in genere entro i sei mesi dal
parto anche se sono stati descritti casi di insorgenza fino a 18 mesi di distanza.
Compare di solito dopo una gravidanza a termine anche se sono descritti casi successivi ad
aborto.
Molti autori ipotizzano che possa trattarsi di
una variante della tiroidite di Hashimoto: comunque è la stessa entità clinica della tiroidite
silente o indolore differenziandosi solo per il periodo di insorgenza.
Si associa con gli antigeni di istocompatibilità (HLA-DR4) comuni ad altre malattie autoimmuni.
In Italia si manifesta in una percentuale di
circa l’8%. Nelle diverse nazioni tale percentuale è molto variabile (tra l’1 e il 16%): l’oscillazione così ampia è determinata fondamentalmente dal fatto che la patologia ha un
decorso transitorio e pertanto è evidenziabile
solo se esiste un’abitudine culturale allo screening della funzione tiroidea nei 3-9 mesi dopo
il parto.
I fattori di rischio più importanti sono costituiti da:
- familiarità positiva per malattie autoimmuni;
- presenza di elevati anticorpi anti-TPO in gravidanza;
- presenza di diabete mellito tipo 1: queste
donne hanno una possibilità 4 volte maggiore di quelle non diabetiche di andare incontro
alla PTT;
- comparsa di una PTT dopo una precedente
gravidanza: una percentuale di circa il 70%
delle donne che hanno avuto un episodio di
PPT in una precedente gravidanza vanno incontro a un nuovo episodio della malattia.
33
Il meccanismo patogenetico consiste nel fatto che durante la gravidanza si sviluppa uno stato di depressione immunologica che raggiunge il
massimo verso l’ultimo trimestre di gravidanza;
dopo il parto si ha un rebound immunologico con
un inasprimento dei meccanismi dell’autoimmunità tiroidea umorale e cellulare.
Il quadro clinico è caratterizzato di solito da
due fasi:
• la tireotossica: è determinata dall’immissione in circolo di ormoni tiroidei preformati
che fuoriescono dai follicoli per il processo
infiammatorio. Compare di solito verso il 2°3° mese dal parto. Di solito dura 1-6 settimane; meno dell’1% delle donne sviluppa un
ipertiroidismo permanente.
La diagnosi si basa sulla determinazione dei
livelli di FT3 e FT4 che risultano moderatamente aumentati: il rapporto FT4/FT3 è di
solito aumentato a differenza di quello che
accade nel Basedow. Il TSH invece risulta significativamente ridotto. Nella maggior parte delle pazienti gli anticorpi anti-TPO e anti-TG risultano elevati. La captazione tiroidea è bassa e anche questa indagine permette una diagnosi differenziale dal Basedow dove invece essa è molto elevata (tab. 20).
La sintomatologia è di solito lieve anche se
possono essere presenti tachicardia, tremori
e facile stancabilità.
34
Tab. 20 – Diagnosi differenziali tra la tiroidite post-partum e il morbo di
basedow
Tiroidite
Morbo di basedow
Insorgenza
improvvisa
graduale
Tireotossicosi
lieve-moderata
moderata-grave
Durata dei sintomi
< 3 mesi
> 3 mesi
Soffio tiroideo
assente
a volte presente
Oftalmopatia
assente
a volte presente
T4 / T3
↑
↓
Captazione
bassa
alta
TRAb
di solito negativi
di solito positivi
•
Per quanto riguarda la terapia, poiché questa
fase è caratterizzata da una breve durata e da
una sintomatologia modesta, non sono necessari i farmaci tireostatici ma di solito sono sufficienti piccole dosi di betabloccante
tipo propanololo;
l’ipotiroidea: si sviluppa da 4 a 8 mesi dopo
il parto.
Anche questa fase è di solito transitoria: dura in genere 2-6 settimane anche se il 20-30%
dei casi va incontro a un quadro stabile di
ipotiroidismo.
È più sintomatico della precedente: si caratterizza per la presenza di profonda astenia,
stipsi, aumento di peso, intolleranza al freddo ma soprattutto per la comparsa di una depressione di grado rilevante.
I valori degli ormoni liberi sono normali o ridotti mentre il TSH risulta significativamente elevato.
Anche in questa fase i sintomi possono essere così lievi da non rendere necessaria alcuna terapia. Il trattamento sostitutivo con
LT4 invece risulta assolutamente necessario
nei casi in cui l’ipotiroidismo dovesse essere più persistente di quello che avviene nella norma tenendo sempre presente che a distanza di un anno dal parto occorre tentare la
sua sospensione.
In circa il 38% dei casi la malattia si può preFig. 5 – Frequenza delle presentazioni cliniche
della PPT in vari studi prospettici
(Stagnaro, Green, Thyroid Today, 1993)
Iper + Ipo
26%
Iper isolato
38%
Ipot isolato
36%
sentare nella sola fase tireotossica senza il successivo ipotiroidismo così come nel 36% si può
avere solo un ipotiroidismo isolato (fig. 5).
Nel postpartum possono insorgere diversi
quadri depressivi:
- demoralizzazione caratterizzata da lieve disturbi dell’umore che si risolve spontaneamente in alcune settimane; colpisce il 7580% delle donne;
-
depressione con i disturbi tipici di tale quadro
psichico; è più prolungato del precedente e
spesso necessita di terapia specifica; colpisce
circa il 10-15% delle donne;
- psicosipuerperale che si manifesta con gravi
sintomi depressivi e allucinazioni e può portare al suicidio e/o all’infanticidio; colpisce
circa una donna su 1.000.
Diversi studi hanno evidenziato una correlazione tra depressione e funzionalità tiroidea. È
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35
ReaLismo o pessimismo?
[George Meredith (1828-1909) Poeta e scrittore inglese]
Nessun uomo di buon senso può credere nelle medicine per le malattie croniche.
v
Le Leggi fondamentaLi
deLLa stupidità umana
36
sELECTIo
[Carlo M. Cipolla]
Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli anglosassoni chiamano selfconsciousness. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale
del mondo, lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani,
distruggere la tua pace, complicarti la vita e il lavoro, farti perdere denaro,
tempo, buonumore, appetito, produttività – e tutto questo senza malizia, senza
rimorso, e senza ragione. Stupidamente.
v
di chi intRapRende
gLi studi di medicina
[da un Testo Medico dell’Alto Medioevo]
Ante igitur iuramentum traditum, designavit Ypocras qualem oportet esse discipulum medicinae. Primum quidem genere liberum, facultatibus nobilem, aetate non puerum, in magbnitudine moderatum, forte et ad omnia aptum, et
quidem animo talem et corpore, animo autem sensatum et boni consilii, benignum, virilem, benivolum, castum, maximae animae diligentia habentem, audacem sine iracundia, mente non durum, celerem quidem ad percipiendam et
ad intelligendam doctrinam.
Prima dunque di ammettere il candidato al giuramento, ippocrate fissò le caratteristiche che deve avere lo studente di medicina. Anzi tutto, dunque, sia di
nascita libero, copioso di sostanze, non più ragazzo, di taglia regolare, robusto e rotto a ogni disagio e tale nel morale quanto nel fisico, di mente giudiziosa
e ragionevole, bonario, virile, casto, particolarmente sollecito della salute dell’anima, deciso ma non collerico, di mente non tarda, cioè svelto nell’afferrare e nel capire l’insegnamento.
N
el nostro organismo componenti fondamentali necessarie per regolare le diverse
funzioni sono le proteine: gruppo complesso di
molecole che include numerose sostanze con
svariate proprietà (ormoni, enzimi, anticorpi,
molecole di struttura, recettori di membrana e
così via).
Nella pratica clinica è ormai di routine eseguire la protidemia e l’elettroforesi delle proteine. Le proteine rappresentano i costituenti base
delle cellule, animali e vegetali. Analizzate da un
punto di vista chimico sono polimeri formati da
residui di aminoacidi tra loro uniti con legame
peptidico. Le proteine vanno intese come strutture tridimensionali, variamente orientate nello
spazio. In senso lato si può dire che ad ogni proteina è associabile una ben definita funzione biologica. Talora anche modifiche limitate nella
struttura di una proteina ne alterano le proprietà
biologiche. Utilizzando una semplice distinzione
possiamo dividere le proteine con struttura globulare e quelle con struttura fibrosa, con funzio-
ni generalmente di tipo biomeccanico.
Uno dei pionieri nello studio delle proteine,
al quale fu conferito il premio Nobel per la chimica nel 1948, è stato Arne Wilhelm Kaurin Tiselius (Stoccolma, 10 agosto 1902 - Uppsala, 29
Arne Wilhelm Kaurin Tiselius
LEGGERE LE AnALIsI
IL PRoTIDoGRAMMA ELETTRoFoRETICo
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ottobre 1971) un biochimico svedese.
Ottenuto il dottorato nel 1939 con studi sull’elettroforesi delle proteine, continuò successivamente ad approfondire questo tipo di ricerca
sviluppando alcuni metodi di indagine molto accurati per l’analisi elettroforetica.
La valutazione delle proteine totali nel sangue o, più comunemente protidemia (valori normali compresi tra 6 e 8 g/100 ml) è uno dei classici esami di routine e assume un importante significato indicativo delle condizioni di salute in
generale. Utilizzando particolari metodi di separazione (l’elettroforesi) è possibile determinare
la distribuzione di alcune frazioni proteiche, differenziando i varti tipi di gruppi di proteine che
formano il pool complessivo.
Una prima, grossolana, ma importante differenziazione, include l’albumina (che presiede al
mantenimento della pressione osmotica del sangue impedendo che il sangue non diffonda attraverso le pareti dei vasi sanguigni), le alfa globuline (gruppo di proteine la cui produzione aumenta considerevolmente nelle prime fasi del
processo infiammatorio) e le gammaglobuline
(che svolgono un ruolo importante nella difesa
dell’organismo contribuendo all’eliminazione
dei microrganismi patogeni responsabili di varie
malattie infettive). Le diverse proteine vengono
prodotte in gran parte dal fegato e le immunoglobuline, responsabili di un aspetto dell’immunità umorale, derivano da cellule specializzate
del sistema immunitario (i linfociti B).
L’elettroforesi si esegue utilizzando un campo elettrico: nel campo elettrico le proteine migrano a distanze differenti, formando raggruppamenti che possono essere espressi con una curva che presenta oscillazioni o picchi in corrispondenza dei cinque tipi di proteine separate
durante la migrazione: albumina (valore di riferimento percentuale 55-70%), alfa-1-globulina
(1,5-4,5%), alfa-2-globulina (5-11%), betaglobuline (6,5-12%), gammaglobuline (10-20%).
La forma del tracciato elettroforetico di un individuo sano ha un andamento tipico, con un “picco” formato dalla migrazione delle molecole di
albumina e una distribuzione “ondulante” delle
Protidogramma elettroforetico
altre frazioni:
Con il protidogramma ottenuto dopo separazione elettroforetica si osserva una distribuzione
frazionata delle proteine del siero. La morfologia del tracciato, con l’innalzarsi di alcune frazioni o con la forma di certe immagini caratteristiche consente, già in prima approssimazione,
di identificare anomalie della composizione e/o
della distribuzione delle proteine.
Calcolando le differenze percentuali sulla base della protidemia (peso delle proteine per unità
di volume) abbiamo anche la possibilità di una
valutazione quantitativa (in grammi o frazione di
grammo) delle diverse componenti separate dopo l’applicazione del campo elettrico. Le frazioni, come abbiamo visto sono 5, ma possono essere anche 6 (se dividiamo il gruppo b in b1 e
b2).Ovviamente le proteine del sangue sono migliaia e quindi il protidogramma ha una “forza”
informativa limitata, ma è molto importante dal
punto di vista clinico e talora consente diagnosi
immediate e definitive.
Sappiamo che nella distribuzione delle diverse proteine ci sono alcune componenti note,
che si distribuiscono tra albumina e frazione
gamma. Questa distribuzione è così riassumibile: dalle albumine (situate sul versante del polo
positivo) in direzione del polo negativo si concentrano orosomucoide e alfa1 antitripsina, con
antichimotripsina, ceruloplasmine, alcune globuline (frazione a1), macroglobuline, aptoglobi-
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picco
monoclonale
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na, alfa-lipoproteine (frazione a2), transferrina,
plasminogeno, fibronectina, beta lipoproteine
(frazione b: la componente b1 è data essenzialmente dalla transferrina – proteina che trasporta
il ferro all’interno dell’organismo –, la b2 contiene invece le beta-lipoproteine, che trasportano
i grassi nel sangue, gammaglobuline o frazione
gamma).
La più tipica forma patologica immediatamente riconoscibile nel tracciato elettroforetico
delle proteine è la gammopatia. Più ingenerale
se aumenta la frazione delle gammaglobuline la
curva che le rappresenta “cresce” e occupa uno
spazio più ampio se confrontata con le altre frazioni. L’incremento della frazione gamma a carattere policlonale è tipico di un processo infiammatorio/infettivo. Questa frazione comprende immunoglobuline e quindi se l’organismo è impegnato in corso di una malattia infettiva l’aumento della frazione gamma corrisponde abbastanza bene all’andamento della risposta
immunitaria.
Studiando il protidogramma fu possibile,
nel 1952, a Ogden Bruton, identificare soggetti non in grado di rispondere alle infezioni. Egli
descrisse la così detta agammaglobulinemia di
Bruton: in sostanza bambini che si ammalavano con frequenza e con grave impegno clinico,
che guarivano con l’uso degli antibiotici ma che
ricadevano nel medesimo processo patologico
alla sospensione degli antibiotici, bambini nei
quali l’andamento recidivante del fenomeno patologico avrebbe fatto ritenere logico un incremento della frazione gamma, invece avevano
una curva piatta. Se ne poteva dedurre che la
produzione di anticorpi era quasi assente o molto ridotta, senza che il bambino fosse in grado
di difendersi.
Anche ai nostri giorni, senza ricorrere necessariamente a indagini complesse, almeno in prima istanza, è possibile fare diagnosi di agammaglobulinemia osservando il protidogramma e
analizzando segni e sintomi del paziente, con
particolare riferimento a un’anamnesi accurata.
Un’altra immagine clinicamente importante
è espressa dalla gammopatia monoclonale.
Picco monoclonale
In questo caso, come si evince dall’immagine nella pagina, compare un picco molto stretto
che somiglia alla configurazione del picco albuminico. È un’immagine purtroppo indice di malattia neoplastica, il mieloma. In questa patologia
del sangue alcune cellule, i linfociti B, producono grandi quantità di un solo tipo di anticorpo
(monoclonalità).
Un quadro di questo tipo, talora osservabile
senza che siano manifesti segni o sintomi clinici
importanti, implica l’obbligo di accertamenti immediati in senso ematologico. Non sempre un
picco monoclonale ha un significato clinico così impegnativo: in alcune circostanze, valutate
caso per caso ma sempre dopo videat ematologico/immunologico, è necessario indagare ulteriormente sulle cause (per esempio la presenza
di infezioni croniche) e può essere sufficiente un
accurato monitoraggio nel corso del tempo.
Nella valutazione del protidogramma dobbiamo considerare anche le altre variazioni possibili come segue:
• albumina (normale se il valore in grammi è
compreso tra i 3,7 e i 5,5); se la sua percentuale diminuisce, significa che le altre proteine, per differenza, sono aumentate e questo
potrebbe orientare il medico verso ulteriori
approfondimenti relativamente a malattie infiammatorie o a una malattia preoccupante
come il mieloma. Se diminuiscono sia la sua
percentuale sia la quantità in peso, probabilmente il fegato non è in grado di svolgere in
39
•
•
•
40
modo corretto la sua funzione di produzione
delle proteine (quadro riscontrato in alcune
epatopatie e in particolare nella cirrosi epatica, malattia con grave e irreversibile anomalia delle cellule del fegato e conseguente perdita delle sue funzioni);
? 1-globuline: se percentuale o quantità aumentano rispetto ai valori normali, l’alterazione indica un processo infiammatorio o una
probabile infezione in corso all’interno dell’organismo;
? 2-globuline: se la percentuale o quantità
aumentano rispetto ai valori normali, l’alterazione, come per le ?1-globuline, indica un
processo infiammatorio o una infezione in
corso;
b-globuline: se percentuale o quantità aumentano rispetto ai valori normali, l’alterazione può essere un segnale di anemia perché tra le b-globuline è presente la transferrina, che aumenta quando il ferro nell’organi-
•
smo è basso;
g-globuline: abbiamo già descritto il caso
dell’agammaglobulinemia; se invece si osserva un aumento delle gammaglobuline in
forma policlonale è in corso un processo infiammatorio (acuto o cronico), se aumenta
una frazione con carattere di malattia monoclonale in forma elevata la diagnosi probabile è quella di plasmocitoma o mieloma
multiplo; se il piccolo monoclonale è limitato ci si trova di fronte a una gammopatia
monoclonale talora di incerto significato (il
quadro delle forme “minori” di gammopatia monoclonale è abbastanza diffuso e si associa a malattie infettive o infiammatorie a
carattere cronico): l’andamento può migliorare con l’evolvere della malattia di base,
ma è comunque necessario un accurato monitoraggio.
ALLARME bAMbInI sovRAPPEso o
obEsI
http://www.asca.it/news-Salute_30_PERCENTO__
bimbi_in_sovrappeso__ma_a_rischio_anche_10_PER
CENTO__dei_normopeso-1137413-ATT.html
Alcuni interessanti dati di uno studio effettuato
dal Secondo “Osservatorio Nutrikid” della Nestlé‚ in collaborazione con la Clinica Pediatrica
dell’Ospedale San Paolo di Milano, con la SPES
– Società per l’educazione alla salute e il Centro
di Ricerca “Ales Research” – mettono in evidenza che in Italia quasi un terzo dei bambini
(29%) è in sovrappeso o obeso e un ulteriore
10% è considerato “a rischio” cioè piú predisposto a ingrassare a causa di fattori familiari, abitudini alimentari non corrette e sedentarietà. Gli
oltre 4400 questionari compilati nel 2011 dai genitori nell’ambito del progetto didattico “Nutrikid” (giunto alla 4^ edizione in corso con
200.000 bambini coinvolti nel territorio nazionale) mostrano infatti alcuni trend significativi
utili per valutare possibili interventi preventivi/educativi. Gli esperti hanno individuato 10
principali fattori di rischio nelle abitudini dei
bambini o nelle caratteristiche familiari, e hanno visto che l’85% dei piccoli ha la metà di questi fattori, come ad esempio il fare spuntini e merende non corretti, l’abitare in città e/o anche il
bere bevande gassate o zuccherate fuori o durante i pasti.
“Il rischio relativo per un bambino obeso di
diventare un adulto obeso aumenta con l’età ed è
direttamente proporzionale alla gravità dell’ec-
FRoM bEnCH To bEDsIDE
I bEnEFICI CLInICI DELLA RICERCA:
sELEZIonE DALLA LETTERATURA
sCIEnTIFICA
41
42
cesso di peso. Fra i bambini obesi in età prescolare dal 26 al 41% sarà poi obeso da adulto” commenta la dottoressa Elvira Verduci dell’Ospedale
San Paolo “come anche fra i bambini in età scolare le percentuali salgono dal 42 al 63%. Infine,
questa percentuale sale al 70% per gli adolescenti obesi. L’avere uno o entrambi i genitori obesi, è
poi il fattore di rischio piú importante per la comparsa dell’obesità in un bambino”.
Inoltre, dallo studio emerge che “la colazione, che dovrebbe essere il pasto piú importante
della giornata, nel 10% dei bambini non è consumata con regolarità. Tra quelli che la consumano, poi, il 44% dei bambini lo fa in maniera ripetitiva, mangiando sempre gli stessi cibi. Anche pesce e verdure non vengono consumati o
solo occasionalmente” (solo dal 21-31% dei
bambini). “In generale – commenta la dottoressa Verduci, – il consumo di frutta e di verdura sono abitudini strettamente collegate tra di loro. Per
questo è utile sensibilizzare le famiglie al consumo di frutta durante gli spuntini, così da abituare il gusto e fare da traino per il consumo di verdure durante i pasti”.
In ogni caso i dati dell’“Osservatorio Nutrikid”, se pur confermano abitudini ancora da
migliorare e la necessità di mantenere alto il livello di attenzione e di intervento educativo, evidenziano come sia possibile innescare un positivo ‘circolo virtuoso’ di nuove buone abitudini e
di atteggiamenti corretti, fino allo stimolare l’attività fisica e sportiva nei bambini.
PER RIPARARE IL CUoRE InFARTUATo
sI sTA sPERIMEnTAnDo In svIZZERA
L’Uso DI Un CERoTTo bIoLoGICo
http://journals.alphamedpress.com/index.php/stemcells-translational-medicine
Secondo due ricercatori svizzeri, la dr.ssa Jaconi dell’Università di Ginevra e il dr. Hubbell del
Politecnico di Losanna, un cerotto di cellule staminali biologico degradabile potrebbe aiutare il
cuore colpito da infarto. La tecnica innovativa è
stata sperimentata su topi e ha dato buone spe-
ranze. Nella Rivista Internazionale Stem Cells
Translational Medicine, dove è stato pubblicato
questo lavoro, viene descritta la composizione di
questo farmaco: fibrina (proteina filamentosa),
cellule staminali e un fattore di crescita. I ricercatori l’hanno inserito in alcuni topi che avevano subito un infarto al cuore, e dopo sei settimane hanno constatato che le loro funzioni cardiache erano decisamente migliorate rispetto a quelle del gruppo di controllo che non aveva ricevuto cellule staminali. Il cerotto si è decomposto,
le cellule si sono insediate nelle parti di tessuto
danneggiate dall’infarto, e intorno alla sede dell’impianto si sono formati nuovi vasi sanguigni.
Il miglioramento non è stato notato nella sola zona circoscritta al luogo dell’impianto, ma è stato
riscontrato in tutto il muscolo cardiaco.
Sono anni che gli studiosi lavorano sulle tecniche rigenerative per il cuore, e le cellule staminali sono ritenute molto promettenti in questo
senso. Queste cellule, inoltre, devono essere inserite nel punto esatto dove è avvenuto il danno
e secondo alcune valutazioni fatte in questo studio, il 10% delle cellule staminali impiantate riesce a sopravvivere, e solo il 2% di quelle sopravvissute si stabilisce veramente nel cuore.
RIDURRE IL sALE nEI CIbI è sALUTARE E IL GUsTo non CI RIMETTE
http://www.swissinfo.ch/ita/societa/Meno_sale_non_e_
per_forza_sinonimo_di_insipido.html?cid=31998096
Si può diminuire la quantità di sale senza compromettere qualità e sapore dei cibi. Questo è il
risultato di una ricerca della Scuola Universitaria
Professionale di Scienze Agronomiche, Forestali e Alimentari di Zollikofen in Svizzera. Lo studio è stato fatto in seguito alla campagna nazionale per convincere la popolazione a ridurre il
consumo di sale, che incide sulla pressione alta,
con effetti negativi per la circolazione del sangue e per il cuore. Va detto che in Svizzera il consumo medio giornaliero è di 9,1 grammi, molto
al di sopra dei 5 gr raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. I ricercatori hanno perciò esaminato varie opzioni per abbassare
in modo significativo la quantità di cloruro di sodio in alcuni tipi di alimenti, e hanno concluso
che è possibile centrare l’obiettivo senza pregiudicare né la qualità, né la conservazione dei prodotti. La ricerca ha riguardato gli alimenti preparati come pane, prodotti a base di carne, cibi
pronti, e la loro ricetta è stata rielaborata con meno sale. Il pane è risultato il prodotto che più si
presta alla diminuzione. Ed essendo basilare per
l’alimentazione di molte persone, intervenire su
quell’alimento ha indubbiamente un effetto positivo. Il sale non dà solo sapore, ma ne favorisce
anche la cottura perché modifica la struttura della pasta e incide su consistenza e colore.
Il sale è un ingrediente a basso costo, utilizzato per rendere più saporiti i cibi, e lo studio indica che si possono operare riduzioni modeste
senza alterare il gusto. Per esempio, alcuni test
hanno mostrato che la maggior parte dei partecipanti a sperimentazioni hanno apprezzato
cracker al frumento preparati con il 15% di sale
in meno. Ora spetterebbe al mercato. Tre grandi
aziende alimentari Nestlé, Migros e Coop si sono già impegnate in questo senso. La Coop dice
che il suo pane non contiene più dell’1,5% di
cloruro di sodio; la Migros ha cominciato a limitarlo già nel 2009 e l’anno scorso ha deciso di
intervenire su 171 prodotti; in quanto alla Nestlé,
annuncia che nei prossimi cinque anni lo ridurrà
del 10% nei suoi cibi preparati.
Dalla ricerca si evince che esiste un possibile potenziale di riduzione del sale nei cibi e quel-
lo che conterà, dunque, sarà la somma degli sforzi individuali.
InFERTILITà PER DonnE obEsE
http://www.dottorsalute.info/2012/03/18/obesita-pericolo-infertilita-nelle-donne/
L’obesità ha ripercussioni negative sulla salute
riproduttiva delle donne: riduce, infatti, le possibilità di concepimento spontaneo e i successi dei
trattamenti per l’infertilità. Questi i risultati di
uno studio pubblicato sul Journal of Human Reproductive Sciences e presentati a Roma nel
Convegno “Fertilità e disturbi alimentari”. Dallo studio emerge che l’obesità nelle donne sarebbe associata non solo a infertilità e sterilità,
ma anche a un aumento del tempo necessario per
il concepimento. Producendo un minor numero
di follicoli, e quindi di ovociti, le donne che soffrono di obesità richiedono dosi maggiori di gonadotropine per la stimolazione ovarica. I tassi
di fecondazione, quindi, sono più bassi, la qualità
degli embrioni risulta scarsa soprattutto nelle
donne più giovani, e si assiste a un aumento del
tasso di abortività. “Si stima che l’obesità causi
infertilità nel 12% dei casi – dichiara la dottoressa Picconeri, ginecologa specialista in medicina della riproduzione – e che, ripristinando un
peso normale in maniera graduale e duratura, nel
70% dei casi si recuperi anche la capacità riproduttiva. Questo dimostra come nella cura dell’infertilità sia fondamentale svolgere esami dia-
43
gnostici e approfondimenti a 360 gradi. Sarà così possibile fare una diagnosi precisa alla coppia
infertile e mettere a punto un percorso terapeutico personalizzato”.
sI bEvE MEno ALCoL MA non FRA I
GIovAnI
http://www.salute.gov.it/dettaglio/phPrimoPianoNew.jsp?id=336
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1686_allegato.pdf
44
Il Ministero della Salute ha recentemente pubblicato nel proprio portale (www.salute.gov.it) l’ottava relazione al Parlamento sugli interventi realizzati da Ministero e Regioni in attuazione della legge-quadro 125/2001, in materia di alcol e problemi correlati al consumo di alcol. Secondo questa
relazione diminuisce la mortalità legata alle patologie connesse all’uso di alcol, ma tra i giovani il
consumo resta ancora alto. Ciò che preoccupa è la
pratica, che si diffonde sempre di più, di bere alcolici in grande quantità, in breve tempo e fuori
pasto: il cosiddetto ‘binge drinking’. Inoltre, la percentuale di ragazze tra 14 e 17 anni consumatrici di
alcol è raddoppiata negli ultimi 15 anni. Il documento, trasmesso dal ministro Renato Balduzzi ai
presidenti di Camera e Senato, presenta un quadro
aggiornato sui consumi alcolici e sui comporta-
menti a rischio, su interventi di contrasto attivati
dal ministero, sui dati del monitoraggio dei servizi territoriali e delle iniziative delle Regioni relative all’accesso ai trattamenti, prevenzione, informazione, aggiornamento professionale e promozione della ricerca e del volontariato.
I dati confermano il passaggio dal tradizionale modello mediterraneo, con consumi quotidiani e moderati, incentrati prevalentemente
sul vino, a un modello più articolato, che risente sempre più dell’influsso culturale nord-europeo. Cresce ancora il fenomeno del ‘binge
drinking’, cioè la pratica di consumare diverse
bevande alcoliche in quantità, in un breve arco
di tempo con una conseguente ubriacatura immediata, nonché la perdita di controllo. Nel
2010 ha riguardato il 13,4% degli uomini e il
3,5% delle donne. Nella fascia tra i 18 e i 24 anni la percentuale di donne che pratica il ‘binge
drinking’ sale al 9,7 %. I consumatori fuori pasto sono notevolmente aumentati nel corso dell’ultimo decennio: dal 33,7% al 41,9% i consumatori tra i 18 e 24 anni; dal 14,5 al 16,9%
quelli tra 14 e 17 anni. Tra le ragazze di 14-17
anni la quota delle consumatrici fuori pasto è
raddoppiata negli ultimi 15 anni, passando dal
6% del 1995 al 14,6% del 2010 e inoltre se si
analizzano solo gli ultimi due anni si trovano
dati relativamente stabili.
Il ministro Balduzzi comunque spiega che
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