Linee Guida, medicina naturale e credenze popolari. Storie di cavoli e di automedicazioni Il Sistema Nazionale Linee Guida elabora raccomandazioni di comportamento clinico basate sugli studi più aggiornati. Esistono più Linee Guida? La risposta è affermativa. Per ogni singola patologia le Linee Guida descrivono possibilità di successo e alternative disponibili, comparando potenziali benefici ed effetti collaterali. Dalle Linee Guida medici, pazienti e amministratori sanitari traggono importanti vantaggi: i primi possono orientarsi nella letteratura scientifica più recente, che spesso non riescono a leggere e nemmeno, talvolta, a “sfogliare”, pur avvalendosi di Internet; i secondi, resi edotti della loro malattia e delle possibilità di cura, riescono a formulare un vero consenso informato rispetto alle terapie proposte. Infine gli amministratori sanitari possono compiere scelte meditate in rapporto agli obiettivi nazionali e alle eventuali priorità locali. Nel terzo millennio possiamo dunque sperare in una medicina “basata sulle evidenze”? Probabilmente no, almeno fino a quando non si sarà ridotta l’automedicazione nelle patologie più importanti ma non solo. Lo ha dimostrato con chiarezza un convegno internazionale sull’oncologia integrata (www.IntegrativeftFuture.org), conclusosi di recente ad Amsterdam (11-12 marzo 2011). Organizzato dalla dottoressa Barrie Cassileth del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York e da Mischa Nagel, ha messo in evidenza, tra l’altro, quanto l’automedicazione giochi ancora un ruolo importante in numerose malattie, anche gravi come il cancro. Una relazione congressuale, in particolare, ha posto sotto i riflettori un umile ortaggio come il cavolo, spesso consigliato nelle diete per la prevenzione dei tumori al punto tale da essere fraintesi la sua funzione, il suo uso e consumo. In proposito, cosa hanno posto in rilievo i ricercatori? Hanno dimostrato quanti pericoli si annidino nella superstizione e in uno spazio eccessivo dato dai media alla medicina naturale, trattata senza rigore e serietà. Quali casi sono stati analizzati? Il primo riguarda una trasmissione televisiva che alcuni mesi fa si è occupata della sindrome del colon irritabile. I cosiddetti esperti presenti in studio proponevano di applicare sull’addome foglie di cavolo “stirate”, sì, letteralmente stirate con un ferro da stiro. A loro dire, ciò avrebbe facilitato il passaggio dei “principi attivi” dalla parete dell’addome al colon. Non dobbiamo quindi più credere a chi ci parla delle proprietà benefiche del cavolo? Assolutamente no; le sue foglie hanno indiscutibili proprietà antitumorali. Dipende, come sempre, dal loro uso. Il secondo caso discusso nel convegno olandese lo dimostra in tutta la sua evidenza. Di che cosa tratta? E’ la storia di una distinta signora, di medio livello sociale, che un giorno si presenta nell’ambulatorio di un nosocomio dell’Italia centrale. Ai medici racconta di essere da anni portatrice di un seno fibrocistico, giudicato non meritevole di ulteriori controlli. Aggiunge inoltre di aver notato, negli ultimi dodici mesi, un nodulo, cresciuto in tempi molto rapidi. Precisa poi che, temendo l’intervento chirurgico e la chemioterapia, la sua scelta era caduta sull’automedicazione; guidata dalle istruzioni contenute in un libro, aveva applicato sul seno foglie di cavolo verza ben pulite, intensamente verdi. Infine la signora riferisce di aver notato dopo qualche tempo un deciso miglioramento, in quanto il nodulo, a suo parere, era, sì, cresciuto, ma sviluppandosi all’esterno e non all’interno, proprio com’era scritto nel libro consultato. La terapia stava quindi funzionando! Cosa fecero allora i medici? Decisero di sottoporre a visita attenta la paziente, che reagì con grande stupore. Quale fu il riscontro dell’esame obiettivo? I sanitari trovarono il seno sinistro avvolto in tre grandi foglie di cavolo verza ben posizionate ad accogliere, sostenere e comprimere una neoplasia vegetante, ulcerata, necrotica, sanguinante, del diametro di dieci centimetri. Quale fu lo sviluppo della vicenda clinica? I medici sudarono le proverbiali sette camicie per convincere la paziente a recarsi dal chirurgo, rassicurandola che dopo l’intervento, da ritenere soltanto un “momento” della terapia, avrebbe potuto continuare a essere seguita con le cure di supporto, ovviamente “naturali”. C’è una morale in questa vicenda? Più che una morale, due inviti. Ai medici, di visitare i loro pazienti, ai pazienti, di discriminare le terapie “del cavolo” e farsi guidare, nella gestione della loro salute, se non dall’intelligenza, almeno dal buon senso. Bibliografia Fiorenzuoli F., Gori L.,Vannacci A.,Mascherini V., Gendini G.F. A clinical case of serious “natural medicine” incompetence, “Intern. Emerg. Med.”, febbraio 2011. Umberto Piccone Tutti i diritti sono riservati