Il senso del limite Il filosofo Remo Bodei, autore del recente «Limite», ci spiega alcune delle grandi sfide con cui si trova confrontata la nostra civiltà / 06.02.2017 di Eliana Bernasconi Con la semplicità e la chiarezza del grande filosofo, Remo Bodei, docente alla University of California a Los Angeles e all’Università di Pisa, non molto tempo fa si è intrattenuto anche con gli studenti del Liceo di Bellinzona sul suo ultimo libro: «Limite» (il Mulino). Un piccolo testo di facile e avvincente lettura che, in tre capitoli densi di riferimenti storici, filosofici, letterari, con piani paralleli e contigui ci accompagna nella conoscenza della caduta progressiva di molti limiti: biologici, ambientali, morali. Ripercorriamo la miriade di eventi, scoperte geografiche, commerci e invenzioni che hanno permesso all’umanità di raggiungere la conoscenza, di passare da un cosmo chiuso, eterno e intoccabile – qual era quello degli antichi – alla complessità della condizione contemporanea e ai radicali mutamenti della globalizzazione. Negli ultimi decenni le biotecnologie hanno superato limiti che si ritenevano invalicabili, i cinque sensi si avvalgono della tecnologia, il corpo umano conosce protesi e robotica. Ma tutto questo non è privo di rischi: Bodei ci avverte che i limiti da rispettare non hanno cessato di esistere, ci pone di fronte a interrogativi fondamentali, ci chiede di coltivare l’attitudine a riconoscere e distinguere, di farci guidare da un’adeguata conoscenza delle situazioni specifiche, da un giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità nel «politeismo dei valori» del nostro vivere attuale. Fin dove è possibile spingersi nelle scelte? Di fronte a un uomo che attraverso le tecnoscienze potrebbe credersi padrone assoluto della natura l’avvertimento della filosofia è chiaro: la posta in gioco è il destino della nostra specie. Prof. Bodei, lei scrive che la morale è una fragile costruzione che va incessantemente difesa dagli abusi. Non è sufficiente proteggere noi stessi, il prossimo, l’ambiente? Questi precetti generali basterebbero, ma bisogna vedere nei casi specifici come si articolano, il diritto e la morale hanno il compito di dimostrare la struttura di queste affermazioni. Prendiamo ad esempio l’ambiente: si possono fare delle sottigliezze dicendo che certi rifiuti tossici sono smaltiti facilmente e si rigenerano. Questo però non è vero: i pesci sono pieni di mercurio, occorrono allora regole che impediscano di buttare il mercurio nell’acqua. I limiti riguardano la coscienza del singolo o la coscienza collettiva? La coscienza collettiva è più importante perché produce azioni che riguardano tutti e che si dovrebbero trasferire a livello di leggi o comunque di comportamenti abitudinari. La coscienza collettiva è preminente anche perché pensa i limiti cui la coscienza individuale dovrebbe adeguarsi, insieme ai comandamenti morali che sente in se stessa. La coscienza individuale privata resta un fatto isolato, conta invece il quadro generale in cui il singolo si trova a nascere. Possiamo parlare di responsabilità dello scienziato? La ricerca deve essere libera: se lo scienziato si impone dei limiti la ricerca si paralizza. Il problema dei limiti riguarda l’applicazione, cioè la tecnologia. Pensiamo ad esempio al bosone di Higgs: gli scienziati studiano le forme della natura, ma non sono responsabili di ciò che si potrebbe ricavarne. Il controllo è dunque dei politici? Dei politici, ma anche dei cittadini: il politico deve infatti capire cosa pensa la maggior parte delle persone. Prendiamo la clonazione: per quanto tecnicamente possibile, essa ripugna alla nostra condizione umana... Per fare un bambino ci vorranno dunque sempre 9 mesi... (ride)... Non sappiamo in futuro cosa succederà, ma ci sono limiti naturali che sono invalicabili – sebbene alcuni siano stati superati abbondantemente Perché si è occupato del limite? La filosofia che si occupa di questi argomenti è l’etica, un tempo infatti non era possibile fare trapianti, intervenire sul DNA, dunque, al fine di evitare errori, si devono regolare quelle possibilità che prima non c’erano. Se ad esempio modifichiamo il DNA, potremmo introdurre delle varianti che riguardano anche le generazioni future, dunque persone che ancora non esistono e non hanno deciso. È su questo che la filosofia indaga dal punto di vista etico, poiché non tutto ciò che oggi è possibile è anche lecito. Gli avvertimenti sono ascoltati? Nell’Unione europea è stata creata una carta dei diritti e dei doveri che comprende anche questo. Ad esempio nel caso di malattie genetiche il genoma non può essere usato a scopi commerciali. Tra un relativista e chi invece crede nella verità assoluta, Lei non pensa che il relativista abbia dei vantaggi? Il primo può mettersi nei panni del secondo, ma il contrario non è possibile. Sono perfettamente d’accordo: l’assolutista crede di avere in tasca la verità, mentre il relativista pensa alla verità, ma poi non è detto che qualsiasi scelta sia possibile. Il relativista è il contrario dell’assolutista: questi ritiene di non avere legami, di possedere una verità staccata da qualsiasi rapporto con gli altri. Nel momento storico attuale Lei pensa si possa essere ottimisti verso la capacità degli esseri umani di fermarsi al momento giusto? Non sono né ottimista né pessimista poiché non ho la sfera di cristallo. Mi limito a fare un ragionamento al condizionale: se siamo in grado di mobilitarci per cambiare certe situazioni pericolose, non si tratta di una questione intellettuale, bensì di volontà, sia politica sia individuale. Le cose non cambiano se non ci si mobilita per far prevalere le forze positive, che includono la vita delle persone, piuttosto che quelle negative come la guerra, le armi, la distruzione del pianeta. Moralmente la scelta è chiara. Ma allora cosa la impedisce? Ci sono troppi interessi e naturalmente chi fabbrica bombe non vuole rinunciare, chi ha la libidine del potere non se ne andrà. Il problema dell’umanità è quello di sempre: da una parte ci sono le forze che vogliono espandere i diritti di tutti, dall’altra quelle che naturalmente perseguono i propri fini. Dunque ritorniamo di nuovo alla coscienza umana, individuale? Sì, ma dev’essere una coscienza umana che non nasce nel vuoto, che si costruisce sulla base di problemi individuali ma riguarda problemi che non sono individuali, e che cresce in ogni società che abbia istituzioni, leggi e pluralità di vedute della democrazia.