Enrico Del Bianco KANT: IL PROCESSO CONOSCITIVO (secondo la II edizione della CRITICA DELLA RAGION PURA) Per Kant conoscere significa costruire un mondo, anche se non crearlo. Nella I Critica il filosofo tedesco descrive il processo attraverso cui avviene questa costruzione, individuando le facoltà conoscitive in gioco e quindi le fasi e i risultati parziali del processo stesso. Nel fare tutto questo Kant si interroga anche su cosa l’uomo può conoscere e su cosa invece non è alla sua portata. La domanda poi da gnoseologica,(relativa alla conoscenza) si fa epistemologica (relativa alla scienza) e quindi si estende al valore delle singole scienze o presunte tali. Nella CRP Kant, in primo luogo, cerca di individuare gli elementi a priori della conoscenza umana (Dottrina degli elementi), a partire dalla prima facoltà che risulta essere protagonista del processo conoscitivo: la sensibilità (Estetica trascendentale, con significato da intendersi etimologicamente dal greco). Quest’ultima possiede una propria struttura di derivazione non empirica, costituita da due forme a priori: lo spazio ed il tempo, intesi da Kant come intuizioni pure, non concetti. Se, infatti, fossero concetti e non intuizioni, essi sarebbero frutto di un processo di astrazione da spazi e tempi particolari, invece essi sono la condizione preliminare per la percezione di spazi e tempi particolari. Spazio e tempo non sono oggetti fuori di noi e non sono il sensorium Dei (il modo in cui Dio percepisce il mondo), ma costituiscono il sensorium hominis, il modo primo con cui noi percepiamo e quindi costituiamo il nostro mondo. Spazio e tempo costituiscono i fondamenti trascendentali della matematica. In particolare l’aritmetica risulterà fondata sull’intuizione pura del tempo ( il contare avviene in relazione alla successione degli istanti) e la geometria sullo spazio (essa studia le strutture “euclidee” della nostra dimensione spaziale). Così Kant ha risposto alla domanda “come è possibile la matematica pura?” Attraverso i sensi giunge a noi una molteplicità di dati sensibili “bruti” che immediatamente vengono spazio-temporalizzati dalle nostre intuizioni pure, dando luogo alla intuizioni sensibili o empiriche, che costituiscono il primo risultato del processo della conoscenza. Noi non perveniamo subito a concetti né ci limitiamo a semplici impressioni: la prima operazione conoscitiva è un ricevere dati e un elaborare attribuendo una forma intuitiva. La nostra soggettività, inizialmente, si orienta grazie ad intuizioni sensibili, basta pensare allo scienziato partito alla ricerca di un nuovo misterioso animale di cui ha sentito vagamente parlare: prima di arrivare ad una classificazione egli raccoglierà dati legati tra loro da un nesso spaziale e temporale, solo in seguito l’intelletto procederà ad una comprensione-concettualizzazione. Dunque i dati che entrano in noi sono subito “soggettivizzati” con strumenti trascendentali comuni a tutti gli esseri umani. Il mondo che scaturisce da questo processo è un mondo “per noi” e non un mondo “in sé”, nel linguaggio di Kant si parlerà di fenomeno, mondo o realtà fenomenici, da distinguersi dal noumeno, ovvero la realtà in sé che prescinde da come il soggetto umano la comprende, dunque pensabile ( la stiamo pensando), ma non conoscibile (per definizione). Sulla base delle intuizioni sensibili opera l’intelletto (siamo entrati nell’Analitica trascendentale, una delle articolazioni della Logica trascendentale). Dalla conoscenza sensibile immediata siamo passati alla conoscenza raziocinante, al pensiero che procede non immediatamente, ma mediando. L’intelletto è il pensiero che opera nei limiti della sensibilità, senza l’illusione di semplificazioni metafisiche. In primo luogo Kant cerca di individuare le forme a priori di questa nuova facoltà conoscitiva (Analitica dei concetti). Per farlo parte dal presupposto che pensare è uguale a giudicare, cioè i pensieri si traducono in giudizi in cui un soggetto viene inserito in una classe (Socrate nella classe degli uomini), i giudizi sono poi tradotti sul piano linguistico in proposizioni in cui di un soggetto si dice un certo predicato. Ebbene Kant si chiede qual è l’operazione mentale con cui costruisco un certo tipo di giudizio, con quale strumento dell’intelletto posso pensare Socrate come un uomo o un lampo come causa di un tuono, al di là della verità delle singole affermazioni? Posto che io conosco i giudizi in cui si traduce il pensiero, posso ricavare da essi la forma a priori che li ha resi possibili. Dunque dalla tavola dei giudizi posso ricavare la tavola della forme a priori con cui pensa l’intelletto. Tali forme sono chiamate concetti puri o categorie. Essendo dodici i tipi di giudizi ereditati per Kant dalla tradizione, dodici saranno le categorie dell’intelletto. Questa è la deduzione metafisica (non quella trascendentale) delle categorie, in quanto queste sono state dedotte sul piano logico senza alcun riferimento all’esperienza. L’intelletto opera sulla molteplicità delle intuizioni sensibili unificandole tramite i propri concetti puri (categorie) ed ottenendo il concetto. A questo punto si pone un problema: sono legittime le operazioni compiute dall’intelletto sulle intuizioni sensibili? Come possono interagire due facoltà così eterogenee come la sensibilità e l’intelletto? I concetti intellettuali hanno un rapporto necessario con le intuizioni sensibili? Tali questioni sono poste da Kant sotto il titolo di deduzione trascendentale delle categorie. Può sembrare un problema astruso, ma in realtà è molto concreto per la scienza della natura. Potremmo formularlo in questo modo: le leggi della fisica possono valere per tutti i fenomeni sensibili, anche per quelli che apparentemente sembrano comportarsi diversamente da quanto prescrive la legge? Perché mai lo scienziato galileiano-newtoniano deve sentirsi autorizzato a pretendere che le sue leggi relative al moto abbiano valore anche quando l’esperienza sensibile sembra confutarle (caso del rapporto tra peso e velocità di caduta dei gravi). Qui Kant cerca di trovare un fondamento conoscitivo solido alla pretese della fisica moderna di essere una fisica ideale e sperimentale che studia sperimentalmente i fenomeni a certe condizioni ideali (v. Galilei, esperienza del gran naviglio a proposito del moto non fluttuante in qua e là). Vediamo ora la risposta di Kant, risposta che ci riconduce alla rivoluzione copernicana dalla quale siamo partiti. L’intelletto opera legittimamente sui prodotti della sensibilità – le intuizioni sensibili – perché le due facoltà sono espressione di una stessa attività soggettiva sintetica che prima spaziotemporalizza i dati nelle intuizioni sensibili e poi categorizza queste pervenendo ai concetti. Il raccordo è dato dal “mio” Io che è presente in tutte le mie operazioni conoscitive. Dunque l’Io è il fondamento del carattere unitario della nostra conoscenza e quindi dell’unitarietà ed uniformità con cui si presenta a noi la natura fenomenica. Questo Io è “mio”, ma è anche “nostro”, per dirla con Kant è un Io penso comune a tutti i soggetti umani ed è dunque anche il fondamento del valore di universalità e necessità delle nostre conoscenze. L’Io penso è unità e identità del pensiero con se stesso, è l’autocoscienza universale che accompagna tutte le nostre rappresentazioni, esso è appercezione trascendentale (appercepire: percepir di percepire, trascendentale perché tale soggettività non è frutto dell’esperienza, ma è funzionale solo a gestire l’esperienza sensibile. Trovata la risposta alla questione di diritto si tratta di verificare come concretamente l’intelletto opera sulle intuizioni empiriche, pervenendo ai concetti. Tale questione viene affrontata nella seconda parte dell’Analitica trascendentale, l’Analitica dei principi. L’intelletto interviene sulle intuizioni sensibile grazie all’opera di un’altra facoltà, l’immaginazione produttiva che agisce su ciò che tutte le nostre intuizioni sensibili hanno in comune: la forma a priori del tempo. Quest’ultimo viene determinato a priori con la produzione di schemi trascendentali su cui si innesta l’unificazione categoriale, per esempio la categoria della sostanza opera sul tempo “schematizzato” secondo la permanenza, mentre la categoria della causalità si innesta sullo schema temporale della successione. L’Io tramite l’intelletto concettualizza le intuizioni sensibili, individuando le leggi della natura e queste sono funzioni del tempo, come la fisica galileiano-newtoniana ci insegna. La fisica appunto trova i suoi fondamenti trascendentali nelle categorie dell’intelletto, in questo modo Kant ha risposto alla domanda “Come è possibile la fisica pura?” Fisica e matematica sono scienze feconde e universali e necessarie, sintetiche a priori. Il problema non era quello di dimostrarne la scientificità, ma di individuarne i fondamenti a priori. Da tutte queste considerazioni emerge che l’esperienza sensibile è la base di tutte le nostre conoscenze, essa non è un caotico aggregato di impressioni, ma un ordine meccanico unitario e necessario secondo precise regole: i principi dell’intelletto puro, ricavati da una riflessione sugli schemi e sulle categorie (per es. in relazione alla categoria di causa il principio in questione ci dice che ogni cambiamento avviene secondo il nesso di causa ed effetto) Conclusione provvisoria Come già abbiamo detto, non c’è conoscenza scientifica senza l’incontro di materiale empirico proveniente dall’esterno e forme a priori proprie dell’Io, dunque la conoscenza è fenomenica e nulla possiamo sapere delle cose in sé, cioè della realtà così com’è prescindendo da noi stessi che la conosciamo. La realtà in sé risulterà pensabile, ma non conoscibile: noumeno. Qui inizia un’altra storia, quella del rapporto di Kant con i problemi metafisici. Enrico Del Bianco