Parlare di islàm. Per una comprensione del concetto di “sottomissione”. Dalle stereotipie ad un approccio ermeneutico di Franz Brandmayr * 1. Premessa metodologica In alcuni ambiti della comunità scientifica internazionale viene avvertita sempre più urgentemente l’esigenza di una presa di distanza critica rispetto ai modelli euristici europei. Nel contesto accademico, infatti, la storia, la filosofia, le letterature antiche e moderne, il fatto religioso, il diritto e le stesse scienze sperimentali tendono a venire lette attraverso i paradigmi1 rappresentati dalle tradizioni disciplinari occidentali, che non possono non darne una interpretazione eurocentrica.2 Da ciò sembra scaturire una vera e propria crisi epistemologica, che va prendendo corpo anche all’interno di aree scientifiche sulla cui “oggettività” il tipo ideale3 * Docente di I. R. c. Si tiene presente il concetto di “paradigma” elaborato da KUHN TH.S., La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino 19994 (1962), pp. 29-30 et passim. 2 Vd. ad es. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di antropologia. Etnologia, antropologia culturale, antropologia sociale, Zanichelli, Bologna 1997, pp. 273-274. 3 WEBER M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 19812 (1922), pp. 107-120. 1 85 Franz Brandmayr di occidentale sarebbe stato disposto, se non a scommettere, almeno a investire buona parte della propria fiducia.4 Nel campo delle scienze umane assiomi filosofici, etici e politologici ritenuti pressoché inscalfibili, come, ad esempio, le idee di “democrazia”5, di “progresso”6, di “tolleranza”7, di “Stato”8 e lo stesso concetto di Illuminismo9 sono ora suscettibili di venire 4 In campo medico, ad es., la medicina occidentale “ufficiale” pare ancora restia ad accogliere l’ipotesi di un’integrazione delle diverse prospettive mediche, di matrice anche folklorica e tradizionale [in prospettiva antropologico-culturale cfr. ad es. le osservazioni di L ANTERNARI V., Patologia psichiatrica, magia e religione nella società occidentale di massa, in I D., Medicina, magia, religione, valori, Liguori, Napoli 1994, vol. I, pp. 21-91, passim e ID., Quali terapie contro il disagio della civiltà?, in DONGHI P. (a cura di), Il sapere della guarigione, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 93-123, passim]. 5 COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2002, p. 91; T OURAINE A., L’idea democratica è solamente l’autosoddisfacimento dei ricchi?, in C RESPI F.SEGATORI R. (a cura di), Multiculturalismo e democrazia, Donzelli, Roma 1996, pp. 147-168, passim. 6 CHAKRABARTY D., L’artificio della storia, in P ASQUINELLI C. (a cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005, pp. 44-46. 7 PARDI F., Indifferenza e universalismo procedurale, in CRESPI F.-SEGATORI R. (a cura di), op. cit., p. 22. 8 CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia nel mondo globale, in PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., pp. 164-167; GEERTZ C., Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo, Il Mulino, Bologna 1999 (1995), pp. 28, 30 e 31. 9 Cfr. ad es. CHAKRABARTY D., op. cit., pp. 60 ss.; CHAMBERS I., Cartografia del progresso, in PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., p. 15; D EI F., Antropologia e genocidio, in PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., p. 198; M AZZEI F., La violenza epistemologica nell’Orientalismo, in PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., pp. 94 e 100; EAD., Occidentalismi, in E AD. (a cura di), op. cit., pp. 11-12. Analogamente GEERTZ C., op. cit., p. 73, pur da una posizione filosofica liberal-borghese e postmoderna [cfr. ID., Antropologia e filosofia. Frammenti di una biografia intellettuale, Il Mulino, Bologna 2001 (2000), p. 91], scrive del liberalismo come di «un ennesimo tentativo di imporre con la forza al resto del mondo i valori occidentali: un seguito del colonialismo con altri mezzi» e dell’idea 86 Parlare di Islàm etichettati come «occidentalismi»10, provocando accesi dibattiti fra gli studiosi.11 Pare di assistere all’inizio (perché ancora soltanto di un germe si tratta) di un ribaltamento delle posizioni tradizionali: dalla di modernizzazione come «conveniente ad un tempo agli ex padroni [coloniali] e agli ex soggetti [colonizzati] ansiosi di riformulare le loro diseguaglianze in un idioma» [ID., Oltre i fatti. Due paesi, quattro decenni, un antropologo, Il Mulino, Bologna 1995 (1995), p. 168; parentesi quadrate dello scrivente] che consenta la perpetuazione dei rapporti di egemonia/ subalternità. Per reperire una serie di riflessioni di esponenti dell’intellettualità italiana o, comunque, partecipi della cultura occidentale, sulla validità sempre attuale del portato teorico, politico ed etico dell’Illuminismo vd. SCALFARI E. (a cura di), Attualità dell’Illuminismo, Laterza, Roma-Bari 2001, passim. Credo non ci sia soverchio bisogno di rilevare quanto le succitate parole d’ordine della cultura liberale [cfr. anche KIPPENBERG H.G., La scoperta della storia delle religioni. Scienze delle religioni e modernità, Brescia, Morcelliana 2002 (1997), pp. 196-197, 253 e 256-257 per le connotazioni “religiose” della modernizzazione, nella quale le nozioni di “individualismo”, “intellettualismo”, “antitradizionalismo” e “nazione” rischiano di assumere significati imperituri e sottratti alla critica storica] abbiano rappresentato un solido supporto teorico funzionale alla tesi della missione “civilizzatrice” dell’Occidente nei confronti del resto del mondo (cfr. infra la nota n. 12). Sulla storia della filosofia occidentale colta da Habermas come «tentativo delle società democratiche di rassicurare se stesse» circa la bontà del proprio progetto modernistico cfr. anche le argomentazioni di CHAKRABARTY D., op. cit., pp. 62-63. 10 PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., passim. Per reperire un elenco (certamente incompleto) degli occidentalismi cfr. ad es. la nota precedente e C HAKRABARTY D., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), p. 16, che aggiunge «la visione universale e secolare di ciò che è umano», i «diritti umani», la «democrazia» (cfr. supra la nota n. 5), il pensiero marxista e liberale (ivi, pp. 16-17) e le «scienze umane» stesse (ivi, p. 17), l’idea del «soggetto-cittadino», l’«“immaginazione” quale categoria analitica, le concezioni della società civile…, le diverse distinzioni fra pubblico e privato…, il tempo storico [lineare] e così via» (ivi, p. 38; parentesi quadrata dello scrivente). 11 PASQUINELLI C., Occidentalismi, cit., pp. 10-12. 87 Franz Brandmayr indiscussa «missione civilizzatrice»12 a livello planetario, di cui l’Occidente si è sentito investito dall’alto del suo successo militare, economico e politico colonialistico e neocolonialistico, 13 all’emergenza di razionalità “altre”, che mirano a «provincializzare l’Europa». Questo «progetto»14 vede impegnate le letterature terzomondiali, i Cultural Studies e i Postcolonial Studies15, mentre la ricerca etno-antropologica vi dedica le proprie energie per antico statuto. Se di crisi si può parlare, tuttavia, essa non viene sempre provocata con l’intenzione di destituire di ogni fondamento scientifico16 12 Cfr. ad es. BASTIDE R., Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali e razziali, Jaca Book, Milano 19902 (1970), pp. 27-28; CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 21; TRIULZIA A., Lo sguardo coloniale, in PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., p. 106; per una indicazione che concerne direttamente la presente trattazione cfr. MARLETTI C., Le immagini dell’islam nella narrazione di eventi e nel dibattito su temi. Analisi qualitativa dei testi e dei generi, in I D. (a cura di), Televisione e Islam. Immagini e stereotipi dell’islam nella comunicazione italiana, RAINuova ERI, Roma 1995, p. 94. Di questa presunzione egemonica della cultura occidentale scrive magistralmente SAID E.W., Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano 20054 (1978), passim. Osservazioni critiche nei confronti della posizione saidiana ed apologetiche rispetto ai meriti delle discipline orientalistiche sono reperibili in LO JACONO C., La concezione islamica dell’occidente, in ALLIEVI S. (a cura di), L’occidente di fronte all’islam, Franco Angeli, Milano 1996, pp. 145-146. 13 Scaturito, come ha dimostrato magistralmente CIPOLLA C.M., Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna 19993 (1965), passim, dalle più progredite tecnologie marinare e balistiche dell’Europa moderna. 14 CHAKRABARTY D., L’idea di provincializzare l’Europa, in ID., Provincializzare, cit., pp. 15-42. 15 Per un primo approccio in lingua italiana intorno ai Cultural Studies e i Postcolonial Studies si vedano CHAMBERS I. (a cura di), Esercizi di potere. Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, passim e PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., passim con le relative indicazioni bibliografiche. 16 Per delle argomentazioni volte a rispondere alle critiche più radicali nell’ambito che riguarda questo saggio, cioè quello antropologico-cultu- 88 Parlare di Islàm le pretese conoscenze del mondo accademico euroamericano. Essa, inoltre, potrebbe venire colta anche come una salutare opportunità di mettere in discussione17 e di rivedere le precomprensioni euristiche, i criteri di approccio, gli strumenti concettuali e le aspettative che soggiacciono all’attività degli specialisti dei vari ambiti scientifici. Questo sconvolgimento, poi, non può non investire quel campo, tanto profondamente interessato ai contatti interculturali, agli scambi e alle contaminazioni, che è costituito dalle scienze religionistiche.18 D’altra parte, discipline come la storia delle religioni, l’antropologia delle religioni, la sociologia delle religioni, la psicologia delle religioni etc., che pure si sono strutturate ed approfondite lungo direttrici cronologiche spesso più che secolari, non possono non giovarsi, a loro volta, di questo travaglio epistemologico. Esso rappresenta un’occasione preziosa per ampliare ed articolare un discorso scientifico più complesso 19 e più maturo, dove possano trovare espressione e dignità cultura- rale, si possono consultare, ad es., G EERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e vite. L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 81-109. Si possono rinvenire delle autorevoli (e anche polemiche) note sulle riserve degli antropologi intorno all’«attacco portato da sinistra» dai Cultural Studies in CLEMENTE P., op. cit., pp. 180-182; D EI F., op. cit., p. 185; GEERTZ C., Antropologia e filosofia, cit., pp. 8 e 29. Il volume di FABIETTI U. (a cura di), Il sapere dell’antropologia. Pensare, comprendere, descrivere l’Altro, Mursia, Milano 1983, può risultare utile per una presa di conoscenza delle principali tematiche antropologiche considerate nella revisione epistemologica in corso. 17 Sul dubbio metodologico cfr. soprattutto la prima regola del metodo in CARTESIO R., Discorso sul metodo, Editori Riuniti, Roma 1996 3 (1637), p. 72. 18 Per una introduzione alle scienze delle religioni o religionistiche vd. FILORAMO G.-PRANDI C., Le scienze delle religioni, Morcelliana, Brescia 1997 3 (1987), passim. 19 Cfr. ad es. MAZZEI F., La violenza epistemologica nell’Orientalismo, in PASQUINELLI C. (a cura di), op. cit., pp. 99-100. 89 Franz Brandmayr le anche le «narrazioni degli altri»20, cioè di quelle culture che nel tempo hanno elaborato percorsi di civiltà diversi21 da quello/i occidentale/i.22 In queste riflessioni, che intendono porsi in una linea di continuità rispetto a precedenti produzioni svolte intorno a problemi di antropologia dell’islàm23 e che scaturiscono anche dal costante contrappunto con l’“osservazione sul terreno” 24, si vorrebbe proporre un esempio di rivisitazione critica della nozione di islàm. L’importanza di un lavoro di questo genere è difficilmente negabile, se si considera il massiccio uso mediatico e nel discorso comune del lemma islàm; in effetti, la sua 20 Cfr., ad es., l’importante capitolo di CHAKRABARTY D., Storia delle minoranze, passati subalterni, in ID., Provincializzare, cit., pp. 135-155. 21 Chakrabarty in ivi, p. 35 scrive dell’«incommensurabilità» fra le storie europee e non-europee. 22 Adopero il plurale, perché, evidentemente, anche il contesto culturale euroamericano non si presenta come un monolite privo di una sua differenziazione interna. 23 BRANDMAYR F., L’islàm nelle rappresentazioni collettive degli italiani. Le etichettazioni “orientalistiche”, in “A.N.I.R.”, XXI (2006), nn. 2-3, maggio-dicembre, pp. 20-22; ID., L’islàm nei media italiani. La comunicazione funzionale al processo dell’etnicità, in “A.N.I.R.”, XXII (2007), n. 1, gennaio-aprile, pp. 11-15; I D., L’islàm nei media italiani. La deriva islamofobica, in “A.N.I.R.”, XXIII (2008), nn. 2-3, pp. 8-10; ID., L’islàm nei media italiani. La deriva islamofobica (II parte), in “A.N.I.R.”, XXIV (2009), n. 1, pp. 12-14; ID., Jihad, contributi per un’ermeneutica, in “Cristiani nel Mondo”, XXV (2010), n. 2, aprile/maggio, pp. 8-10. 24 Espressione adoperata dagli scienziati sociali per designare il lavoro di rilevamento dei dati sperimentali nell’ambito socio-culturale indagato, senza il quale non si danno concretezza né scientificità [cfr. ad es. B ERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici, Franco Angeli, Milano 19848, p. 114; CIRESE A.M., Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, Sellerio, Palermo 1973, pp. 244-257; TULLIO-ALTAN C., Manuale di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 573]. Chi scrive svolge questo lavoro nello specifico ambito degli “islàm tergestini”. 90 Parlare di Islàm tematizzazione risulta, talora, approssimativa o, addirittura, inesistente.25 Inoltre, proprio per la notorietà e per la pregnanza emotiva26 che questo termine ha acquisito al livello della cultura di massa negli ultimi venticinque anni, la sua presa in esame pare oltremodo opportuna; la sua traduzione27 immediata ed univoca, infatti, può ingenerare gravi equivoci, le cui conseguenze negative potrebbero venire contenute, se non proprio evitate, mediante un approccio di tipo più complesso come presume di essere quello ermeneutico.28 25 La disamina di questo concetto-chiave della religione musulmana pare importante anche in quanto l’islàm si configura come una presenza sociologicamente oramai rilevante in Italia e in buona parte del continente (cfr. A LLIEVI S., I nuovi musulmani. I convertiti all’islam, Lavoro, Roma 1999, passim; I D., Musulmani d’Occidente. Tendenze dell’islam europeo, Carocci, Roma 2002, passim; ID., Islam italiano. Viaggio nella seconda religione del paese, Einaudi, Torino 2003, passim; ID.-DASSETTO F., Il ritorno dell’islam. I musulmani in Italia, Lavoro, Roma 1993, passim; DASSETTO F., L’islam in Europa, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1994, passim). 26 MARLETTI C., op. cit., p. 140 sottolinea l’importanza dell’utilizzo dei termini arabi «con funzione connotativa» e pregiudiziale nella formazione degli stereotipi circa l’islàm. 27 Sulla difficoltà di traduzione o, addirittura, sull’«intraducibilità del Terzo Mondo nel linguaggio del Primo Mondo» possono risultare interessanti le osservazioni di C HOW R., Writing Diaspora. Tactics of Intervention in Contemporary Cultural Studies, Bloomington-Indianapolis, Indiana University Press, 1993, p. 38. Sulla «opacità» della traduzione di categorie occidentali nella descrizione di realtà storico-sociali “altre” vd. anche C HAKRABARTY D., L’idea, cit., p. 35. 28 Quello ermeneutico è l’approccio all’islàm suggerito, ad es., da M ARLETTI C., op. cit., pp. 144-145 e 157. Nelle scienze etno-antropologiche, tuttavia, l’iniziatore [MALIGHETTI R., s.v. Antropologia interpretativa, in F ABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 71-72] dell’approccio ermeneutico è Clifford Geertz [cfr., ad es., ID., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), passim]. 91 Franz Brandmayr 2. Stereotipie ed ermeneutica Il concetto di ermeneutica è sostanzialmente opposto a quello di stereotipo. Mentre questo si connota come «marchio» o «modello» (typos)29 «solido», «fermo» e «rigido» (stereos)30, atto a semplificare la realtà per renderla più padroneggiabile,31 l’approccio ermeneutico si sforza, invece, di cogliere la differenza32 culturale come parte di uno habitat di significati33 da conoscere nei suoi elementi comportamentali, nei suoi aspetti valoriali, nei suoi simbolismi e nelle sue motivazioni.34 La costruzione ermeneutica configura certamente anch’essa un modello, un’immagine, un’astrazione, che non può mai avanzare pretese di oggettività assoluta e che, a modo suo, sarà a sua volta fuorviante o riduttiva; essa, però, al contrario dell’approccio stereotipico, dovrebbe fondarsi: a) sull’osservazione sperimentale del “fatto sociale totale”35 (e non di «alcuni tratti emergenti»36 soltanto), osservazione mirata ad illuminare, in particolare, i comportamenti, le valutazioni e i sentimenti37 del diverso; b) sulla volontà di “comprendere dal di den- 29 Cfr. MONTANARI F., s.v. TÚpoj, in ID., Vocabolario della lingua greca, Loescher, Torino 1995. 30 Vd. s.v. StereÒj, in ivi. 31 Cfr. MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 65-72. 32 Cfr. GEERTZ C., Mondo globale, cit., p. 25 et alibi; CHAKRABARTY D., L’idea, cit., pp. 35-36; cfr. CLEMENTE P., op. cit., p. 182. 33 HANNERZ U., La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001 (1996), pp. 28-29. 34 Vd. infra la nota n. 120. 35 Vd. MAUSS M., Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965 (1950), pp. 143-279, passim. 36 Cfr. MANDL H., s.v. Alone/effetto, in A RNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), Dizionario di psicologia, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1980), p. 61. 37 Sono, secondo BIANCO C., Dall’evento al documento. Orientamenti etnografici, CISU, Roma 1988, pp. 162-163, i tre elementi che andrebbero ricavati nel corso del- 92 Parlare di Islàm tro” la Lebenswelt38 indagata, più che di spiegarla esaustivamente;39 c) su di un’indagine che sia disponibile a riconoscere “empaticamente”40 la coerenza intrinseca del mondo dei valori dell’altro, delle sue pratiche sociali, dei suoi tratti culturali specifici, delle differenze che lo caratterizzano. Ciò comporta lo studio teorico delle credenze, delle narrazioni, delle strutture di attendibilità,41 che rendono “autentici” e credibili quei valori, quei comportamenti, quelle motivazioni e quegli stati d’animo42 espressi dai portatori della cultura fatta oggetto di osservazione; d) su una “ricostruzione” (sempre di questo si tratta, anche se il costrutto teorico viene elaborato dagli scienziati sociali) della realtà osservata, che viene effettuata con “frammenti”43 di identità e di cultura attraverso comparazioni contrastive;44 e) il tutto giungendo a for- l’incontro con l’informatore [cfr. anche le tre “strutture dell’esperienza” di TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna 1986 (1982), p. 120]. 38 La nota espressione husserliana (ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T., Torino 19712, p. 596) “mondo della vita” viene frequentemente utilizzata anche nelle scienze sincroniche per indicare la totalità della realtà sociale, colta nella sua complessità simbolica, istituzionale, economica, relazionale etc. 39 MAZZEI F., op. cit., pp. 99-100 scrive addirittura di una «nuova pietas», basata sul rispetto dell’altro, che dovrebbe animare la ricerca sulle diversità. 40 Indicazioni sulla “simpatia”-“empatia” metodologica e sull’“osservazione partecipante” delle culture “altre” si possono trovare, ad es., in B ERNARDI B., op. cit., pp. 57-58; CIRESE A.M., op. cit., p. 251; FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977 (1973), p. 40; TULLIO-ALTAN C., Soggetto, simbolo e valore. Per un’ermeneutica antropologica, Feltrinelli, Milano 1992, pp. 210-22. 41 Cfr. BERGER P.L., Il brusio degli angeli. Il sacro nella società contemporanea, Il Mulino, Bologna 19952 (1969), pp. 56-57. 42 Vd. infra la nota n. 120. 43 GEERTZ C., Mondo, cit., pp. 16-17 e 21-24. 44 «Nell’antropologia interpretativa sono in uso comparazioni “contrastive”, […] che cercano di ottenere, più che aspetti di verità quantitativa in scala, effetti di defamiliarizzazione, di comprensione inconsueta dell’identità che 93 Franz Brandmayr mulare delle “ipotesi plausibili”45 e delle «proposte interpretative piuttosto che spiegazioni dei fenomeni osservati»46; f) tenendo conto della cangiante molteplicità delle realtà locali,47 che spesso si contraddicono a vicenda e che non si lasciano ridurre ad omologazioni concettuali forzate. A questo punto si possono stabilire gli obiettivi della presente riflessione: prendere in considerazione il termine-chiave della religione musulmana; esporne la traduzione più corrente; esaminarne le implicazioni semantiche, provare a descrivere l’impatto culturale e le relative risposte emozionali, che il suddetto lemma può provocare nel contatto con la sensibilità occidentale come in quello acculturativo;48 analizzare gli atteggiamenti psico-sociali che vi sono sottesi, i comportamenti sociali che possono venire a prodursi, individuare altre interpretazioni integrative del vocabolo studiato, che possano esplicitare una certa contiguità di significati fra le due o più culture che vengono confrontate; 49 abbiamo sotto gli occhi» (CLEMENTE P., op. cit., p. 167); li si potrebbe anche definire «esercizi di decentramento» (ivi, p. 182). 45 BERTAUX D., I racconti di vita. Una prospettiva etnosociologica, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 39, 43 e 48. 46 Ivi, p. 41. 47 Cfr. GEERTZ C., Mondo, cit., pp. 16-17 et passim. Con riferimento alla realtà islamica vd. SCHELLENBAUM P., s.v. Islam, antropologia dell’, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 388; SACCHI P., s.v. Medio Oriente, culture del, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 454. 48 Cioè nell’incontro/scontro fra culture diverse (cfr. CIRESE A.M., op. cit., pp. 63-83). In queste contaminazioni ed ibridazioni va ricordato che non esiste chi soltanto eserciti, né chi soltanto subisca l’azione acculturativa [cfr. ad es. anche CUCHE D., La nozione di cultura nelle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), pp. 67, 75 e 88]. 49 Nella presente trattazione si cercherà di operare un confronto fra almeno tre vasti habitat di significato (cfr. supra la nota n. 33): la tradizione occidentale nella sua duplice ramificazione laica e cristiana e, naturalmente, l’islàm. 94 Parlare di Islàm infine, nel caso di permanenza di un’alterità irriducibile, cercare di fornire qualche indicazione sull’eziologia della differenza stessa. 3. Il concetto di islàm L’etimo rinvia al verbo aslàma, che, solitamente, viene tradotto con “sottomettersi”50; il sostantivo islàm, pertanto, corrisponde a “sottomissione”51. Fin dall’inizio è opportuno chiedersi se il telespettatore e il lettore italiano (o il giornalista o lo stesso docente)52 siano capaci Spunti interessanti per un approccio ermeneutico che tenda a cogliere anche le molteplici differenze interne ai grandi concetti generali dell’antropologia delle religioni (quello di islàm potrebbe trovarsi fra questi) sono reperibili in GEERTZ C., Mondo, cit., pp. 25-26 et passim. 50 Trovo anche «arrendersi» (ALLIEVI S., Musulmani d’Occidente, cit., p. 192; cfr. PEIRONE F.J.-RIZZARDI G., La spiritualità islamica, Studium, Roma 1986, p. 21), che, implicando una cessazione della lotta, giustifica il radicale s-l-m, identico a quello del termine salàm (= “pace”). Anche questa accezione, in quanto richiama un vocabolario bellico, non pare evocare contenuti positivi nella cultura dominante europea. A complicare ulteriormente il problema della comprensione della nozione di islàm da parte degli occidentali permangono, come vedremo oltre, il tema della reticenza – ritenuta “prometeica” dalla riflessione dei credenti (cfr. infra le note nn. 155 e 157) – della parte egemonica della cultura occidentale a considerarsi subordinata ad una qualsivoglia forma di trascendenza e, più diffusamente ancora, il motivo della affermazione “egologica” dell’individuo (cfr. infra la nota n. 58). 51 Vd. ad es. DONINI A., Breve storia delle religioni, Newton Compton, Roma 1991, p. 275. 52 Cfr. ALLAM M., L’islam italiano e la sua percezione, in SIGGILLINO I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso, E.M.I., Bologna 2001, pp. 89-90; ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole sull’islam. Formazione culturale, comunicazione e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO I. (a cura di), op. cit., pp. 38 ss.; MARLETTI C., op. cit., p. 155. Sulle pregiudiziali «logiche del senso comune» 95 Franz Brandmayr di decodificare una traduzione così letterale del concetto o se siano invece portati ad assimilarlo53 a episodi e fasi della storia europea (ad es.: la schiavitù antica, l’ancien régime, le differenze di classe sociale nel corso della rivoluzione industriale, i totalitarismi di destra e di sinistra del Ventesimo secolo etc.) e a comportamenti sociali (ad es.: i rapporti sociali feudali, il rapporto patrono/cliente,54 l’obbedienza militare55 etc.), che, di primo acchito, sembrerebbero [DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004 (1999), pp. 50-51], adoperate spesso anche da studiosi che, più o meno consapevolmente, pongono in atto le cosiddette “retoriche scientifiche” quando si esprimono circa le culture altre vd. ancora D AL LAGO A., op. cit., pp. 143-167. 53 Utilizzo il termine nel senso tecnico di «adeguamento dell’oggetto al soggetto» [JUNG C.G., s.v. Assimilazione, in ID., Dizionario di psicologia analitica, Boringhieri, Torino 1977 (1921), p. 31; cfr. WILSON G.D., s.v. Assimilazione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., pp. 69-70], per non sottacere la dimensione soprattutto inconscia e «prestrutturata» del processo di appropriazione che il lettore, il telespettatore e l’ascoltatore pongono in essere al momento dell’apprendimento delle informazioni relative all’islàm [cfr. CHELI E., La realtà mediata. L’influenza dei mass media tra persuasione e costruzione sociale della realtà, Franco Angeli, Milano 20026 (1992), pp. 138-139]. 54 Mi riferisco soprattutto al fenomeno socio-politico, tanto nocivo e inviso nell’ottica della modernizzazione, del clientelismo che connota le vicende della storia contemporanea italiana. Per una disamina antropologico-culturale sul tema cfr. TULLIO-ALTAN C., La nostra Italia. Arretratezza socioculturale, clientelismo, trasformismo e ribellismo dall’Unità ad oggi, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 57-66 e 158-163. 55 Ad assicurare il successo europeo nella conquista del mondo ebbe un grosso peso anche la militarizzazione della società capitalista, già analizzata da Max Weber [cfr. SENNETT R., La cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino, Bologna 2006 (2006), pp. 20-21]. Dopo la contestazione giovanile del 1968 anche questo valore tradizionale sembra essere stato coinvolto nella critica dell’autorità [cfr. inter alios MARCUSE H., L’autorità e la famiglia. Introduzione storica al problema, Einaudi, Torino 1970 (1936), passim] già innescata a suo tempo da FREUD S., Il disagio della civiltà, in ID., Opere. 1924-1929, Boringhieri, Torino 1978 (1929), vol. X, pp. 553-633. Per un accenno ulteriore alla difficoltà della comprensione dell’obbedienza nella società postmoderna cfr. infra le note nn. 102-105. 96 Parlare di Islàm presentare “evidenti” analogie con l’idea islamica di sottomissione. Anche qualora non volesse lasciare spazio ad accostamenti (quantomeno audaci) di questo tipo, o non avesse la competenza per effettuarli, chiunque ricevesse queste informazioni si troverebbe di fronte alla problematica comprensione56 di un profondo divario culturale. Questa differenza consiste soprattutto nella dissonanza57 del significato della sottomissione islamica rispetto alle pressanti istanze libertarie, individualistiche,58 egualitarie e – più in generale – democratiche, che per lo più informano le rappresentazioni collettive59 degli occidentali odierni.60 56 MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790. Si tratta di quella che nella psicologia sociale viene definita la «dissonanza cognitiva» [cfr. TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in A RCURI L. (a cura di), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 274-281]. 58 Talvolta definito come una vera e propria «egologia» [cfr. L AURENT A., Storia dell’individualismo, Il Mulino, Bologna 1994 (1993), p. 119 per un approccio filosofico al problema; da un punto di vista sociologico e storico può risultare interessante LASCH CH., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 20014 (1979), passim; per una prospettiva sociologica si rinvia ad es. a BAUMAN Z., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000 (1999), passim e ID., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna 2002 (2001), passim; GIDDENS A., Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna 1994 (1990), pp. 32 ss. e tutti i capitoli che trattano in modo particolare il tema della fiducia]. 59 Per la nozione di «rappresentazione collettiva» vd. D URKHEIM E., Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Torino 2001 2 (1895), p. 15. 60 Non è detto, peraltro, che ai valori democratici professati nello spazio pubblico corrisponda una pratica politica e di governo sempre coerente (vd. ad es. TULLIO-ALTAN C., La nostra Italia, cit., passim); risulta senz’altro problematica e non unanimemente condivisa, ancora, la difesa ideologica dell’iniziativa “democratica” di “esportare la democrazia” mediante gli interventi militari nell’area del Golfo Persico. La stessa idea di democrazia, secondo alcuni autori, può diventare funzionale al mantenimento del potere nelle mani delle culture dominanti occidentali [cfr. ad es. C OLOMBO E., op. cit., p. 91; TOURAINE A., op. cit., pp. 166-167]. 57 97 Franz Brandmayr La trattazione dell’islàm, pertanto, per risultare scientificamente valida61 dovrebbe prevedere la decostruzione62 dei contenuti emozionali, che gli occidentali sono soliti connettere ad un’espressione così compromessa: si tratta veramente di una religione autoritaria, praticata da schiavi che si annichiliscono di fronte al supremo Padrone e, magari, anche davanti a tutti gli altri padroni? Certamente, sostiene – fra gli altri – Marletti, il vocabolo è oramai connotato negativamente,63 in quanto il richiamo ai terroristi, alle punizioni corporali64 e al fondamentalismo65 insorge immediatamente, soprattutto a causa dell’ormai trentennale66 opera di «distorsione dei media»67. 61 In questa sede si vorrebbe fare professione di avalutatività [cfr. W EBER M., op. cit., pp. 309-375], tenendo distinti il piano scientifico religionistico (F ILORAMO G.-PRANDI C., op. cit., p. 25) e quello morale, i quali, quando si trattano le tematiche dell’interculturalità, vengono talora indebitamente confusi. 62 Cfr. MARLETTI C., op. cit., p. 156. Per un primo approccio al concetto di “decostruttivismo” vd. MALIGHETTI R., s.v. Decostruttivismo, in FABIETTI U.REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 226. 63 Si veda MARLETTI C., op. cit., pp. 92-93 per un’analisi che giunge fino al 1993. Cfr. infra la nota n. 67. 64 Ivi, p. 139. 65 Ivi, pp. 139-140. Sull’eurocentrismo sotteso al termine fondamentalismo vd. ivi, pp. 143-144 e TAGLIAFERRI F., Islam e comunicazione, cit., pp. 130-131. Sulla difficoltà di un utilizzo autenticamente scientifico dell’espressione vd., ancora, PRANDI C., La tradizione religiosa. Saggio storico-sociologico, Borla, Roma 2000, p. 129. 66 MARLETTI C., op. cit., p. 97. 67 Ivi, p. 139; sul condizionamento politico e commerciale dei media, inclini a cedere alle logiche del sensazionalismo anche nella “copertura” dell’informazione sul mondo islamico vd. anche ALLAM M., L’islam italiano e la sua percezione, in SIGGILLINO I. (a cura di), op. cit., p. 88. Più in generale, il quadro parzialmente datato fornito dal Marletti pare tutto sommato confermato dalle più recenti indicazioni contenute in SIGGILLINO I. (a cura di), op. cit., passim. Il distorcimento ad opera dei media sembra più intenzionale, invece, se si vuole dare credito all’eziologia che, dell’islamofobia, hanno dato svariati 98 Parlare di Islàm In questa sede, ancora, interessa sottoporre ad analisi, oltre che le concrezioni emozionali – che sembrano quasi corrodere il termine –, il contenuto stesso del concetto o, in altre parole, il «nucleo cognitivo»68 del pregiudizio veicolato69 dal lemma islàm. Qualora venisse disattesa l’opera di esplicitazione della diversità dei percorsi storici e culturali dei diversi islàm70 rispetto alle varie culture occidentali, si potrebbe determinare, oltre agli accostamenti frettolosi sopra richiamati, una ripugnanza, che – a incominciare dal nome stesso della religione in questione71 – potrebbe estendersi a tutti i suoi contenuti e forse anche a tutti i suoi membri… E la repulsione configurerebbe già il pregiudizio.72 autori (ad es. ALLIEVI S., Parole dell’islam, cit., p. 41; CARDINI F., op. cit., pp. 137 ss.; MARLETTI C., op. cit., p. 94) secondo i quali la costruzione mediatica di un nemico esterno all’Occidente (che verrebbe a sostituire l’ormai obliterato spettro del comunismo) sarebbe funzionale alla ricompaginazione dell’Occidente intorno agli interessi delle lobbies americane e del Pentagono. A questi fini egemonici verrebbe posta in atto la «violenza simbolica», cioè la «rappresentazione negativa costante e sistematica» (COLOMBO E., op. cit., p. 37) delle culture islamiche ad opera della cultura occidentale. D AL LAGO A., op. cit., p. 50 adopera l’espressione analoga di «ostilità simbolica» per indicare la rappresentazione negativa del migrante nel contesto italiano. 68 MAZZARA B.M., op. cit., p. 16. 69 ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), op. cit., pp. 128-129. 70 Svariati autori suggeriscono di abbandonare l’immagine semplicistica di un mondo islamico inteso come una realtà monolitica ed uniforme [cfr. ad es. MARLETTI C., Premessa, in ID. (a cura di), op. cit., pp. 16-17 e supra la nota n. 47]. 71 Cfr. ad es. MARLETTI C., Premessa, cit., p. 16; ID., Le immagini dell’islam, cit., pp. 93-94, 97 e 139. 72 Che corrisponde a un «giudizio precedente all’esperienza o in assenza di dati empirici», mentre, a un livello più specifico, esso è costituito dalla «tendenza a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale» (MAZZARA B.M., op. cit., p. 14). 99 Franz Brandmayr Esso, come è noto, è costituito da un atteggiamento complessivo dell’individuo, che ne orienta concretamente l’azione 73 sulla base dei suoi valori e delle sue spinte affettive 74. Il pregiudizio assume sovente un rivestimento razionale,75 che nasconde, tuttavia, una scelta di valore aprioristica, in realtà operata secondo motivazioni e modalità che hanno origine e sviluppo nella dimensione emozionale del soggetto. Il pregiudizio, ancora, riposa solitamente su stereotipi ben consolidati e diffusi, i quali tendono a venire accettati da una gran quantità di persone in virtù della loro “ovvietà”: “i tedeschi sono rigidi”, “gli italiani sono passionali”, “gli ebrei sono avari”76 e così via. Essi, gli stereotipi, sono «sistemi concettuali che ci permettono di semplificare le nostre rappresentazioni, soprattutto quando esse hanno a che fare con la […] sfuggente e spesso cangiante realtà delle categorie sociali». Sono «sistemi semplici, altre volte semplificatori, ma non di rado semplicistici»77, che costituiscono il nucleo cognitivo del pregiudizio, vale a dire l’insieme degli elementi di informazione e delle credenze circa una certa categoria di oggetti, rielaborati in un’immagine coerente e tendenzialmente stabile, in grado di sostenere e riprodurre il pregiudizio nei loro confronti.78 73 Ivi. Cfr. WILSON G.D., s.v. Atteggiamento, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., p. 118. 75 Affine alla “razionalizzazione” freudiana (cfr. ad es. N ITSCH J., s.v. Razionalizzazione, in ivi, p. 967). 76 ARCURI L., op. cit., p. 128. 77 Ivi, p. 126. 78 MAZZARA B.M., op. cit., p. 16. 74 100 Parlare di Islàm A questo punto la rappresentazione collettiva pregiudiziale, per quanto concerne la dimensione emozionale del soggetto che sente parlare di islàm, e stereotipica, per quanto attiene agli elementi cognitivi dello stesso discorso, rischia di assumere i caratteri della massima rigidità, se dall’insufficienza della traduzione non si fa derivare la necessità dell’interpretazione della parola in questione.79 Per dare qualche spunto in merito si terranno presenti soprattutto i contributi di alcuni importanti studiosi delle religioni (fenomenologi e storici,80 islamologi e psi- 79 In ogni caso, e senza volere scadere in una sorta di nichilismo scientifico (che nell’antropologia culturale ha già i suoi testimoni: cfr. ad es. G EERTZ C., Opere, cit., pp. 90-109), chi scrive concorda con C HAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 35 sul fatto che tentare di tradurre nei paradigmi del gruppo-noi un’esperienza, un rituale o un tratto culturale “altro” presenta sempre aspetti di «opacità», che male si accordano con le idee chiare e distinte di cartesiana memoria (CARTESIO R., op. cit., p. 72). 80 All’interno del quadro teorico antropologico-culturale, propriamente, lo statuto epistemologico della fenomenologia delle religioni non viene accettato a motivo della precomprensione «fideistica, confessionale o metafisica» (cfr. LANTERNARI V., I movimenti carismatici moderni in Occidente: problemi di approccio e di metodo, in ID., Festa carisma apocalisse, Sellerio, Palermo 1983, p. 134) che gli è propria. Lo scrivente, del pari, si muove all’interno dell’«agnosticismo metodologico» (FILORAMO G.-PRANDI C., op. cit., p. 226) solitamente adottato dagli antropologi. Pertanto l’uso di materiali fenomenologico-religiosi in questa riflessione non comporta l’assunzione della prospettiva concettuale che ad essi è sottesa, bensì prevede una riduzione psicologistica [cfr. A CQUAVIVA S.S., L’eclissi del sacro nella civiltà industriale. Una teoria del movimento generale di dissacrazione e una sintesi della pratica religiosa nel mondo, Edizioni di Comunità, Milano 1981 5 (1961), pp. 43-46] delle loro suggestioni da adoperarsi in chiave meramente descrittiva. In direzione di una valorizzazione dell’approccio fenomenologico, peraltro, si era già mosso autorevolmente Raffaele Pettazzoni [I D., Il metodo comparativo, in GANDINI M. (a cura di), Religione e società, Ponte Nuovo, Bologna 1966, p. 110; cfr. anche FILORAMO G.-PRANDI C., op. cit., pp. 25, 78-79 e 97-98 alla nota n. 29], cui, nonostante la matrice storicistica del proprio orizzonte concettuale, non erano sfuggite le importanti ricadute euristiche dell’approccio fenomenologico, pur da lui avversato nella diatriba con Mirçea Eliade (cfr. 101 Franz Brandmayr cologi81), che forse permetteranno di cogliere, in qualche modo, dall’interno l’esperienza del muslim (= “sottomesso”) 82. Nella sua suggestiva tassonomia del fenomeno religioso, Van der Leeuw inserisce la fede musulmana fra le religioni nelle quali il senso dell’infinita trascendenza di Dio assumerebbe i caratteri più vividi, anzi, l’islàm sarebbe «la religione della maestà e dell’umiltà per eccellenza». Esso, pur non differenziandosi sotto molti aspetti dall’ebraismo, avrebbe «questo di unico: […] il suo Dio possiede un’onnipotenza che non si diminuisce in nessun punto»; l’uomo «esiste soltanto grazie all’azione immediata della potenza e della volontà di Dio» 83 e FILORAMO G.-PRANDI C., op. cit., pp. 78-79): alla fine l’esponente di maggior spicco della scuola romana di Storia delle Religioni non esitò a lumeggiare possibili percorsi integrativi, nei quali la prospettiva storicistica avrebbe potuto avvalersi di alcune chiavi di lettura del fatto religioso colto anche alla luce dell’approccio fenomenologico, pur senza avvalorarne, con ciò, la lettura «spiritualistica» (LANTERNARI V., I movimenti, cit., p. 137). Tullio-Altan, a sua volta, prende le distanze dalle posizioni ipercritiche di certa letteratura antropologica nelle sue osservazioni sul celebre saggio Das Heilige (vd. infra la nota n. 90) di Rudolf Otto (T ULLIO-ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 129-136), nelle quali l’opera del teologo luterano viene vista come un «tentativo di dare uno statuto proprio all’esperienza simbolica» (ivi, p. 136). Sul fondamento della letteratura critica ora prodotta, chi scrive crede che attingere ad alcuni testi fenomenologici possa rinforzare la presa empatica, tanto raccomandata nell’osservazione partecipante dagli antropologi (cfr. supra la nota n. 40). 81 Sulla necessità di un approccio interdisciplinare alle tematiche che riguardano l’ambito del «simbolico» cfr. TULLIO-ALTAN C., Sullo specifico del simbolico, in “Metodi e Ricerche”, IX, 1 (1990), p. 3; I D., Soggetto, cit., pp. 13-15, testo antropologico fondamentale sulla cui falsariga vengono elaborate le presenti riflessioni. 82 Vocabolo che, come è noto, viene reso in italiano con “musulmano” (in realtà derivato direttamente dal plurale arabo muslimùn). 83 VAN DER LEEUW G., Fenomenologia della religione, Bollati Boringhieri, Torino 1975 (1956), p. 500. 102 Parlare di Islàm «la sovranità di Dio viene presa pienamente sul serio» 84. Lo studioso olandese, da presbitero calvinista qual è, non intende senz’altro sottovalutare la profondità e la radicalità degli altri monoteismi e, perciò, spiega meglio la sua affermazione precisando che «il giudaismo ha discusso col suo Dio, mentre l’islamismo non ha mai avuto un Giobbe»85: lo spazio che l’uomo lascia a Dio nell’islàm, pertanto, sembrerebbe particolarmente ampio e l’obbedienza86 vi sarebbe praticata con una particolare dedizione. L’atteggiamento dell’adorazione, cioè del «riconoscimento dell’infinita differenza di Dio da ogni creatura, della sua santità e gloria infinita»87, è quello che meglio rende la profonda disposizione d’animo del devoto; esso «è l’akmè del culto; interno ed esterno vi coincidono in modo assoluto»88. Il gesto esteriore, 84 Ivi, p. 501. Ivi, p. 502. Se, in linea di massima, questa affermazione è valida, non vanno dimenticate, peraltro, le esperienze dei maestri sufi, che rivelano talvolta una confidenza ed una libertà di spirito nei confronti della trascendenza veramente notevoli (vd. ad es. la nota successiva). 86 Un’indicazione in questo senso potrebbe provenire anche dalla reticenza dell’ortodossia musulmana ad interpretare la relazione con Dio nella cornice psicologica dell’amicizia, in quanto essa potrebbe contemplare una sorta di parità fra le parti (cfr. ivi, p. 370). In questo senso il cristianesimo (cfr. ad es. Gv 15, 13-15) e l’ebraismo stesso [Dio è amico di Abramo (Gn 18, 17-18)] sembrano concedere assai più spazio al referente antropologico; tuttavia, anche in questo caso, le differenze non vanno radicalizzate, in quanto il sufismo presenta numerosi esempi di concezione amicale della relazione dell’uomo con Dio [VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 371; cfr. in SHAH I., La strada del sufi. Le idee, le azioni e i documenti, Ubaldini, Roma 1971 (1968), pp. 51 e 83 due autorevoli esempi forniti da Omar Khayyam e da Jalaludin Rumi; vd. in particolare la ventottesima maqam (= “stazione”) del percorso sufico in N ASR S.H., Il sufismo, Rusconi, Milano 1994 (1972), pp. 98-99]. 87 RAHNER K.-VORGRIMLER H., s.v. Adorazione, in IID., Dizionario di teologia, Morcelliana-Herder, Roma-Brescia 1968, p. 6. 88 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 416. 85 103 Franz Brandmayr infatti, la prostrazione (proskynesis)89, lungi dall’essere un mero atto formale, traduce esattamente il rapporto che intercorre tra la «majestas»90 divina e l’uomo che tocca la terra, humus, con la fronte,91 la sua parte più nobile. All’infinita maestà non può non corrispondere la humilitas. Chi crede adora, non si limita a pregare. La preghiera procede dalla preoccupazione; l’angoscia fa pregare, ma […] non insegna a adorare. Chi adora dimentica la sua preghiera92, e non sa fare altro che glorificare Dio.93 89 Cfr. ivi, p. 367, dove lo studioso olandese inserisce la proskÚnhsij (vd. MONTANARI F., op. cit., s.v.) all’interno della trattazione del tema del «servizio». Vd. anche infra la nota n. 91. 90 OTTO R., Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino e la sua relazione al razionale, Feltrinelli, Milano 19872 (1936), pp. 28-32. 91 Un indubbio prestigio sociale circonda il devoto islamico che reca sulla fronte il “segno della prostrazione”, derivato dalla consuetudine con il salàt (= “preghiera rituale”) o secondo “pilastro” (rukn; pl.: arkàn) dell’islàm, e dalla incessante du’a [(= “preghiera supererogatoria”); cfr. anche Colloquio (d’ora in poi: Coll.) 06/04/2009 e il Corano alla sura XLVIII, 29]. 92 In questo come in altri passaggi il fenomenologo calvinista sembra operare una distinzione fra preghiera e adorazione, che può dare adito a confusione. In realtà l’equazione “preghiera” = “richiesta” sembra risentire di posizioni polemiche vetuste, che non sempre risultano superate negli ambienti riformati odierni; è tanto più comprensibile, perciò, un utilizzo di questo genere da parte di Van der Leeuw nel 1956. Ai fini analitici sembra assai più chiara la distinzione tassonomica, all’interno di un’unica categoria indicata come “preghiera”, delle singole tipologie definite: latreutica (preghiera di adorazione, talvolta distinta da quella dossologica, cioè di lode o glorificazione), amorosa, gratulatoria (di ringraziamento), catanittica (di richiesta di perdono) e impetratoria (di richiesta di grazie). Per un primo approccio scientifico al tema si suggerisce la lettura di BASTIDE R., L’espressione della preghiera tra i popoli senza scrittura, in ID., Il sacro selvaggio e altri scritti, Jaca Book, Milano 1979 (1975), pp. 116-138; CIATTINI A., Invocazione e preghiera, in EAD., Antropologia delle religioni, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, pp. 257-266; M AUSS M., La preghiera e i riti orali, Morcelliana, Brescia 1997 (1909), passim. In una 104 Parlare di Islàm Questo senso quasi schiacciante, per un occidentale,94 dell’alterità di Dio (che però – come cercherò di mostrare – sembra sortire effetti tutt’altro che mortificanti nel fedele) ingenera in lui «l’assoluta sottomissione, ma anche la disposizione a servire, l’obbedienza»: il devoto non esita a considerarsi un servo.95 L’adorazione, perciò, non è un atto evasionistico, 96 sconnesso dalla vita concreta e privo di ricadute sul piano etico personale e collettivo: prospettiva impegnata confessionalmente, ma di notevole rigore scientifico, si possono consultare O HM TH., L’amore a Dio nelle religioni non cristiane, Paoline, Roma 1956, passim e soprattutto SPIDLIK T., La spiritualità dell’Oriente cristiano. Manuale sistematico, Pontificium Institutum Orientale, Roma 1985 (1978), passim. 93 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 416. 94 Si intende “schiacciante”, naturalmente, solo per un occidentale secolarizzato: nel soggetto cristiano la componente latreutica, o “di adorazione”, non dovrebbe essere meno profonda ed intensa, almeno in teoria (cfr. AA.VV., Catechismo della Chiesa cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, pp. 522 et alibi). Sarebbe, peraltro, da appurare con gli strumenti della ricerca sociale, caso per caso, quanto il singolo portatore del tratto religioso cattolico sia effettivamente libero dai condizionamenti socioculturali della cultura dominante, tendenzialmente estranea all’atteggiamento adorante. Uno studio sociologico recente, che cerca di rendere ragione del polimorfismo e della complessità del cosiddetto cattolicesimo italiano, è rappresentato dal testo di G ARELLI F.-GUIZZARDI G.-PACE E. (a cura di), Un singolare pluralismo. Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani, Il Mulino, Bologna 2003, passim. 95 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 367. Nella comprensione dell’ islàm la nozione di “servizio” e la connotazione di “servo” del muslìm risultano essere fondamentali, in quanto «la sintesi della personalità spirituale di Maometto» (vero «prototipo di tutta la creazione, norma di tutte le perfezioni») consiste, oltre che nelle sue qualità di rasul e di nabi (“messaggero” e “profeta”), nella sua identità di ‘abd Allah, di “servo di Dio” (PEIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., p. 27; cfr. anche ivi, p. 28). 96 Vd. anche infra la nota n. 133, ove le indicazioni bibliografiche si riferiscono ai concetti, assai vicini fra loro, di “alienazione” e di “evasione”. 105 Franz Brandmayr Ciò che culmina nell’adorazione non è soltanto la celebrazione, ma anche il costume, che vi trova il suo supremo compimento e vi si trasforma in lode e rendimento di grazie. L’unico dovere della vita consiste nel cantare le lodi di Dio; la condotta morale ne emana di per se stessa.97 Perciò la moralità del musulmano non pare essere estrinseca: essa scaturisce, invece, da un “assenso intimo” (tasdìq)98, che può essere profondo e sentito e che deve poi tradursi in comportamenti concreti. «La via della fede – continua Van der Leeuw – è soltanto obbedienza»99 e «l’obbedienza consiste nell’udire la parola decisiva di Dio. La vita è considerata compimento di quella parola: il suo [della vita] significato sta nella decisione» 100 di compiere la volontà di Dio. La stessa «via di accesso al mondo passa per Dio»; esso, il mondo, assume significato nella misura in cui la realtà viene colta «con gli occhi di Dio» e vissuta «come se Dio agisse per mezzo dell’uomo». L’essere umano deve perseguire «dunque necessariamente una via di obbedienza»101. Ma, ancora una volta, si è richiamato un concetto, quello di obbedienza, che costituisce motivo di scandalo per il tipo ideale di occidentale odierno: essa, come si è già scritto sopra, in Europa «non è più una virtù»102 già da svariati decenni. A ciò non 97 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 417. Coll. 06/04/2009. 99 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 434. 100 Ivi, p. 367; la parentesi quadra è dello scrivente. 101 Ivi, p. 436. 102 MILANI L., L’obbedienza non è più una virtù e gli altri scritti pubblici, Nuovi Equilibri, passim. Secondo JAMES W., Le varie forme dell’esperienza religiosa. Uno studio sulla natura umana, Morcelliana, Brescia 1998 (1902), pp. 272-275 già a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento la società americana lasciava trasparire una notevole disaffezione rispetto a questo contenuto morale. 98 106 Parlare di Islàm ha concorso soltanto la progressiva individualizzazione,103 che ha pervaso profondamente i comportamenti sociali di tutto l’Occidente dal secondo dopoguerra in poi e soprattutto dopo la contestazione giovanile,104 ma probabilmente anche l’esperienza devastante dei totalitarismi.105 Esplorare dall’interno i significati dell’obbedienza nel contesto dei molti e diversificati islàm è un compito che senz’altro esorbita dai limiti della presente riflessione; in questa sede, piuttosto, si vorrebbe provare a scoprire in quale senso la sottomissione, la conseguente obbedienza e lo spirito di servizio alla divinità che ne deriva possano venire compresi in una luce umanizzante e antropo-poietica106 anche secondo una sensibilità euroamericana e, ulteriore distinzione, non necessariamente credente. 103 Cfr. supra le note nn. 9, 10 e 58. Ad aumentare le difficoltà di comprensione di una concezione sociale di tipo olistico, per il contesto socioculturale italiano non va dimenticato il tratto culturale peculiare del «ribellismo», storicamente radicato nel Paese e del quale discute Tullio-Altan nel suo La nostra Italia, cit., pp. 85-92. 104 TOMASI L., s.v. Contestazione, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994 3 (1987), p. 574. 105 Le «religioni della politica» (cfr. G ENTILE E., Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, Roma-Bari 2001, passim), infatti, si sono rette e si reggono tuttora sul cosiddetto «consenso» (vd. ad es. ivi, pp. 8ss), cioè su di una versione massificata dell’antica virtù morale dell’obbedienza. Vale forse la pena di ricordare i celebri studi svolti da un gruppo di studiosi della Scuola di Francoforte in merito alla «personalità autoritaria», che avrebbe caratterizzato le masse plagiate dai totalitarismi della prima metà del Novecento [ADORNO TH.W., FRENKEL-BRUNSWICK E.-LEVINSON D.J.-NEVITT SANFORD R., La personalità autoritaria, Comunità, Milano 1982 (1950), 4 voll., passim]. 106 Utilizzo l’espressione di ALLOVIO S.-FAVOLE A. (a cura di), Le fucine rituali. Temi di antropo-poiesi, Segnalibro, Torino 1996, passim. Essa configura la funzione, tipica di ogni specifica cultura, di costruire, di formare, di educare gli individui, uomini e donne, in conformità ai modelli, ai paradigmi pedagogici ritenuti esemplari in una determinata cultura. 107 Franz Brandmayr Se insistere sull’obbedienza suona alle orecchie dell’occidentale come un attentato alla libertà personale, Van der Leeuw assicura, al contrario, che l’atteggiamento obbediente porta il soggetto al livello massimo delle «potenzialità storiche» 107, cioè di incidenza operativa nella vita reale. Si potrebbe essere tentati di riconoscere in questo asserto un cedimento dello studioso ad una certa parzialità, che lo indurrebbe a solidarizzare con altri credenti, per quanto di religione diversa. Tuttavia, sono anche le ricerche antropologico-culturali applicate all’ambito del simbolico a confortare l’analisi del fenomenologo olandese. Soprattutto la splendida sintesi condensata da Tullio-Altan in due testi del 1990 e del 1992108 illustra quel processo di “identificazione” del soggetto con il referente simbolico (per il musulmano è, naturalmente, Dio), che ci consente di penetrare analiticamente l’esperienza del devoto. L’immedesimazione fervente del fedele con il suo Dio, realizzata attraverso le mediazioni rappresentate dalla pratica dei cinque pilastri (arkàn)109, dallo studio delle Scritture sante [soprattutto Qur’an e Ahadith = Corano e Detti (del Profeta)]110, dai contenuti della fede (imàn) sui quali egli medita111, dalla comunità dei cre- 107 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 436. TULLIO-ALTAN C., Soggetto, cit., passim; si tratta, a parere dello scrivente, di un contributo decisivo per la comprensione degli ambiti «specifici del simbolico» (cfr. ID., Sullo specifico, cit., passim), fra i quali sono compresi i complessi religiosi, ma, nondimeno, le «religioni della politica» (cfr. G ENTILE E., op. cit., passim), quali i nazifascismi, i comunismi e le varie forme storiche della democrazia. 109 PEIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., pp. 63-64 e 104-113. Come nel caso dei nostri islamologi il jihàd viene spesso considerato come una sorta di sesto pilastro [FAHD T., Islam e sette islamiche, in PUECH H.-CH. (a cura di), Storia dell’islamismo, Mondadori, Milano 1993 (1970-1976), p. 190]. 110 FAHD T., op. cit., p. 55; PEIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., p. 26. 111 Cfr. ivi, p. 58. 108 108 Parlare di Islàm denti (umma)112 in cui è inserito, dai giurisperiti (fuqaha)113 che lo orientano nell’interpretazione delle scritture114, dalla guida (imàm) che conduce la preghiera comune115 etc., lo porterebbe a trascendere se stesso116 fino a divenire una cosa sola con il valore agognato e perseguito. Questo accade, in quanto l’obbedienza consiste nel “porre il fine del mondo in Dio solo”117 e nel farne derivare la fedele corrispondenza dell’uomo alla “volontà di Dio”118. Ciò non sembra rappresentare un peso per il devoto: «La vita intera, nell’obbedienza, si integra dal punto di vista della riconoscenza: eseguire i comandamenti di Dio non è un onere, è una lode»119, cui il fedele può aderire anche entusiasticamente.120 Probabilmente un certo tipo di soggetto secolarizzato e allevato secondo gli etnostili121 della postmodernità stenterebbe a 112 PACE E., Sociologia dell’islam, Carocci, Roma 2004 2 (1999), p. 119. Ivi, p. 85. 114 FAHD T., op. cit., p. 171. 115 Ib. 116 Vd. infra la nota n. 135. 117 Cfr. VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 438. 118 Ivi, p. 499. 119 Ivi, p. 336. L’Autore rimarca l’importanza della preghiera dossologica: «Il servizio consiste quasi esclusivamente nell’offrire lodi a Dio» (ivi, p. 335). 120 Ciò avviene sicuramente nei soggetti più motivati; cfr. P EIRONE F.J.RIZZARDI G., op. cit., p. 64, che scrivono della sottomissione gioiosa alla divinità. Per le nozioni di «motivazione» e di «stato d’animo» religiosi, centrali nell’ermeneutica delle religioni, si rinvia al classico G EERTZ C., La religione come sistema culturale, in I D., Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna 19932 (1973), pp. 121-124. 121 Sono i «modi singolari o specifici della cultura, che tanto negli aspetti teorici e ideologici (ideo-etnemi) quanto negli aspetti pratici (socio-etnemi), concorrono a caratterizzare una varietà particolare di cultura, nel suo insieme e in un determinato momento o epoca» (B ERNARDI B., op. cit., p. 81). Ai fini del 113 109 Franz Brandmayr non definire patologica122 una tale congerie di sentimenti, di atteggiamenti e di valutazioni: comprensibilmente, anzi, le sue difese psicologiche, a livello individuale e, al livello collettivo che qui interessa, i temi culturali123 modernistici124, ai quali avesse improntato la propria esistenza, potrebbero indurlo a voler esorcizzare125 una diversità tanto marcata e negativamente connotata. Definire “pazzo”, “strano” ciò che è “e-straneo” e “straniero” solitamente semplifica e facilita una vigorosa presa di distanza. Sempre, in tutte le civiltà, il contatto con una differenza troppo accentuata ha suscitato nelle collettività l’erezione di tutte le difese simboliche disponibili, nel tentativo di preservare, a seconda dei casi, la “purezza”, i valori, l’identità o il patri- nostro discorso si potrebbero inserire gli occidentalismi già richiamati (cfr. supra le note nn. 9 e 10) fra gli etnostili della società postmoderna. 122 Come è noto, il pensatore occidentale che forse ha maggiormente contribuito a far interpretare la religione come una «nevrosi ossessiva universale dell’umanità» è FREUD S., L’avvenire di una illusione, in ID., Il disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri, Torino 1971, pp. 182-184. 123 Utilizzo qui la nozione di «tema culturale» (cfr. LOMBARDI-SATRIANI L.M., Antropologia culturale ed analisi della cultura subalterna, Guaraldi, Firenze 1976, p. 52) come sinonimo di etnostile. 124 Temi culturali che supra (vd. la nota n. 121) abbiamo definito “occidentalismi”. 125 Buona parte dell’attuale “produzione sociale del significato” della Civiltà occidentale, anche quella che presume di trattare l’islàm in una certa pubblicistica, andrebbe colta, a parere di chi scrive, oltre che come un complesso di testimonianze della “sacralizzazione dei simboli” dell’Occidente, che si percepisce minacciato (cfr. infra le conclusioni del saggio), anche come una messa in funzione di quei «riti profani» [cfr. R IVIERE C., I riti profani, Armando, Roma 2000 (1995), pp. 15 et passim], cioè convegni, tavole rotonde sulla democrazia, sui diritti umani etc., nei quali viene impiegato un consolidato formulario apotropaico della negatività rappresentata dai musulmani “maschilisti”, “antidemocratici”, “intolleranti”, “terroristi” etc. Per una trattazione equilibrata circa i diritti umani in seno all’islàm si veda P ACE E., Islam e diritti umani, in ID., Sociologia, cit., pp. 219-241. 110 Parlare di Islàm monio culturale “minacciato”, nella convinzione di difendere, sempre e comunque, l’“educazione propria”, cioè la migliore esistente126. In ciò la condotta dell’Occidente attuale non sembra differire da quella di tutte le altre civiltà esposte al rischio dell’“apocalissi culturale”127. Un aiuto alla comprensione di questa alterità adorante ed obbediente può provenire, forse, da William James, pragmatico indagatore dell’esperienza religiosa e autore di un testo magistrale ed attualissimo; pur dalla propria posizione agnostica, egli sostiene che non si può mai scandagliare un’emozione [religiosa] o indovinarne gli impulsi rimanendone fuori. Nell’ora ardente dell’eccitazione […] ogni incomprensione si dissolve, e ciò che era così enigmatico dall’esterno diventa ovvio e trasparente. Ogni emozione obbedisce ad una logica sua propria, e opera deduzioni che nessun’altra logica può trarre. La pietà e la carità vivono in un universo differente da quello dei piaceri e dei timori mondani, e costituiscono un centro d’energia completamente diverso […] un amore supremo può trasformare sacrifici in guadagno; una superiore verità può rendere odiose le difese abituali [dell’ego], e in certe effervescenze di eccitazione generosa può apparire inspiegabilmente modesto mantenere qualcosa dei possessi personali. Quando noi stessi siamo al di fuori del campo di simili emozioni, l’unico progetto valido è quello di osservare quanto meglio possibile quelli che le provano, e registrare fedelmente ciò che osserviamo. 128 126 BERNARDI B., op. cit., p. 44; si tratta di un passo in cui il compianto africanista definisce il concetto di etnocentrismo. 127 Cfr. DE MARTINO E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino 1977, passim. 128 JAMES W., op. cit., p. 283; le parentesi quadrate sono dello scrivente. Sui limiti interpretativi dell’opera del medico, psicologo e filosofo statunitense vd. GEERTZ C., Mondo, cit., pp. 101-126, che ne sottolinea l’ottica individualistica ed intimistica. Comprendere le problematiche religiose odierne, invece, 111 Franz Brandmayr Il sentimento dell’“infinita dipendenza”129, che insorge nell’uomo che sperimenta la majestas, non sembrerebbe, perciò, mortificarlo, né annichilirlo, né impedirne un’autentica autorealizzazione130, perché, nell’identificazione con il referente sacrale, il soggetto «raggiunge la sua vera potenzialità solo abbandonando ogni potenza»131. Van der Leeuw continua la sua descrizione: Nella lode la dimenticanza di sé si solleva più in alto della vita, nella potenzialità di chi viene lodato […] l’uomo si disfà di se stesso e della propria potenzialità, per rimettersi interamente alla potenza di Dio. Si rifugge da se stessi e ci si volge verso Dio.132 Questo distacco da sé, lungi dal determinare necessariamente l’alienazione133 teorizzata da Feuerbach134, può configurarsi richiederebbe la messa in discussione degli assiomi, decisamente eurocentrici, secondo i quali la religione sarebbe un fatto meramente “interiore” e “privato” (cfr. supra le note nn. 9 e 10). 129 OTTO R., op. cit., p. 29. 130 Cfr. infra la nota n. 154. 131 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 335. «La potenza viene così trovata in una volontaria riduzione all’impotenza, cosa che del resto non è né debolezza né ostilità verso la vita – consiste semplicemente nel riconoscere la validità della parola percepita» come divina (ivi, pp. 367-368). 132 Ivi, p. 335. 133 L’alienazione è soltanto uno degli esiti possibili della pratica religiosa. L’analisi dei casi di alienazione religiosa è oggetto di studio di alcune specifiche scienze delle religioni e, in particolare, della psicologia delle religioni [per un primo approccio al problema vd., ad es., ALLPORT G.W., La religione della maturità, in ID., L’individuo e la sua religione, La Scuola, Brescia 1972 (1950), pp. 111139] e dell’antropologia culturale (vd. ad es. LANTERNARI V., Festa, cit., pp. 119124, con un’abbondante bibliografia riportata nelle note e T ULLIO-ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 65-75). Sul riduzionismo applicato allo studio del fatto religioso nelle scienze religionistiche Tullio-Altan (ivi, p. 123) esclude che dell’espe- 112 Parlare di Islàm come un esercizio di «trascendimento nel valore» 135, per il quale il soggetto, impegnato nell’agone esistenziale, si identifica con l’oggetto della sua adorazione fino a “gettarsi alle spalle” i pesi e le limitazioni che gli derivano dalla sua lotta quotidiana. L’autotrascendimento è, anzi, un perfezionamento della sua azione profana, perché «la vita trova il suo compimento soltanto nel darsi»136, in quel donarsi a Dio, che improntando la vicenda lavorativa, familiare e sociale del soggetto, si corona nell’atto cultuale del salàt (preghiera rituale), integrandone tutte le dimensioni esistenziali;137 a queste, a ciascuna di esse, viene conferito rienza religiosa si possa «dare un’interpretazione riduttiva, come accade quando la si consideri in una ristretta prospettiva psicologica, se non addirittura psicopatologica, o quando la si guardi unicamente sotto l’angolo delle sue ricadute politico-sociali, o quando la si giudichi sbrigativamente come un equivoco epistemologico, e cioè come una falsa conoscenza, confinandola nel puro e semplice campo dell’irrazionale e degli affetti». Poco oltre, lo stesso Autore menziona la precomprensione razionalistica e storicistica di Croce, che vincolò De Martino a un’idea di religione intesa come «errore» (ivi, pp. 123-124). Per analoghe osservazioni, sempre nell’ambito antropologico-culturale, cfr. anche LEWIS I.M., Le religioni estatiche. Studio antropologico sulla possessione spiritica e sullo sciamanismo, Ubaldini, Roma 1972 (1971), p. 28. 134 FEUERBACH L.A., L’essenza del cristianesimo, in I D., Opere, Laterza, Bari 1965, pp. 194, 210 et circa. 135 Concetto elaborato, sulla scorta di suggestioni esistenzialistiche, dal marxista DE MARTINO E., op. cit., pp. 668-669; cfr. anche TULLIO-ALTAN C., Sullo specifico, cit., pp. 42-43; ID., Soggetto, cit., p. 45. 136 VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 336. Cfr. infra la nota n. 163. 137 Sull’islàm inteso come religione dell’«integralità» e della «ricomposizione» vd., sotto il profilo storico (ma con molta cautela per quanto riguarda la comparazione con il cristianesimo), SCARCIA AMORETTI B., Il mondo musulmano. Quindici secoli di storia, Carocci, Roma 1998, pp. 15-18. Da un punto di vista psicologico-sociale CARRIER H., Psicosociologia dell’appartenenza religiosa, Elledici, Leumann (TO) 1965, scriveva nel suo celebre studio del «ruolo unificatore dei sentimenti religiosi nell’individuo» (ivi, p. 159), nel quale «il sapere religioso non genererà un atteggiamento comprensivo o stabile se 113 Franz Brandmayr un alto significato,138 un significato sacrale che le rende, in certo modo, delle ripetizioni umane di un modello divino.139 Questa “uscita dalla storia” per mezzo del rito, definita «destorificazione rituale»140 dall’etnologo neomarxista Ernesto De Martino, non è che il preludio di quella reintegrazione nella storia e di quella restituzione del soggetto ai suoi compiti ordinari,141 che costituiscono il suo impegno di uomo e di fedele.142 Dopo la preghiera egli non è più identico a prima; ciò che sembrava essere solo un peso gravoso o intollerabile, il fardello esistenziale, ora ha assunto un’altra sembianza. Identificarsi con il modello divino, addirittura trasformarsi in esso,143 infatti, può non unificando progressivamente tutti i livelli di comportamento. L’appartenenza religiosa non sarà psicologicamente significativa e durevole se non viene integrata armoniosamente nel sistema di valori che forniscono alla personalità i suoi orientamenti maggiori» (ivi, p. 162). Dal che si evince il significato della religione come potenza integratrice [ivi, p. 286; peraltro la funzione di «polo integratore» (ivi, p. 287) sarebbe assolta anche dalle «filosofie di vita» ateistiche (cfr. supra la nota n. 108 e infra la nota n. 158)]. Pertanto l’orientamento del soggetto al polo religioso, se scelto consapevolmente e con una certa costanza, ne determinerebbe l’unificazione delle motivazioni e del comportamento (ivi, pp. 313 e 320). 138 Sul «conferimento di senso» che deriva dall’«identificazione con il valore» vd. TULLIO-ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 50-51. 139 ELIADE M., Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 19843 (1956), pp. 64-65. 140 TULLIO-ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 44-45. 141 È qui che emerge il significato della religione intesa come «modello per» l’edificazione di un modello di uomo, o di una società, o di una economia etc. più aderenti al paradigma sacrale (GEERTZ C., La religione, cit., pp. 118-120). 142 Si tratta di un «innesto concreto operativo nella società e nella storia» (D E MARTINO E., op. cit., p. 666). 143 Va chiarito che queste espressioni, che riecheggiano evidenti motivi eliadiani (cfr. supra la nota n. 139), probabilmente non sarebbero fra quelle più adoperate da un musulmano comune, il quale preferirebbe quasi certamente riferirsi alla propria «adeguazione alla volontà di Dio» (P EIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., p. 21). Ciononostante sono di matrice prettamente coranica il riferimento 114 Parlare di Islàm rendere più affrontabili anche le prove più severe, quelle con le quali solo un dio potrebbe cimentarsi. Esse non rappresentano più un motivo di angoscia, perché hanno assunto una forma:144 sono diventate, appunto, “prove”, mentre, prima dell’autotrascendimento del soggetto nel valore, costituivano una realtà oscura, angosciosa e “senza nome”, il cui significato profondo non era ancora decifrabile. In altre parole, svolgere il lavoro quotidiano, o aiutare la propria consorte a fare le compere, o praticare lo jogging con lei145 possono diventare “azioni sacre”, piene di bellezza e di “incanto”146, se il soggetto le intraprende con una somma cura di niyya147, cioè con la retta “intenzione” di adeguarsi al modello coranico o a quello dei Detti del Profeta (in all’infusione dello spirito di Dio nell’uomo (Cor XIX, 29; XXXII, 9 s.) e il conferimento allo stesso uomo della “forma più perfetta” (Cor XCI, 4). 144 Mi rifaccio alla distinzione psicologica fra angoscia e paura (cfr. R EBER A. S., s.v. Angoscia, in ID., Dizionario di psicologia, Pagine, Roma 1996, p. 41). Vd. le importanti osservazioni antropologico-culturali di G EERTZ C., La religione, cit., pp. 130-132 intorno alle religioni intese come sistemi di significato fondamentali nell’elaborazione di risposte teoriche ed esistenziali allo scacco della malattia, della sofferenza e della morte. 145 Vd. Coll. 06/04/2009, in cui il presidente del Centro culturale islamico di Trieste e della Venezia Giulia, Saleh Igbaria, richiamava il noto hadìth nel quale il Profeta si cimenta nella corsa gareggiando con la giovane moglie Aishà. Chi scrive coglie l’occasione per ringraziare cordialmente l’amico Saleh e tutti i membri del Centro che, in questi diciotto anni, si sono prestati a collaborare a tutte le iniziative sempre con grande prontezza e generosità. 146 Adopero l’espressione con un esplicito riferimento al concetto weberiano di «disincantamento del mondo» [cfr. ad es. A RON R., Max Weber, in ID., Le tappe del pensiero sociologico. Montesquieu, Comte, Marx, Tocqueville, Durkheim, Pareto, Weber, Mondadori, Milano 1978 5 (1965), p. 497]. 147 PEIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., pp. 68-71 e 114. 148 Non sussistono differenze fondamentali fra le accezioni islamica e cristiana dell’intenzionalità morale [cfr. HAERING B., Liberi e fedeli in Cristo. Teologia morale per preti e laici. I. Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi (Gal 5, 1), Paoline, Roma 19802 (1978), p. 241]. 115 Franz Brandmayr termini teologico-morali148 si potrebbe scrivere: orientando a Dio ogni finalità spirituale e morale dell’atto). Il devoto, con questo, viene reintegrato nella dimensione storica nella sua autentica veste di “servitore”149, di creatura che ha ridefinito la sua relazione con il Creatore, creatura per la quale, solo ora, dopo l’Incontro, ogni vicenda, ogni situazione ha preso il suo senso, cioè “la” giusta direzione. Da ciò scaturisce l’equilibrio150 psicologico, la sicurezza, la convinzione e la «fiera coscienza di essere servo di tale padrone»151; da ciò un impegno familiare, sociale ed eventualmente politico, che, contrariamente a quanto sostiene il luogo comune occidentalista, trae discernimento ed energia operativi proprio dall’evento rituale.152 Da quanto scritto sembra possibile inferire che Peirone e Rizzardi si riferiscano a questo genere di esperienza, o a qualche cosa di simile, quando definiscono l’islàm come una profonda «accettazione della natura teomorfica dell’uomo»153. Si è chiamati qui a porre una particolare attenzione, in quanto pare possibile cogliere una palese istanza di valorizzazione antropologico-filosofica, proprio là dove il punto di vista occidentale moderno potrebbe invece riconoscere la mortificazio- 149 Cfr. supra la nota n. 95. VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 298. 151 Ivi, p. 367. 152 Cfr. supra le note nn. 128 e 141. 153 PEIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., pp. 21 e 113. Anche in ciò, pur senza indebite confusioni, può venire riconosciuta una certa affinità fra i tre grandi monoteismi: il tema biblico dell’uomo-imago Dei (Gn 1, 27), infatti, è tanto familiare agli ebrei quanto ai cristiani, al punto che i cristiani d’Oriente sono soliti indicare nella qšwsij (theosis = “deificazione”) la meta dell’itinerario cristiano (SPIDLIK T., op. cit., p. 42). A conferma del significato di accettazione sotteso al concetto di islàm concorre anche la traduzione dello stesso con «abbandono [confidente a Dio]» (cfr. P EIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., p. 104). 150 116 Parlare di Islàm ne di ogni autorealizzazione154 e l’asservimento alienante ad una volontà eteronoma.155 Sembra plausibile, ancora, accostare la dimensione teomorfica sottesa all’islàm anche alla concezione dei grandi umanesimi atei, i quali, anche quando non propongono una visione deificata156 dell’uomo, sembrano, in ogni caso, avanzare una pretesa “prometeica”157, una “sostituzione”158 di Dio con istanze puramente antropologico-filosofiche, tese a innalzare il valore dell’uomo alla misura più elevata. 154 Cfr. REBER A.S., s.v. Realizzazione, motivazione alla, in ID., Dizionario, cit., p. 672. Scriveva in un’ottica filosofica e da un punto di vista cristiano (che, nella prospettiva avalutativa del presente contributo, viene accolto per il suo valore di testimonianza significativa per la comparazione interculturale fra cattolicesimo, pensiero occidentale secolarizzato e islàm) Zelindo Trenti: «Circa il problema di Dio gioca molto, a mio parere, una rivendicazione esasperata di libertà, che sembra forzare l’uomo contemporaneo ad una sconcertante alternativa: o accogliere Dio, svilendo la dignità dell’uomo, o pronunciarsi per l’uomo, rifiutando – come necessaria conseguenza – Dio» [T RENTI Z., Esperienza e trascendenza, Elledici, Leumann (TO) 1982, p. 108]. Nel soggetto islamico solitamente non è attivo (non ancora?) questo dualismo uomo/ Dio, tipicamente europeo e laicista, che è andato producendosi nel corso degli ultimi tre secoli nella storia della filosofia occidentale. Van der Leeuw sembra confermare la contrapposizione fra le sensibilità monoteistica e laicista: «La servitù verso Dio sta agli antipodi dell’opposizione titanica» (cfr. VAN DER LEEUW G., op. cit., p. 367). Per una trattazione filosofica di ampio respiro, nella quale emergano in tutta la loro evidenza le implicazioni di questa dicotomia vd. ad es. V ANNINI M., Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1996, passim. 156 Cfr. ad es. FEUERBACH L.A., L’essenza del cristianesimo, in ID., Opere, Laterza, Bari 1965, pp. 180-181. 157 TRENTI Z., op. cit., pp. 123-127. 158 Vale richiamare il concetto di “religioni di sostituzione”, che gli psicologi delle religioni hanno spesso applicato alle grandi ideologie sorte successivamente alla rivoluzione francese [cfr., ad es., C ARRIER H., op. cit., pp. 287-289; VERGOTE A., Psicologia religiosa, Borla, Roma 1979 (1967), p. 263]. 155 117 Franz Brandmayr In comune alle due visioni è ancora verosimile individuare un valore caro alla tradizione ebraico-cristiana159 e, certamente con un’accezione diversa, liberale: la libertà. Si è visto che la natura teomorfica dell’uomo si realizzerebbe nell’adeguazione alla volontà di Dio, manifestata nella sua Parola (rivelata nel Corano). In questa sede interessa soprattutto rimarcare il fatto che questa adeguazione parte da un “assenso intimo” (tasdìq) alla parola di Dio, libera adesione ad un “progetto”, direbbero i cristiani influenzati da Heidegger,160 e risposta ad una chiamata alla completa realizzazione del Sé161 in Dio. Il tasdìq, pertanto, sembra configurarsi come garanzia di una dimensione fondamentale per la coscienza dell’occidentale: la libertà. Solo da essa deriverebbe la sottomissione, l’islàm. La libera scelta, inoltre, non pare esaurirsi in un atto di ligia e fredda obbedienza. Al contrario, i gesti più importanti che il muslìm viene invitato a compiere sembrano derivare dal suo amore per Dio: Non è pietà (= “[autentico] bene religioso”) volgere il volto a oriente o a occidente… È pietà impoverirsi per suo amore – e largheggiare in beni verso 159 Non volendo appesantire ulteriormente l’apparato delle note richiamo soltanto due autori significativi e, sicuramente, non sospetti di cristianocentrismo, nelle cui opere emerge nitidamente la valenza di liberazione delle tradizioni scritturistiche ebraica e cristiana: B LOCH E., Ateismo nel cristianesimo. Per la religione dell’Esodo e del Regno, Feltrinelli, Milano 19836 (1968), passim; FROMM E., Voi sarete come dei. Un’interpretazione radicale del Vecchio Testamento e della sua tradizione, Ubaldini, Roma 1970 (1966), passim. 160 Cfr. ad es. HEIDEGGER M., Essere e tempo, Longanesi, Milano 19765 (1927), pp. 316-324. 161 Cioè, per dirla con Jung, della «unità e della totalità della persona» (I D., op. cit., p. 100). Il linguaggio della psicologia analitica presenta, notoriamente, interessanti analogie con quello filosofico utilizzato da svariati mistici (cfr. VANNINI M., op. cit., passim). 118 Parlare di Islàm i parenti, gli orfani, gli emarginati, i pellegrini, i mendicanti. È pietà sciogliere le catene ai prigionieri…162 Gli aspetti rituali, come l’orientamento verso la qibla (= “direzione”) della Mecca, vengono, dunque, in subordine: pare centrale, piuttosto, l’esigenza di un amore, di una dedizione devota all’Altissimo, tale da indurre il fedele a donare e a donarsi ai suoi fratelli. È questo uno dei motivi che inducono certi addetti ai lavori a tradurre, preferibilmente, con “oblato”163 [= “donato” (a Dio)] il lemma “musulmano”. Mettendo ulteriormente a fuoco la dimensione del servizio, c’è appena da ricordare che per il cristiano consapevole dovrebbe essere meno difficile riconoscere nella sottomissione una riproposizione del modello del “servo del Signore” 164, l’obbediente,165 dell’ebèd Adonài del profeta Isaia166. Di questa figura misteriosa di redentore sofferente, nella quale la tradizione evangelica ha voluto scorgere, non a caso, una prefigurazione del Cristo,167 nel VII secolo a.C. si scrive che sarebbe stata «onorata, esaltata e molto innalzata»168, fino a presentare (naturalmente solo per i cristiani) 169 dei caratteri divini. Gesù di Nazaret stesso, secondo i cristiani «vero uomo e vero 162 Cor II, 177; la parentesi quadra è dello scrivente. Cfr. ad es. TAGLIAFERRI F., Islam e informazione, in SIGGILLINO I. (a cura di), op. cit., p. 125. Cfr. supra la nota n. 136. 164 Cfr. AMATO A., Gesù il Signore. Saggio di cristologia, Dehoniane, Bologna 19912 (1988), pp. 78-85. 165 VAN DER LEEUW G., op. cit., pp. 368 e 370. 166 Is 42, 1-7; 49, 1-6; 50, 4-9; 52, 13-53, 12. 167 Mt 12, 15-21. 168 Is 52, 13. 169 Per gli ebrei, ovviamente, il “servo del Signore” non può avere prerogative divine, ma, senz’altro, messianiche. 163 119 Franz Brandmayr Dio»170, si sarebbe definito: «colui che serve» 171. Ciò vale a confermare, pare, una compresenza dell’elemento “diaconale” 172, del servizio, e, al contempo, della qualità “divina” del medesimo modello. Dopo questo modesto esercizio ermeneutico, quindi, sembra di potere rispondere negativamente alla domanda di partenza: l’islàm non pare configurarsi come una religione di schiavi. Meglio, se vissuto coerentemente con le valenze sottese al concetto di tasdìq (= “assenso intimo”), esso potrebbe contenere degli elementi di grande valorizzazione, da un lato, della persona umana e, dall’altro, dei principi etici del servizio e della responsabilità, ideali, in fondo, che l’Occidente attuale in parte ancora condivide.173 Dopo esserci soffermati su alcune delle sfumature semantiche sottese al concetto di islàm, si pone il problema di abbozzare un’eziologia della comprensione lacunosa del concetto di islàm 170 Cfr. il Simbolo niceno-costantinopolitano in A MATO A., op. cit., p. 185. Lc 22, 27. 172 Diakon…a-diakonia = “servizio” (MONTANARI F., op. cit., s.v.). È termine adoperato solitamente nel contesto teologico cristiano per designare l’atteggiamento di fondo del battezzato (cfr. Lumen Gentium, 32). 173 Può risultare interessante constatare come Lutero, considerato da certuni uno dei grandi profeti della modernità (cfr. ad es. K ANTZENBACH F.W., Lutero. Il riformatore borghese, Paoline, Roma 1973, pp. 11-15), coniughi in un suo celebre testo le figure del servo e del dominus come stigmi complementari ed indivisibili del cristiano: «Ein Christenmensch ist ein freier Herr ueber alle Dinge und niemand untertan. / Ein Christenmensch ist ein dienstbarer Knecht aller Dinge und jedermann untertan» [Un cristiano è un libero signore di tutte le cose ed a nessuno sottomesso. / Un cristiano è un servitore premuroso in ogni cosa e sottomesso ad ognuno]. (LUTHER M., Von der Freiheit eines Christenmenschen. Fuenf Schriften aus den Anfaengen der Reformation, Calwer Verlag, Stuttgart 1982, p. 162; traduzione dello scrivente). 171 120 Parlare di Islàm da parte dell’Occidente.174 Fra le tante opzioni possibili chi scrive ritiene che un contributo sintetico in questo senso possa provenire soprattutto dalla constatazione di come, in molti casi, l’approccio euroamericano all’islàm sia affetto da un limite sostanziale: la sua forma mentis liberale,175 portata ad enfatizzare, talvolta radicalmente,176 il valore della libertà (secondo qualche autore la fraternità e l’eguaglianza non sembrerebbero stare altrettanto a cuore all’Occidente)177, le cui interpretazione e pratica vengono declinate, come è comprensibile, secondo una sensibilità individualistica178 squisitamente occidentale.179 È possibile, perciò, che il punto di forza (o presunto tale) 180 174 Le considerazioni che seguono prescindono consapevolmente dalla triplice stratificazione in cui si sedimentano gli antichi e i nuovi stereotipi e pregiudizi nei confronti dell’islàm che informano l’occidentale ideal-tipico (per queste tematiche mi permetto di rinviare ai contributi elencati supra alla nota n. 23). 175 Si vedano supra, ad es., le note nn. 9 e 10 sugli occidentalismi, ciascuno dei quali costituisce una sfida teoretica, ma soprattutto etico-sociale ed eticopolitica, lanciata alle organizzazioni internazionali, ai governi come pure alle amministrazioni locali dei singoli Stati. Sul concetto di libertà inteso come punto di appoggio archimedeo delle eurocentriche idee-forza di “civilizzazione”, “progresso” e “sviluppo” vd. ad es. CHAKRABARTY D., L’artificio, cit., p. 63. 176 Cfr. supra la nota n. 58. 177 Sotto il profilo filosofico vd. CICCHESE G., I percorsi dell’altro. Antropologia e storia, Città Nuova, Roma 1999, pp. 252-257; da una prospettiva sociologica TOURAINE A., op. cit., p. 159 sottolineava come la tendenza degli anni Novanta (forse anche quella attuale?) fosse quella di far coincidere la democrazia con la tutela del «principio di libertà», lasciando in ombra la fratellanza e l’eguaglianza, a suo parere altrettanto necessarie alla costruzione di una società democratica. 178 Cfr. supra la nota n. 58. 179 Strettamente connessa all’affermazione degli “occidentalismi” (cfr. supra le note nn. 9 e 10). 180 Secondo svariati autori il neo-capitalismo (cfr. ad es. SENNETT R., op. cit., p. 18) non sembrerebbe favorire uno sviluppo sociale e politico in senso autenticamente liberale; più in generale si veda la bibliografia richiamata supra alla nota n. 58. 121 Franz Brandmayr della cultura dominante dell’Occidente, la libertà, rappresenti, anche paradossalmente, il maggiore impedimento alla comprensione del concetto di islàm. Non si tratta qui, naturalmente, di misconoscere le conquiste della Civiltà occidentale181 in fatto di diritti civili, bensì della necessità di un confronto serio con i punti di vista “altri”.182 Il fatto che, per limitarci a qualche esempio tratto dagli islàm del Medio Oriente, 183 in essi venga dato un grande rilievo agli “idiomi di rappresentanza”184 costituiti dalla famiglia 185 allargata, dal clan, 186 dalla tribù187 e dalla comunità di villaggio, e che la genealogia comune al gruppo, 188 il patronato e il rapporto clientelare 189 e che il senso dell’onore e della vergogna190 ricoprano una funzione decisiva nelle relazioni socia- 181 Per un ambito di civiltà più ampio di quello musulmano, ma che può includere l’islàm cfr. ad es. le osservazioni di CHAKRABARTY D., L’artificio, cit., p. 60. 182 GEERTZ C., Mondo, cit., pp. 74-75; M ARLETTI C., Le immagini, cit., pp. 149 e 155. 183 Espressione che, nel linguaggio antropologico, designa anche l’Africa musulmana [FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 453]. 184 DAVIS J., Antropologia delle società mediterranee, Rosenberg & Sellier, Torino 1980, p. 141. 185 La stessa famiglia nucleare è influenzata da modelli profondamente diversi da quelli europei [MACIOTI M.I.-PUGLIESE E., Gli immigrati in Italia, Laterza, Roma-Bari 19985 (1991), p. 192]. 186 PEIRONE F.J.-RIZZARDI G., op. cit., p. 58. 187 SCHMIDT DI FRIEDBERG O., s.v. Islamizzazione, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 389. 188 SACCHI P., s.v. Medio Oriente, culture del, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 454. 189 SACCHI P., s.v. Antropologia mediterranea, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 73. 190 DAVIS J., op. cit., pp. 101-114; SACCHI P., s.v. Antropologia mediterranea, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 73; E AD., s.v. Medio Oriente, cit., p. 455. 122 Parlare di Islàm li,191 tutto ciò sembra poter mettere in profonda e ulteriore crisi un assetto, quello occidentale, che, peraltro, con questi cosiddetti retaggi premoderni non ha cessato di misurarsi e non sempre vittoriosamente.192 Tutto ciò va ad aggiungersi agli attacchi, storicamente recentissimi, portati da Ovest e da Est: l’americanizzazione o la religione dei consumi,193 infatti, e, rispettivamente, le minacciose versioni estremo-orientali della “via alla crescita”194 economica hanno già complicato e sovvertito il quadro sociale e culturale di quell’Occidente che – reduce dallo sconvolgimento del secondo conflitto mondiale – per decenni era andato facendosi paladino dei valori democratici in contrapposizione ai totalitarismi di vario conio. Tuttavia, nonostante queste profonde modificazioni intervenute nello scenario globale, una certa riflessione politologica195 sembra insistere nel volere interpretare la real- 191 Sono le cosiddette «lealtà primordiali» (GEERTZ C., Mondo, cit., pp. 85-86), fenomeni socioculturali che vanno studiati con somma cura prima di operare un indebito riduzionismo degli stessi ai corrispettivi fenomeni italiani ed europei, storicamente e culturalmente collocati in tutt’altro contesto; vd. anche la nota ultra. 192 Per quanto concerne il caso italiano cfr. supra le note nn. 54 e 60. 193 RITZER G., La religione dei consumi. Cattedrali, pellegrinaggi e riti dell’iperconsumismo, Il Mulino, Bologna 2000 (1999), pp. 65 et passim; per una posizione sociologica differente, nella quale viene messa in discussione la visione della globalizzazione come esito dell’influenza imperialistica americana, vd. S ASSATELLI R., Consumo, cultura e società, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 213-223. 194 SENNETT R., op. cit., p. 12. 195 Vd. ad es. RUSCONI G.E., Possiamo fare a meno di una religione civile?, Laterza, Roma-Bari 1999, passim e SARTORI G., Pluralismo, multiculturalismo e estranei, Rizzoli, Milano 2002, passim. Per una analisi sintetica della differente posizione teorica dei due politologi vd. GUOLO R., Xenofobi e xenofili. Gli italiani e l’islam, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 101-108. Pur avendolo trovato partecipe di una certa lettura occidentalista, ho apprezzato invece in S AMIR KH.S., Islam. Dall’apostasia alla violenza, Cantagalli, Siena, 2008, passim uno spessore 123 Franz Brandmayr tà odierna alla luce pressoché esclusiva degli strumenti concettuali tradizionali196 della filosofia politica liberale, non riuscendo, a mio avviso, a decifrare compiutamente il novum che – con evidenza crescente – va affacciandosi e prendendo piede negli ultimi decenni soprattutto sotto le forme le più molteplici della “voglia di comunità”197. Ancora, in un ambito diverso198 da quello delle formazioni sociali, cioè in quello dei rapporti fra il potere politico e le istanze religiose, l’islàm ha dato un’interpretazione «di circolarità e di scambio reciproco»199 e di ricomposizione e di «integralità»200, che sovente viene bollato semplicisticamente come “integralismo” 201 interpretativo non comune; le pur pesanti critiche portate all’islàm nel suo testo divulgativo (si tratta di una raccolta di articoli scritti per l’Agenzia AsiaNews), lasciano trasparire, oltre ad una grande profondità nelle conoscenze islamologiche, una illuminante lucidità analitica delle problematiche in gioco ed una sincera empatia con l’oggetto di studio. 196 Cfr. supra le note nn. 9 e 10 e infra la nota n. 207. 197 BAUMAN Z., Voglia di comunità, Laterza, Bari 2001, passim; cfr. anche ARDIGÒ A., Prefazione, in PARSONS T., Comunità societaria e pluralismo. Le differenze etniche e religiose nel complesso della cittadinanza, Franco Angeli, Milano 1994, p. 12. 198 Diverso, ciò va rimarcato, soprattutto per l’occidentale secolarizzato (cfr. infra le note nn. 200 e 201). 199 MARLETTI C., Le immagini, cit., p. 143. 200 Cfr. supra la nota n. 137. È noto che il modello del protestantesimo battista, al pari di quello laicista, peraltro, propugni un regime di totale separazione (MARLETTI C., ib.) fra lo Stato e le organizzazioni religiose, modello che sarebbe in grado di garantire l’esercizio dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini [per un primo approccio alle tematiche della laicità dello Stato si vedano da un punto di vista filosofico, ad es.: POSSENTI V., Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2007, passim e, da una prospettiva storica, REMOND R., La secolarizzazione. Religione e società nell’Europa contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2003 (1998), passim]. 201 Per una definizione argomentata di integralismo vd. P ACE E.-GUOLO R., I fondamentalismi, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 9-11. Per una critica antropolo- 124 Parlare di Islàm religioso202. Da ultimo, per porre fine a questo breve elenco di nodi tematici controversi, lo stesso concetto di persona, 203 che ha influito come pochi altri sugli sviluppi storici della Civiltà occidentale, pur potendo rappresentare un utile tramite fra le istanze individualistica e comunitaristica che sembrano collidere nel contatto fra l’Occidente e i mondi “Altri”, la stessa idea di persona, si diceva, non è certo immediatamente assimilabile alla concezione della soggettività così come essa emerge, ad esempio, dalla forma linguistica araba nisba studiata da Geertz nel Marocco verso la metà degli anni Sessanta del secolo scorso.204 gico-culturale dell’assioma liberale della religione intesa come fatto “interiore” e privato vd., ad es., supra la nota n. 128. 202 Meriterebbero una trattazione a sé stante le splendide riflessioni di CHAKRABARTY D., Storia, cit., pp. 146 et passim, ove emerge nitidamente l’aporia fra l’esigenza storicistica (e occidentale) dell’analisi storiografica democratico-marxista e le narrazioni dei contadini-rivoluzionari santal, che dichiaravano di essersi ribellati agli inglesi solo perché il dio Thakur li aveva spinti a farlo. La riduzione al piano filosofico dell’immanenza di quella che – per i rivoluzionari – era un’esperienza “sacra”, che integrava i piani soprannaturale/naturale (mai avvertiti come opposti o escludentisi a vicenda), risulta essere, in questo modo, eurocentrica e, da un punto di vista scientifico [cioè non segnato dal fondamentalismo occidentalista (cfr. infra la nota n. 219)], esposta al dubbio metodologico e suscettibile di discussione. 203 Nozione di matrice essenzialmente cristiana e che va accuratamente distinta dal concetto di “individuo” (da un punto di vista filosofico cfr., da diverse angolature prospettiche, ad es., CICCHESE G., op. cit., soprattutto alle pp. 143-144 et passim; LAURENT A., op. cit., pp. 31-32 et alibi). 204 Dalle sue osservazioni l’Autore ricava una concezione del soggetto nella quale la relazionalità e l’individualità sembrano armonizzarsi (G EERTZ C., Antropologia interpretativa, cit., pp. 75-76 e 83-88): «La società marocchina non affronta la propria diversità separandosi in caste, isolandosi in tribù, dividendosi in gruppi etnici, o coprendosi con qualche concetto comune a tutti come quello di nazionalità […] La affronta distinguendo, con elaborata pre- 125 Franz Brandmayr Le dinamiche sociali, che coinvolgono un po’ tutte le «strutture di attendibilità»205 or ora menzionate, vengono sovente analizzate attraverso categorie (nazione, etnia, intolleranza, religione, fanatismo, l’opposizione comunitarismo vs. individualità etc.) elaborate entro quadri concettuali – assai triti – tutti di matrice prettamente euroamericana.206 Le cause della conflittualità, che talvolta si verifica nell’incontro/scontro tra diversi sistemi di significato (per quanto qui interessa: fra Occidente e islàm), vengono così semplicisticamente ricondotte agli “atavismi”207, con un riduzionismo che spesso risulta essere funzionale all’universalismo liberale fatto proprio dalla sinistra riformista.208 Nel confronto con l’islàm, invece, potrebbe essere insita un’«occasione»: quella di «superare le troppo facili generalizza- cisione, i contesti – matrimonio, religiosità, entro certi limiti anche la dieta, il diritto, e l’educazione – all’interno dei quali gli uomini sono separati da coloro che sono dissimili, e i contesti – lavoro, amicizia, politica, commercio – dove sebbene con cautela e in modo condizionato, essi sono collegati agli altri» (ivi, pp. 86-87). Secondo l’Autore questa filosofia della soggettività sarebbe comune a tutto il Medio Oriente (ivi, p. 86). Per uno studio comparativo sulle diverse concezioni dell’individualità concepite all’interno di differenti culture si veda DOUGLAS M., Un esempio di stile di pensiero: l’idea del sé, in EAD., Credere e pensare, Il Mulino, Bologna 1994 (1992), pp. 75-103. 205 «Se mettiamo insieme tutti questi fattori – concezioni della realtà accolte dalla società, rapporti sociali in cui si assumono tali concezioni come indiscutibili, terapie e legittimazioni che le salvaguardano e le accreditano – abbiamo tutta la struttura di attendibilità che sorregge la convinzione suddetta» (BERGER P.L., op. cit., p. 56). 206 È per questo motivo che va affermandosi una corrente di studi antropologico-culturali denominata antropologia islamica, la quale, differenziandosi dall’antropologia dell’islàm, si propone di studiare la realtà socioculturale dei paesi di tradizione musulmana attraverso strumenti concettuali e metodiche elaborate all’interno dell’islàm stesso [SCHELLENBAUM P., s.v. Islam, antropologia dell’, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 388]. 207 GEERTZ C., Mondo, cit., p. 82. 208 Cfr. ad es. GUOLO R., op. cit., pp. 37-38. 126 Parlare di Islàm zioni… [e di] tornare a problematizzare il rapporto fra politica, società e valori»209. In altre parole, il liberalismo andrebbe riconosciuto, secondo alcuni, nella sua origine culturale determinata210 e relativa ad uno specifico contesto storico, non estensibile ad altri ambiti senza un previo Sitz im Leben.211 È possibile, ad esempio mediare fra i diritti dei singoli ed i cosiddetti “diritti delle collettività”? O, al contrario, è indispensabile che lo spazio pubblico debba rimanere cieco alle differenze culturali212 e alle singole “identità” etniche e religiose? Esistono soluzioni intermedie?213 Certo, le risposte a queste domande non sono sempre semplici e il fatto che i mondi accademico e politico europei preferiscano porle, fra gli intellettuali di cultura islamica, ai non-religiosi214 sembra testimoniare la difficoltà di un Verstehen autentico da parte “laica”, comprensione che sembra decisamente più agevole, pur fra tante difficoltà, per i cristiani.215 Il dialogo, 209 MARLETTI C., Premessa, cit., p. 17. GEERTZ C., Mondo, cit., ib. 211 Richiamo questa nozione dal contesto esegetico biblico [F USCO V., s.v. Vangeli, in AA.VV. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), pp. 1613-1614], nel quale ha dato risultati importanti proprio in quanto modo di procedere analitico per «piccole unità letterarie» e teso alla ricostruzione del quadro storico e culturale d’insieme dell’ambiente che ha prodotto la letteratura neotestamentaria. 212 Cfr. COLOMBO E., op. cit., p. 64. 213 Per un approfondimento delle questioni sollevate si veda, ad es., H ABERMAS J.-TAYLOR CH., Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli, Milano 2008 (1996), passim e, più in generale, la bibliografia ragionata proposta da COLOMBO E., op. cit., pp. 123-127. 214 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 60; cfr. anche MARLETTI C., Le immagini, cit., p. 155. 215 Coll. 06/04/2009. Cfr. supra la nota n. 195. Si veda anche, ad es., la lettera che i «Centotrentotto saggi» hanno inviato alle Chiese cristiane nel 2007 e si confronti Cor XXX, 1-3 la celebre Sura dei Romani. Certamente non vanno dimenticate quelle componenti cristiane o, talvolta, sedicenti tali, che si collocano in una prospettiva di scontro con l’islàm, in nome di istanze spesso 210 127 Franz Brandmayr inoltre, sembra schiudere prospettive più favorevoli particolarmente nei contatti con i musulmani europei, fra i quali sembra venire a prodursi “un nuovo discorso islamico”,216 determinato dalla necessità di adattamento dei credenti alle condizioni di vita occidentali. Se venisse, al contrario, disattesa l’istanza di una seria messa in discussione degli occidentalismi, l’affermazione acritica (perché decontestualizzata rispetto alle nuove emergenze) dei caratteristici valori legati alla concezione liberale dello Stato, all’individualismo, al libero mercato,217 alla democrazia e ai diritti dell’uomo e della donna, che non di rado si accompagnano all’islamofobia,218 rischierebbe di dare vita ad un vero e proprio “fondamentalismo culturalista occidentale”219, intorno al quale gli studiosi scrivono da svariati anni. I gruppi di interesse che si fanno portatori di questo complesso di valori, istituzioni ed ethoi sembrano talvolta presumere di attraversare senza adattamento alcuno l’ineluttabile esperienza dell’”insalatiera etnica”220, “sacralizzando”221 la propria Weltanschauung, quasi in difesa radicale diversificate (per il cattolicesimo italiano una sintesi svolta dal punto di vista “laico” è reperibile in GUOLO R., op. cit., pp. 72-76, 81-99 e 108-120; cfr. anche infra la nota n. 221). 216 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 59. 217 ARDIGÒ A., op. cit., pp. 13-14. 218 Cfr. ad es. SARTORI G., Pluralismo, multiculturalismo e estranei, Rizzoli, Milano 2002, passim e la valutazione critica che del volume del politologo fiorentino riporta GUOLO R., op. cit., pp. 101-105; vd. anche ivi, pp. 120-125. 219 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 61. 220 Cfr. BERNARDI U., La nuova insalatiera etnica. Società multiculturale e relazioni interetniche nell’era della globalizzazione, Franco Angeli, Milano 2000, passim. 221 Sottraendo, cioè, alla discussione (cfr. REMOTTI F., Noi, primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 156-157) i valori propri della concezione occidentale del mondo. Una versione italiana di questa difesa strenua degli occidentalismi sembra reperibile anche in un sociologo 128 Parlare di Islàm ed estrema di un assetto sociale e politico, che avvertono come esposto al rischio di venire progressivamente meno. Porsi in una posizione autenticamente democratica e liberale potrebbe voler significare anche cogliere i limiti, forse, di certe pur anche felici esperienze storiche occidentali, che si ricollegano al pensiero liberale, operando una valutazione in misurato e profondo come GUOLO R., op. cit., p. 154, quando, trattando dell’integrazione dei musulmani nella società italiana, scrive che «la “difesa” dell’identità italiana avviene […] a partire dai principi costituzionali, di matrice universalistica; non a partire dagli orientamenti religiosi ed etnici inevitabilmente legati alla specifica identità culturale del paese». In questo passaggio si dà per scontata una serie di assiomi tutti, a parere di chi scrive, da discutere: a) che i principi costituzionali siano “universali” e super partes e non rispondano, invece, alle esigenze storicamente e culturalmente condizionate di una certa porzione di umanità (cfr. ad es. supra le note nn. 9 e 10); b) che i soggetti e le aggregazioni che si identificano con i contenuti della Costituzione della Repubblica italiana non configurino un ethnos inteso nel senso tecnico di «collettività» (BERNARDI B., op. cit., p. 58) caratterizzata da un complesso di valori, istituzioni, modalità relazionali etc. specifici e qualificabile come “gruppo di interesse”; c) che i gruppi che si fanno promotori dei valori costituzionali non siano portatori del tratto “religioso” tipico delle «ierofanie politiche» (cfr. GENTILE E., op. cit., pp. 16-24), che ne qualificano l’“appartenenza” anche in contesti democratici (cfr. ID., Religioni civili e religioni politiche, in ID., Le religioni della politica, cit., pp. 25-67); d) che gli «orientamenti religiosi […] legati alla specifica identità culturale del paese» (= i cattolici) non siano interpreti anch’essi di un loro peculiare universalismo (cfr. ad es. D AL LAGO A., op. cit., p. 10), che, non a caso, li fa essere protagonisti «significativi» dell’attività di accoglienza degli immigrati [cfr. ad es. ivi, p. 19, nota n. 12; G ARELLI F., La Chiesa in Italia, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 125-126; M ACIOTI M.I.-PUGLIESE E., op. cit., pp. 104-113, 156, 161-162], a qualsiasi cultura/religione essi appartengano; e) che l’islàm non sia anch’esso un universalismo (cfr. ad es. lo stesso GUOLO R., op. cit., p. 10) di pari dignità rispetto all’universalismo costituzionale. In testi di questo tenore non si fatica a riconoscere, a parere dello scrivente, una sorta di ingenuità teoretica, che suffraga apoditticamente posizioni di marca schiettamente occidentalista (vd. supra il paragrafo Premessa metodologica) e secolaristica (cfr. anche GUOLO R., op. cit., p. 105), pure se articolate in una riflessione senz’altro pacata ed intellettualmente onesta. 129 Franz Brandmayr termini meno assoluti e secondo un’ottica critica autenticamente laica.222 Un’alta concezione dell’uomo, in qualche modo comune a laici, a cristiani e a musulmani, infatti, quand’anche connotata da riferimenti ultimi differenti (nel caso dei laici), non esige necessariamente il conflitto fra le parti. L’ostilità insorge inevitabilmente, invece, quando una o due di esse, o tutte assieme convoglino l’attenzione degli attori culturali esclusivamente verso le differenze, verso ciò che c’è di “unico e irripetibile” nei diversi complessi culturali rimarcandone, magari, l’assoluta alterità ed inconciliabilità con la dotazione culturale altrui. Quando questa costruzione sociale della realtà, che – come è noto – si verifica soprattutto attraverso i media, viene intrapresa in maniera sistematica ed autoreferenziale, può risultarne intensificato il processo dell’etnicità223 e della contrapposizione fra ghetti culturali. Se queste dinamiche sociali possono essere fonte e fondamento – secondo certuni – di una salutare “persistenza culturale”224 dei singoli gruppi, quando venissero esasperate e comportassero una rinuncia ad una piattaforma di valori e di prati- 222 Cfr. BOBBIO N., Perché non ho firmato il “Manifesto laico”, in M ARZO E.-OCONE C. (a cura di), Manifesto laico, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 127 et passim. Sul «liberalismo autoritario» nei confronti degli immigrati si esprime, da posizioni di estrema sinistra, DAL LAGO A., op. cit., pp. 10 e 19. Sul liberalismo inteso come tentativo violento di europeizzazione dell’altro vd., fra i tanti, G EERTZ C., Mondo, cit., p. 73. Sull’importanza della costante negoziazione e di una dialettica sociale che non escluda neanche un certo spazio al conflitto vd. COLOMBO E., op. cit., p. 119. 223 CUCHE D., op. cit., pp. 120-121; SACCHI P., s.v. Etnicità, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 271-272. 224 BERNARDI U., op. cit., pp. 44-45. 130 Parlare di Islàm che socio-politiche condivise,225 potrebbero anche produrre una radicalizzazione dello scontro culturale, quand’anche non una vera e propria conflittualità civile. 225 È in questo senso che SCIORTINO G., Introduzione, in PARSONS T., op. cit., pp. 15-52 ripropone all’attenzione degli studiosi il «modello a rete» della concezione societaria parsonsiana, nella quale si intende «dimostrare il carattere non necessario di ogni opposizione tra reti di solidarietà diffusa, anche di origine ascrittiva [etnie, religioni], e società moderna» (ivi, p. 24; parentesi quadrata dello scrivente). 131