L’illusionismo svelato di The Rake’s Progress CLAUDIO TOSCANI Nel maggio del 1947 Igor Stravinskij visita il Chicago Art Institute, dove è allestita una mostra che espone un ciclo di incisioni realizzate tra il 1732 e il 1733 da William Hogarth, intitolate The Rake’s Progress. Si tratta di otto incisioni su rame, tratte dai quadri originali conservati al Sir John Sloane Museum di Londra, dallo scoperto intento morale ed edificante: la storia raffigurata getta uno sguardo sui costumi e la società di quel tempo, e contiene un palese elemento di critica sociale. Questi i titoli e il contenuto degli otto quadri: 1. L’eredità. Dopo la morte di un ricco mercante l’erede, Tom Rakewell, entra in possesso dei suoi beni. Un sarto gli prende le misure per l’abito funebre; un notaio redige l’inventario, approfittando della distrazione di Tom per derubarlo. Da una porta aperta sono entrate Sarah Young, in lacrime, e sua madre, che reclama a gran voce i diritti della figlia: Tom l’ha sedotta e le ha promesso di sposarla, ma ora tenta di sbarazzarsi della giovane, incinta, offrendole del denaro. 2. Il risveglio. Insediato in una casa lussuosa, Tom è in veste da camera, circondato da parassiti che vivono alle sue spalle. Un maestro francese di danza, un architetto che esamina la pianta di un giardino, un suonatore di corno da caccia, un fantino col suo trofeo, due maestri di scherma, una modista, un poeta e altri individui lo attorniano: personaggi del tempo di Hogarth, che i contemporanei potevano identificare senza sforzo. 3. L’orgia. All’alba, nel bordello The Rose Tavern a Covent Garden. Tom abbraccia una ragazza, che gli sottrae un prezioso orologio passandolo a una complice. Attorno al protagonista scene di lussuria e d’ubriachezza, piatti rotti, bevande rovesciate, una cantante di strada accompagnata da una tromba e un’arpa. 4. L’arresto per debiti. Sperperato il suo patrimonio e gravato dai debiti, Tom si reca a St James per sollecitare una carica dalla regina; ma due ufficiali lo fermano e gli presentano un mandato d’arresto. Interviene Sarah, che cerca di fermare il corso della giustizia offrendo i suoi risparmi. 5. Il matrimonio. Tom Rakewell tenta di risollevare le proprie sorti sposando una ricca ereditiera, vecchia e cieca da un occhio. In una decrepita chiesa della periferia di Londra, Tom infila l’anello al dito della sposa. Sullo sfondo Sarah, che ha in braccio il figlio avuto da Tom, tenta di entrare in chiesa per impedire il matrimonio, ma è respinta dal custode. 6. La casa da gioco. Il matrimonio non ha guarito Rakewell dai suoi vizi: dopo aver perso al gioco la sua intera fortuna, accasciato e senza parrucca, maledice il cielo levando in alto il pugno. Attorno a lui gli altri giocatori continuano a puntare, contano il denaro, barano alle carte. 7. La prigione. Imprigionato per debiti, Rakewell è bersagliato dai sarcasmi della moglie. Sarah, venuta a prestargli soccorso, sviene scorgendolo in questo misero stato; attorno a lei alcune persone la sostengono e le fanno respirare dei sali, mentre il figlioletto si aggrappa alle sue gonne. 8. Il manicomio. Tom è stato internato a Bedlam. In primo piano, seminudo e incatenato, è attorniato da dementi in abiti e atteggiamenti bizzarri. La fedele Sarah è venuta a fargli visita, ma non può fare nient’altro per lui che piangere sul suo triste destino. Dalla mostra, Stravinskij esce con la convinzione d’aver trovato il soggetto per l’opera che medita di scrivere. Già da alcuni anni – precisamente dal momento in cui si è stabilito negli Stati Uniti – coltiva il desiderio di cimentarsi ancora, dopo Mavra, con l’opera in musica: questa volta vorrebbe però utilizzare un testo in lingua inglese. Ha atteso a lungo per avere la certezza di essersi sufficientemente impratichito con un idioma che ha appreso tardi, solo dopo il trasferimento in America; ma a questo punto è sicuro di poter comporre senza pregiudicare quello stretto legame che la sua musica ricerca, sin dal primo momento creativo, con la prosodia della lingua utilizzata. Le incisioni di Hogarth rappresentano già, a tutti gli effetti, i quadri di un’opera teatrale posti in perfetta successione: sono dunque un ottimo punto di partenza per creare un libretto. Occorre solo, allora, trovare chi ne effettui materialmente la stesura. Stravinskij chiede consiglio all’amico Aldous Huxley, suo vicino di casa a Hollywood, che lo indirizza verso il poeta inglese Wystan Hugh Auden, all’epoca anch’egli negli Stati Uniti. Auden ha già collaborato con Benjamin Britten per il film Night Mail, per l’operetta Paul Bunyan, per il ciclo sinfonico Our hunting Fathers con voce e orchestra; tuttavia non ha mai scritto un libretto d’opera. Stravinskij lo invita a Hollywood e lo ospita in casa sua per una settimana. L’intesa è immediata e fruttuosa. Quando Auden riparte per New York, il piano generale del lavoro è stabilito: delineato l’intreccio e fissato il piano dei numeri musicali, sono definiti anche lo stile, il linguaggio e molti altri particolari. Per la stesura del testo, Auden ricorre all’amico e collaboratore Chester Kallman, con il quale lavora a quattro mani (tanto che il risultato finale non permette di distinguere l’apporto dell’uno da quello dell’altro). Il libretto, terminato all’inizio del 1948, viene sottoposto a Stravinskij, che lo accetta pur modificandone alcuni aspetti. Messosi al lavoro, Stravinskij compone con regolare sistematicità, atto dopo atto, e termina l’opera nell’aprile del 1951. L’11 settembre dello stesso anno The Rake’s Progress viene presentato alla Fenice di Venezia, nell’ambito del XIV Festival internazionale di musica contemporanea della Biennale. Si tratta di una produzione del Teatro alla Scala di Milano, che fornisce coro e orchestra e che ospita lo spettacolo l’anno successivo. Elisabeth Schwarzkopf, Robert Rounseville e Otakar Kraus sono tra gli interpreti principali; sul podio sale lo stesso Stravinskij. Il pubblico, fra il quale figurano i nomi più in vista della mondanità europea, accoglie l’opera con un successo trionfale, ciò che non impedisce alla critica di esprimere invece qualche riserva. *** Stravinskij e Auden, in origine, si erano accordati per preparare un libretto fedele alla storia tratta da Hogarth. Ma poi se n’erano allontanati poco a poco, inserendovi altri temi letterari e spunti da diversi soggetti d’opera, e modificando la fonte d’ispirazione sulla spinta delle rispettive personalità. Alla fine le differenze si rivelano più cospicue delle affinità, tanto che si può affermare che l’opera di Stravinskij si ispira alle incisioni di Hogarth solo alla lontana. Oltre al titolo dell’opera e al nome allegorico del protagonista (Rakewell), rimangono immutati il tempo e il luogo della vicenda, che si svolge nell’Inghilterra del secolo XVIII. Conservata è anche al parabola generale dell’intreccio, con l’ascesa e la caduta del protagonista, dall’eredità alla fine miserabile in manicomio. Ma già la figura della giovane donna che gli resta fedele sino alla fine è parzialmente modificata: non si tratta più di una ragazza sedotta e incinta ma di una fidanzata casta (dal significativo nome di Truelove), simbolo dell’amore sincero e disinteressato. Il fatto che la ragazza provenga dalla campagna, inoltre, è altrettanto significativo, poiché porta con sé il motivo dell’opposizione tra la semplice vita immersa nella natura e quella della città corruttrice. Altra fondamentale differenza è nel fatto che Tom, per ricostituire la sua fortuna, non sposa la vecchia e ricca ereditiera bensì un nuovo personaggio d’invenzione, Baba la Turca: compie cioè un gesto tanto gratuito quanto assurdo, intrapreso per gusto anticonformista e per affermare la sua libertà di scelta. Ma Auden e Stravinskij intervengono ancora più radicalmente sulla fonte originaria modificando decisamente il carattere del protagonista. Tom Rakewell non è tanto un cinico depravato quanto un giovane debole e ingenuo, idealista, un sognatore che insegue le sue chimere; è influenzabile perché ha un carattere irresoluto e non è necessariamente cattivo, essendo capace di provare tenerezza e rimorso. Il lato oscuro della vicenda è incarnato invece da un personaggio assente in Hogarth: Nick Shadow, il servitore che si trasforma in maestro, il cattivo genio dal nome eloquente (Nick è in inglese il nomigliolo familiare del diavolo, che segue l’eroe come un’ombra – Shadow – e nell’ombra finisce per trascinarlo). Di questo personaggio mefistofelico, Auden e Stravinskij fanno il motore dell’intrigo. Ne fanno, anzi, qualcosa di più: Nick non si limita a guidare l’azione, ma si comporta come una sorta di drammaturgo-regista che commenta gli accadimenti e si rivolge spesso al pubblico interrompendo l’azione e distruggendo l’illusione scenica. Con questo personaggio The Rake’s Progress recupera, in modo evidente, il vecchio mito di Faust. Il patto col diavolo è stipulato in ragione dei tre desideri espressi da Tom: la ricchezza, la felicità, l’aspirazione a salvare l’umanità affamata e sofferente. Tutti e tre sembrano realizzarsi miracolosamente, tutti e tre si rivelano illusori: le ricchezze ereditate dallo zio sconosciuto – palesemente mai esistito, frutto dell’inganno diabolico – vengono rapidamente dissipate; il matrimonio con Baba si rivela subito per quel che è; il marchingegno che trasforma le pietre in pane non è altro che l’imbroglio di un ciarlatano. A questo punto è evidente che nel libretto preparato per Stravinskij non resta quasi nulla dell’intento moralizzante dei quadri di Hogarth. Ma il testo dell’opera si distacca dalla sua fonte anche per l’introduzione di un altro elemento specifico: quello comico-burlesco, presente in molte situazioni e rappresentato, più in generale, dalla stravaganza, dal gusto puro dell’invenzione teatrale. Non è solo Nick a rivolgersi al pubblico, sono tutti i personaggi che alla fine si presentano alla ribalta per riassumere, come nei vecchi drammi settecenteschi, la morale della storia, sottolineando così il lato giocoso e la componente metateatrale dell’opera. Il libretto – scritto in versi per le arie, in prosa per i dialoghi – è ben congegnato e ha tutte le qualità di un buon testo per il teatro: sfoggia versi musicali, immagini semplici e dirette, dialoghi vivaci, personaggi ben definiti; presenta una costruzione accurata, convergente verso la catastrofe, e una giusta dose di colpi di scena e di intermezzi. *** The Rake’s Progress è un’opera altrettanto riuscita dal punto di vista musicale; non solo: la sua ricchezza offre il destro a interpretazioni molteplici. Ciò che si nota subito è senz’altro il sistema di perfette simmetrie strutturali: l’opera è articolata in tre atti e in nove scene, disposte secondo uno schema ABA per ogni atto. La musica, secondo il piano già fissato nel 1947 in fase progettuale, si articola in ‘numeri’, cioè in pezzi chiusi separati da recitativi, secchi o accompagnati. La disparità tra numeri chiusi e recitativi è non solo evidente, come avviene in generale nell’opera italiana, ma addirittura intenzionalmente esibita: la frattura tra il tempo sospeso dell’aria e l’avanzare spedito del tempo drammatico nei recitativi è enfatizzata, come avviene ad esempio nella scena del bordello, quando il recitativo di Mother Goose interrompe bruscamente, riportando alla prosaica realtà, la sognante aria di Tom. Nell’opera si alternano ‘numeri’ di varia fattura, alcuni anche molto brevi; Stravinskij dissemina in partitura denominazioni precise e abbondanti per le forme e le sezioni formali, come se volesse dissimulare l’unitarietà e rimarcare invece la frammentazione del discorso musicale. I nomi (scena, aria, cavatina, cabaletta, arioso, finale, duetto) rimandano alle forme, ai generi, ai personaggi appartenenti alla tradizione operistica, soprattutto a quella italiana di fine Sette e inizio Ottocento. Le situazioni e i luoghi sono in larga misura tradizionali, e rimandano anch’essi alla tradizione del melodramma italiano: ci sono la scena del sogno, il cimitero, i topoi dell’eroina che parte alla ricerca del suo amore perduto e che interviene a salvarlo nel momento del pericolo. Tutto ciò ha spinto i critici a parlare di neoclassicismo, di un omaggio tributato da Stravinskij alla tradizione melodrammatica italiana, sulla falsariga di quanto il compositore aveva già fatto, a partire dagli anni Venti, con il patrimonio strumentale settecentesco. A ben guardare, tuttavia, sorge il dubbio che The Rake’s Progress sia davvero leggibile come un esercizio stilistico, pur raffinatissimo. I conti non quadrano, intanto, se si considerano i tratti di notevole modernità della musica. È vero che le strutture morfologiche sembrano recuperare il passato (vi sono arie multisezionali, concertati, persino regolari arie ‘settecentesche’ col da capo), ma diversi sono stile e linguaggio, ritmo e metrica sono irregolari, l’armonia è poco inquadrabile nel sistema tonale; sono largamente assenti, soprattutto, le strutture dialogiche che nel melodramma italiano hanno una funzione portante. Nel suo recupero della tradizione, Stravinskij non può contare – a differenza dei compositori d’opera italiani del suo tempo – su una tradizione diretta e ininterrotta. Ricorre perciò a stili plurimi: il suo calco del passato non si riallaccia a uno stile o a un periodo storico ben definito, ma impiega riferimenti eterogenei e vastissimi, recupera formule e procedimenti stilistici che risalgono sino ai primordi della storia del melodramma. In perfetto accordo, del resto, con Auden e Kallman, che nei versi del libretto riprendono stilemi della poesia inglese più antica. Come nella tradizione del melodramma, le contrapposizioni stilistiche sono il mezzo principale per esaltare le contrapposizioni personali. Tom e Anne adottano uno stile ‘alto’, consono al dramma tragico; Baba si esprime in modo differenziato, assumendo ora il declamato, ora lo stile ‘leggero’ del musical, ora il virtuosistico canto di coloratura di una prima donna. Shadow è l’unico personaggio che non intona arie vere e proprie, l’unico che non sospende mai l’azione per dare luogo alla tradizionale effusione canora dell’aria, come fanno invece Tom e Anne. Alcuni luoghi dell’opera, in particolare, vedono un’efficace e velocissima contrapposizione di stili musicali e canori differenti: nella scena della vendita all’asta si alternano gli interventi comici di Sellem, l’aria di furia di Baba, la canzone fuori scena di Tom e Nick. Altrettanto incisiva la scena del cimitero, con il contrasto stridente fra la ballata di Shadow e il canto melismatico di Tom su basso ostinato. Anche a proposito di un altro ingrediente essenziale del linguaggio melodrammatico i conti non tornano del tutto. Le forme musicali, i procedimenti tecnici impiegati non trovano una perfetta rispondenza nell’azione e nello sviluppo drammatico, rivelando una sorta di distacco intenzionale da parte dell’autore. Non è che nell’opera di Stravinskij manchi una trama consequenziale e organizzata in modo logico; il fatto è che la musica non è sempre congruente con essa, non sempre si adatta alla narrazione, cedendo invece alla tentazione di scombussolare la prospettiva dello spettatore. Sia nel testo verbale sia nella musica si verifica l’irruzione di elementi incongrui e improvvisi: l’azione si interrompe, il personaggio in scena si rivolge direttamente al pubblico commentando la vicenda; in particolare è Nick Shadow, come abbiamo osservato, ad assumere la funzione di un personaggio narrante, in cui si rispecchiano librettisti e compositore che a intervalli regolari si collocano, intenzionalmente, all’esterno della storia portata sulla scena. Tutto ciò spezza di continuo l’effetto illusorio creato dalla rappresentazione operistica. Auden e Stravinskij sembrano invitare lo spettatore a prendere le distanze da ciò che accade sul palcoscenico, mettendo allo scoperto il meccanismo della finzione teatrale; non vogliono, evidentemente, che il naturale processo di identificazione del pubblico con i personaggi e con l’azione si prolunghi troppo, e lo interrompono appena ne vedono il pericolo. Per questo disseminano ovunque elementi metateatrali, che compromettono l’illusione scenica e la compartecipazione emotiva all’azione. Il personaggio di Baba la Turca (che non a caso è pura invenzione di Auden e Stravinskij) esalta questa componente, in quanto emblema della finzione spettacolare: personaggio circense, la donna dalla barba nera è la diva che si esibisce in scena per il suo pubblico, la star che ha un comportamento sempre sopra le righe, simbolo della prima donna in quanto personaggio illusorio costruito dagli spettatori. The Rake’s Progress produce dunque più l’impressione di una sequenza di effetti teatrali che di un dramma inteso nel senso tradizionale del termine. Si tratta di un teatro artificiale, autoriflessivo, nel quale l’incongruenza di fondo e la finzione che stanno alla base di ogni rappresentazione spettacolare vengono enfatizzate anziché essere nascoste. La spiccata propensione metateatrale del libretto preparato da Auden e Kallman trova perfetta corrispondenza nella musica: applicando coscientemente le formule costruttive, gli stili, i linguaggi vocali di una tradizione plurisecolare, Stravinskij e la sua musica ‘giocano’ con un teatro che si riflette in se stesso.