Pascal Rioult Dance Theatre – New York Stagione 2008/2009 Sovrintendente e Direttore Artistico Prosa Michele Mirabella Direttore Artistico Musica e Danza Daniele Spini 17 novembre 19-22 novembre 19-22 novembre lunedì ore 20.45 ore 20.45 dalle ore 16.00 alle ore 19.00 ingresso libero 20 novembre giovedì ore 18.00 Auditorium della Civica Accademia “Nico Pepe” L.go Ospedale Vecchio 10/2 12 novembre 2008 - ore 20.45 SERATA STRAVINSKIJ Orchestra Sinfonica del Friuli Venezia Giulia Daniel Kawka direttore Massimo Quarta violino STRAVINSKIJ - PAGANINI - BEETHOVEN Coregrafie Pascal Rioult Scene Harry Feiner Luci David Finley Costumi Pilar Limosner Piccolo Teatro di Milano ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI di Carlo Goldoni regia di Giorgio Strehler ripresa da Ferruccio Soleri in collaborazione con Stefano De Luca Black Diamond IGOR STRAVINSKIJ Duo Concertante per violino e pianoforte interpreti Penelope Gonzalez, Charis Haines MOSTRA GOLDONI-STREHLER: L’ARLECCHINO Sessanta (e più) anni di palcoscenico nei manifesti e programmi di sala dello storico spettacolo del Piccolo Teatro Realizzata dalla Fondazione Musei Civici VenezianiCasa di Carlo Goldoni Ideazione e cura di Agnese Colle Commissionata da The Grand Marnier Foundation. INCONTRI CON IL PUBBLICO GOLDONI-STREHLER: L’ARLECCHINO Note e appunti di regia di Giorgio Strehler Conversazione con Agnese Colle SERATA STRAVINSKIJ Pascal Rioult Dance Theatre – New York Udine ingresso libero 1 dicembre lunedì ore 17.30 lunedì ore 20.30 INCONTRI CON IL PUBBLICO FRYDERYK CHOPIN conversazione con Daniele Spini e Pietro De Maria ORCHESTRA SINFONICA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA Giampaolo Bisanti direttore Pietro De Maria pianoforte BEETHOVEN - CHOPIN Teatro Nuovo Giovanni da Udine Udine, via Trento, 4 tel. 0432 248411 - fax 0432 248452 www.teatroudine.it - [email protected] Direzione centrale istruzione, cultura, sport e pace Servizio attività culturali Provincia di Udine Comune di Udine Grafica S. Conti - Stampa La Tipografica srl 1 dicembre direttore artistico/coreografo Pascal Rioult direttore esecutivo Joyce Herring Les Noces IGOR STRAVINSKIJ Les Noces interpreti Brian Flynn, Charis Haines, Patrick Leahy, Michael Spencer Phillips, Robert Robinson, Jane Sato, Anastasia Soroczynski, Marianna Tsartolia Costumi e luci realizzati grazie al sostegno di Judy S. Gordon e dal Kenneth French Fund for New Works. Creato in residenza al Kaatsbaan International Dance Center con il supporto del NY State Council on the Arts. *** L’Uccello di Fuoco IGOR STRAVINSKIJ L’oiseau de feu, suite dal balletto op.20 interpreti Charis Haines, Patrick Leahy, Lindsey Parker, Michael Spencer Phillips, Robert Robinson, Jane Sato, John Sorensen-Jolink, Anastasia Soroczynski e Isabel Bleyer Commissionata dall’ADF, Cal Performances e the Kenneth French Fund for New Works con il sostegno del Doris Duke Awards for New Work e di Altria Group, Inc. Pascal Rioult rappresenta un caso interessante nel mondo della danza contemporanea francese: nato in Normandia, ex atleta, diplomato in Scienze dell’Educazione, è soltanto nel 1981, a 25 anni, che scopre la danza e si trasferisce a New York dove studia nella “casa” di Merce Cunningham, “il padre del postmodern”, l’artista che ha mostrato il volto più autonomo e astratto della danza, il guru della nouvelle danse d’oltralpe- per Rioult in verità fin troppo intellettuale- e dove decide invece di entrare a far parte della compagnia di Martha Graham, la “Grande Madre del modern”, la maestra delle tragedie dell’anima, rinnegata appunto dal suo alunno Cunningham. Non solo ci resta dieci anni come primo ballerino, impadronendosi a fondo di tecnica e repertorio grahamiani, ma ispira anche la coreografa ultranovantenne per il ruolo centrale del suo ultimo balletto, Eyes of the Goddess. Nel frattempo però Rioult dal 1989 imbocca lui stesso la strada della coreografia, e sono gli stessi danzatori della Martha Graham Dance Company a interpretare i suoi lavori, come Narayama e Harvest presentati al City Center Theatre newyorkese nel 1992. E poi la sorpresa: mentre la Francia fibrilla di danza nuova su tutto il territorio nazionale, ben supportata dal Ministero della Cultura e dalle amministrazioni locali, il coreografo francese decide nel 1994 di formare un gruppo negli USA, dove bisogna al contrario rimboccarsi le maniche per trovare i fondi necessari a far funzionare qualunque lavoro artistico, e dove però il suo tocco d’autore ottiene molto successo con commissioni da Istituzioni di primo piano come American Dance festival, U.C. Berkeley, Joyce Theater, il palcoscenico newyorkese delle formazioni modern e contemporary più titolate, meritandosi il prestigioso premio Choo San Goh. Che cosa ha sedotto gli States in questo “ex straniero” installato nella “Grande Mela”? La definizione di “neo-modern”, che gli è stata applicata, significa indubbiamente che Rioult si è fatto ben comprendere, quanto a linguaggio coreografico, nel contesto culturale del suo paese di adozione, senza d’altro canto perdere l’esprit francese, che è un plus particolarmente fascinoso oltreoceano. Certo la sua vocazione alla danza pura è americana, ma la selezione musicale nei suoi balletti è certo di matrice e retrogusto europei. E la Francia, si sa, fin dai primi del Novecento si è conquistata il posto di arbiter elegantiarum di ogni tendenza in atto, dalle belle arti alla cucina allo chic quotidiano, come dimostra il film Un americano a Parigi (1951) con Gene Kelly-pittore emigrato e la squisita Leslie Caron, già stella, appena sedicenne, dei Ballets des Champs-Élyées, animati da Irene Lidova con l’apporto di figure come Jean Cocteau e di Roland Petit. Come ha spiegato l’interessato, in prima persona, le ragioni della sua singolare “scelta americana”?“In Francia non mi è stato facile impormi. Sono stato considerato come un coreografo americano e catalogato sotto la voce ‘modern dance’. Il problema è che questo genere apparteneva a Martha Graham e che a lungo si è ritenuto che fosse morto con lei. Una parte del pubblico mi seguiva, ma sono stato snobbato dall’intellighenzia. Oggi tutto questo è diventato la mia forza e c’è chi mi trova delle affinità, sul fronte francese, con Maurice Béjart, grande coreografo per molto tempo messo da parte”. Il doppio versante, americano e francese, è comunque sempre in gioco quando si tratta dell’immagine di sé che il coreografo vuole rimandare. Il sito web di Rioult porta la scritta “re you” (ancora tu) per facilitaretradurre in inglese, intrecciando più significati, la pronuncia francese del suo cognome, mentre la scelta delle musiche su cui crea resta volentieri nell’ambito di quelle meravigliose linee artistiche che ai primi del secolo scorso fiorirono in Francia con l’arrivo di tanti immigrati geniali, da est e da ovest, dalla Russia e dall’America soprattutto, pronti a mescolarsi con i creativi autoctoni. Rioult, nelle sue predilezioni musicali, va infatti da Igor Stravinskij - per Symphony of Psalms, Firebird, Black Diamond, Noces, questi ultimi tre in programma a Udine- il compositore russo dei Ballets parigini di Sergej Diaghilev, a Maurice Ravel, il compositore basco-francese prediletto da tanti coreografi, per l’immancabile Bolero (2002), assai coraggioso visto che questo titolo è ormai universalmente associato alla mise en danse dionisiaca di Maurice Béjart (1961), ma ben risolto da Rioult, in termini di danza pura, in tutine grigio chiaro, con un disegno lucidamente ricalcato sulle spire della partitura, con aderenza quasi matematica. Guardando a colonne sonore più “popolari”, Rioult spazia dal jazz di Jacques Loussier, che ama Johann Sebastian Bach e Ravel, Bolero compreso, alle canzoni di Edith Piaf, “lo scricciolo” dei bassifondi della Ville Lumière che toccò l’anima del mondo intero, nella Vie en rose, per il coreografo una serie di quadri seducenti in quel mood da cabaret fumoso e alcolico, maudit, tra vulnerabilità e peccati, allora non repressi né stigmatizzati negli ambienti nobil-borghesi chic, spregiudicatamente misti a quelli bohemien, della capitale francese. Ma non lo spaventa neppure la potenza dell’Arte della fuga di Bach, messa in danza con il titolo Views of the Fleeting World, visioni del mondo che vola, o la Grande Messa in do minore K427, opera del genio di Wolfgang Amdeus Mozart, perché - dice - “amo lavorare a partire da un materiale musicale esistente”. La scelta della musica è dunque capitale per Rioult, che ci ha costruito le sue fortune. “La mia reputazione negli Stati Uniti” commenta “si basa proprio su questo. E quando il pubblico si trova già su un terreno conosciuto, gli è più facile entrare dentro l’opera”. Sostiene anche di utilizzare, per le sue creazioni, una tecnica esigente quanto e come quella appresa nel duro lavoro presso Martha Graham, che richiede una grande resistenza, tenacia, dedizione. Stravinsky e Rioult Quanto a Stravinsky afferma: “Ciò che mi affascina di lui è l’idea di disciplina che vive all’interno della sua musica senza briglie, rivoluzionaria. Virtuosismi e semplicità, sofisticazione e arcaismo, innovazione e tradizione. Opposti che sono per me fonte di ispirazione. La forma e il contenuto sono inseparabili, nulla è perduto, nulla è gratuito: non ci sono movimenti senza senso, non esiste senso che nella forma, perciò tutto è libero”. Potrebbe essere proprio questa la formula che rende il lavoro di Rioult stesso aperto, ma rassicurante, nuovo appunto ma ricco di richiami già noti. Les Noces, del 2005, lasciandosi alle spalle il racconto di sapore slavo contenuto nella versione originaria, costruttivista, del 1923 dovuta a Bronislava Nijinska per la coreografia e a Natalia Gonciarova per scene e costumi à la russe, è un punto d’arrivo nel percorso stravinskiano di Rioult, una coreografia pensata come “decostruzione” del rituale del matrimonio, cioè di quel momento festoso di passaggioun tratto comune a tutte le società fin dai primordi delle civilizzazioni umane- che segna l’ingresso in una sessualità matura, desiderata e temuta. Come rendere tutto questo senza ricorso a strumenti narrativi? Rioult sceglie, allo scopo, una tessitura di movimento carica di energia vitale, di per sé emozionante e coinvolgente. Questo andare alle radici primordiali si traduce in sincroni perfettamente ritmati, che viaggiano su una scena semplice, arredata con sedie, uno spazio definito che quattro uomini e quattro donne in lingerie chiara con tocchi di nero, pudicamente sexy, percorrono a canoni e a incroci di file che eventualmente si scompaginano in forme esplose. Lo scheletro-armatura delle crinoline femminili sta poi per l’abito di nozze, mentre agli uomini è riservato il gilet e l’abito scuro: cerimonia o sacramento che sia, il rito delle nozze è riportato alla spinta naturale-culturale che sta nel nucleo fondante dell’organizzazione di ogni raggruppamento di individui, dalla tribù alla metropoli. Black Diamond, regolato sulla musica del Duo Concertante di Stravinskij (1932), è stato creato nel 2003 da Rioult per due ballerine, su piattaforme invisibili, sotto una luce forte che le illumina, proprio come accade alle sfaccettature di una pietra preziosa, il diamante nero del titolo, che brillano nel buio di una vetrina per effetto dei faretti concentrati sulla loro superficie levigata e messa in valore da tagli sapienti. Rioult parla in proposito di “qualità poetiche: forza, bellezza, purezza e mistero”, proprio quelle del corpo della ballerina, divinamente delicato, vigoroso, pregiato, lucente. Le due Muse di Rioult, muovendosi insieme o passandosi reciprocamente il movimento, sinuoso come il violino, incisivo come il pianoforte, indossano costumi minimali, che ne fanno rifulgere bellezza e bravura, svelte tute in voile trasparente scuro su bikini neri. Per questo balletto breve, quasi un doppio solo, la sfida è con la versione di George Balanchine, Duo Concertant appunto, creato nel 1972, uno di quei titoli depurati, con la ballerina in corto gonnellino bianco e il partner in calzamaglia nera e maglietta bianca, che dialogano con il violino e il pianoforte stravinskiani usando anche momenti di pausa per porsi in ascolto, sempre in piena luce fino al quinto movimento, quello finale, quando il duetto amoroso brilla nel buio circostante. L’Uccello di Fuoco, nato come L’Oiseau de feu nel 1910 all’Opéra di Parigi a opera di Mikhail Fokine nelle vesti policrome-esotiche di Serge Golovine e Léon Bakst, è stato “revisionato” da Pascal Rioult nel 2000, secondo una concezione globalista del mondo attuale per cui al di là dei racconti russi che ne hanno generato la prima redazione, il ruo- lo salvifico dell’oggetto magico nella rinascita dell’anima umana e nello scioglimento delle vicende di cuore è ben presente in tutte le culture, davvero universale. La lotta del bene contro il male, come dilemma base dell’esistenza, da superare con le forze del proprio spirito indomito e con l’aiuto divino, appartiene a tutte le epopee, di tutti i popoli. “La coreografia” spiega l’autore “descrive una comunità di anime perdute, deumanizzate, in preda alla disperazione, la cui gioia di vivere si riaccende all’arrivo nel gruppo di una Fenice, impersonata da una bambina”. Il segreto della riuscita di questa nuova trattazione è la comprensione profonda della struttura e della ricchezza della musica, espressa attraverso una gestualità chiara e leggibile. In calzamaglie nere, il cerchio delle “anime in pena” si muove tra i fumi di un inferno interiore alluso, finché il candore di una tenera bimba con bianche piume tra le dita porta ai dolenti il dono dell’innocenza riconfortandoli e ragalando loro la speranza. I sincroni decisi, in appoggio sulle cadenze della musica, dichiarano il senso condiviso della rilettura rioultiana, mentre i salti e i sussulti a terra sulle trombe marcanti di Stravinsky apparentano questo Uccello di fuoco portato al grado più sostanziale nell’immagine scenica, alla Sagra della primavera, tribale e volta a far rinascere il mondo a una nuova stagione con il sacrificio di una fanciulla appositamente designata al martirio. Si dà per conosciuta la trama del balletto fokiniano che ruota intorno alla piuma-pegno del volatile fatato, a cui viene risparmiata la vita dal giovane zarevic Ivan intento alla caccia, e che lo renderò invincibile quando, innamorato della bella fanciulla prigioniera del perfido mago Katchei, lo sconfiggerà mandando in pezzi l’uovo che ne contiene l’anima, distruggendone il regno e impalmando la sua zarevna. Se già George Balanchine aveva posto mano all’Uccello di fuoco dal 1949 in poi a più riprese, negli anni Settanta e Ottanta, con l’apporto di Jerome Robbins, con scene di Marc Chagall e costumi di Barbara Karinska, e sempre con un tocco e un profumo di folklore russo, è toccato a un altro grande maestro di mise en danse darne una versione moderna di tutt’altra ambientazione. È stato, infatti, Maurice Béjart a farne nel 1970 un remake di culto, per un’Araba Fenice sempre rinascente, con un danzatore color fuoco al centro di un gruppo in tuta blu maoista. Rioult che utilizza la suite di Firebird del 1945, sceglie un’altra strada abbigliando tutti in toni cinerei, racchiudendoli in una sorta di costrizione spaziale, finché la ragazzinaangelo non riconduce la comunità nel chiarore della vita spirituale. Qui non è il Principe che si è perso nel bosco, ma tutto il gruppo che si trova smarrito e che viene salvato dalla freschezza di cuore dell’infanzia. Quattro coppie fanno corona e l’apparizione di Katchei è sostituitaallusa dal trascolorare della scena verso i toni scuri, finché sul tema della ninna nanna la fanciulla manda dolci segnali di fiducia in un domani più chiaro e aperto, contro un cielo blu, sulla musica per l’happy ending delle nozze. Testi a cura di Elisa Guzzo Vaccarino