Francesca Lazzari novembre 2003, Firenze
(estratto da un articolo pubblicato su “ I care”, rivista di educazione e didattica milaniane )
SEGREGAZIONE DI GENERE NELLA FORMAZIONE
E NEL LAVORO IN VENETO: ALCUNE NOTE
In Veneto la segregazione formativa e professionale, nonostante il persistente incremento del tasso di attività
femminile ed il progressivo ingresso delle donne in settori e/o professioni tradizionalmente maschili, continua ad
essere una realtà. Molti indicatori evidenziano il persistere di disuguaglianze di genere nella formazione e nel
mercato del lavoro. Le donne per lungo tempo hanno occupato posizioni marginali nel mercato del lavoro,
scoraggiandosi e uscendone ai primi segni di crisi.
Dal 1992 ad oggi la parte preponderante dell’aumento delle forze di lavoro, sia occupate che in cerca di
occupazione, è dovuto alla componente femminile. Malgrado ciò le donne rappresentano ancora solo il 39%
dell’occupazione complessiva. Invece, evidentemente, le donne in cerca di occupazione sono più numerose degli
uomini, rappresentando il 61% del totale…..
........Si conferma, inoltre, la notevole diminuzione del tasso di attività per le coorti di età più giovane, mentre la
fascia delle 25- 29enni è quella che ha registrato l’incremento più elevato.
In Veneto si conferma la presenza di modelli di comportamento tradizionali e, nel complesso, un certo ritardo sul
piano della modernizzazione socio - culturale che si esprime attraverso:
- l’ingresso precoce sul mercato del lavoro;
- l’abbandono o interruzione dell’attività professionale al sopraggiungere delle responsabilità familiari.
Di fatto non è stato intaccato il ruolo tradizionale delle donne nella divisione di lavoro tra i sessi e si è resa ancora
più problematica la scelta tra la professione e la famiglia e, nel caso si continuasse nella professione, ci si trova a
dover continuare a rinunciare a ruoli e funzioni di responsabilità, perché comporterebbero un sovraccarico di
lavoro.
Un altro dato interessante è la crescente incidenza delle donne sposate che lavorano; tale maggiore tendenza rivela
un certo miglioramento dovuto a:
- l'innalzamento della scolarità e di conseguenza dell’inserimento delle donne nei processi formativi, con
conseguente diminuzione delle giovani occupate nella classe d’età compresa fra i 14 - 19;
- la tendenza all’innalzamento del livello di qualificazione femminile.
Il modello che ne emerge è di una donna, sfiorata dall'innovazione, dalla realizzazione professionale, ma ancora
legata a modalità di cambiamento non facili.
Il quadro che si evidenzia mette chiaramente in rilievo come le strategie femminili quali le scelte relative alla
situazione e composizione del nucleo familiare, la tendenza dell’età di ingresso nel mercato del lavoro, abbandoni
o interruzioni in coincidenza con la fase centrale del ciclo della vita familiare, le relazioni tra disoccupazione
femminile, età e livello di istruzione abbiano giocato a favore di una redistribuzione quantitativa e qualitativa
dell'occupazione femminile nei diversi settori economici, per settori di attività e per professioni. In riferimento alla
realtà del terziario, va rilevato che questo settore comprende una grande varietà di ambiti professionali che hanno
registrato incrementi sensibili della presenza femminile. Tuttavia, persino nelle aree del Pubblico Impiego si può
riscontrare una collocazione nettamente differenziata delle donne e degli uomini per mansione, qualifica,
possibilità di formazione e carriere.
Tra i fattori che hanno un’influenza rilevante nel condizionare la partecipazione e la qualità della presenza nel
mercato del lavoro delle donne, un ruolo cruciale è rappresentato dall’orario di lavoro. Infatti, la necessità di
conciliare tempi e carichi di lavoro familiare con quelli professionali rimane ancora oggi principalmente a carico
delle donne; anzi, si può sostenere che, in conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione, i
problemi della doppia presenza , presenza alternata , multipresenza si siano ulteriormente acuiti (si pensi alla
presenza di un genitore o di un parente anziano in famiglia).
Nell’analisi della segregazione occupazionale si deve tenere conto, oltre che delle caratteristiche organizzative
delle aziende (quali l’accesso delle donne ad un limitato numero di mansioni e/o posizioni professionali), anche
della forte dipendenza delle donne dal ciclo di vita familiare (spesso in conseguenza di uno sviluppo non sempre
adeguato dei servizi alle famiglie). Inoltre, al fenomeno della disuguaglianza nella progressione di carriera, si
associa frequentemente quello dei differenziali retributivi, che si può presentare anche a parità di livello gerarchico
tra uomini e donne.
A livello di grandi gruppi professionali l’area di dominio femminile continua a essere soprattutto quella delle
professioni esecutive relative all’amministrazione e delle professioni relative alle vendite e ai servizi alle famiglie,
che sono quelle meno specializzate fra le non manuali. Le professioni manuali invece, e in particolare quelle di
tipo tecnico continuano a essere di dominio maschile. I cambiamenti avvenuti negli ultimi anni hanno agito nel
senso di un’accentuazione del carattere non manuale del lavoro femminile.
Persiste, dunque, la tendenza a concentrare le donne in determinati comparti e segmenti, in realtà e qualifiche
professionali più basse. E’ dato certo che alcune figure dei servizi sono quasi interamente femminilizzate
(infermiere, insegnanti, commesse, segretarie). Le donne si inseriscono in aree di lavoro in cui la caratteristica
prevalente appare la flessibilità. Quanto alla composizione professionale non si sono registrate effettive novità: vi
sono “ nuovi lavori” tipicamente femminili e “nuovi lavori” tipicamente maschili (le donne sono occupate
maggiormente nei servizi alla persona, call center, assistenze sanitarie, domiciliari, nel ramo dell’estetica e nelle
vendite porta a porta. Mentre gli uomini sono perlopiù impiegati in servizi di tipo amministrativo, attività sportive,
assistenze di tipo tecnico).
A seguito delle attuali tendenze espansive del settore terziario e della componente femminile, oltre che della forte
accelerazione del numero di persone in cerca di lavoro tra coloro che si trovano ai margini del mercato (in
particolare studenti, studentesse e casalinghe, pensionati precoci, …) è sicuramente ipotizzabile una espansione del
tempo parziale di lavoro. Questa avverrà probabilmente più con caratteristiche di irregolarità, precarietà, funzione
di integrazione del reddito familiare che non per il soddisfacimento di preferenza dell’offerta in relazione ad una
diversa articolazione dei tempi di vita e di lavoro. Si stanno affermando forme di part-time più appetibili e
valorizzanti, definite di tipo verticale (lavoro a tempo intero in alcuni giorni della settimana o del mese o in alcuni
prestabiliti periodi dell’anno) .
Il quadro che emerge dai risultati di recenti indagini nazionali (non esistono indagini a livello regionale e
locale, ma si può ragionevolmente supporre che il trend sia applicabile anche al nostro riferimento
territoriale) sul lavoro atipico in Italia non è dei più confortanti . Se si sommano le classi di reddito
complessive, si scopre che la media del reddito percepito dalle lavoratrici è pari a circa 12 milioni annui,
esattamente la metà di quello che in media portano a casa i colleghi maschi. Senza allarmismi si può
senza dubbio affermare che all’interno del mercato del lavoro atipico si sono configurate delle naturali
gabbie salariali di genere. L'altra faccia della medaglia della maggiore possibilità di lavoro non consiste
solo nel peggioramento delle sue condizioni, ma anche nel riproporsi di antiche disuguaglianze. Dal
momento che i nuovi posti di lavoro sono meno pagati dei vecchi e che le donne sono in maggioranza nel
lavoro cosiddetto atipico (in realtà sempre più tipico), si accentua la divaricazione tra le remunerazioni
maschili e quelle femminili. Il “lavoro povero” genera, a sua volta, condizioni di svantaggio aggiuntive.
Le lavoratrici, oltre a essere presenti nelle professioni a cui corrispondono bassi livelli retributivi, sono
anche maggiormente esposte a rapporti di collaborazioni più volatili rispetto agli uomini che
produrranno, nel tempo, verosimilmente anche rendimenti pensionistici poveri. Il “lavoro povero”,
inoltre, mette in moto un devastante meccanismo di autoriproduzione: chi non ha un reddito sufficiente
non è in grado spesso di formarsi e cambiare conseguentemente la propria condizione nel mercato del
lavoro.
Difficile tracciare un bilancio preciso sull’effettiva condizione lavorativa delle donne all’interno di questo
mercato. L’unico dato certo riguarda il fatto che laddove il tipo di occupazione si presenta con maggiori
garanzie di stabilità, e questo riguarda senza dubbio il lavoro interinale rispetto alle altre forme di lavoro
atipico, il mercato sembra prediligere ancora gli uomini.
A differenza di quanto avviene per i maschi, nel Veneto il titolo che dà maggior probabilità alle donne di trovare
lavoro non è la laurea, ma il diploma di scuola media superiore. Le donne con questo titolo hanno accettabili
probabilità di ricoprire un posto coerente con il livello di studio.
Ma con il progredire dell’età le possibilità di avanzare nella carriera sono minori. Nella stessa classe di età le donne
dirigenti sono in complesso meno dei maschi.
La continuità professionale e il livello di studio delle donne sembrano essere dati correlati, per cui si può dedurre,
anche qui come altrove, che lo sviluppo della scolarità femminile possa aver funzionato da meccanismo
equilibratore tra i sessi in termini di opportunità e di carriera.
L’elevata scolarità favorisce dunque una maggior propensione e continuità lavorativa alle donne e una minor
esposizione ai condizionamenti del ciclo familiare.
Il momento della formazione è cruciale perchè fornisce alle donne una possibilità in più di avere accesso al
lavoro. Ma questa raggiunta parità formativa non sempre si traduce in parità lavorativa Infatti nonostante uomini e
donne abbiano livelli di istruzione uguali, per le donne permane una segregazione educativa, in quanto le ragazze
si concentrano maggiormente in tipi di scuole con sbocchi professionali legati a lavori di cura o a tempo parziale:
sono in maggioranza nei licei classici, sociali, psico-pedagogici negli istituti tecnici e professionali orientati alle
professionalità di tipo amministrativo, socio-sanitario, educativo per la prima infanzia, moda, turistico. Se i dati
riferiti al complesso della popolazione residente evidenziano ancora un certo svantaggio delle ragazze nel
conseguimento di gradi di istruzione medi, l’analisi di indicatori più puntuali mette in luce una maggiore tendenza
delle giovani a frequentare e spesso a concludere con maggior successo il ciclo superiore.
Nella formazione universitaria le donne privilegiano le facoltà umanistiche. I dati più recenti fanno registrare
qualche cambiamento: la presenza femminile supera la metà fra i laureati nel gruppo letterario ed in quello
scientifico e costituisce circa un terzo dei laureati nelle discipline politico - sociali.
Tuttavia permangono, in Veneto, differenze di genere nel rapporto fra percorsi formativi ed occupazione. Infatti,
mentre la quota di laureate occupate è pari all’89,9% del totale delle donne con laurea, la corrispondente quota
maschile è pari al 95,9%.
Per quanto riguarda la segregazione educativa si dovrebbe insistere sull'orientamento di genere come azione
formativa per permettere alle giovani di riflettere su se stesse e sui propri desideri, di credere nelle proprie capacità
e di avvicinarsi a qualsiasi percorso di studio e di formazione.
Tutto questo si dovrebbe tradurre in un potenziamento dell'empowerment delle ragazze, inteso come capacità di
potenziare le proprie possibilità, riconoscendo i propri desideri, liberandosi da stereotipi e aspettative di altri e
individuando il proprio progetto di vita e di realizzazione culturale e professionale.
La formazione giocherà nei prossimi anni un ruolo cruciale per superare l’attuale segregazione scolastica e
professionale e per assicurare pari opportunità di lavoro ai due sessi, non solo per quanto riguarda gli aspetti
quantitativi, ma anche e soprattutto per quelli qualitativi, per sviluppare la consapevolezza, la sensibilità e
l’attenzione del territorio alle problematiche legate al mondo delle donne.
Indubbiamente, lo squilibrio di opportunità in base al sesso continua a penalizzare la componente femminile anche
a parità di capitale di istruzione.
Nel passaggio tra fordismo e postfordismo che segna la nostra epoca, il lavoro ancora fonda l’identità e
dà accesso alla cittadinanza. Nella cultura inconscia, profonda, il maschile e il femminile rappresentano due poli
diversamente valutati, linee e staff, comando e servizio, controllo delle persone e cura e assistenza alle persone,
formale-informale, pagato-gratuito, … Per cambiare i modelli culturali di riferimento bisogna destrutturare questo
imprinting profondo con cui gli uomini hanno marchiato le organizzazioni, il mondo del lavoro, dell’istruzione e
della formazione.
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