02/10/2012 Giulia Fenu PATOLOGIA e FISIOPATOLOGIA GENERALE INTRODUZIONE L’oggetto di questo corso integrato è lo studio dell’eziologia e patogenesi delle malattie. Funge da trait d’union tra le discipline di base (biologia, chimica, fisiologia etc.) e le cliniche, la patologia medica e la patologia chirurgica. È necessario discernere il significato di eziologia (cause delle malattie) da quello di patogenesi (modo attraverso cui le cause provocano patologia). Spesso siamo costretti, in particolar modo per le patologie ad eziologia complessa le cui cause si ignorano in parte o completamente, a parlare di eziopatogenesi . In molti altri casi invece distinguiamo il fattore scatenante dai meccanismi con cui questo provoca patologia. Ad esempio, il virus dell’HIV è agente eziologico dell’AIDS, mentre i meccanismi che questo mette in atto (a partire dalla sua modalità di penetrazione all’interno delle cellule) insieme con le reazioni delle nostre cellule, tessuti e organi, determinano il decorso patogenetico. Se un individuo non ha sulla superficie delle sue cellule dei recettori che permettono la penetrazione del virus quell’individuo sarà refrattario all’azione del virus. Per questo c’è chi dice che l’eziologia dell’AIDS è un misto di cause acquisite (il virus), e cause genetiche, cioè la nostra suscettibilità all’azione del virus che dovrebbe invece rientrare nel concetto di patogenesi: qua allora si sta confondendo il concetto di eziologia con quello di patogenesi. È comunque fondamentale che per prevenire l’AIDS si guardi all’eziologia. Altro esempio è quello del diabete mellito di tipo 1. Anche per questa patologia si applica spesso il concetto di eziopatogenesi. Questa malattia, importante qua in Sardegna, ha aumentato di circa 10 volte la sua incidenza negli ultimi 30-40 anni, e una malattia che nell’arco di questi pochi decenni riesce ad aumentare di tanto la sua incidenza ha chiaramente una forte componente acquisita. Eppure sappiamo che esiste una forte componente genetica nello scatenamento del diabete di tipo 1, ma parliamo anche qui di patogenesi e non di eziologia. L’eziologia non può che essere qualcosa di esterno al nostro organismo visto che noi siamo geneticamente identici a come eravamo 30-40 anni fa; o comunque, noi siamo cambiati di poco, eppure il diabete è dieci volte più frequente adesso. L’eziologia quindi può essere data da qualcosa di esterno ai nostri geni (che pure hanno un peso importante nella patogenesi del diabete), che è intervenuto negli ultimi 30-40 anni, oppure viceversa da un qualcosa che è mancato in questi ultimi decenni. Per prevenire il diabete 1 devo capire quale sia questo fattore esterno scatenante, a prescindere dal fatto che esistano individui più o meno a rischio, in relazione alle loro caratteristiche genetiche, di sviluppare la patologia. Per parlare di malattia teniamo ben distinti anche i concetti di agenti e processi. Gli agenti sono i fattori che innescano i processi. Il processo invece è proprio lo svolgersi degli eventi. I protagonisti di tutto questo sono i tessuti viventi, quindi reattivi. Ad esempio il processo infiammatorio è una reazione dei tessuti ad un danno prodotto da un certo agente. È anche importante la distinzione tra eventi e processi. Il processo si può seguire e studiare, l’evento è un qualcosa di isolato di cui è difficile capire l’origine e per cui è difficile seguire un percorso. Un evento è spesso legato al caso. Una concatenazione di eventi (processo) può invece avere una finalità e quindi una logica. Che cos’è una malattia? Il dizionario Devoto-Oli la definisce come anormale condizione dell’organismo caratterizzata da alterazioni organiche (alterazione documentata a livello strutturale) o funzionali (alterazione del funzionamento senza che ci siano necessariamente alterazioni organiche). Wikipedia invece dice: nella pratica e nella teoria di medici clinici e patologi, si definisce malattia un'alterazione dello stato fisiologico e psicologico dell'organismo, capace di ridurre, o modificare negativamente o eliminare, le funzionalità normali del corpo ed il complesso delle reazioni fisiologiche che derivano dallo stato patologico. Nella definizione di malattia è fondamentale il principio della transitorietà, ogni patologia ha un termine che può essere la guarigione dell'organismo, l'adattamento dello stesso ad una diversa fisiologia o ad una diversa condizione di vita, l'exitu. Dibattiti etici e morali prendono in considerazione che alcuni stati dell'organismo dovuti alla genetica, come ad esempio la condizione di sterilità, non siano definibili come malattia. Il concetto di malattia deve essere inteso come status e condizione potenzialmente reversibile attraverso l'applicazione di una terapia. Dal punto di vista psicologico, attualmente è considerabile malattia ogni stato di sofferenza in ambito non solo fisico e mentale, ma anche relazionale, famigliare, sociale e lavorativo. Esempi di come il concetto di malattia si è evoluto nelle diverse epoche storiche e a seconda dei diversi contesti culturali: drapetomania (‘800, Stati Uniti): fuga di uno schiavo; diestesia etiopica: malattia per cui gli schiavi trascuravano le proprietà del loro padrone; omosessualità; calvizie; sterilità. Insomma i confini e i parametri tra fisiologia e patologia sono sempre molto dubbi e variabili in relazione a molti fattori, compresa la considerazione che il soggetto stesso ha della propria condizione. La malattia è il risultato finale di lunghi processi che hanno spesso significato adattativo. Allora quando si inizia ad essere malati? Un’insufficienza renale per le caratteristiche di compensazione che ha il tessuto renale, si sviluppa quando un 70-80% dei glomeruli vengono danneggiati e non funzionano più. Ma prima che questa capacità di riserva funzionale si esaurisse l’individuo era malato? Anche questo è un concetto da dirimere: la perdita di funzionalità della riserva funzionale dei tessuti è parte della nostra fisiologia (magari nel corso dell’invecchiamento) o è da considerarsi come patologia? I VACCINI I vaccini sono la più efficace applicazione dell’immunologia in termini di sanità pubblica. Un vaccino è un agente che mantiene il potenziale antigenico (capacità di stimolare il sistema immunitario specifico) ma perde quello patogeno. Questa perdita del potenziale patogeno può essere totale o parziale ma deve comunque essere tale da poter somministrare il vaccino in modo abbastanza sicuro. La vaccinazione ha permesso l’eradicazione del vaiolo (considerato eradicato del tutto dall’OMS nel 1979), dato da un virus a trasmissione esclusivamente interumana. Tucidide riportava, già dai tempi dei Greci, che chi aveva sviluppato la peste non si ammalava più di peste. Quindi che l’esposizione ad un agente infettivo determinasse una certa protezione si sapeva dai tempi antichi almeno su basi empiriche. In Cina, in India, in Turchia, si era osservata la relazione tra l’esposizione ad un agente infettivo e lo stato di protezione che si acquisiva successivamente. La scoperta di Jenner formalizzò la teoria per cui chi contraeva il vaiolo vaccino era poi protetto dal vaiolo umano, applicandola con la somministrazione del vaiolo vaccino agli individui umani. Il termine vaccinazione per indicare questa procedura è rimasto proprio per questo. Pasteur è ritenuto il padre della vaccinazione perché scoprì che le sostanze che inducono immunità verso una patologia sono derivate dai microrganismi che causano la patologia. Lo fece studiando il colera nei polli. Lasciò una coltura di questo batterio ad alte temperature in condizioni non favorevoli alla loro crescita. Iniettando poi batteri di questa coltura nei polli osservò che i polli non sviluppavano il colera. E iniettando poi in questi polli batteri normalmente causanti colera non appartenenti a quella coltura vide che i polli non sviluppavano comunque la malattia. Pasteur sostenne che nella coltura dimenticata ad alte temperature si fosse selezionato un ceppo attenuato non solo non virulento ma anche proteggente. Coltivando poi in condizioni particolari altri batteri come quello della rabbia o quello dell’antrace e ripercorrendo le stesse procedure viste prima, estese questa proprietà anche a loro (provocavano una patologia attenuata se inoculati, ma proteggevano da microrganismi nativi patogeni). Oggi sappiamo che la vaccinazione chiama in causa l’immunità adattativa e si basa sulla memoria immunologica. Un vaccino per poter essere somministrato: deve poter essere sicuro, specie perché i vaccini si somministrano ai bambini nei primi mesi di vita, che hanno un sistema immunitario molto fragile perché non ben sviluppato; deve evocare una protezione duratura; deve indurre un’immunità particolare per quel tipo di agente eziologico (ad esempio, non si può evocare un’immunità di tipo citotossico contro il virus della poliomielite che ha i neuroni come cellule bersaglio, quindi in questo caso si evoca un’immunità anticorpale; invece in altri casi, specie per patogeni intracellulari, sarebbe più utile l’induzione di cellule T protettive); deve poter essere a basso costo affinchè risulti applicabile nei paesi più poveri che sono in fin dei conti gli stessi in cui le malattie infettive hanno un peso ancora molto consistente (almeno rispetto ai paesi sviluppati in cui invece queste malattie hanno un peso decisamente ridotto e dove invece si fa i conti con un progressivo aumento delle patologie croniche); devono essere quanto più stabili (magari anche a temperatura ambiente) e quanto più facili da somministrare (possibilmente per via orale). Spesso si richiede la vaccinazione degli animali, oltre a quella umana, se il microrganismo in questione non ha come serbatoio di diffusione solo l’uomo: ovviamente questo rende la patologia di più difficile eradicazione. Il successo della vaccinazione non si osserva solo per il vaiolo ma anche per la poliomielite, il morbillo, la rosolia, la parotite. STRATEGIE DI PRODUZIONE DEI VACCINI -attenuazione (diminuzione della virulenza senza uccisione del microrganismo): procedura che prevede in genere diversi passaggi in condizioni di coltura modificate affinchè sia favorita la produzione di ceppi sempre meno patogeni, conclusione alla quale non si arriva a priori ma dopo test in vitro o test su animali che accertino l’adeguata diminuzione della virulenza di quel ceppo rispetto a quello di partenza. -inattivazione (uccisione del microrganismo e quindi inoculazione del suo “scheletro”, non in grado di esplicare alcun effetto patogeno): ovviamente non si usa per tutti quei microrganismi che esplicano la loro azione patogena tramite una tossina, infatti in questo caso anche iniettando il microrganismo morto si può sempre sviluppare la patologia. -estrazione di subunità che potrebbero essere sufficienti per evocare un’immunità protettiva: un esempio abbastanza recente è il vaccino a subunità contro il Papilloma virus, utile contro i tipi 16 e 18 (associati al cancro della cervice uterina) più altri due ceppi (non associati a processi carcinogenetici), e inducente una risposta sufficiente a bloccare l’intero patogeno . -clonazione di una parte del genoma del microrganismo allo scopo di far produrre una proteina tipica di questo microrganismo utilizzabile come strumento antigenico per vaccinare; oppure si può far produrre questa proteina alle cellule di un tessuto iniettando nelle stesse il DNA codificante per quella proteina: quindi produco quella proteina, produco anticorpi verso quella proteina e sono protetto dalla possibile aggressione da parte di quel microrganismo. TIPI DI VACCINO Il vaiolo vaccino è l’unico tipo di vaccino vivo naturale conosciuto, che però adesso non si usa più. Si tratta quindi di un microrganismo attenuato che già esiste, che provoca il vaiolo non nell’uomo ma nei bovini, e che appunto per questo ha efficacia di vaccino contro il vaiolo umano. Altri vaccini vivi sono quelli antipolio Sabin, tipi 1,2 e 3, attenuati in coltura con passaggi successivi che hanno permesso la selezione di varianti poco citopatiche o a lenta replicazione, di modo che la patologia non sussista o comunque non sia mai paragonabile a quella provocata dal virus nativo. Ci son stati casi però di sviluppo della poliomielite associati ad alcuni di questi vaccini. La causa è la formazione di revertants; questi ultimi sono virus che hanno riacquisito il potenziale patogeno con meccanismo inverso a quello con cui l’hanno perso,cioè hanno riassunto le mutazioni al contrario. In genere quel che succede è che durante la coltura in vitro si determinano delle varianti per mutazioni spontanee, che danno luogo a popolazioni di virus con caratteristiche diverse, tra cui si selezionano quelle che mantengono l’antigenicità ma non la patogenicità: il tipo 1 con ben 57 mutazioni non è stato associato ad alcun caso di poliomielite, a differenza dei tipi 2 e 3 che proprio a causa delle sole 2 mutazioni possedute hanno in certi casi riacquisito il potere patogeno del wild type. Per i vaccini morti si può usare l’intero microrganismo (antipolio di tipo Salk) o prodotti microbici (vaccino per la pertosse). Si possono usare tossine inattivate, come nei casi del tetano e della difterite. Le tossine vanno inattivate in siti diversi da quelli in cui il potere antigenico è invece fondamentale alla stimolazione dell’immunità. Infine esistono altre strategie che si stanno verificando, come la produzione di vaccini con geni codificanti per antigene o vaccini con anticorpo anti idiotipo. VANTAGGI DEL VACCINO VIVO Il vaccino vivo nel provocare infezione percorre le stesse tappe che percorrerebbe il microrganismo virulento wild type, suscitando l’immunità più appropriata possibile. Questo perché stimola il sistema immunitario con le stesse modalità con cui la stimolerebbe il microrganismo nativo: entra in genere con le stesse vie d’ingresso e produce l’immunità là dove serve e del tipo che serve. Per un microrganismo morto benché io cerchi di ottenere lo stesso tipo di risultato questo è più difficile, anche perché non è detto che io sappia esattamente che tipo di immunità mi serve contro quel particolare microrganismo. Per esempio per la malaria non c’è un’idea molto precisa del percorso di stimolazione immunitaria. VANTAGGI DEL VACCINO MORTO Il vaccino con microrganismo morto a differenza di quello vivo ci rende certi che non ci sarà un risveglio e che non ci sarà patologia, anche su tutti quei soggetti che hanno un sistema immunitario non perfettamente funzionante. Esempio di efficacia sulla stimolazione della risposta immunitaria dei due tipi di vaccini antipolio (Salk inattivato, Sabin attenuato). Entrambi hanno dato un enorme contributo alla diminuzione dei casi di poliomielite. VACCINI CON ANTICORPO ANTI IDIOTIPO Non si sono ancora sviluppati vaccini con questo metodo, che quindi rimane valido a livello teorico e come prospettiva futura. Ac riconosce Ag a livello di un certo epitopo. Contro l’idiotipo di quell’anticorpo, cioè la parte che riconosce l’antigene, posso produrre degli anticorpi anti idiotipo. L’anticorpo anti idiotipo prodotto, per proprietà transitiva, dovrebbe essere abbastanza simile all’antigene. Quindi posso utilizzare questo anticorpo umano anti idiotipo per stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi contro l’antigene di interesse.