Martini - Democrito. Breve sintesi della vita e del

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Martini - Democrito. Breve sintesi della vita e del pensiero
Autoritratto giovanile di Rembrandt, come "Democrito che ride"Stefano Martini
Democrito. Breve sintesi della vita e del pensiero
Della vita di Democrito (Abdera, Tracia, 460 ca ? 370 ca a.C.)si sa molto poco, anche se è possibile ricavare notizie soprattutto da
Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, IX, VII), ma anche da altre testimonianze che ci riferiscono ulteriori particolari, sebbene spesso
aneddotici se non addirittura romanzeschi.
Biografia
Democrito sarebbe stato istruito da alcuni Magi e Caldei, che il re Serse aveva lasciati a suo padre come precettori, dopo essere stato
suo ospite, dai quali avrebbe appreso teologia e astronomia. In seguito incontrò Leucippo, che, originario forse di Mileto, dopo un
soggiorno ad Elea, avrebbe fondato ad Abdera la scuola atomistica, portata a grande fama appunto da Democrito. Secondo alcune
fonti, citate peraltro da Diogene Laerzio, egli avrebbe viaggiato non solo in Egitto, ove apprese la geometria dai sacerdoti, ma anche
in Persia presso i Caldei e nel Mar Rosso; avrebbe persino avuto rapporti con i gimnosofisti dell'India. Sembra che sia venuto ad
Atene e non si sia curato di diventare famoso, perché aveva in dispregio la gloria. Qui probabilmente conobbe Socrate, senza essere
da questi riconosciuto, tanto da scrivere: «Venni ad Atene e nessuno mi riconobbe» (Fr. 116 Diels-Kranz). Egli incarna la figura del
sapiente sempre assorto nei suoi pensieri, desideroso di conoscere il più possibile, sobrio nel tenore di vita. È noto come il filosofo
che ride (in contrapposizione a Eraclito, definito il filosofo che piange) per il suo sfrenato riso nei confronti dei comportamenti stolti
e insensati dei concittadini (e degli uomini in genere), che lo avrebbero per questo considerato un pazzo. Secondo la tradizione egli
morì assai vecchio, probabilmente più che centenario.
Opere
Per i suoi molteplici interessi fu paragonato all'atleta del pentatlo: in effetti gli vengono attribuiti moltissimi scritti dei più diversi
argomenti, che vanno dalla morale alla cosmologia, dalla musica alla matematica, dalla biologia alla religione e all'antropologia,
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riuniti da Trasillo in un unico corpus, forse insieme con quelli di Leucippo e di altri discepoli della scuola. Tra queste opere conviene
ricordare alme-no la Grande cosmologia (attribuita da Teofrasto a Leucippo), la Piccola cosmologia (che riguardava la fisica) e il
Della serenità dell'animo (che riguardava l'etica), tutte perdute. In ogni caso ci sono pervenuti pochi frammenti, di cui i più numerosi
sono quelli di argomento morale.
Pensiero
Senza dubbio Democrito possedeva una cultura enorme, di carattere enci-clopedico, pur non cadendo nella vana e vuota erudizione.
Della sua filosofia, per comodità didattica, si possono prendere in esame soltanto, e per accenni, alcuni aspet-ti: fisica e cosmologia,
gnoseologia e psicologia, etica e politica, antropologia e teologia.
La fisica democritea, che è certamente uno degli aspetti più noti del suo pensiero, fu talmente innovativa a confronto delle dottrine
precedenti e contemporanee sulla natu-ra, da essere messa al bando per secoli a causa di pregiudizi e incomprensioni, a favo-re
dell'impostazione predominante platonico-aristotelica. Democrito, con un tentativo analogo a quello dei cosiddetti «pluralisti»
Empedocle e Anassagora, tuttavia in modo originale, cercò di superare le aporie cui era approdato Parmenide e di spiegare
molteplicità e movimento per «salvare i fenomeni». A tal fine identificò l'essere con «il pieno» (tò nastón) (detto pure «il ciò che è»
o «l'ente», tò ón) e il non essere con «il vuoto» (tò kenón), aggiungendo che «il qualcosa (tò dén) non esiste più del nulla (tò
m?dén)» (Fr. 156). Il primo, in generale, è la materia che in quanto cor-po può essere sì divisa in parti ma non all'infinito, altrimenti
si arriverebbe al nulla, cioè a qualcosa di non reale (eleaticamente inaccettabile); perciò Democrito, propo-nendo la distinzione tra il
suddividere matematico e quello fisico, mentre accetta l'uno rifiuta l'altro, e confuta la divisibilità all'infinito teorizzata da
Anassagora sulla scia della provocazione argomentativa di Zenone. Perviene, pertanto, al concetto di un qualcosa di «indivisibile»
(un limite posto alla divisione), costituente ultimo e fondamentale di tutti i corpi, l'«atomo». Gli atomi presentano molte delle
caratteristi-che dell'essere parmenideo: ingenerati e imperituri (eterni), compatti, indivisibili, immutabili, tutti uguali dal punto di
vista qualitativo, non percepibili dai sensi ma dalla ragione; ma ne differiscono perché sono altresì differenziati quantitativamente,
infiniti di numero e mobilissimi: una sorta di frantumazione dell'Essere-Uno in infiniti esseri-uni. Democrito ritiene, infatti, che essi
si distinguano per le note quantitati-ve di figura, ordine, posizione e, per spiegare la sua tesi, utilizza una eccellente ana-logia
(secondo la testimonianza aristotelica, Metafisica, I, 4, 985b; Della generazione e della corruzione I, 2, 315b) tratta dal linguaggio,
riferendosi alle lettere dell'alfabeto (stoicheîa), che nelle loro innumerevoli combinazioni possono dar luogo a innumerevoli parole.
Il vuoto, non meno reale del pieno, non è il mero nulla e non è altro che lo spazio indispensabile per dar conto del movimento
atomico, anzi ne è in certo modo la «causa prima», in quanto non oppone resistenza agli atomi, i quali pos-sono così muoversi
incessantemente, per forza cinetica propria, di moto rettilineo in tutte le direzioni (intuizione del principio d'inerzia), intrecciandosi,
urtandosi e rimbalzando, e determinare la generazione e distruzione con la loro aggregazione e separazione e il mutamento con
l'ordine e la posizione. Proprio grazie alla infinità delle forme atomiche e del numero degli atomi Democrito pensava di poter
spiegare l'infinita varietà delle cose e degli avvenimenti, usando inconsapevolmente quello che sarebbe poi stato chiamato il
principio di ragion sufficiente). Dal movimento atomico originario (moto precosmico), da intendersi come un volteggiare caotico nel
vuoto infinito, simile al pulviscolo atmosferico, sono derivati dei vortici atomici, in cui gli atomi si dispongono al centro o alla
periferia in base alla massa e da cui si ori-ginano nello spazio infinito dell'universo gli infiniti mondi (moto cosmogonico) che
nascono e muoiono continuamente; all'interno di essi gli atomi si muovono (moto intracosmico) per determinare il fenomeno della
vita (nascita e morte) e della cono-scenza. L'atomismo democriteo è una forma radicale di materialismo, meccanicismo e
determinismo: tutta la realtà è riducibile a materia, movimento e rap-porti di causa-effetto, per cui si può parlare di casualismo e non
di ca-sualismo, dal momento che nulla è dato al caso, ma ogni evento ha una sua preci-sa ragione necessaria. Non c'è spazio in
questa visione per alcun finalismo o Provvidenza che con la sua intelligenza divina regga e ordini il modo.
Pure l'anima umana, intesa come principio di vita e movimento, è composta di atomi, benché speciali (ignei, sferici, lisci), diffusi in
tutto il corpo per presiedere alle diver-se funzioni biologiche, e di conseguenza con il dissolversi del corpo anch'essa muo-re. La
parte che opera nel cervello è una sorta di centro coordinatore, cioè un'anima razionale o principale, che s'identifica con la mente ed
è, secondo qualche interpreta-zione filologico-testuale, immortale: se è costituita, infatti, di un solo atomo, indi-struttibile per
definizione, essa non è corruttibile. La conoscenza per Democrito è di due tipi: genuina (gnesíe) e oscura (skotíe). La prima va oltre
le apparenze («la verità è nel profondo», Fr. 117) e coglie, utilizzando un organo più fine, l'intelletto, ciò che i sensi non possono
percepire, e cioè che la verità consiste solo negli atomi e nel vuo-to. La seconda deriva dagli effluvi atomici (éid?la), provenienti
dagli oggetti, e si ac-contenta di registrare attraverso i sensi le cose che appaiono; perciò essa, pur avendo una base oggettiva (gli
atomi costitutivi delle cose) è essenzialmente soggettiva, rela-tiva cioè al soggetto senziente, tanto che Democrito afferma che
«opinione è il colore, opinione il dolce, opinione l'amaro» e ritiene che «in natura non esistano affatto bianco, nero, giallo, rosso,
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dolce, amaro» (Galeno, Gli elementi secondo Ippocrate, I, 2), distinguendo per la prima volta tra proprietà sensibili soggettive (gli
aspetti qua-litativi) e proprietà oggettive (gli aspetti quantitativi propri degli atomi), anticipando una famosissima distinzione della
filosofia moderna tra «qualità secondarie» e «qualità primarie».
L'etica è l'ambito in cui il pensiero democriteo si riallaccia in qualche misura alla tradizione sapienziale greca (e per alcuni aspetti
anche «orientale») e, da un altro punto di vista, si propone come alternativa tutt'altro che marginale rispetta alla con-temporanea
riflessione socratico-platonica. Forse la profondità e la ricchezza «spiri-tuale» del messaggio morale emergente dai vari frammenti
possono stupire chi a par-tire da premesse materialistiche si aspetterebbe un azzeramento o comunque un forte ridimensionamento di
un discorso interiore riguardante la coscienza; eppure Demo-crito sembra separare quello che si configura come il settore della
necessità fisica e del determinismo meccanicistico dalla dimensione della libertà e della scelta, toccan-do problematiche gravide di
futuri sviluppi nella filosofia successiva. La sua può es-sere definita un'etica della razionalità (Fr. 36 e 236), del rigorismo morale
(Fr. 244 e 264) e del dovere (Fr. 41-42), dell'intenzione (Fr. 62), della responsabilità (Fr. 119 e 159), della temperanza (Fr. 210-211)
e della giusta misura (Fr. 233, 235 e 191, che è un piccolo trattato sulla eythymía, la serenità d'animo propria del saggio). È l'anima
la sede ove si decide il destino dell'uomo e quindi la sua felicità o infelicità: essa «è la dimora della nostra sorte» (Fr. 171).
Democrito propugna un vero e proprio bìos the?r?tikós (vita contemplativa), che tuttavia non s'identifica con un'esistenza di
ri-nuncia e macerazione ascetica, anzi, al contrario, potenzia la possibilità stessa di go-dere in modo autentico della vita. Non solo
nel privato, inoltre, ma anche nel pubbli-co il saggio deve avere come regola di vita la moderazione, per esempio essere pronto a
saper rinunciare e a non accingersi a cose superiori alle sue possibilità. Egli preferi-sce vivere povero in un regime democratico
piuttosto che nel benessere ma con un governo tirannico; proprio perché sa quanto vale la libertà, l'uomo virtuoso rispetta le leggi
dello Stato, benché imperfette, poiché chi non opera secondo giustizia è insod-disfatto, vive nel timore e nel turbamento. In
Democrito sono da rilevare, comunque, una complessiva svalutazione delle leggi e una significativa sfiducia nei loro confron-ti: esse
sono una sorta di male minore, visto che l'uomo non è sempre (anzi, quasi mai) come dovrebbe essere, cioè saggio, nel qual caso non
ci sarebbe neanche biso-gno delle leggi. Per giunta si ottiene di più con l'esortazione e la persuasione raziona-le che con la
costrizione della legge: chi è indotto al dovere alla prima maniera non compie azioni scorrette né di nascosto né palesemente, chi
invece è trattenuto da par-te della legge dall'agire ingiustamente, attraverso lo spauracchio delle sanzioni, «è portato naturalmente a
sfogarsi di nascosto» (Fr. 181). Il saggio deve saper trovare il giusto equilibrio tra gli affari privati e gli interessi pubblici,
consapevole comunque che «la patria dell'animo virtuoso è l'intero universo» (Fr. 247), aprendosi così ad una visione di solidarietà
umana di tipo cosmopolitico.
Corollario dell'etica è la riflessione, talora piuttosto critica, sulla religione (popolare), fatta spesso più di superstizione che di
autentica apertura al divino. Molta discutibile religiosità umana deriva da un'interpretazione distorta dei fenomeni naturali (tuoni,
lampi, eclissi, comete), ma soprattutto del divino, dato che tutto ciò che è male e dan-noso non può derivare dagli dèi, ma è
attribuibile alla cecità dell'intelletto e alla man-canza di senno degli stessi uomini. Democrito, pertanto, cerca di allontanare
dall'uomo il timore delle divinità e quello della morte (anticipando Epicuro, v.), fa-cendo leva sul principio di responsabilità:
l'importante è vivere in modo degno e coe-rente qui e ora, in questa vita, indipendentemente dalle valutazioni sull'esistenza de-gli dèi
(di cui egli non ha dubbi) o su di un'eventuale vita dopo la morte.
L'Abderita, infine, si occupò anche di tematiche antropologiche, cioè dell'origine del linguaggio, delle arti, della storia, in una parola
della civiltà, con spunti di riflessione davvero rilevanti.
In conclusione, si può dire che se è comprensibile che Aristotele si sia confrontato molto spesso, magari polemicamente, con
Democrito, ma pur sempre con grande ri-spetto, risulta abbastanza paradossale che Platone (v.) non lo menzioni mai nei suoi
Dialoghi, neppure per criticarlo; ma tale suo comportamento non stupisce più di tan-to, perché evidentemente egli «era consapevole
che avrebbe dovuto gareggiare col migliore dei filosofi» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, VII, 40).
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