Cenni storico-geografici sull'est d'Europa. A cura di Maria Valente Le voci relative all’area geo-politica dell’Europa centro-orientale che qui di seguito si presentano sono tratte da varie enciclopedie consultabili online. www.treccani.it/ www.encarta.msn.com/ www.britannica.com www.encyclopedia.com www.sapere.it www.universalis.fr www.geo.ed.ac.uk www.storia.i 1 ALBANIA Le terre che oggi sono abitate dagli Albanesi, in primo luogo sono state popolate nell'età paleolitica (età della pietra) 100.000 anni fa. Le prime zone inizialmente abitate furono quelle con le condizioni geografiche adeguate. In Albania, gli stanziamenti iniziali sono stati scoperti nella grotta di Gajtan (Shkodra), in Konispol, al monte Dajti (vicino a Tirana) e a Xara (Saranda). Il popolarsi delle terre albanesi è aumentato nell'età Neolitica quando le tribù hanno cominciato ad abbandonare le grotte ed a stabilirsi in spazi aperti. Tantissimi stanziamenti sono stati scoperti in Albania, Kosovo, Montenegro e la Repubblica di Macedonia. Gli Illiri 1 Molti storici ritengono gli albanesi i discendenti diretti degli Illiri, un insieme di popoli indoeuropei stanziati nell'antichità nella parte nord-occidentale della penisola balcanica (Illiria e Pannonia). Il nome indicava in origine un piccolo popolo che viveva nella zona intorno al lago di Scutari (fra Albania e Montenegro), ma in seguito Greci e Romani estesero il nome a tutti i popoli dei Balcani occidentali, fra il medio corso del Danubio e il mare Adriatico, che avevano lingua e usanze affini a quelle degli Illiri propriamente detti. La loro presenza può essere fatta risalire alla formazione della loro struttura politica verso VII e VI secolo a.C. Artigiani eccellenti del metallo e guerrieri feroci, gli Illiri hanno basato i loro regni sulla guerra ed hanno combattuto fra se stessi per la maggior parte della loro storia. Hanno generato e sviluppato la loro coltura, lingua e caratteristiche antropologiche nella zona occidentale dei Balcani, come menzionano scrittori antichi. Dagli Illiri agli Albanesi I Romani hanno dominato gli Illirici dal 168 a.C. fino alla caduta dell'impero. Sotto i romani, le arti e la cultura fiorirono, particolarmente in Apollonia, la cui scuola filosofica fu molto famosa. Qui studiarono, tra altri, il grande oratore romano Cicerone. 2 La lingua e la cultura latine hanno influenzato fortemente gli Illiri, comunque quelli che vivevano nelle terre albanesi di oggi riuscirono a conservare la loro lingua ed abitudini, anche se presero in prestito molte parole latine, che fanno parte attualmente del lessico albanese. La religione cristiana è comparsa molto presto nell'Illirico e un esempio per tutti è quello di San Paolo la cui predicazione è segnalata in Dyrrachium, odierna Durrës, Albania centrale. Una diocesi fu fondata qui nel 58 d.c.. Le diocesi successive sono state fondate inoltre in Apollonia, in Buthrotum (oggi Butrint, nella punta del sud dell'Albania) e in Scodra (oggi Shkodër). Fra il terzo e quarto secolo d.c. regnarono imperatori romani di origine illirica. Fra loro troviamo alcuni nomi storici molto importanti, come Gaio Decio, Aureliano, Probo, Diocleziano e più importante di tutti, Costantino , che rese il Cristianesimo la religione ufficiale dell'impero romano. È nel II secolo d.c. che il nome “Albanesi”, popolazione vivente nell'attuale Albania centrale, viene menzionato. Fu Strabone nel suo libro Geographia che per primo parlò di popolazione chiamata Oi Albanoi, con capitale Albanopoli, 20 Km a nord est dell'attuale Tirana. Dopo la divisione dell'impero romano in occidentale ed in orientale (395 d.c.), l'impero Bizantino, quello orientale, che sarebbe sopravvissuto per quasi mille anni, ha governato la regione. Il vecchio Illyricum fu invaso dalle varie tribù barbare, quali i Goti (che rimasero 150 anni in Albania), gli Avari e gli Slavi. L'invasione Slava, molto feroce ed intensa, ha avuto conseguenze durature nella messa a punto etnica dei Balcani tant'è che le popolazioni dell'Illiria diminuirono ed infine furono assimilate. Nell'Illiria del sud, le terre albanesi odierne, la popolazione autoctona riuscì a conservare una relativa identità etnica, ma il territorio originale si restrinse ad una piccola estensione soggetta alle varie occupazioni: Slave, Bulgare e Serbe, attraverso il Medio Evo. Il regno Ottomano 3 Alla conclusione del quattordicesimo secolo le terre albanesi furono conquistate dagli Ottomani. I signori albanesi non potettero resistere a lungo al loro grande potere militare di quel tempo. Dal 1443 al 1468 Gjergj Kastrioti Skanderbeg, eroe nazionale degli albanesi, condusse una resistenza riuscita contro gli Ottomani, combattendo 25 grandi battaglie contro di loro, vincendone 22. La resistenza Skanderbeg condotta degli albanesi fu determinante nell'arresto dell'invasione turca dell'Italia e di Roma e dopo la morte dell'eroe, la resistenza continuò fino al 1478, anche se con successo moderato. Nel 1480 i Turchi entrarono in sud Italia e presero il castello di Otranto, nella punta del sud-est dell'Italia da dove progettarono di dirigersi verso Roma, ma la resistenza cristiana e i duri 35 anni in Albania, impedirono questa minaccia. Le lealtà e le alleanze generate e consolidate da Skanderbeg caddero e gli Ottomani conquistarono il territorio dell'Albania subito dopo la caduta del castello di Kruja e questa divenne allora parte dell'impero Ottomano. A seguito di questo, molti albanesi fuggirono in Italia, principalmente in Calabria ed in Sicilia. La maggior parte della popolazione albanese rimasta fu costretta a convertirsi all'Islam, ma riuscì a mantenere la relativa identità etnica pur rimanendo parte dell'impero Ottomano fino al 1912. Nel 1912, dopo la seconda guerra Balcanica, gli Ottomani furono rimossi dall'Albania e quasi la metà delle terre Albanesi furono assorbite dalla Serbia (Kosovo, Macedonia occidentale), Montenegro e la punta sud dalla Grecia (Çamëria). Questa decisione non fu gradita agli italiani, che non desideravano che la Serbia avesse una linea costiera estesa ed anche agli Austro-Ungheresi che non vedevano di buon occhio una Serbia potente sul loro confine a sud. Fu deciso che il paese non dovesse essere diviso ma trasformato nel Principato di Albania. Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale. 4 L'Albania dichiarò la sua relativa neutralità, ma per la sua posizione strategica fu invasa da quasi tutti gli eserciti che combatterono nei Balcani. Un patto segreto fra l'Italia, la Serbia e la Grecia fu firmato in 1915 per dividere l'Albania dopo la guerra. Ma fu per il presidente Wilson, che era per il diritto di autodeterminazione in Europa che l'Albania evitò una ulteriore tragedia . Dal 1925 al 1939, il paese fu governato da Ahmet Zogu, che si nominò re Zog I nel 1928. La seconda guerra mondiale e Enver Hoxha L'Italia invase l'Albania la vigilia della seconda guerra mondiale, il 7 aprile 1939 e prese il controllo del paese. I comunisti ed i nazionalisti albanesi combatterono attivamente una guerra partigiana contro le invasioni italiane e tedesche nella seconda guerra mondiale. I socialisti (più spesso denominati comunisti) assunsero la direzione dopo la seconda guerra mondiale e nel novembre 1944, dopo una feroce guerra civile, sostenuta dall'intellighenzia britannica, i comunisti, con l'aiuto dei bolscevichi, guadagnarono il controllo del governo sotto il capo della resistenza, Enver Hoxha, il quale dominò in seguito in regime totalitario, distruggendo i rapporti con la Iugoslavia, l'Unione Sovietica e la Cina. Verso la conclusione dell'era di Hoxha, l'Albania era ormai stata isolata, in primo luogo dall' ovest capitalista (Europa occidentale, America del Nord e Australasia) e così anche dall'est comunista. La caduta del comunismo e l'Albania democratica Nel 1985, Hoxha morì e Ramiz Alia prese il suo posto. Inizialmente, Alia provò a seguire i passi di Hoxha, ma in Europa Orientale i cambiamenti erano già 5 cominciati: Mikhail Gorbachev era comparso in Unione Sovietica con le nuove politiche (glasnost e perestroika). Il regime totalitario albanese era messo sotto pressione dagli Stati Uniti e dall'Europa . Dopo che Nicolae Ceauşescu, il capo comunista della Romania, fu ucciso nel 1989, Alia firmò l'accordo delle Nazioni Unite a Helsinki, che già era stato accettato da molti altri paesi nel 1975, riguardante alcuni diritti dell'uomo. Inoltre, permise il pluralismo1 ed anche se il suo partito vinse l'elezione del 1991, era chiaro che il cambiamento non sarebbe stato interrotto. Nel 1992 elezioni generali ci furono altre elezioni vinte dal nuovo partito democratico con il 62% dei voti. Nelle elezioni generali del giugno 1996 il partito democratico provò ad avere una maggioranza assoluta maneggiando i risultati e vincendo con più del 85% . Nel 1997 un'epidemia di schemi piramidali2 (o multilevel marketing) sconvolse l'economia dell'intero paese. L'anarchia prevalse e molte città iniziarono ad essere controllate dalla milizia e dagli stessi cittadini. Il governo si dimise e fu sostituito da un governo di unità nazionale. Ma in risposta all' anarchia, il partito socialista vinse le elezioni del 1997 e Berisha si dimise. Nel frattempo la repressione serba in Kosovo stava diventando sempre più insopportabile. Questo portò all'insurrezione del 1998-1999, che condusse all'intervento della NATO, per arrestare la pulizia etnica degli albanesi in Kosovo dalle forze serbe, fu inevitabile comunque la fuga dei rifugiati kosovi in Albania. L'integrazione Euro-Atlantica dell'Albania è stato l'ultimo obiettivo dei governi albanesi-comunisti. L'Albania nel 2006 ha firmato un accordo di 1 - Pluralismo: Nelle scienze sociali, il termine si riferisce a una struttura di interazioni nella quale i diversi gruppi si mostrano rispetto e tolleranza reciproci, vivendo ed interagendo in maniera pacifica, senza conflitti e senza prevaricazioni (e, soprattutto, senza che nessuno tenti di assimilare l’altro. 2 - Schema piramidale (o multilevel marketing): Si tratta di una particolare forma di vendita diretta caratterizzata dalla possibilità per gli affiliati non solo di vendere i prodotti di volta in volta commercializzati (lucrando le provvigioni pattuite) ma anche di far aderire alla struttura di vendita altri soggetti per poi guadagnare una percentuale sull’attività di vendita da loro posta in essere. Va da sé che ai livelli mano a mano più bassi il guadagno diventa quasi del tutto inesistente. 6 associazione e di stabilizzazione con l'UE3. Nonostante ciò, la mano d'opera dell'Albania ha continuato a migrare in Grecia, in Italia, in Germania ed altre zone di Europa e dell'America del Nord. Tuttavia, il cambiamento continuo di emigrazione sta diminuendo lentamente, poiché sempre più opportunità stanno ora emergendo nella stessa Albania. 3 - Accordi di associazione e di stabilizzazione: prevedono i passi che ciascuno dei paesi richiedenti deve compiere per l'ingresso graduale nell'Unione Europea: si tratta di accordi bilaterali tra il paese richiedente e l'Unione, che attengono a questioni politiche, economiche e commerciali come anche relative ai diritti umani e con i quali i paesi richiedenti si impegnano ad adottare le riforme nella legislazione interna necessarie a conformare i propri ordinamenti all'acquis comunitario. In cambio, l'Unione Europea può offrire accesso ad alcuni o a tutti i propri mercati (merci, prodotti agricoli o industriali, ecc.) e assistenza tecnica e finanziaria. 7 Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Tirana (343.000 ab.) Altre città: Durazzo 99.500 ab., Elbasan 87.800 ab., Scutari 82.500 ab., Valona 77.700 ab. Gruppi etnici: Albanesi 98%, Greci 1,8%, Macedoni 0,1%, altri 0,1% Paesi confinanti: Grecia a SUD, Serbia e Montenegro a NORD, Macedonia ad EST Monti principali: Korab 2751 m, Jezercë 2694 m Fiumi principali: Drin 285 Km (tratto albanese, totale 335 Km), Seman-Devoll 281 Km, Vjosa 272 Km (tratto albanese) Laghi principali: Lago di Scutari 148 Km² (parte albanese, totale 370 Km²), Lago di Ocrida 120 Km² (parte albanese, totale 363 Km²) Isole principali: Sazan 6 Km² Clima: Mediterraneo - continentale Lingua: Albanese Tosco (ufficiale), Albanese Ghego, Greco Religione: Islamica 84%, Ortodossa 9%, Cattolica 6%, altro 1% Moneta: Lek albanese 8 ARMENIA L'Armenia ha svolto la funzione di cuscinetto tra nazioni e fazioni in guerra per millenni e la sua gente ne ha pagato le conseguenze molte volte. I primi imperi e regni che comprendevano alcune parti o l'intera Armenia attuale furono il regno di Urartu (originariamente sotto re Argistis che costru ì un forte nella attuale Yerevan), i persiani achemenidi, l'impero macedone di Alessandro Magno, i selgiuchidi, i romani e i bizantini. I persiani attaccarono intorno al 428 e quando, nel 451, cercarono di imporre la religione zoroastriana4 si accese una rivolta che alla fine conferì agli armeni una certa libertà politica e religiosa. Nel 639 iniziò la conquista araba, completata in meno di un cinquantennio. Sotto gli arabi gli armeni godettero d'una relativa indipendenza ed espressero una propria civiltà feudale, portata all'apogeo dalla dinastia dei Bagratidi. Tuttavia nell'XI secolo i bizantini esautorarono i Bagratidi annettendone il 4 - Zoroastrismo: Religione fondata nell’antica Persia dal profeta Zoroastro, nome grecizzato di Zarathustra. Ldottrine predicate da Zoroastro sono conservate nelle Gatha, gli inni attribuiti allo stesso profeta contenuti nel testo sacro noto come Avesta . Lo zoroastrismo è noto anche come “mazdismo”, dal nome del supremo creatore. 9 regno, ma non fecero nemmeno in tempo a insediarsi che subito arrivarono i turchi. Verso la fine del XII secolo fu la volta dei mamelucchi egiziani e dei crociati europei (che non governarono ma riuscirono a fare alcune riforme in stile occidentale e a lasciare alcune parole francesi). Si succedettero poi nella regione ondate di persiani e di turchi ottomani; gli ottomani riuscirono a stabilirsi saldamente in buona parte dell'Armenia per quasi 400 anni. A partire dal XVIII secolo gli armeni divisi nei vari imperi cominciarono a entrare in agitazione con l'obiettivo di ottenere delle riforme e un'identità politica e culturale. La letteratura armena, l'arte, la religione e l'educazione fiorirono sotto l'impero ottomano e l'impero russo portando così alla formazione dei movimenti politici armeni. All'inizio del XIX secolo la Russia ottenne il controllo di Yerevan e di una zona che comprende anche parte della Turchia attuale e intorno al 1870 si arrivò al conflitto tra Russia e Turchia. Gli armeni in Turchia furono massacrati (un inquietante precedente di pulizia etnica) con l'aumentare delle spinte nazionaliste e intorno al 1890 il numero delle vittime ammontava ad alcune centinaia di migliaia. La rivoluzione russa del 1905 e la rivoluzione dei Giovani Turchi del 1908 fecero sorgere negli armeni la speranza di costruire una nazione nella terra che storicamente apparteneva loro. Queste speranze furono deluse quando, durante la prima guerra mondiale, l'impero ottomano e l'impero russo vennero alle armi. Le persecuzioni e i massacri che gli armeni subirono dai turchi sfociarono nel genocidio nel 1915. Il movimento dei Giovani Turchi temeva (forse a ragione) che durante la guerra i cristiani armeni si schierassero con i cristiani russi, quindi li massacrarono e li deportarono con la forza, uccidendone da uno a due milioni. Gli armeni sostengono che il trattamento da loro ricevuto fosse motivato semplicemente dal razzismo e dal conflitto religioso. Nel 1916 la Russia occupò l'Armenia ottomana ma dovette restituirla temporaneamente in quanto la prima guerra mondiale aveva messo al tappeto le sue 1 0 forze militari. Lo stato indipendente della Transcaucasia venne rapidamente formato, ma durò la bellezza di un mese e quattro giorni. Le differenze locali fecero sì che si dividesse in Azerbaijan, Georgia e Armenia. La Turchia tornò immediatamente all'attacco e prese una porzione del territorio ma i russi, sotto la bandiera nuova di zecca dell'Unione Sovietica, ritornarono e ottennero il controllo sulla regione all'inizio del 1921. Ci furono dei contrasti per la delimitazione delle frontiere locali, che avrebbero causato in seguito il malcontento, ma l'apparato sovietico riuscì ad arginare la tensione tra Armenia e Azerbaijan per quasi 70 anni. Con le riforme della glasnost il campo era pronto per un'altra ondata di violenza. Nel dicembre del 1988 un terremoto colpì l'Armenia nord-occidentale, provocando 25.000 vittime e lasciando un altro mezzo milione di persone senza tetto. Inoltre distrusse circa il 10% della capacità industriale e degli edifici della nazione. Nel frattempo il Nagorno-Karabakh, l'enclave cristiana nell'Azerbaijan musulmano, votò per l'annessione all'Armenia, lamentando che la minoranza armena (l'80% della popolazione) era stata vittima di repressioni. Casualmente la regione possiede riserve di petrolio non sfruttate che valgono miliardi di dollari e che i sovietici, con la loro cartografia poco precisa, avevano collocato in Azerbaijan. Ben presto, quando decine di armeni vennero uccisi, a Sumgait esplose la violenza. Centinaia di migliaia di azeri e armeni che si ritrovarono improvvisamente dalla parte sbagliata della frontiera cominciarono a spostarsi. Quando l'Unione Sovietica barcollò scoppiarono le battaglie tra le milizie armene e azere e altri armeni vennero massacrati a Baku, la capitale dell'Azerbaijan. L'esercito sovietico riuscì a riprendere il controllo di Baku e a restaurare la sua versione dell'ordine e mentre l'Azerbaijan votava comunista alle elezioni del 1990, il presidente nazionalista armeno Levon Ter Petrosian ristabilì il controllo in Armenia. In ogni caso l'Unione Sovietica avrebbe fatto ben presto parte della storia, e l'Armenia votò per l'indipendenza nel 1991. Le parti in guerra firmarono il cessate il 11 fuoco nel 1994 e da allora mantengono una difficile tregua. La campagna militare diede fondo alle risorse della nuova repubblica e l'Iran e la Turchia imposero inoltre un blocco economico. Una buona parte del cuore dell'Armenia storica, tra cui anche il Monte Ararat, si trova ora in Turchia, ma l'Armenia vi ha più o meno rinunciato. Il Nagorno-Karabakh fa ancora formalmente parte dell'Azerbaijan ma è raggiungibile solo dall'Armenia ed è presidiato dalle truppe armene. Questa situazione ha ulteriormente danneggiato la debole economia e un conflitto in Georgia ha bloccato le vie dei rifornimenti, togliendo altra linfa all'economia armena. Alle elezioni del marzo 1998 Robert Kocharian fu eletto presidente (con il 59% dei voti) per un periodo di cinque anni. Il primo ministro Vazgen Sarkisian, il presidente del Parlamento Karen Demirchian e i suoi due sostituti e altre quattro persone furono assassinati il 27 ottobre 1999, quando cinque uomini irruppero in Parlamento e aprirono il fuoco. Aras Sarkisian succedette al fratello ma, nel maggio del 2000, il presidente Kocharian lo rimpiazzò (poiché lo riteneva un rivale politico) con l'attuale primo ministro Andranik Markarian. I rapporti tra l'opposizione e il presidente sono tesissimi e frequenti manifestazioni di piazza chiedono la sua destituzione per non aver attuato le riforme promesse che avrebbero dovuto migliorare il carente sistema democratico, imprigionato in clientelismo e corruzione dilaganti tra le forze di polizia e i funzionari pubblici. 1 2 Superficie: 29.808 Km² Abitanti: 3.336.000 (stime 2001) Densità: 112 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Erevan (1.200.000 ab.) Altre città: Vanadzor 147.000 ab., Gyumri 125.000 ab. Gruppi etnici: Armeni 93%, Russi 2%, altri 5% Paesi confinanti: Georgia a NORD, Azerbaigian a EST e a SUD, Iran a SUD, Turchia ad OVEST Monti principali: Aragats Lerr 4090 m Fiumi principali: Araks 1070 Km (totale, compresi tratti azero, iraniano e turco), Kasah, Debed Laghi principali: Lago Sevan 1400 Km² Clima: Continentale Lingua: Armeno (ufficiale), Russo Religione: Armena Apostolica Moneta: Dram armeno 1 3 AZERBAIJAN L'Azerbaijaan è abitato da almeno 3000 anni, forse anche da molto più tempo. A Baku e dintorni sono stati scoperti degli insediamenti databili all'età del bronzo. Gli sciiti si stabilirono nella zona nel IX secolo a.C., seguiti dai medi, seguaci dello zoroastrismo. Duecento anni dopo, i persiani achemenidi conquistarono metà del paese, ma furono sconfitti dai greci nel 330 a.C. A partire dal I secolo d.C., la zona passò sotto il controllo dei romani, ma dopo il III secolo ci fu un ritorno dei persiani. Nel VII secolo il paese fu invaso dagli arabi, la cui dominazione, interrotta dalla conquista mongola del XIII secolo, durò fino al XV sec, quando ritornarono i persiani con la casa dei Safawidi. Nel 1813 ebbe fine un conflitto tra tre contendenti (Russia, Turchia e Persia) che si concluse con la divisione dell'Azerbaijaan tra Russia e Persia lungo il fiume Aras. Durante il periodo della dominazione, l'Azerbaijan fornì alla Russia petrolio grezzo, prodotti chimici, prodotti tessili, cibo e vino, cosicché l'economia azera crebbe proporzionalmente a quella russa. Tuttavia, benché fornisse sempre meno petrolio lavorato all'URSS, l'Azerbaijan rimase, per tutto il XX secolo, un grande produttore di petrolio grezzo e di prodotti tessili. L'Azerbaijan godette di un breve periodo di indipendenza tra il 1918 e il 1920, 1 4 quando, occupato dall'armata rossa, il paese fu proclamato repubblica sovietica (e in seguito, nel 1936, repubblica federale insieme all'Armenia e alla Georgia). Nel 1924, l'URSS creò la provincia autonoma di Nagorno-Karabakh, che a quei tempi era virtualmente tutta armena (e quindi cristiana), all'interno della Repubblica dell'Azerbaijan, ponendola sotto il controllo degli azeri. I sovietici sciolsero la repubblica federata nel 1936, ma mantennero le tre repubbliche all'interno della loro orbita di influenza. Dopo il breve periodo di occupazione sovietica dell'Iran settentrionale, durante la seconda guerra mondiale, il governo iraniano represse il nascente movimento indipendentista locale delle etnie dell'Azerbaijan. Gli armeni del Nagorno-Karabakh erano da tempo insofferenti al dominio dell'Azerbaijan; il conflitto esplose nel 1988 e raggiunse il suo picco più alto dopo la dichiarazione d'indipendenza dell'Azerbaijan, nell'ottobre del 1991. Gli attacchi armeni ai cittadini azeri nella regione provocarono una serie d'interventi da parte delle forze armate dell'Azerbaijan. L'esercito dell'Azerbaijan subì diverse sconfitte che portarono alle dimissioni di due presidenti. Nel 1993, il conflitto aveva già causato migliaia di morti e circa un milione di profughi. Un cessate il fuoco proclamato nel 1994 evitò ulteriori spargimenti di sangue, ma nel 1999 il conflitto non era ancora stato risolto. Il Nagorno-Karabakh si dichiarò repubblica e si mostrò poco propenso a restituire parte dei territori all'Azerbaijan, tra cui la stretta striscia di terra che unisce Karabakh all'Armenia vera e propria. L'altra grave preoccupazione dell'Azerbaijan era, e rimane, il petrolio. Si ritiene che la regione del Mar Caspio contenga circa 100 miliardi di barili di petrolio e quasi altrettanti di gas naturale, e l'Azerbaijan rivendica il suo diritto su buona parte di essi. La democrazia rimane una specie protetta in Azerbaijan: il Nuovo Partito dell'Azerbaijan del presidente Äliyev ha vinto senza problemi le elezioni politiche del novembre 1995, l elezioni presidenziali dell'ottobre 1998, le elezioni amministrative del dicembre 1999 e le elezioni politiche del 2000. 1 5 Gli osservatori internazionali hanno denunciato pesanti brogli. Per gli operatori occidentali, che hanno investito miliardi di dollari nella costruzione dell'oleodotto tra Turchia e Georgia, la stabilità del paese non ha prezzo. La linea è finalmente entrata in funzione nel 2006, dopo un infinito strascico di polemiche. Anche se è costata molto più del previsto, si prevede che servirà all'Azerbaijan ad espandere la propria economia e a esportare risorse petrolifere. Una seconda linea è in fase di costruzione. Fino al 2004, tuttavia, questa nazione ha occupato stabilmente la top 10 dei paesi più corrotti secondo Transparency International. Le fonti più ottimiste parlano di un miglioramento negli ultimi anni. 1 6 Superficie: 86.528 Km² Abitanti: 7.771.000 (stime 2001) Densità: 90 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Baku (2.070.000 ab.) Altre città: Ganja 295.000 ab., Sumgayit 279.000 ab. Gruppi etnici: Azeri 90%, Dagestani 3,2%, Russi 2,5%, Armeni 2% Paesi confinanti: Russia a NORD, Georgia a NORD-OVEST, Iran a SUD, Armenia ad OVEST Monti principali: Bazardüzü Dag 4466 m Fiumi principali: Kura 1520 Km (totale, compresi tratti georgiano e turco), Araks 1070 Km (totale, compresi tratti iraniano, armeno e turco) Laghi principali: Mar Caspio 371.000 Km² (comprese parti russa, iraniana, turkmena e kazaka), Mingechaurskoye 400 Km² Isole principali: Ciloy Clima: Continentale Lingua: Azero (ufficiale), Russo, Armeno Religione: Musulmana 93,5%, Russa Ortodossa 2,5%, Armena Ortodossa 2,5%, altro 1,5% Moneta: Manat azero Nota: Il territorio del Nagorno-Karabakh (o Artsakh) situato nel sud-ovest del Paese, si è dichiarato indipendente il 6 Gennaio del 1992. Ufficialmente viene riconosciuto solamente dall'Armenia, che è in lotta per questo territorio con l'Azerbaigian. Il Nagorno-Karabakh è ampio 4.800 Km², mentre la popolazione ammonta a circa 150.000 persone (95% armeni, 5% assiri, greci, curdi ed altre minoranze). La capitale è Stepanakert. 1 7 BIELORUSSIA La Repubblica di Bielorussia storicamente, in italiano, veniva a volte indicata come “Russia Bianca” o “Rutenia Bianca”, una traduzione letterale del nome. Questa traduzione viene usata anche in altre lingue, ad esempio, “Weißrussland” in tedesco e “Baltarusija” (Baltarus, oggi) in lituano. Il nome Bielorussia è considerato denigratorio da alcuni, ed è percepito come una reminiscenza dell'imperialismo russo e sovietico e delle politiche di russificazione (il titolo completo dello zar russo era "Imperatore di tutte le Russie Grande, Minore e Bianca"). Per questo motivo viene a volte preferito il nome Belarus, Rus' fa riferimento alla popolazione che precedette Russi, Ucraini e Bielorussi. Comunque esiste molta confusione sulla localizzazione del territorio: inoltre in aggiunta all'approssimazione del moderno territorio della Bielorussia, alcune mappe antiche segnano "Rutenia Alba" sul territorio della Moscovia. La spiegazione si può trovare nel Rerum Moscoviticarum Commentarii di Sigismund von Herberstein, in cui si racconta che i primi zar moscoviti indossavano vesti bianche -- per distinguersi dagli imperatori Bizantini che usavano vesti color 1 8 porpora e da quelli Persiani che vestivano in rosso -- in accordo con la dottrina della Terza Roma5 , degli zar russi. Così, i governanti della Moscovia vennero chiamati Zar Bianchi e questo appellativo, assieme alla dicitura solenne Zarato Bianco, fu in uso fino alla scomparsa della Russia. Alla fine, questo colore venne trasferito al nome dell'Armata Bianca, che combattè contro l'Armata Rossa e non è ancora chiaro come il nome "Russia Bianca" sia infine stato applicato ai Bielorussi. Ci sono diverse ipotesi speculative, comunque nessuna conclusiva prova documentale è stata trovata per alcuna di queste. Una di queste teorie si basa sul fatto accettato che l'etnia bielorussa si sia formata principalmente dalle interazioni storiche tra etnie slave e baltiche. La radice "balt-" significa "bianco" nelle lingue e dialetti del ceppo baltico, ovvero, in lituano e lettone, quindi "Mar Baltico" (Balta jura in Lituano) significa letteralmente "mare bianco" per cui "Balta Rusija" potrebbe essere stata l'originale auto-denominazione, piuttosto che una successiva derivata dalla "Russia". Un'altra teoria suggerisce che l'etnia bielorussa avesse capelli chiari, essendo vicina a quelle baltica e scandinava. Un'altra ancora è quella secondo cui i bielorussi sono così nominati per il colore predominante dei loro abiti tradizionali (lino non colorato). Esempi simili di nomi "colorati" nelle etnie slave sono i Serbi Bianchi e i Croati Bianchi. Storia 5 - Dottrina della Terza Roma: è un appellativo assegnato alla città di Mosca. L'idea di Mosca come Terza Roma ebbe fortuna sin dall'antica Russia zarista. Dopo pochi anni dalla conquista di Costantinopoli da parte di Mehmed II sovrano dell'Impero ottomano il 29 maggio 1453, alcuni nominarono Mosca:Terza Roma o Nuova Roma.Il sentimento nacque durante il regno di Ivan III di Russia, gran Duca di Mosca,che avendo sposato Sofia Paleologa, nipote di Costantino XI, l'ultimo imperatore di Costantinopoli. e Ivan reclamò l'eredità storica e soprattutto religiosa della città che si definiva seconda Roma. Questa idea è rimasta nel tempo, avallata dalla presenza nella capitale russa di patriarchi della religione ortodossa e a questo giustificativo possiamo rimandare l'ostilità storica e le tante guerre tra russi e turchi , aggravate anche da ragioni d'influenza geopolitica nell'Europa Orientale. 1 9 Il destino della Bielorussia può essere considerato contemporaneamente eroico e tragico. A volte potrebbe sembrare illogico. I proavi della nazione tante volte difesero la loro indipendenza e dignità con le armi e vinsero tante battaglie ma allo stesso modo le persero persero in seguito a vari intrighi politici, unioni, divisioni e patti. Nella seconda metà del primo millennio a.C. le tribù slave cominciarono a popolare l'area dell'attuale Bielorussia e con questo processo iniziò la cosiddetta "slavizzazione" delle etnie baltiche locali. Tale sintesi slavo-baltica funge da base per la formazione dell'etnia bielorussa. La prima forma dello Stato su questa terra divenne il principato di Polozk (A.D. 862). Il cristianesimo fu portato in Bielorussia dai missionari di Bisanzio nel periodo di maggior diffusione in molti paesi europei (in particolare Danimarca, Polonia, Svezia, Norvegia, Croazia); divenne, però, la religione principale solo a cavallo tra XI ed il XII secolo quando prese forma una forte opposizione al paganesimo diffuso in queste terre da decenni. L'età d'oro della nazione è considerata il periodo del Gran Ducato Lituano, che formatosi nel Duecento, continuò per un periodo di circa 130-140 anni. Questo Stato medievale univa i territori che attualmente appartengono alla Bielorussia, Russia , Ucraina e Lituania, ma per tre quarti la sua popolazione si componeva di bielorussi. Il Gran Ducato Lituano fu un Paese unitario democratico, in cui esisteva il Codice del Gran Ducato (1529, 1566, 1588) e il Tribunale che puniva non solo i contadini, ma anche i potenti. In questo periodo il Gran Ducato dovette difendere le proprie terre contro le invasioni dei Crociati, i quali, dopo le imprese fallite in Palestina, avrebbero voluto conquistare nuovi territori dirigendosi verso l'Europa dell’Est. Nel 1410 l’esercito unito del Gran Ducato Lituano vinse la battaglia decisiva di Grunwald, considerata una delle maggiori dell'Europa medievale: vi parteciparono circa 80 mila militari. L'ordine teutonico fu completamente sconfitto. 2 0 È solo a partire dal '400 che abbiamo descrizione delle terre bielorusse (soprattutto fatte da viaggiatori italiani) ed i tratti caratteristici di questa terra, secondo l'opinione comune dei viaggiatori, furono identificati con inverni rigidi, boschi e foreste, fiumi e laghi, paludi, ricchezza di animali, uccelli e pesci. Una nuova fase nella storia bielorussa si aprì con la formazione di un altro Stato noto con il nome di Rzeczpospolita (dal latino “res publica”- stato comune) sorto nel 1569 dall'unione del Gran Ducato Lituano e della Polonia. Nel 1596 fu firmata la cosiddetta Unione di Brest, secondo la quale venivano formalmente unite la chiesa cattolica e quella ortodossa, riconoscendo l'autorità del papa e lasciando alla chiesa locale si la possibilità di celebrare i riti ecclesiastici secondo le regole greco-bizantine. Nacque così la Chiesa dell'unione . Fu uno dei tentativi della chiesa cattolica locale di opporsi alla Riforma protestante. Lo Stato di Rzeczpospolita durò poco: i suoi territori furono devastati da una lunga ed estenuante Guerra del Nord (1700-1721) nella quale si scontrarono gli interessi della Russia con quelli della Svezia ed alla fine del Settecento lo stato fu diviso tra la Prussia, l'Austria e la Russia e la Bielorussia divenne una parte dell'Impero russo. La situazione geopolitica rimase tale fino al 1797. Nel 1794, sia in Polonia che in Bielorussia e con a capo Tadeusz Kostuiszko (già noto come uno dei personaggi importanti della guerra per l'indipendenza dell'America del Nord –1775-83) scoppiò l’insurrezione per l’indipendenza e per le libertà democratiche, che purtroppo non riuscì e da quel momento iniziò, e continuò per molti decenni, una forzata russificazione del popolo bielorusso. Nei tempi della guerra napoleonica del 1812 i territori bielorussi servirono da ponte tra i due mondi e furono campo di numerosi combattimenti tra le armate di Napoleone e l'esercito russo. Per tutto l'Ottocento la Bielorussia, insieme ad una parte della Polonia, fece parte della Russia comeGovernatorato Nord-Occidentale, una delle tante province dello sconfinato impero. 2 1 La prima guerra mondiale fu rovinosa per il paese. Il colpo di Stato a Pietrogrado nel 1917 fece nascere vari Stati indipendenti nel territorio dell'ex impero, tra cui la Repubblica Popolare Bielorussa con una vita piuttosto breve. Nel 1919 fu proclamata la "Bielorussia Sovietica" che, dal 1922, entrò a far parte dell' Unione Sovietica. Nello stesso tempo, dopo il trattato di Riga del 1921, la parte occidentale del Paese andò alla Polonia in qualità di "compenso agricolo". Nel 1939, quando scoppiò la II Guerra mondiale, l'Armata Rossa occupò queste terre, insieme a quelle dell' Ucraina occidentale ed una parte della Moldavia. La parte est della Bielorussia fu intensamente "sovietizzata" e russificata: dalle mutazioni forzate della lingua (assimilata a quella russa), alla chiusura delle scuole bielorusse, dei periodici in lingua nazionale, ecc. Durante questo periodo la maggior parte dei contadini fu costretta ad iscriversi nelle cooperative agricole (i kolchoz) e chi si oppose, venne privato della libertà , di tutti i beni e represso (in totale, circa 1,5 milioni di bielorussi subirono in quegli anni repressioni di vario genere). Il 22 giugno 1941 la Germania nazista attaccò improvvisamente l' Unione Sovietica e, anche in questo caso, le terre della Bielorussia furono le prime a subire le sanguinose conseguenze dell'avanzata tedesca. Molte città furono letteralmente rase al suolo già nei primi giorni della guerra. Secondo il piano del Terzo Reich, la popolazione doveva essere annientata per il 50%, un quarto della popolazione doveva essere schiavizzata ("bestiame da lavoro") ed il resto doveva essere germanizzato. Ma nonostante queste circostanze insopportabili e inumane, la gente bielorussa iniziò a combattere e difendersi fin dall’inizio (basti pensare all'eroica difesa della fortezza di Brest, al confine con la Polonia) fino alla fine delle guerra stessa. Ci fu, di seguito, un periodo di relativa calma fino al 26 aprile 1986 quando 2 2 nella centrale atomica di Chernobyl, al confine tra l'Ucraina e la Bielorussia, ci fu un disastroso incidente, e le regioni di Gomel', Moghiliov ed in parte quelle di Brest e di Minsk furono inquinate dalle radiazioni. Centinaia di migliaia di persone dovettero abbandonare i posti dove avevano vissuto da sempre. Nel 1990, nell'atmosfera generale della perestroika che si era diffusa in tutta l' Unione Sovietica, si formarono in Bielorussia le prime correnti ed i primi partiti democratici. Il 27 luglio 1990 fu proclamata l'indipendenza della nazione (Repubblica di Belarus') ed approvata la nuova bandiera nazionale (bianco-rosso-bianco) e lo stemma. Il bielorusso diventò lingua nazionale e ufficiale. Nel 1992 la Repubblica Bielorussa era già riconosciuta da più di 100 Paesi al mondo. Nel 1994, dopo le prime elezioni presidenziali, il capo dello Stato divenne A. Lukashenko. Nel novembre 1996, su iniziativa del Presidente, si svolse un referendum a suffragio universale in base al quale furono apportate modifiche alla Costituzione del Paese, vennero modificate la bandiera e lo stemma dello Stato (praticamente riprese quelle dei tempi sovietici), il russo venne ufficializzato come seconda lingua nazionale. 2 3 Superficie: 207.650 Km² Abitanti: 9.849.000 (2003) Densità: 47 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Minsk (1.741.000 ab.) Altre città: Homel' 481.000 ab., Mahilëu 365.000 ab., Vicebsk 342.000 ab., Hrodna 315.000 ab., Brèst 298.000 ab. Gruppi etnici: Bielorussi 81%, Russi 11,5%, Polacchi 4%, Ucraini 2,5%, altri 1% Paesi confinanti: Lettonia e Lituania a NORD, Polonia ad OVEST, Ucraina a SUD, Russia ad EST Monti principali: Dzierzhinsky 345 m Fiumi principali: Dnepr 690 Km (tratto bielorusso, totale 2201 Km), Berezina 613 Km, Pripjat 495 Km (tratto bielorusso, totale 761 Km), Sozh 493 Km (tratto bielorusso, totale 648 Km), Neman 459 Km (tratto bielorusso, totale 937 Km), Ptich 421 Km, Dvina Occidentale 328 Km (tratto bielorusso, totale 1020 Km), Chara 325 Km Laghi principali: Naroch' 79,6 Km², Osveya 52,8 Km², Chervonoye 40,3 Km² Clima: Continentale Lingua: Bielorusso (ufficiale), Russo Religione: Ortodossa 31%, Cattolica 18%, altro 51% Moneta: Rublo bielorusso 2 4 BULGARIA A partire dal II millennio A.C., il territorio dell’attuale Bulgaria era occupato dai traci, antico popolo di origine indoeuropea descritto dallo storico greco Erodoto come il più grande e numeroso dopo quello degli indiani. Le tribù dei traci, annesse al regno di Macedonia verso la metà del IV secolo A.C., recuperarono la libertà alla fine dello stesso secolo. Nel III secolo A.C. subirono un’invasione di breve durata da parte dei celti per poi perdere definitivamente la propria autonomia nel 46 a.C. per opera dei Romani. Il dominio da parte dei Bizantini proseguì sino a quando, nel VI secolo D.C., la penisola fu invasa dagli slavi del sud, popolazione appartenente al gruppo etnico europeo che la storia descrive come ospitali e valorosi. Grazie anche al favore e al sostegno dei traci, gli slavi riuscirono man mano a rovesciare il dominio bizantino e nel VII secolo, essi cominciarono a creare un’organizzazione statale. Nello stesso tempo penetravano nella penisola balcanica i protobulgari, una popolazione di origine turca proveniente dalla regione costiera del mare di Azov, a nord del Caucaso che dopo aver sconfitto le truppe romane, si stabilirono nel territorio della Dobrugia, per penetrare poi sempre più all'interno, 2 5 nelle terre della odierna Bulgaria nord-orientale. Primo Impero Bulgaro Nel 681 slavi e bulgari strinsero un’alleanza concludendo la pace con Bisanzio e fondando un nuovo stato chiamato appunto Bulgaria, la cui capitale fu la città di Pliska. Il Primo Impero Bulgaro, economicamente organizzato secondo il sistema feudale, visse momenti di prosperità sotto la guida di Khan Krum, che governò dall’803 all’814. Le sue armate sconfissero le forze bizantine nell’811, arrivando ad assediare Costantinopoli (l’odierna Istanbul) nell’813. Anche i suoi successori, con la conquista della Macedonia, contribuirono a dare lustro allo Stato Bulgaro, che divenne il più potente dell’Europa orientale durante il regno di Simeone I, dall’893 al 927. Tra il IX e il X secolo, re Simeone, detto il Grande, combatté e vinse varie battaglie contro i Bizantini e i magiari, conquistò nuovi territori, tra cui la Serbia e si creò la fama di sovrano potente. Proclamatosi imperatore di Grecia e Bulgaria nel 925, Simeone, tuttavia, non riuscì mai nel suo intento di conquistare Costantinopoli. Il suo regno fu caratterizzato dalla diffusione della dottrina cristiana e da un grande sviluppo culturale, infatti, fu proprio in questo periodo, definito il secolo d'oro della letteratura bulgara, che nel paese si diffuse l'alfabeto cirillico e nacque una letteratura autoctona. Dopo la sua morte, avvenuta nell’anno 927, e particolarmente nella seconda metà del X secolo, ebbe inizio la decadenza del Primo Impero Bulgaro, causata dalle invasioni dei magiari e dei russi, che nel 969 conquistarono la capitale e fecero prigioniera la famiglia reale. 2 6 Nel 970 l’imperatore bizantino Giovanni I Zimiscè, allarmato dall’avanzata dei russi nell’Europa sud-orientale, intervenne nel conflitto, riuscendo a sconfiggere i russi e ad annettere al proprio impero le regioni orientali della Bulgaria (972). L’impero bulgaro, governato dal 976 dallo zar Samuele, fu ridotto alla sola regione occidentale del paese fino al 1014, quando l’imperatore bizantino Basilio II sconfisse definitivamente le armate di Samuele, impadronendosi di tutta la Bulgaria. Secondo Impero Bulgaro Nel 1185, con una insurrezione popolare guidata dai fratelli Asen, i Bulgari si ribellarono al dominio bizantino e ristabilirono la propria sovranità, creando il Secondo Impero Bulgaro, con capitale Veliko Tarnovo. All’inizio del XIII secolo, governati dalla dinastia degli Asen, i bulgari riconquistarono gran parte dei territori della Serbia e della Macedonia occidentale. Ma la Bulgaria perse nuovamente la propria indipendenza dopo il duro assedio da parte dei turchi ottomani del 1393 che conquistarono la città di Tarnovo e quindi il resto del regno rendendo la nazione una provincia dell'impero ottomano. Iniziò quindi uno dei periodi più tristi della storia bulgara, caratterizzato da massacri e devastazioni. Gli ottomani instaurarono un sistema feudale di tipo militare, arretrato rispetto a quello preesistente dove la servitù della gleba era stata abolita, e conducevano una dura politica di assimilazione culturale. Le numerose insurrezioni popolari furono represse nel sangue costringendo molti rivoltosi a emigrare. L’Indipendenza Il XIX secolo vide il risveglio dell’identità bulgara e la nascita del movimento 2 7 nazionale rivoluzionario, influenzato dalle ideologie occidentali e favorito dal diffondersi dell’istruzione e dal sostegno dei maggiori esponenti della cultura letteraria del paese. Ma fu soprattutto il forte desiderio di ridare vita ad una chiesa bulgara indipendente a porre le basi per il Risorgimento bulgaro e a spingere la popolazione oppressa a ribellarsi al dominio turco. La lotta per la liberazione culminò con l'insurrezione dell'aprile 1876, brutalmente stroncata dagli ottomani ma l’efferatezza della repressione e il rifiuto da parte dell’impero ottomano di concedere ai bulgari l'indipendenza, nonostante il sostegno delle potenze europee e di eminenti personalità di tutto il mondo, indusse i russi ad intervenire. Nel 1877, le truppe russe, con l’ausilio dell’esercito rumeno e di un reparto militare, costituito da volontari bulgari, sconfissero definitivamente i turchi nelle battaglie del Passo di Šipka e di Pleven. Il 3 marzo 1878 la Turchia firmò a S. Stefano la capitolazione, riconoscendo l'indipendenza della Bulgaria e attribuendole le regioni geografiche della Mesia, della Tracia e della Macedonia. Successivamente le potenze europee, al fine di preservare l'equilibrio in Europa, convocarono il Congresso di Berlino e rividero il trattato precedente, ridimensionando lo stato bulgaro proposto. La Bulgaria venne divisa in tre parti: principato di Bulgaria, Rumelia (provincia autonoma dell'impero turco), Macedonia (in mano dei turchi). Nel 1879, Alessandro di Battenberg, nipote dello zar Alessandro II di Russia, fu proclamato primo principe di Bulgaria e a Tornovo venne approvata la prima Costituzione, che concedeva la libertà di parola, stampa e riunione e il diritto al voto per gli uomini con 21 anni compiuti. Le Guerre Balcaniche Nella primavera del 1912 Bulgaria, Grecia, Serbia e Montenegro formarono 2 8 l'Alleanza balcanica e nell’ottobre dello stesso anno, con la prima Guerra Balcanica, gli Stati alleati sconfissero gli ottomani, liberando i territori della penisola balcanica ancora in mano turca. I contrasti intervenuti tra gli alleati per la spartizione dei territori conquistati provocarono però la seconda Guerra Balcanica (giugno 1913), in seguito alla quale la Bulgaria, sconfitta, perse gran parte della Macedonia a favore della Serbia e la Dobrugia a favore della Romania. Le Guerre Mondiali Dopo le guerre balcaniche, l’opinione pubblica bulgara era contro la Russia e le potenze occidentali che non erano intervenute in aiuto della Bulgaria. Per questo motivo e con la speranza di recuperare i territori persi, allo scoppio della prima guerra mondiale, la Bulgaria decise di allearsi con i tedeschi , anche se ciò significava diventare un alleato degli ottomani, i tradizionali nemici della Bulgaria. La Bulgaria si tenne fuori dal conflitto durante il primo anno della prima guerra mondiale, mentre recuperava forze dalle guerre balcaniche. Ma quando la Germania promise di restaurare i confini del trattato di Santo Stefano, la nazione, che possedeva l'esercito più grande dei Balcani, dichiarò guerra alla Serbia nell'ottobre 1915. Per tutta risposta, la Gran Bretagna, la Francia e l'Italia le dichiararono guerra. Tra i bulgari iniziò a diffondersi un forte sentimento antibellico. Le gravi ristrettezze economiche in cui versavano, il rifiuto a combattere contro altri cristiani ortodossi e, soprattutto, ad essere alleati degli ottomani portarono ad ammutinamenti nell’esercito che culminarono con un’insurrezione che mirava a rovesciare la monarchia e ad instaurare un governo repubblicano. La rivolta venne soffocata, costando al paese migliaia di vite, ma la Bulgaria nonostante ciò, raggiunse, almeno in parte, il suo scopo: uscire dalla guerra. 2 9 Il periodo fra le due guerre fu caratterizzato dalla mancanza di buoni rapporti di vicinato, soprattutto con la Jugoslavia e la Grecia, a causa della questione macedone, che i Bulgari si rifiutavano di considerare definitivamente risolta dal trattato di pace. Nel 1929 ci fu un tentativo di riavvicinamento dettato soprattutto da impellenti ragioni economiche, infatti la nazione non si era più risollevata dagli effetti disastrosi causati dalle tre guerre, ma nulla di positivo fu possibile concludere e le relazioni con i due stati peggiorarono in seguito alla conclusione del trattato greco-jugoslavo del marzo 1929, ritenuto a Sofia come un nuovo tentativo di accerchiamento. La profonda crisi economica e le tensioni interne portarono all’instaurazione di una dittatura apertamente fascista: furono vietati tutti i partiti, imposta la censura sulla stampa, chiuse le università, si formò un movimento giovanile di ultradestra. I rapporti con la Germania intanto si facevano sempre più stretti tanto che allo scoppio della seconda guerra mondiale, la Bulgaria, pur dichiarandosi neutrale per evitare il coinvolgimento nella guerra, si orientò sempre più verso le potenze dell'Asse. Sotto l’influenza tedesca e italiana, nel marzo del 1940 aderì al Patto tripartito e nel successivo dicembre ottenne dalla Romania: la Dobrugia meridionale. Nel marzo 1941 dichiarò guerra alla Iugoslavia e alla Grecia, occupando la Macedonia, la Tracia e i distretti greci di Florina e Kastoria. Pochi mesi dopo dichiarò guerra anche a Stati Uniti e Gran Bretagna. C'è da precisare però che, sebbene alleato della Germania nazista, il governo bulgaro si oppose alla politica di sterminio condotta contro gli ebrei e il governo filo tedesco venne rovesciato nel maggio 1944 dalle forze partigiane comuniste e agrarie. Occupata dalla truppe sovietiche a settembre, nell'ottobre dello stesso anno la Bulgaria firmò l’armistizio con l’URSS, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ritirandosi dai territori sottratti alla Grecia e alla Iugoslavia e fu allora che cadde 3 0 sotto la sfera d’influenza sovietica. La Repubblica Popolare di Bulgaria Con il referendum dell'8 settembre 1946, fu liquidata la monarchia, furono indette nuove elezioni vinte dal Fronte Popolare e proclamata la Repubblica Popolare di Bulgaria con Georgi Dimitrov quale presidente del Consiglio. Cominciò la trasformazione della Bulgaria in senso socialista, con la nazionalizzazione delle imprese industriali, minerarie e delle banche, la riforma agraria e in campo politico l'eliminazione delle opposizioni. Nel 1962, Todor Živkov assunse la presidenza della nazione e la mantenne fino al 10 novembre 1989, quando inattesa si diffuse la notizia delle sue dimissioni. Erano gli anni della crisi del sistema sovietico e nel 1992 fu eletto presidente l'esponente di maggior spicco delle Forze Democratiche, Zeljo Želev. Solo nel 1997, tuttavia, quando la crisi economica era al culmine, le forze democratiche raggiunsero stabilmente la maggioranza e avviarono il processo di avvicinamento alle potenze occidentali. Nel 2001, i socialisti conquistarono la presidenza con Georgi Parvanov, riconfermato nell'ottobre del 2006. La Bulgaria è entrata a far parte della NATO il 29 marzo 2004 e nell'Unione Europea il 1° gennaio 2007, dopo aver firmato il Trattato di Accesso il 25 aprile 2005. 3 1 Superficie: 110.971 Km² Abitanti: 7.801.000 (31/12/2003) Densità: 70 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Sofia (1.096.000 ab., 1.209.000 aggl. urbano) Altre città: Plovdiv 341.000 ab., Varna 315.000 ab., Burgas 193.000 ab., Ruse 162.000 ab. Gruppi etnici: Bulgari 84%, Turchi 9,5%, Zingari 4,5%, altri 2% Paesi confinanti: Romania a NORD, Serbia e Macedonia ad OVEST, Grecia e Turchia a EST Monti principali: Moussala 2925 m Fiumi principali: Danubio 520 Km (tratto bulgaro, totale 2858 Km), Iskar 368 Km, Marica 321 Km (tratto bulgaro, totale 514 Km), Struma 290 Km (tratto bulgaro, totale 408 Km) Laghi principali: Jezero Studen Kladenec (artificiale), Burgasko ezero Isole principali: Belene (nel Danubio) 43 Km² Clima: Continentale - mediterraneo Lingua: Bulgaro (ufficiale), Turco, Macedone, Romeno, Armeno Religione: Cristiana Ortodossa 84%, Musulmana 12%, altro 4% Moneta: Lev bulgaro 3 2 CROAZIA Abitata anticamente dagli illiri, la regione fece parte, dopo la conquista romana, della Pannonia. Conquistata durante il VI secolo d.C. dagli avari, genti del ceppo mongolo, fu colonizzata durante il VII secolo dai croati, un popolo di razza slava convertitosi al cristianesimo. Dopo una breve dominazione da parte dei franchi, venne denominata ducato di Croazia e di Slavonia. Nel 925 la Croazia divenne un regno indipendente con Tomislao e tale rimase fino alla fine dell’XI secolo, quando, in seguito ad un periodo di grave anarchia, Ladislao d’Ungheria conquistò la Croazia pannonica e il suo successore Colomano fu incoronato re di Croazia nel 1102, unendo sotto lo stesso potere i due stati. Nel XVI secolo una parte del territorio fu sottomessa all’impero ottomano, Dalmazia e Istria caddero in diverse occasioni sotto il dominio di Venezia e della Francia, mentre gran parte del territorio dell’odierna Croazia costituì un regno autonomo nell’ambito dell’impero asburgico fino alla rivoluzione ungherese del 1848-49. Costituita la duplice monarchia austro-ungarica (1867), la Croazia venne 3 3 assegnata alla Corona ungherese, ottenendo un’autonomia limitata e l’unione formale con la Slavonia nel 1881. Nel XIX secolo, in seguito all’istituzione da parte di Napoleone I delle Province illiriche (1809-14), in Croazia si sviluppò l’“illirismo”, un movimento nazionale ispirato alla rivoluzione francese, tanto che verso il 1830 lo scrittore Ljudevit Gaj (1809-1872) propugnò la riunificazione degli slavi del sud (iugoslavi) in un unico stato; a tale scopo Gaj riformò l’ortografia del croato per avvicinarlo al serbo, dando ai due popoli una lingua letteraria comune. La politica nazionalistica ungherese, la “magiarizzazione”, suscitò un’aperta ostilità nei confronti dell’Ungheria e un sentimento di solidarietà tra serbi e croati. Durante la prima guerra mondiale i due popoli combatterono insieme, nella speranza di creare un regno che avrebbe riunificato tutte le genti slave del sud. Nel 1918, in seguito alla caduta della monarchia austroungarica, la Croazia proclamò la propria indipendenza e l’unione con il nuovo Regno dei serbi, croati e sloveni, governato dal monarca serbo Alessandro I e nel 1929 il sovrano rinominò il regno Iugoslavia (Terra degli slavi del Sud). La nascita della Iugoslavia fu accolta in Croazia con entusiasmo, destinato tuttavia a spegnersi quando fu chiaro che nel nuovo stato i margini di autonomia per croati e sloveni sarebbero stati molto ristretti. I lavori della costituente furono boicottati dal Partito contadino croato di Stjepan Radić, il quale solo nel 1925, dopo aver invano cercato sostegno all’estero, accettò di entrare nel governo del regno. Lo scontro tra croati e serbi si acuì negli anni seguenti, culminando nel 1928 in un attentato contro Radić, ucciso con altri due membri dell’opposizione croata nel Parlamento di Belgrado da un deputato montenegrino. I funerali di Radić diventarono in Croazia una vasta manifestazione popolare contro il predominio serbo. A partire dal 1929, in Croazia andò affermandosi un nazionalismo radicale e ferocemente antiserbo, che ebbe come portavoce Ante Pavelić. Questi, fuggito all’estero, con l’appoggio dell’Ungheria e dell’Italia (entrambe decise a minare la 3 4 monarchia serba) creò l’organizzazione terroristica e filofascista degli ustascia. Nel 1934 un nazionalista croato uccise a Marsiglia il re Alessandro I. Il successore di Alessandro, il reggente Paolo, riavviò il dialogo con l’ala moderata del nazionalismo croato rappresentata dal Partito contadino, concedendo nel 1939 un’ampia autonomia alla Croazia. L’accordo venne tuttavia respinto dagli ustascia, fautori di una rottura totale con la Serbia, scontentando nel contempo molti croati, al punto che, nell’aprile del 1941, Zagabria accolse trionfalmente l’ingresso delle truppe tedesche. Nel 1941 la Iugoslavia fu smembrata dalle potenze dell’Asse e nei territori della Croazia e della Bosnia venne creato uno stato filofascista guidato da Pavelić, che, perseguendo l’obiettivo di rendere la nazione etnicamente pura, attuò una feroce politica di sterminio nei confronti di serbi, ebrei, zingari, partigiani, che causò centinaia di migliaia di vittime. Il sanguinario regime fascista degli ustascia fu abbattuto nel 1944 dalla resistenza comunista guidata da Josip Broz Tito. Nei mesi successivi la Croazia diventò oggetto di una severissima repressione; molti esponenti del regime fascista, collaborazionisti, ma anche molti semplici cittadini furono uccisi o reclusi senza nessuna possibilità di difendersi. Con l’aiuto degli Alleati e della Chiesa cattolica, molti croati – e tra questi molti membri del regime fascista e delle milizie ustascia – abbandonarono il paese trovando rifugio soprattutto in Argentina, in Australia, in Canada e negli Stati Uniti. Nella Repubblica socialista federale di Iugoslavia creata da Tito nel dopoguerra, la Croazia ebbe un ruolo importante, ma tuttavia subordinato al centralismo di Belgrado. Tito, di origini croate, diede alla federazione un sistema istituzionale basato sull’autonomia degli stati costituenti e su un’unica ideologia, quella comunista, che nelle attese della leadership iugoslava avrebbe dovuto sostituire quella nazionalista. La Croazia perse la Bosnia-Erzegovina, che divenne una repubblica autonoma, ma in base al trattato di pace con l’Italia del 1947, gran parte dell’Istria, prima in 3 5 mano italiana, fu inclusa nel suo territorio (Questione di Trieste). Per molti anni i croati furono oggetto di uno stretto controllo da parte delle autorità comuniste e in particolare della polizia segreta del ministro degli interni Aleksandr Rancović, fautore di un centralismo dogmatico e intransigente. Le tensioni nazionaliste tra croati e serbi, mai sopite, riaffiorarono negli anni Sessanta nelle polemiche linguistiche (rivendicazione della specificità della variante nazionale del serbo-croato), artistiche (rifiuto del “realismo socialista6”), economiche (adozione di una moneta croata). Nel 1967 un “manifesto” fortemente nazionalista di intellettuali zagabresi sollevò un’acuta crisi politica tra Zagabria e Belgrado, che si risolse solo con l’intervento del vertice della Lega dei comunisti ma negli anni successivi lo scontro si fece via via più politico, sfociando nel 1971 nelle rivendicazioni della cosiddetta “primavera croata”: totale autonomia della repubblica croata, costituzione di un esercito nazionale e invio di una propria rappresentanza alle Nazioni Unite. Allarmate dall’estensione del movimento e dal sostegno che questo riceveva dalla diaspora ustascia, le istituzioni federali iugoslave intervennero decapitando la leadership politica croata ed espellendo migliaia di persone di nazionalità croata dalle istituzioni pubbliche, dall’esercito e dalla Lega dei comunisti. Nel 1974, la nuova costituzione iugoslava concesse una più ampia autonomia ai croati, ma tra questi si andò tuttavia affermando il disegno indipendentista. L’esplosione dei nazionalismi Dopo la morte di Tito (1980), il sistema federale e socialista iugoslavo si avviò verso il suo definitivo declino. In tutta la federazione andarono moltiplicandosi le richieste di indipendenza e si rinnovò lo scontro tra Croazia e Serbia; in entrambe le 6 - Realismo socialista: Movimento artistico, nato nell’URSS nel corso degli anni Trenta del Novecento e diffusosi al termine della seconda guerra mondiale negli altri paesi comunisti, che perseguiva l’obiettivo di rappresentare la funzione storica del proletariato e gli ideali della rivoluzione socialista. Il periodo della sua massima affermazione si colloca durante il governo di Stalin e in particolare quando, nel 1932, il Comitato centrale del Partito comunista sovietico stabilì lo scioglimento dei movimenti artistici indipendenti e l’istituzione di unioni artistiche direttamente controllate dallo Stato. I soggetti privilegiati del realismo socialista erano immagini dei lavoratori nei campi o nelle fabbriche, scene di vita quotidiana, ritratti celebrativi di Stalin e di altre personalità di rilievo del paese, rappresentazione di episodi della rivoluzione. 3 6 repubbliche il nazionalismo dilagò alimentandosi di ruggini e di miti vecchi e nuovi. Singolare a questo riguardo fu il fermento religioso cresciuto in Croazia per tutti gli anni Ottanta intorno al villaggio di Medjugorje, dove a partire dal giugno del 1981 si sarebbero verificate diverse apparizioni della Madonna. Nel timore di sollevare nuove dispute, dopo i primi inefficaci tentativi di contrasto le autorità federali decisero di tollerare il fenomeno religioso, di cui però si impadronirono i nazionalisti per ribadire l’estraneità della nazione croata al sistema culturale e politico iugoslavo. Nel contempo nella Serbia dilagò un nazionalismo altrettanto esasperato, che premeva per un’affermazione definitiva della nazione serba sulle altre popolazioni balcaniche; tra i protagonisti di questa operazione ideologica si distinsero lo scrittore Dobrica Ćosić, membro dell’Accademia delle scienze e delle arti di Belgrado, e il presidente Slobodan Milošević. Nel maggio 1990, con il ritorno al multipartitismo, in Croazia si affermò la formazione più nazionalista, la Comunità democratica croata (HDZ), creata nel 1989 da Franjo Tudjman, un anziano generale dell’armata federale in pensione. L’HDZ riportò il 40% dei suffragi e la maggioranza dei seggi nell’Assemblea nazionale, mentre Tudjman fu eletto alla presidenza del paese. La presenza nelle file dell’HDZ di correnti esplicitamente ispirate al movimento degli ustascia e l’insistenza sui temi nazionalistici sollevarono la preoccupazione dei serbi residenti in Croazia, che trovò una conferma anche nella scelta del nuovo governo di adottare una bandiera e le divise dell’esercito del paese somiglianti a quelle della Croazia fascista di Pavelić. Neanche la nomina di un serbo alla vicepresidenza servì a rassicurare la comunità serba, che nell’estate del 1990 proclamò a sua volta l’autonomia dalla Croazia nelle province a maggioranza serba della Krajina e della Slavonia orientale e in quella mista della Slavonia occidentale. Il governo Tudjman non riconobbe l’autonomia delle tre regioni. Indipendenza e guerra civile 3 7 Nel giugno del 1991 la Slovenia e la Croazia proclamarono la propria indipendenza dalla Iugoslavia, sollevando l’aspra reazione di Belgrado. In Slovenia la crisi si risolse in pochi giorni con il ritiro dell’esercito federale. In Croazia, dove la comunità serba era consistente (600.000 persone) e gli interessi nazionali in gioco più complessi, scoppiò un violento conflitto che si protrasse per sette mesi. La Croazia, giunta militarmente impreparata all’indipendenza, subì la pesante offensiva dei serbi, che si abbatté con particolare violenza sulle città di Vukovar, Zara e Dubrovnik. Nel gennaio 1992, in seguito alla firma di un cessate il fuoco, le truppe federali si ritirarono, conservando però il controllo della Krajina e della Slavonia, dove fu proclamata la Repubblica serba di Krajina (RSK) con capitale Knin. Nello stesso mese l’indipendenza della Croazia venne riconosciuta dai paesi dell’Unione Europea. Sia durante il conflitto, sia nei mesi che seguirono, si diede avvio alla pratica della “pulizia etnica”; con lo scopo di ripulire le città e le campagne dai membri della comunità avversaria, centinaia di migliaia di persone vennero espulse dalle loro case e costrette a muoversi senza una meta, perseguitate, uccise o internate in campi di concentramento. Se i serbi eccelsero in questa condotta, i croati non la ripudiarono; entrambe le comunità, più quella musulmana, avrebbero riproposto in modo anche più tragico questa pratica durante il conflitto che nel 1992 travolse la Bosnia (Guerra civile jugoslava). Tudjman impose alla Croazia un regime personalistico e autoritario, venendo riconfermato alla presidenza del paese nel 1992, ma nel corso della primavera, lo scontro si spostò in Bosnia-Erzegovina. Agli inizi di maggio del 1995, le forze croate aggirarono le linee dell’ONU poste a difesa del cessate il fuoco e attaccarono l’enclave serba della Slavonia occidentale. 3 8 Nel mese di agosto l’esercito croato attaccò la Krajina, conquistandone la capitale Knin; un nuovo cessate il fuoco mise provvisoriamente fine ai combattimenti nella regione, sottoposta a una severa pulizia etnica da parte dei croati. La nuova Croazia Gli accordi di Dayton del novembre 1995 posero fine al conflitto nei Balcani e la Croazia ottenne la restituzione della Slavonia orientale (a partire dal luglio 1997, dopo una tutela provvisoria dell’ONU). Nel 1996 la Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro) e la Croazia firmarono un accordo di mutuo riconoscimento e nello stesso anno quest'ultima fu ammessa tra molte polemiche nel Consiglio d’Europa. Con la fine del conflitto, il disegno nazionalista di Tudjman iniziò a mostrare le prime crepe. Emarginato nel contesto internazionale per il suo rifiuto di collaborare con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia e per la scarsa attenzione riservata ai diritti politici e umani, Tudjman diventò anche bersaglio di una crescente opposizione interna. Grazie allo stretto controllo instaurato sullo stato e sui mezzi di informazione e alla discriminazione attuata nei confronti delle opposizioni (peraltro severamente criticata dagli osservatori internazionali), nel giugno del 1997 Tudjman fu confermato alla presidenza del paese, ma a recarsi alle urne fu solo il 57% degli elettori. Nel 1999, Tudjman tentò di rafforzare il traballante regime nazionalista con la creazione di un Consiglio di presidenza della Repubblica, trasferendovi gran parte dei poteri del governo. Il piano era tuttavia destinato ad arenarsi con la morte dello stesso Tudjman, annunciata, in un clima di fine regno, nel dicembre dello stesso anno. Agli inizi del 2000, privo della sua guida e diviso dalla lotta per la successione, l’HDZ subì una clamorosa sconfitta, perdendo sia le elezioni legislative (in seguito alle quali venne chiamato a guidare il governo Ivica Racan), 3 9 sia quelle presidenziali. Alla guida dello stato fu eletto il candidato delle opposizioni Stipe Mesić, ultimo presidente della Iugoslavia nel 1991, per soli pochi giorni, Mesić era stato in seguito uno stretto collaboratore di Tudjman, da cui aveva presto preso le distanze nella seconda metà degli anni Novanta. L'integrazione europea Dopo la morte di Tudjman, il paese fu attraversato da forti tensioni, dovute sia al severo piano di austerità messo in atto per affrontare la grave crisi economica, sia alle proteste nazionaliste sollevate dalla decisione della nuova leadership di collaborare con il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia. Le accuse rivolte a diversi alti ufficiali dell’esercito croato (e in particolare al generale Ante Gotovina) per crimini di guerra commessi tra il 1991 e il 1995 contro i serbi in Croazia e contro i musulmani in Bosnia suscitarono infatti la forte mobilitazione dell’opposizione nazionalista dell’HDZ e degli ex combattenti. La questione causò contrasti anche in seno alla nuova maggioranza di governo formata dai partiti socialdemocratico e social-liberale, e solo nell’estate del 2001, per scongiurare l’isolamento internazionale del paese, il Parlamento approvò la linea sostenuta da Mesić e Racan. Le polemiche indebolirono tuttavia il nuovo governo croato, avvantaggiando i nazionalisti dell’HDZ, che già nelle amministrative del maggio 2001 recuperarono parte del consenso perduto nelle elezioni nazionali. Nonostante un nuova crisi politica scoppiata tra la primavera e l’estate del 2002, il governo croato confermò la sua collaborazione con il Tribunale penale internazionale e la sua volontà di affrontare l’altrettanto delicata questione del ritorno dei profughi serbi in Krajina. Guadagnatasi la fiducia della comunità internazionale, Zagabria intensificò la sua azione diplomatica rivolta all’ingresso nell’Unione Europea, il principale obiettivo della politica estera dopo l’indipendenza, e nel febbraio 2003 presentò la sua candidatura ufficiale. Il governo di Zagabria operò nel contempo per migliorare 4 0 le relazioni con i paesi balcanici, stipulando una serie di accordi con la Slovenia, la Bosnia-Erzegovina e la Serbia-Montenegro. La condanna a dodici anni di prigione, comminata per crimini di guerra in marzo al generale Mirko Norać dal tribunale di Rijeka (Fiume), suscitò nuove proteste dei nazionalisti. Le elezioni legislative del novembre 2003 videro il ritorno al potere dei nazionalisti. L’HDZ, rinnovato nei ranghi e ripulito dalle frange più estremiste, riuscì infatti a sfruttare la crisi della coalizione di centrosinistra e a riconquistarsi un vasto consenso tra l’elettorato croato. Formato un nuovo esecutivo, che si avvalse del sostegno di altre formazioni di destra, il suo leader Ivo Sanader confermò gli impegni internazionali assunti dal precedente governo, soprattutto a riguardo del Tribunale penale internazionale e dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea. Nel gennaio 2005 Stipe Mesić venne confermato con una larga maggioranza (65,9%) alla guida dello stato, sconfiggendo il candidato dell’HDZ. Rinviati per la mancata collaborazione delle autorità di Zagabria nella ricerca del generale Ante Gotovina, accusato di crimini di guerra dal Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, i negoziati per l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea iniziarono nell’ottobre 2005. L’arresto di Ante Gotovina, avvenuto nel successivo dicembre alle Canarie, spianò inoltre la strada per l’ingresso del paese nella NATO. La Croazia attuale Il rapporto della Commissione europea pubblicato nel novembre 2006 esortò la Croazia ad accelerare il processo di riforme necessarie all’ingresso nell’Unione Europea, soprattutto riguardo alla lotta alla corruzione, alla ristrutturazione dell’amministrazione statale e del sistema giudiziario, alla situazione delle minoranze. Le elezioni legislative del novembre 2007 registrarono la forte rimonta del 4 1 Partito socialdemocratico, che non riuscì tuttavia a superare la Comunità democratica croata (HDZ); Ivo Sanader formò un nuovo governo di coalizione con altri partiti della destra croata. 4 2 Superficie: 56.594 Km² Abitanti: 4.443.000 (stime 2002) Densità: 79 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Zagabria (692.000 ab., 779.000 aggl. urbano) Altre città: Spalato 175.100 ab., Fiume 143.800 ab., Osijek 90.400 ab., Zara 69.600 ab., Slavonski Brod 58.600 ab., Pola 58.600 ab. Gruppi etnici: Croati 90%, Serbi 4,5%, altri 5,5% Paesi confinanti: Slovenia a NORD, Ungheria a NORD-EST, Serbia ad EST, Bosnia Erzegovina a SUD ed EST, Montenegro a SUD Monti principali: Dinara 1831 m Fiumi principali: Sava 562 Km (tratto croato, totale 947 Km), Drava 505 Km (tratto croato, totale 707 Km), Mura 438 Km, Kupa 296 Km, Danubio 188 Km (tratto croato, totale 2858 Km) Laghi principali: Vransko jezero 30,7 Km², Dubravsko jezero 17,1 Km² Isole principali: Krk (Veglia) 405,78 Km², Cres (Cherso) 405,78 Km², Brac (Brazza) 394,57 Km², Hvar (Lesina) 299,66 Km², Pag (Pago) 284,56 Km², Korcula (Curzola) 276,03 Km², Dugi otok (Isola lunga) 114,44 Km², Mljet 100,41 Km² Clima: Continentale - mediterraneo Lingua: Croato Religione: Cattolica 88%, Ortodossa 4,5%, altro 7,5% Moneta: Kuna croato 4 3 CURLANDIA La nascita di un Ducato di Curlandia indipendente ed autonomo risale al 1562 quando, con il trattato di Wilno si obbligò l’ultimo Gran Maestro dell’Ordine Livoniano (o dei Portaspada, già facente parte dell’Ordine Teutonico), Gottardo Kettler, a sciogliere l’ordine stesso ottenendo in cambio l’elezione a Duca di Curlandia e Semigallia, Ducato che avrebbe ricompreso i territori dell’attuale Lettonia che erano tra la sponda occidentale del fiume Daugawa (Dvina) ed il Mar Baltico, con capitale Mitau (Jelgava). Il paese, sotto la dinastia dei Kettler, conobbe un rapidissimo sviluppo economico, dovuto alla posizione strategica del paese, che ne faceva il naturale punto di sbocco verso Occidente ed il Nord Europa di tutti i prodotti provenienti dall’Est (dalla Russia) ed al tempo stesso il punto di partenza di tutti i prodotti che, dalla zona del Baltico, penetravano in Russia e nell’Est Europa. Inoltre, fattore non secondario, la zona del Ducato di Curlandia, si trovava all’interno della zona di produzione dell’ambra, sempre ricercatissima come decorazione preziosa. Questo fantastico sviluppo economico fu incentivato e potenziato dall’autorità 4 4 ducale la quale si era molto adoperata, sotto il Duca Jacob Kettler (1610 – 1682), conscia di questo potenziale sviluppo. A tal fine il Duca, fervido ammiratore delle teorie mercantiliste, aveva avviato il varo di una flotta mercantile di ampio respiro, supportata da due porti principali, Windau e Libau, oggi rispettivamente Ventspils e Liepaja. Da questi due porti la flotta curlandese salpava per commercializzare i propri prodotti; il Duca, infatti, fece aprire rotte commerciali verso Francia, Inghilterra ed Olanda. Tuttavia la situazione geografica della Curlandia, economicamente così favorevole, non era eccezionale. Le conformazioni geografiche del Nord Europa, del Mar Baltico e del Mar del Nord, infatti, facevano sì che alcuni paesi (Inghilterra, Danimarca, Svezia, Olanda) potessero bloccare, senza alcuno sforzo, il commercio curlandese, o comunque rallentarlo ed appesantirlo con balzelli e pedaggi. Oltre a questo la Curlandia era quasi obbligata ad acquistare i prodotti direttamente da questi paesi, con un aumento dei costi piuttosto consistente. Il governo curlandese, con in testa il Duca Jacob, decise (anche seguendo in maniera pedissequa le teorie mercantiliste) di bypassare l’intervento dei mediatori inglesi, olandesi o danesi, permettendo ai propri mercanti di ottenere le materie prime ed i prodotti direttamente alle fonti di produzione: servivano ovverosia delle colonie. Da quel momento ebbe inizio l’avventura coloniale curlandese. La Curlandia in Africa: l’isola di S. Andrea Una delle due direzioni verso cui si diresse il colonialismo curlandese fu l’Africa. A quell’epoca il continente nero non era ancora la principale “fonte” di territori colonizzabili; lo sarebbe divenuto qualche secolo dopo – il XIX per la precisione – con la corsa alla colonizzazione. Nel XVII secolo, eccetto pochi e sparuti territori (perlopiù stazioni commerciali o approdi), la maggior parte del territorio era ancora occupata da regni e tribù locali; questo non significa che non vi fossero rapporti tra queste tribù ed i mercanti 4 5 europei, ma solo che, a differenza dell’America, non sembrava conveniente conquistare stabilmente territori da colonizzare. Da questo punto di vista, anche l’avventura curlandese non si differenziò. Essa infatti non puntò alla conquista di un vasto territorio, quanto più alla creazione di un punto d’approdo (con annessa stazione commerciale) atto ad impiantare un commercio stabile – semistabile con le tribù dell’interno. A tal fine i luoghi prescelti dovevano avere alcune peculiari caratteristiche: 1. Essere sul mare, con annessa possibilità di costruzione di un porto (la cui utilità è superfluo indicare). 2. Essere in una posizione tale da avere facili contatti con l’interno del paese, per permettere ai mercanti di andare a recuperare le materie prime ovvero agli indigeni di portare le proprie “mercanzie” al luogo di scambio. 3. Essere in una posizione facilmente difendibile, per impedire ad eventuali indigeni ostili, ovvero ad altre potenze europee di conquistare facilmente il territorio e spazzare quindi via la colonia (la quale difficilmente potrebbe ricevere rinforzi in tempi brevi). Quando, nel 1651, coloni curlandesi si trovarono alla ricerca di un luogo con queste caratteristiche si imbatterono in un territorio che sembrava perfetto. Si trattava di un’isola, facilmente difendibile e con possibilità di approdo di navi. L’elemento più interessante era la posizione di quest’isola, visto che era posta non sul mare, ma a 30 Km di distanza dalla foce del fiume Gambia. Un’isola nel fiume, quindi, perfetta per effettuare scambi commerciali con l’interno del paese. I coloni sbarcarono e diedero a quell’isola il nome di Isola di S. Andrea. L’attività commerciale si diresse principalmente verso le materie prime che la zona offriva: avorio, oro, pelli e spezie, tutti prodotti facilmente smerciabili in Europa e nell’Est in particolare. La colonia dell’isola di S. Andrea, tuttavia, ebbe una durata effimera. Già nel 1659 gli Inglesi, accortisi della posizione strategica di prim’ordine, conquistarono l’isola e scacciarono i coloni lì presenti. 4 6 Ribattezzarono l’isola con il nome del Duca di York, James, nome con il quale sono entrambe oggi conosciute (l’isola è oggi patrimonio dell’umanità secondo l’UNESCO) La Curlandia nelle Indie Occidentali: l’isola di Tobago Una prima spedizione curlandese diretta sull’isola giunse già nel 1637, quando già spedizioni simili di Spagna ed Olanda erano fallite. Così, a metà del 1637, 212 coloni curlandesi sbarcarono sull’isola ma vennero respinti dagli indigeni. Un secondo tentativo fu compiuto nel 1642 quando due navi, con 300 coloni guidati dal Capitano Caroon cercarono di stabilirsi sull’isola ma un attacco dei Caribi (la popolazione locale) provocò la morte di molti coloni e la fuga dei restanti nella Guyana. Intanto simili spedizioni inglesi, nel 1639 e nel 1642 fallirono ugualmente. Finalmente nel 1654, il Duca inviò una nuova spedizione che conquistò l'isola ribattezzandola Neu Kurland (Nuova Curlandia) e la baia dove erano sbarcati Baia di Curlandia, si iniziò la costruzione di un forte (Forte Jacob) attorno al quale sorse l’abitato di Jekaba pilseta tra le cui costruzioni si ricorda una chiesa protestante. Pochi mesi dopo, tuttavia, coloni olandesi sbarcarono sull’isola, dando vita ad un proprio possedimento. Si era quindi nella paradossale situazione di due colonie poste su un’isola piccola, certamente troppo piccola per entrambi i possedimenti. Intanto erano state avviate fiorenti attività commerciali che comprendevano lo smercio di zucchero, tabacco, spezie e caffè, tutti prodotti introvabili altrimenti in Europa e dei quali gli Europei iniziavano a non poter più fare a meno. La presenza di due nazioni rivali sulla stessa isola peggiorò con lo sbarco, nel 1658, di 500 coloni francesi. Dal punto di vista strettamente demografico, la presenza curlandese era la minore, nonostante, l’anno precedente, altri 120 coloni si fossero uniti ai primi pionieri. Tuttavia la parabola discendente del possedimento era già iniziata. Nel 1655, infatti, la Svezia aveva invaso il Ducato e nel 1658 lo stesso Duca Jacob Kettler fu preso 4 7 prigioniero. Gli Olandesi approfittarono della situazione, che impediva al Ducato di inviare rinforzi, e nel 1659 attaccarono il possedimento curlandese. L’11 dicembre 1659 il governatore della Nuova Curlandia, Hubert de Beveren, si arrese alle truppe olandesi che assediavano il forte Jacob. Qualche speranza per il ritorno della colonia in mani baltiche si riebbe nel 1660, quando con il Trattato di Oliva (che concludeva la Seconda guerra del Nord), fu stabilito che l’isola dovesse tornare in mani curlandesi. Ma anche questa dominazione ebbe vita breve. Nel 1666, infatti, i coloni si arresero a pirati inglesi che presero possesso dell’isola, che non sembrava trovare pace: nel giro di due anni cambiò altre due volte padrone: i Francesi scacciarono gli Inglesi nello stesso 1666, poi furono scacciati a loro volta dagli Olandesi che, nel 1667, presero possesso nell’isola. Le velleità di conquista del Ducato di Curlandia non erano finite, visto che una nave curlandese cercò di sbarcare truppe e coloni nel 1668. Gli Olandesi, però, riuscirono a respingere l’invasione. Fonti testimoniano come negli anni 1675 – 1683, coloni curlandesi fossero riusciti a riformare un agglomerato ed un possedimento, ma probabilmente si trattò di coloni curlandesi sottoposti al governo olandese – francese (l’isola continuò a cambiare padrone più e più volte).Nel 1689 gli ultimi coloni curlandesi lasciarono definitivamente l’isola di Tobago: era la fine dei possedimenti coloniali del Ducato di Curlandia. Nonostante la fine del dominio su territori d’oltremare, il Ducato di Curlandia, fino alla sua dissoluzione nel 1795, continuò a nominare un Governatore della Nuova Curlandia, in un quanto mai utopico desiderio di rivalsa e riconquist 4 8 ESTONIA Tribù di origine ugrofinnica, che Tacito menziona come aestii, gli estoni si organizzarono in piccoli stati federati già dai primi secoli dell’era cristiana e, tra il IX e il XII secolo, si scontrarono con vichinghi, russi, danesi e svedesi. Nel 1219 il re di Danimarca, Valdemaro II, per offrire sostegno all’invasione teutonica del paese, occupò la parte settentrionale della regione, fondando la città di Reval (oggi Tallinn), ove fece costruire un castello e stabilì la sede del vescovo. Nel 1242 Aleksandr Nevskij sconfisse nella battaglia del lago Peipus i Cavalieri teutonici, arrestandone l’avanzata. La dominazione svedese In seguito a una sommossa, scoppiata tra il 1343 e il 1345, il sovrano danese Valdemaro IV cedette i propri territori all’ordine dei Cavalieri teutonici, che all’epoca già controllavano la regione meridionale (Livonia). Questi ultimi e la Lega anseatica7 fondarono alcuni centri commerciali lungo la 7 - Lega anseatica: (detta anche Hansa) fu un' alleanza di città che nel tardo medioevo e fino all'inizio dell'era moderna mantenne il monopolio dei commerci su gran parte dell'Europa settentrionale e 4 9 costa e dominarono il paese fino al 1561; dopo questa data la parte meridionale fu temporaneamente governata dalla Polonia, mentre la nobiltà tedesca prese possesso delle aree rurali godendo della protezione della corona svedese e sottoponendo la popolazione estone a durissime condizioni di vita. Nel 1632 gli svedesi fondarono l’Università di Tartu, rafforzando il luteranesimo nella regione. Passato dal 1645 sotto il dominio svedese, il paese conobbe un secolo di grande prosperità, caratterizzato dall’introduzione di riforme sociali da parte di un regime che si dimostrò illuminato, difendendo i contadini dagli abusi della nobiltà rurale. L’Estonia, in base a quanto previsto dal trattato di pace di Nystadt che pose fine alla guerra del Nord (1700-1721), venne quindi ceduta alla Russia e lo zar Pietro il Grande restituì alla nobiltà gli antichi privilegi. Benché tra il 1816 e il 1819 Alessandro I avesse abolito la servitù della gleba e, dopo la prima metà del secolo, fosse stato concesso ai contadini il diritto di acquistare le terre, il paese nel corso della dominazione zarista fu sottoposto a una politica di russificazione, che vanificò ogni sua aspirazione alla costituzione di uno stato nazionale. Solo in concomitanza con la Rivoluzione russa del 1905 (successiva alla guerra russo-giapponese) si poté assistere a un primo risveglio della coscienza nazionale, manifestatosi con ripetute rivolte popolari, che vennero soffocate nel sangue dalle forze zariste. La Rivoluzione russa del febbraio 1917, che sancì la caduta dell’impero zarista, consentì all’Estonia di costituirsi in stato autonomo (aprile 1917) e nel 1918, in seguito alla Rivoluzione d’ottobre, l’Estonia proclamò la sua indipendenza. Il riconoscimento formale da parte del governo sovietico venne concesso solo nel del Baltico. La sua fondazione viene fatta risalire al XII secolo. Fu in questo periodo che i mercanti delle varie città iniziarono a formare società, o Hanse, con l'intenzione di commerciare con le città straniere. Queste società lavorarono per acquisire degli speciali privilegi commerciali per i loro membri. Ad esempio, i mercanti di Colonia furono in grado di convincere Enrico II d'Inghilterra a garantire loro speciali privilegi commerciali e diritti di mercato nel 1157. Alla fine, alcune di queste città iniziarono a formare alleanze tra di loro, in forma di una rete di mutua assistenza che sarebbe diventata, appunto, la Lega Anseatica. 5 0 febbraio 1920 (in base a quanto disposto dal trattato siglato a Tartu) e l’anno successivo il paese divenne membro della Società delle Nazioni. All’indipendenza fece seguito un lungo periodo di instabilità politica che condusse, nel 1933, all’instaurazione di un regime autoritario, trasformato nel 1938, con una nuova Costituzione, in regime presidenziale. Nel giugno del 1940, in conformità con il patto Molotov-Ribbentrop8, le forze dell’URSS occuparono l’Estonia e le altre repubbliche baltiche di Lituania e Lettonia; il 6 agosto del 1940, dopo lo svolgimento di elezioni controllate da Mosca, il paese venne incorporato nell’URSS con il nome di Repubblica socialista sovietica d’Estonia. Nel 1941 la popolazione estone subì massicce deportazioni e nell’agosto dello stesso anno il paese venne occupato dalle truppe tedesche nel corso della campagna di Russia, tornando sotto il controllo sovietico nel settembre del 1944. Il ritorno dei sovietici fu contrassegnato da nuove epurazioni e deportazioni e nel contempo si accentuò la russificazione dell’Estonia, con il trasferimento di molti russi nel paese e la proclamazione del russo a lingua ufficiale. I successivi decenni di regime comunista non piegarono tuttavia lo spirito nazionalistico che animava gran parte della popolazione. Infatti, assieme a Lituania e Lettonia, l’Estonia fu una delle prime repubbliche sovietiche a esercitare, nel corso degli anni Ottanta, forti pressioni per ottenere l’indipendenza, in aperto contrasto con il governo centrale. Con la dissoluzione dell’URSS, il governo sovietico riconobbe formalmente l’indipendenza delle repubbliche baltiche (6 settembre 1991), che dopo alcune 8 - Patto Moltov-Ribbentrop: chiamato anche Patto Hitler-Stalin, fu un trattato di non-aggressione fra la Germania nazista e l'Unione Sovietica. Venne firmato a Mosca il 23 agosto del 1939, il dal Ministro degli Esteri sovietico Molotov e dal Ministro degli Esteri tedesco von Ribbentrop. Si trattò di una conseguenza della politica di accondiscendenza portata avanti dalle potenze europee occidentali verso le precedenti richieste di espansione territoriale avanzate da Hitler (ai danni della Cecoslovacchia e dell'Austria). L'accordo definiva, tra l'altro, le sfere d'influenza del terzo reich e dell'Unione Sovietica per le zone vicine ai confini dei due stati. La conseguenza più spettacolare di questo trattato fu con tutta probabilità la divisione del territorio polacco tra russi e tedeschi, operazione considerata come l'inizio della II Guerra mondiale. 5 1 settimane furono ammesse alle Nazioni Unite. I primi anni di indipendenza furono contrassegnati da aspri conflitti commerciali e territoriali con la Russia; un’ulteriore causa di contrasti tra i due paesi furono i provvedimenti ultranazionalisti approvati dal Parlamento nel 1993, che ponevano grossi limiti alla concessione della cittadinanza estone ai russi residenti nel paese. Il paese adottò una nuova Costituzione democratica nel giugno 1992. Le prime elezioni libere, svoltesi nel successivo mese di settembre, videro il successo di una coalizione favorevole a una rapida liberalizzazione dell’economia; in ottobre uno dei suoi esponenti, Lennart Meri, già ministro degli Esteri, fu eletto alla presidenza della Repubblica. Una prima fase di riforme economiche fu tuttavia sospesa nel 1993, per il coinvolgimento di alcuni esponenti della maggioranza in vicende oscure legate alle privatizzazioni. Tra il 1993 e il 1994 l’Estonia diventò membro del Consiglio d’Europa e firmò un accordo di partenariato con la NATO, in seguito al quale le truppe russe lasciarono definitivamente il paese. Nell’aprile 1995 l’Estonia firmò un accordo di associazione con l’Unione Europea. Le elezioni del marzo 1995 videro la sconfitta della coalizione di governo e il successo delle opposizioni; il governo guidato da Tiit Vähi, già sotto accusa per la forte presenza di ex comunisti, subì un primo rimpasto a ottobre, quando il ministro degli Interni Edgar Savisaar, accusato di corruzione, fu costretto a dimettersi. Nel 1996, dopo un travagliato scrutinio, Lennart Meri fu confermato alla presidenza della Repubblica e nel 1997 il primo ministro Vähi fu rimpiazzato da Mart Siiman, che accelerò le riforme economiche per favorire l’integrazione del paese nell’UE; fu proprio nello stesso anno, in occasione del vertice europeo di Lussemburgo, che l’Estonia venne compresa, unico tra i paesi baltici, tra i candidati “prioritari”. Nel 1998 il Parlamento estone abolì la pena di morte. Nelle elezioni legislative del marzo 1999 prevalse per pochi seggi una coalizione di centrodestra favorevole a intensificare ulteriormente il processo di riforma economica e Mart Laar venne chiamato alla guida del governo. 5 2 Nel settembre del 2001 il candidato governativo alla presidenza venne battuto da Arnold Rüütel, un esponente del passato regime comunista e tra i maggiori protagonisti del conseguimento dell’indipendenza. Agli inizi del 2002 i profondi contrasti sulla politica economica interni alla maggioranza di governo causarono le dimissioni del primo ministro Laar, al quale succedette il ministro delle Finanze, Siim Kallas. Le elezioni legislative del marzo 2003 segnarono l’ingresso sulla scena politica di Res Publica, una nuova formazione conservatrice guidata da Juhan Parts, che ottenne il 24,6% dei voti e 28 deputati, al pari del Partito di centro e davanti al Partito della riforma; Parts formò un nuovo governo di coalizione con il sostegno del Partito della riforma e dell’Unione popolare. Il nuovo assetto politico non modificò la politica estera del paese, che proseguì il cammino di avvicinamento all’Unione Europea con la firma del trattato di adesione ad Atene nell’aprile 2003. A settembre un referendum approvò con il 67% dei suffragi l’ingresso del paese nell’Unione Europea, che avvenne ufficialmente il 1° maggio 2004, poche settimane dopo l’ingresso nella NATO (29 marzo). L'Estonia attuale Nel marzo 2005 cadde il governo diretto da Juhan Parts e venne formato un nuovo governo guidato dal leader del Partito della riforma Andrus Ansip. Nel giugno dello stesso anno, una schermaglia diplomatica con Mosca provocò la sospensione di un trattato sui confini appena firmato. Nel settembre 2006 venne eletto alla presidenza il socialdemocratico Toomas Hendrik Ilves, già diplomatico e ministro degli Esteri. Dopo la vittoria del Partito della riforma (27,8%) nelle elezioni del marzo 2007, venne confermato alla guida del governo Andrus Ansip. Retrocedono al terzo posto, dopo il Partito di centro (26%), i conservatori di Res Publica (18%), persero circa un quarto dei voti rispetto alle precedenti elezioni. 5 3 Superficie: 45.227 Km² Abitanti: 1.356.000 Densità: 30 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Tallinn (397.000 ab.) Altre città: Tartu 101.200 ab., Narva 67.800 ab. Gruppi etnici: Estoni 68,5%, Russi 26%, Ucraini 2%, Bielorussi 1%, Finlandesi 1%, altri 1,5% Paesi confinanti: Lettonia a SUD, Russia ad EST Monti principali: Suur-Munamägi 317 m Fiumi principali: Pärnu 144 Km Laghi principali: Peipsi järv (Lago dei Ciudi) 1570 Km² (parte estone, totale 3550 Km²), Võrtsjärv 270 Km² Isole principali: Saaremaa 2672 Km², Hiiumaa 989 Km² Clima: Temperato Lingua: Estone (ufficiale), Russo Religione: Ortodossa 20%, Luterana 14%, Altro 66% Moneta: Corona esto 5 4 GALIZIA Regione dell'Europa orientale estesa lungo le pendici settentrionali dei Monti Carpazi, un tempo territorio della corona austriaca, oggi parte della p Polonia sudorientale e dell'Ucraina occidentale. Nei secoli XI e XII la Galizia fu un importante principato slavo e passò in seguito sotto il dominio della Polonia. Nel 1772, conseguentemente alla prima spartizione della Polonia, la Galizia entrò a far parte dell'impero austriaco degli Asburgo. Rimase un possedimento della corona austriaca fino al 1918, anno in cui fu rivendicata dalla nuova Repubblica Polacca. Nel 1919, al termine della prima guerra mondiale, il trattato di Versailles assegnò la Galizia occidentale alla Polonia mentre nel 1923 alla Galizia orientale fu concesso il diritto all'autonomia sotto il protettorato polacco. La Galizia comprendeva le 5 5 province polacche di Kraków (Cracovia), Lwów, Stanisławów e Tarnopol. A seguito dell'invasione della Polonia da parte della Germania e dell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) nel 1939, Stanisławów, Tarnopol, e, parzialmente, Lwów, popolate soprattutto da ucraini e bielorussi, furono incluse nella zona d'occupazione sovietica. In base all'accordo russo-polacco del 1945, la Galizia fu assegnata all'URSS e incorporata nella Repubblica socialista sovietica ucraina che nel 1991 ottenne l'indipendenza. 5 6 GEORGIA L'istmo che si estende tra il Mar Nero e il Mar Caspio, uno dei collegamenti principali tra l'Europa e l'Asia, è stato nel corso della storia uno dei territori pi ù trafficati. Il grandissimo numero di persone che vi sono arrivate da tutte le direzioni l'ha reso una delle zone con il panorama etnico più vario del mondo. Insieme all'Azerbaijan e all'Armenia, la Georgia è uno stato relativamente giovane. Il paese nacque dalla fusione di alcuni piccoli principati unificati tra il X e il XIII secolo che, con il passare dei secoli, si separarono e cominciarono a ricostituirsi solo nel tardo XVIII secolo. Molto prima che la Georgia cominciasse a destare l'attenzione pubblica, tuttavia, il territorio era già ritenuto importante dal punto di vista strategico. Quella che al giorno d'oggi è la parte occidentale del paese venne colonizzata dai greci probabilmente intorno all'VIII secolo a.C. Le tribù anatoliche provenienti dalla Turchia si spostarono nella parte orientale circa un secolo dopo, unendosi alle popolazioni che già vivevano nella zona e formando il regno di Iveria. Tra il 550 a.C. e il 300 a.C. l'area fu sballottata da un impero all'altro: i persiani, i macedoni e i seleucidi finché questi ultimi non furono sconfitti dai Romani nel 189 5 7 a.C. I quali concessero alla gente del posto di costituire degli stati armeni indipendenti. Tali stati vennero unificati circa un secolo dopo, costituendo la zona di influenza romana più potente dell'est, dal Mar Caspio alla Turchia centrale, comprendente gran parte dell'attuale Georgia. Intorno al 400 d.C. la parte occidentale dell'Armenia, che comprendeva la Georgia occidentale, fu conquistata dal potente impero bizantino. La zona orientale di Iveria finì sotto il dominio persiano fino a quando gli arabi musulmani non si insediarono nella zona a metà del VII secolo, stabilendo un emirato a Tbilisi. Il passaggio di potere tra gli arabi e i bizantini terminò con l'arrivo dei turchi selgiuchidi, che conquistarono quasi tutta l'Armenia tra il 1060 e il 1070 e spinsero molti abitanti a spostarsi in Georgia, dove predominava la religione cattolica. La maggior parte dell'attuale Georgia era ormai stata riunita sotto il nome di Iveria. Il periodo successivo al 1122, anno in cui Tbilisi riuscì a liberarsi dalla dominazione araba, fu il periodo d'oro della Georgia, il cui potere si estendeva dall'Azerbaijan occidentale alla Turchia orientale. Tuttavia, la stabilità durò ben poco e, per gli 800 anni che seguirono, la regione fu vittima di avidità e giochi di potere. I mongoli, i persiani safavidi e i turchi ottomani si disputarono la supremazia sul territorio; nel XVIII secolo proprio gli ottomani riuscirono a spuntarla. Sopraggiunse poi la Russia: le truppe di Caterina la Grande si diressero verso la regione allo scopo di sconfiggere i Turchi. Nel 1795 l'eunuco persiano Agha Mohammed Khan Qajar saccheggiò Tbilisi prima che i russi annettessero i principati georgiani, riuscendo a strappare il controllo totale della zona ai Turchi negli anni tra il 1870 e il 1880. Con lo sviluppo dell'economia e della tecnologia si risvegliarono i sentimenti nazionalisti. Nacquero i movimenti nazional-socialisti georgiani (chiamati in modo poco originale 'primo gruppo', 'secondo gruppo' e 'terzo gruppo'), ciascuno più 5 8 radicale del precedente. Tra i membri del terzo gruppo c'era Iosif Dzhugshvili, che successivamente cambiò il proprio nome in 'uomo d'acciaio' che, in georgiano, si traduce con “Stalin”. Nel 1918 la Transcaucasia si dichiarò una federazione di stati indipendenti da Mosca, ma ben presto si divise in tre repubbliche separate: la Georgia, l'Armenia e l'Azerbaijan. La Georgia, tuttavia, fu riconquistata dall'Armata Rossa nel 1920, dopo essere stata occupata per breve tempo dagli inglesi dopo la prima guerra mondiale, e tornò a essere legata ai suoi vicini con il nome di Repubblica Socialista e Federalista Sovietica Transcaucasica, che fu uno dei membri fondatori dell'Unione Sovietica. Durante il governo di Stalin in Georgia riemersero tendenze nazionaliste e più di 100.000 persone furono deportate in Siberia. La Repubblica Socialista e Federalista Sovietica Transcaucasica fu smantellata nel 1936 e la Georgia riacquistò il proprio nome, rimanendo tuttavia sotto il controllo dell'Unione Sovietica. Con la caduta della cortina di ferro la nazione divenne la prima repubblica sovietica a indire elezioni multipartitiche (1990). Molti credettero che questo paese economicamente dinamico sarebbe stato il primo a riuscire a risollevarsi dalla crisi. Tuttavia, con le lotte per l'indipendenza nelle regioni dell'Abkhazia e dell'Ossezia meridionale e una breve guerra civile nel 1992 e nel 1993, il paese tornò a essere vittima dell'anarchia e della criminalità. L'uomo politico sovietico Shevardnadze riuscì alla fine a ristabilire una situazione di relativo equilibrio, indirizzando il paese sulla strada del risanamento economico, tanto da essere rieletto presidente nell'aprile 2000. Tuttavia, il 31 ottobre 2001, una delle più imponenti manifestazioni di piazza organizzate nel paese negli ultimi anni chiese le dimissioni di alcuni ministri del governo e dello stesso presidente Shevardnadze, per protesta contro l'incursione della polizia nella sede dell'unica televisione indipendente georgiana, Rustavi-2. Nel novembre 2003, la 'rivoluzione delle rose' pose fine alla presidenza di 5 9 Shevardnadze e portò al potere Makhail Saakashvili, che con i suoi 35 anni è divenuto il più giovane presidente di uno stato europeo. 6 0 Superficie: 69.510 Km² Abitanti: 4.989.000 (stime 2001) Densità: 72 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Tbilisi (1.342.000 ab.) Altre città: Kutaisi 165.000 ab., Batumi 100.000 ab., Rustavi 95.000 ab., Suhumi 70.000 ab. Gruppi etnici: Georgiani 70%, Armeni 8%, Russi 6,5%, Azeri 5,5%, altri 10% Paesi confinanti: Russia a NORD, Turchia e Armenia a SUD, Azerbaigian a SUDEST Monti principali: Mount Shkhara 5201 m Fiumi principali: Kura 1520 Km (totale, compresi tratti azero e turco) Clima: Continentale Lingua: Georgiano (ufficiale), Russo, Armeno, Azero Religione: Ortodossa georgiana 65%, Musulmana 11%, Ortodossa russa 10%, Apostolica armena 8% Moneta: Lari georgiano 6 1 GRECIA Nell'età del bronzo (3000-1200 a.C.) fiorirono tre potenti civilt à marinare: cicladica, minoica e micenea. Stando a Omero questo fu un periodo di violenze e guerre dovute alle rivalità commerciali, ma si pensa invece che la civiltà minoica sia stata pacifica e armoniosa. Verso l'XI secolo le culture minoica e micenea erano ormai in crisi a causa del mutamento delle vie commerciali e dell'invasione dorica da nord, e quelli seguenti furono secoli di declino. Intorno all'800 a.C. la Grecia conobbe un periodo di rinascita culturale e militare con l'evoluzione delle città-stato, le più potenti delle quali furono Atene e Sparta. L'espansione ellenica portò al fiorire delle colonie della Magna Grecia, in cui l'Italia meridionale ebbe un ruolo determinante, e questo periodo fu seguito da un'epoca di grande prosperità che passerà alla storia come età classica: Pericle ordinò la costruzione del Partenone, Sofocle scrisse l'Edipo Re, mentre Socrate insegnava ai giovani ateniesi l'amore per la virtù e per il bene e si sviluppava la tradizione democratica (letteralmente 'governo del popolo'). L'età classica terminò con le guerre del Peloponneso (431-404 a.C.), quando la potenza militare di Sparta prevalse sugli ateniesi. 6 2 Impegnati nelle guerre del Peloponneso, gli Spartani non si accorsero che Filippo di Macedonia stava espandendo il suo regno a nord, riuscendo così a conquistare facilmente le città-stato della Grecia, già indebolite dalla guerra. Il figlio di Filippo, Alessandro Magno, andò ben oltre le ambizioni paterne conquistando l'Asia Minore, l'Egitto (dove venne proclamato faraone e fondò la città di Alessandria), la Persia e alcune regioni dell'Afghanistan e dell'India attuali. L'impero macedone, che durò per tre dinastie dopo la morte di Alessandro (avvenuta a soli 33 anni), è passato alla storia con la definizione di periodo 'ellenistico' poiché seppe far convergere gli ideali e la cultura greca con le altre gloriose civiltà del passato, creando così una nuova tradizione cosmopolita del sapere. A partire dal 205 a.C. iniziarono le incursioni dei romani e verso il 146 a.C. la Grecia e la Macedonia erano diventate province di Roma. Dopo la suddivisione del territorio soggetto ai romani in Impero Romano d'Oriente e d'Occidente nel 395 d.C., la Grecia divenne parte dell'impero bizantino. Nel XII secolo i Crociati erano ormai allo sbando e la potenza bizantina era drasticamente ridimensionata dalle invasioni di Veneziani, Catalani, Genovesi, Franchi e Normanni. Nel 1453 la capitale bizantina, Constantinopoli, cadde in mano ai turchi e verso il 1500 quasi tutta la Grecia era sotto il controllo di questo popolo. La futura Grecia divenne quindi una zona rurale, e molti mercanti, intellettuali e artisti furono esiliati nell'Europa centrale: soltanto lo stile di vita tradizionale dei villaggi e la religione ortodossa riuscirono a trasmettere ai posteri la nozione di grecità. La rinascita culturale della fine del Settecento fece precipitare gli eventi verso la guerra d'indipendenza (1821-32), durante la quale i Greci furono appoggiati nella loro lotta contro i turchi da giovani aristocratici filelleni come Byron, Shelley e Goethe. Il movimento d'indipendenza mancava tuttavia di coesione e nel 1827 Russia, Francia e Inghilterra decisero di intervenire. Le potenze europee stabilirono che la Grecia, dopo aver ottenuto l'indipendenza, sarebbe diventata una monarchia 6 3 con un sovrano non greco, per frustrare le lotte intestine per il potere: nel 1833 fu quindi insediato sul trono Ottone di Baviera. I sovrani seguenti riuscirono a mantenere il trono fino alle soglie del XX secolo nonostante l'ostilità popolare nei confronti della monarchia, ma Giorgio I emanò una nuova costituzione nel 1864 che restituiva al paese la democrazia e relegava il re a un ruolo quasi esclusivamente formale Nel corso del primo conflitto mondiale, le truppe greche si schierarono dalla parte degli Alleati e occuparono la Tracia. Dopo la guerra il primo ministro Venizelos inviò un contingente militare a 'liberare' il territorio turco di Smirne (l'attuale Izmir), dove viveva una popolosa comunità di Greci. L'avanzata greca fu respinta dalle truppe di Atat Ürk e molti Greci finirono in prigione. Questi eventi culminarono nel 1923 in un brutale scambio di popolazione tra i due paesi e il conseguente afflusso di profughi (1.300.000 cristiani) gravò pesantemente sulla già debole economia greca. Attorno alle grandi città sorsero delle baraccopoli e tra i profughi che vivevano nei centri urbani nacquero i movimenti sindacali: nel 1936 il Partito Comunista poteva ormai contare su un vasto consenso popolare. Nel 1936 il generale Metaxas fu nominato primo ministro dal re e instaurò in breve tempo una dittatura di stampo fascista. Nonostante fosse un simpatizzante del nazismo, il generale si oppose ai tentativi di ingerenza da parte tedesca e italiana e rifiutò il consenso al passaggio delle truppe italiane in Grecia nel 1940. Nonostante l'appoggio degli Alleati, la Grecia venne occupata dalla Germania nel 1941 e la sua popolazione fu vittima di stragi e privazioni. Sorsero allora i movimenti di resistenza che, divisi nelle due fazioni realista e comunista, diedero l'avvio a una sanguinosa guerra civile durata fino al 1949 e conclusasi con la vittoria dei realisti. Durante la guerra civile l'America, ispirata dalle teorie della cosiddetta Dottrina Truman, elargì fondi cospicui al governo anticomunista, che introdusse il Certificato di Affidabilità Politica, in vigore fino al 1962. Questo documento attestava la fede politica del possessore: senza di esso non si poteva votare ed era quasi impossibile trovare un lavoro. 6 4 Temendo il risorgere della sinistra, un gruppo di colonnelli dell'esercito attuò un colpo di stato nel 1967, definito da Andreas Papandreou come 'il primo putsch militare di successo della CIA in Europa. La giunta militare si distinse per la tremenda brutalità dei suoi atti, la repressione e l'incompetenza politica nel governare il paese. Nel 1974 i colonnelli cercarono di assassinare il presidente di Cipro, l'arcivescovo Makarios, e la Turchia reagì invadendo l'isola e occupandone la parte settentrionale: questa vicenda è tuttora una questione spinosa per i greci e i rapporti con la Turchia si infiammano facilmente. Nel 1981 la Grecia entrò a far parte della Comunità Europea (oggi Unione Europea) e il partito socialista di Andreas Papandreou (PASOK) vinse le elezioni. Il PASOK promise lo smantellamento delle basi aeree statunitensi e il ritiro dalla NATO, ma questi propositi non furono mai mantenuti. Migliorò invece la condizione femminile, grazie anche alla legalizzazione dell'aborto. Gli scandali ebbero infine la meglio su Papandreou e al suo governo subentrò nel 1989 una coalizione di conservatori e comunisti. Le elezioni del 1990 portarono al potere i conservatori con la maggioranza di soli due seggi e, nell'intento di risolvere i problemi economici del paese, il governo impose misure di austerità drastiche e impopolari. Le elezioni generali del 1993 riportarono in auge l'ormai anziano e malato Papandreou e il PASOK torn ò al potere. Kostas Simitis ebbe l'incarico di primo ministro nei primi mesi del 1996, quando era ormai chiaro che l'era Papandreou stava volgendo al termine: l'anziano statista della Grecia morì nell'estate di quell'anno. Simitis fu rieletto nell'aprile 2000 con un risicato margine dell'1%. Sin dall'inizio del suo mandato, il premier si impegnato per migliorare i rapporti con la Turchia e per attuare le riforme necessarie a portare il paese ad adottare l'euro nel 2002. Le elezioni del 7 marzo 2004 hanno segnato la fine dei liberali e la vittoria del partito Nuova Democrazia. Konstantinos Karamanlis è il nuovo presidente del Consiglio dei ministri. Ha ricevuto il mandato dal presidente della Repubblica 6 5 Konstantinos Stephanopoulos e si è immediatamente messo al timone dell'organizzazione delle Olimpiadi. L'evento olimpico, perfettamente riuscito, ha sicuramente contribuito a miglioramenti sociali ed economici in tutto il paese, come già era avvenuto con i Giochi di Barcellona nel 1992. Gli elettori hanno dimostrato, nell'appuntamento con il rinnovo del Parlamento europeo, di avere fiducia nel partito Nuova Democrazia, premiandolo con il 43% dei voti contro il 34% ottenuto dal PASOK. Dal marzo 2005, Karolos Papoulias è il nuovo presidente della terza repubblica greca. Nell'aprile 2005 il parlamento greco ha ratificato, con 268 voti a favore e 17 contrari, la nuova costituzione dell'Unione europea. La Grecia è il sesto paese a ratificare il nuovo trattato. 6 6 Superficie: 131.957 Km² Abitanti: 10.964.000 (censimento 2001) Densità: 83 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Atene (746.000 ab., 3.190.000 aggl. urbano) Altre città: Salonicco 364.000 ab. (800.000 aggl. urbano), Pireo 175.700 ab., Patrasso 161.100 ab., Peristérion 137.900 ab., Iráklion (Càndia) 133.000 ab., Larissa 124.800 ab., Kallithéa 109.600 ab. Gruppi etnici: Greci 93%, Albanesi 4%, Asiatici 1%, altri 2% Paesi confinanti: Albania, Macedonia e Bulgaria a NORD, Turchia ad EST Monti principali: Monte Olimpo 2917 m Fiumi principali: Aliákmon (Vistrìzza) 297 Km, Acheloos (Aspropotamo) 220 Km, Pinios (Peneo) 205 Km, Evros (Marìzza) 204 Km (tratto greco, totale 514 Km) Laghi principali: Lago Trichonida 96 Km², Lago Volvi 70 Km², Lago Vegoritis 54 Km², Lago di Prespa 39 Km² (parte greca, totale 328 Km²) Isole principali: Creta 8258 Km², Eubea 3658 Km², Lesbo 1630 Km², Rodi 1398 Km², Chio 858 Km², Cefalonia 781 Km², Corfù 592 Km² Clima: Mediterraneo Lingua: Greco (ufficiale) Religione: Greco ortodossa 97,5%, Musulmana 1,5%, Cattolica ed altro 1% Moneta: Euro 6 7 LETTONIA Abitata anticamente da nomadi dediti prevalentemente alla caccia e alla pesca, la regione fu colonizzata in seguito dai livoni, un gruppo di lingua ugro-finnica, ai quali si aggiunsero i lettoni, una popolazione di origine indoeuropea. I Cavalieri teutonici9 iniziarono la conversione delle popolazioni baltiche al cristianesimo agli inizi del XIII secolo. Protagonista dell’evangelizzazione della regione fu Alberto di Buxhövden, che fondò Riga stabilendovi la sede vescovile e sottomise i livoni con l’aiuto dei cavalieri dell’ordine dei Portaspada. Nel 1207 la Livonia fu riconosciuta feudo dell’impero e divisa tra il vescovo, la città di Riga e l’ordine dei Portaspada. Nel 1237 la regione passò sotto l’autorità dei Cavalieri teutonici, rimanendo nell’impero fino al 1561, quando la Polonia assorbì le province di Latgale e Vidzeme a nord 9 - Cavalieri teutonici: è un antico ordine monastico-militare ed ospedaliero sorto in terrasanta all'epoca della terza crociata ad opera di alcuni mercanti di Brema e Lubecca per assistere i pellegrini tedeschi. Avviò in seguito la conquista dei popoli slavi nell'Europa dell'est ed in una prima fase occupò un vasto territorio sul Baltico, che però nel 1466 si ridusse alla sola Prussia Orientale. Secolarizzato al tempo della Rifroma, fu soppresso da Napoleone Bonaparte ed in seguito ripristinato dagli Asburgo: venne riformato nel 1929 dalla santa Sede che lo rese un ordine di canonici regolari per la cura d'anime e le opere di carità. 68 del fiume Daugava, mentre le province di Kurzeme e Zemgale, a sud e a ovest, costituirono la Curlandia, un ducato indipendente sotto il controllo polacco. La Svezia conquistò Riga e Vidzeme nel 1621, perdendole tuttavia a favore della Russia agli inizi del XVIII secolo, nel corso delle guerre del Nord. Nel 1795, con l’ultima spartizione della Polonia, la Russia si assicurò il controllo dell’intera regione. Il dominio della nobiltà agraria di origine germanica sui lettoni continuò anche dopo che la Russia abolì la servitù della gleba nel XIX secolo, impedendo la nascita di una classe dirigente autoctona; tuttavia, i lettoni resistettero alla russificazione, costruendo una coscienza nazionale tanto che durante la rivoluzione russa del 1905 si sollevarono in armi contro le autorità zariste e i baroni. La prima indipendenza La rivoluzione del 1917 offrì ai nazionalisti lettoni una situazione favorevole per le loro rivendicazioni. Occupata dai tedeschi in seguito al trattato di BrestLitovsk10, la Lettonia proclamò la sua indipendenza il 18 novembre del 1918, ma il governo provvisorio di Karlis Ulmanis dovette fronteggiare sia i tentativi tedeschi di mantenersi nel paese, sia l’invasione delle truppe bolsceviche che occuparono Riga e instaurarono un regime controllato direttamente dall’Unione Sovietica. Nel 1920, dopo un periodo di guerra civile, le forze bolsceviche furono sconfitte e ad agosto Mosca stipulò con Riga un trattato di pace, riconoscendo la sovranità della Lettonia. Nel 1922 venne adottata una Costituzione democratica e negli anni successivi fu attuata una riforma agraria che pose fine ai privilegi dei baroni ma la vita del 10 - Trattato di Brest-Litovsk: fu un trattato di pace stipulato tra la Russia e gli imperi centrali il 3 marzo 1918 in Bielorussia, presso la città di Brest (un tempo conosciuta come "Brest-Litovsk"). Esso sancì l'uscita della Russia dalla I Guerra mondiale. Anche se la fine della guerra portò a esiti diversi rispetto a quanto previsto dal trattato, esso fu, seppur non intenzionalmente, di fondamentale importanza nel determinare l'indipendenza diFinlandia, Estonia, Lettonia e Polonia. 69 nuovo stato fu tuttavia segnata da un aspro scontro tra forze socialiste e reazionarie e da una forte instabilità politica tanto che nel 1934 Ulmanis prese il potere con un colpo di stato e instaurò nel paese un regime autoritario. La repubblica sovietica Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, il paese dichiarò la propria neutralità; nell’ottobre del 1939 la Lettonia siglò un trattato di mutua assistenza con l’URSS e, successivamente, un accordo con la Germania. Ma il paese era stato già assegnato all’Unione Sovietica dal patto MolotovRibbentrop; nel giugno del 1940, dopo la caduta della Francia in mani tedesche, Mosca occupò con un pretesto il paese, facendone una delle repubbliche dell’URSS deportando decine di migliaia di oppositori in Siberia. Nel 1941, in seguito all’invasione tedesca dell’Unione Sovietica (Operazione Barbarossa), la Lettonia fu aggregata alla Germania e la sua comunità ebraica sparì pressoché interamente nei campi di sterminio nazisti. Liberato dai sovietici nel 1944-45, il paese tornò a far parte dell’URSS; riprese così la russificazione, con l’imposizione del russo come lingua ufficiale, e mentre altre decine di migliaia di persone furono deportate in Siberia, nel paese vennero trasferiti cittadini russi e di altre nazionalità della galassia sovietica. La seconda indipendenza Il nazionalismo lettone, mai sopito, si riaccese nel corso degli anni Ottanta e soprattutto a partire dal 1987, nel clima di rinnovamento favorito dalla glasnost11 11 - Glasnost: è una parola russa che significa letteralmente "pubblicità" nel senso di "dominio pubblico"; tradotta più spesso con "trasparenza". È stata utilizzata daMikhail Gorbačëv, a partire dal 1986, per identificare una nuova attitudine a non celare le difficoltà, a discuterne liberamente "in modo trasparente" e criticamente. L'insieme delle riforme poste in essere nel modo di selezionare i quadri del Pcus, al fine di combattere la corruzione e i privilegi del- 70 di Mikhail Gorbačëv. In quell’anno, migliaia di persone resero omaggio per la prima volta alle vittime delle deportazioni staliniste. Lo stesso Partito comunista lettone attuò un profondo rinnovamento della sua dirigenza, in cui si fecero strada personalità riformiste. Nel 1988 si formò, riunendo movimenti sociali e politici (inclusi i comunisti), un Fronte popolare rivolto all’indipendenza della Lettonia, che avviò trattative sia con il governo locale sia con le autorità sovietiche. Nel 1990 fu proclamata l’indipendenza del paese, che venne riconosciuta da Mosca, insieme con quella di Estonia e Lituania, nel settembre del 1991; nello stesso anno le tre repubbliche furono accolte nelle Nazioni Unite. Nel 1993 si tennero in Lettonia le prime elezioni parlamentari, che videro l’affermazione di un movimento d’ispirazione moderata e liberale chiamato Via lettone e nello stesso anno venne eletto alla presidenza della Repubblica l’economista Guntis Ulmanis (confermato in seguito, sebbene con pochi voti di scarto, nel 1996). Le truppe russe si ritirarono dal paese il 31 agosto del 1994, lasciandovi un contingente di circa 3.000 soldati. Nel 1995 la Lettonia fece richiesta di adesione all’Unione Europe e dopo le elezioni del 1996, che non espressero una chiara maggioranza, si formò un governo di coalizione tra partiti di destra e sinistra guidato da Andris Skele. Una legge di naturalizzazione adottata nel 1994 causò molte tensioni nel paese a causa delle difficoltà che frapponeva all’ottenimento della cittadinanza lettone; tra la comunità russa, la più colpita dal provvedimento, fino al 1997 solo mille dei l'apparato politico prese invece il nome di perestrojka (ristrutturazione). Glasnost indica dunque un'attitudine, mentre perestrojka una politica. In senso più ampio, glasnost è stata poi utilizzata, sempre in associazione a perestrojka, anche per indicare tutte quelle politiche volte ad attuare una più ampia e più limpida circolazione dell'informazione nell'Unione Sovietica. 71 700.000 membri inoltrarono richiesta di cittadinanza, finalmente la situazione migliorò nel 1998, quando, sotto la minaccia di sanzioni economiche di Mosca, la legge venne emendata. Come per altri paesi emersi dal sistema sovietico, anche per la Lettonia la transizione alla democrazia fu caratterizzata da problemi economici e, soprattutto, da una forte instabilità politica. Nel 1997, in seguito al coinvolgimento in un grave scandalo finanziario di esponenti del governo, Skele rimise il mandato di primo ministro, che venne affidato a Guntar Krasts. Le elezioni legislative dell’ottobre 1998 confermarono un quadro politico estremamente conflittuale e, dopo complesse trattative, fu formato un governo di minoranza guidato da Vilis Kristopans, già ministro dei Trasporti nel precedente gabinetto. Nel luglio del 1999 fu eletta alla presidenza del paese, con ampia maggioranza, Vaira Vike-Freiberga, prima donna a capo di un paese ex comunista. Il Fondo monetario internazionale (FMI) annunciò in ottobre un prestito di 45 milioni di dollari in sostegno della politica di riforme economiche del governo. Nell’aprile del 2000 le tensioni all’interno della maggioranza, in particolare riguardo alle privatizzazioni, provocarono la caduta dell’esecutivo e un nuovo gabinetto di coalizione fu chiamato a guidare il paese. In maggio il Parlamento votò l’abolizione di una norma che prevedeva la madrelingua lettone per tutti i candidati politici, rimuovendo uno degli ultimi ostacoli che si frapponevano all’ingresso nell’Unione Europea. Nelle elezioni di ottobre si affermò, con 26 seggi su 100, un partito moderato di recente formazione chiamato Nuova Era ed Einars Repse, ex presidente della Banca centrale, formò un nuovo governo di coalizione. Nel giugno del 2003 Vaira Vike-Freiberga fu confermata alla presidenza della Repubblica. A settembre un referendum approvò con il 67% dei voti l’ingresso del paese nell’Unione Europea, avvenuto ufficialmente il 1° maggio 2004; poche settimane prima, il 29 72 marzo, la Lettonia diventò membro della NATO. La vita politica del paese continuò a soffrire di una forte instabilità. Nel febbraio del 2004 il primo ministro Einars Repse venne sostituito da Indulis Emsis, che a dicembre lasciò la carica ad Aigars Kalvitis. La Lettonia attuale Nell’agosto 2006 venne introdotta una severa legge sulla cittadinanza che sollevò le proteste della comunità russa e secondo la quale la conoscenza del lettone doveva diventare una condizione indispensabile per l’ottenimento della cittadinanza. Le elezioni legislative di ottobre registrarono la vittoria della coalizione che sostenne il primo ministro Kalvitis, che venne confermato nella carica. Nel marzo 2007, Lettonia e Russia sottoscrissero un accordo che stabiliva ufficialmente i confini tra i due paesi e nel maggio dello stesso anno venne eletto alla presidenza Valdis Zatlers. In dicembre, criticato per aver cercato di rimuovere il responsabile dell’ufficio anticorruzione, Kalvitis lasciò la guida del governo, che venne assunta da Ivars Godmanis. Superficie: 64.589 Km² Abitanti: 2.319.000 Densità: 36 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Riga (735.000 ab.) Altre città: Daugavpils 111.200 ab., Liepaja 86.500 ab., Jelgava 66.100 ab., Jurmala 55.500 ab. Gruppi etnici: Lettoni 58,5%, Russi 29%, Bielorussi 4%, Ucraini 2,5%, Polacchi 2,5%, Lituani 1,5%, altri 2% Paesi confinanti: Estonia a NORD, Russia ad EST, Bielorussia e Lituania a SUD 73 Monti principali: Gaizinkalns 312 m Fiumi principali: Daugava (Dvina Occidentale) 352 Km (tratto lettone, totale 1020 Km), Gauja 452 Km Laghi principali: Lubans 81 Km², Razna 57,5 Km², Engure 40,5 Km², Burtnieks 40 Km² Isole principali: Dole (nel fiume Daugava) 21 Km² Clima: Temperato - continentale Lingua: Lettone (ufficiale), Lituano, Russo Religione: Luterana 13%, Cattolica 11%, Ortodossa 5%, Battista 4%, Atei/Non religiosi 51,5%, altre religioni 15,5% Moneta: Lats lettone 74 LIVONIA La Livonia è una regione baltica che si estende attorno al Golfo di Riga, compresa tra l'Estonia a nord e la Lettonia a sud. I livoni sono un popolo di stirpe finnica visto che le nazioni finniche occupavano fino al VII secolo tutta la parte centrosettentrionale della Russia europea. Poi, sotto la spinta dei popoli slavi (prima del Mille) e dei popoli tedeschi (dopo il Mille), il loro territorio si è progressivamente ridotto alla parte settentrionale dell'area baltica e alla Finlandia. Oggi la Livonia non è più un'unità territoriale a sé stante ma, come la Curlandia, parte integrante della Lettonia. Le crociate organizzate nel XII secolo dall'Ordine teutonico contro gli ultimi pagani d'Europa, provocarono l'effettivo ingresso nella storia dei popoli baltici, fino ad allora rimasti complessivamente isolati nei loro territori. Il nome Livonia compare per la prima volta nel 1186 quando viene costituita la prima diocesi della regione, nella città di Ikskile (lungo il fiume Dvina). Nel 1201 la sede vescovile viene trasferita nella vicina Riga , città di nuova fondazione, situata alla foce dello stesso fiume Dvina. Nel 1202 Albrecht von Buxthoeven (Alberto di Buxthoeven), nominato primo vescovo di Livonia da papa Innocenzo III 75 fondò l'Ordine cavalleresco dei Portaspada (Fratres Militiae Christi) ai fini di cristianizzare la regione, terra di frontiera del cristianesimo. Ma i livòni non volevano rinunciare ai propri riti pagani. La situazione degenerò quando i missionari cristiani non armati inviati nella regione furono massacrati. Papa Innocenzo III decise allora di proclamare una crociata ed incaricò l'Ordine dei Portaspada di conquistare e controllare la regione. Nel 1206 Vinne de Rorbach, primo Gran Maestro dell’Ordine, vinse la battaglia di Riga e convertì la Livonia al cristianesimo. Vinne assunse pertanto il titolo di principe di Livonia (Fürst von Livland). Il successivo ingresso nel Sacro Romano Impero (data ufficiale 1° dicembre 1225) sancì l'entrata del paese baltico sotto l'orbita tedesca. Vinne diede in feudo una parte del suo territorio all' Ordine dei Portaspada. Nel 1236 i Cavalieri Portaspada persero vicino Bauska la battaglia di Šiauliai contro i Lituani e dovettero cedere loro la Livonia. La sconfitta determinò la fine dei Portaspada come Ordine indipendente. Il 12 maggio 1237 il feudo posseduto dall'Ordine così come i cavalieri rimanenti vennero inglobati nell'Ordine teutonico e venne creato l'Ordine di Livonia (Livländischer Orden), come branca separata dell'Ordine teutonico. Inizialmente sottoposto al vescovado di Riga, l'Ordine di Livonia divenne totalmente autonomo nel 1413, costituendo la seconda massima autorità del paese. Nel 1253 il vescovado di Riga inglobò le diocesi di Estonia e Prussia ed assunse il nuovo titolo di Arcivescovado di Riga. Nel 1282 la città di Riga entrò a far parte dellaLega anseatica. Nel 1420 venne costituita la Cofederazione della Livonia (Livländischer Bund), che includeva l'arcivescovo di Riga, i vescovi delle altre diocesi del territorio, il capo dell'Ordine di Livonia e i grandi feudatari. Nei secoli dal XIII al XVI, il nome "Livonia" (o Terra Mariana) corrispose alle terre della Confederazione (le moderne: Lettonia ed Estonia). Dal 1530 il titolo di 76 Principe di Livonia venne condiviso fra tre autorità: l'arcivescovo di Riga (massima autorità del paese), il capo dell'Ordine di Livonia (seconda autorità) e il re di Polonia. L'ondata protestante che si propagò dalla Germania all'inizio del '500 raggiunse dopo qualche decennio anche i paesi baltici. Gotthard Kettler, il capo dell'Ordine di Livonia, si convertì al nuovo credo. Si avviò un processo di riorganizzazione completa del potere in Livonia. Il 28 novembre 1561 entrò in vigore un nuovo Trattato tra Arcivescovo di Riga, Ordine di Livonia, e Gran Principe di Lituania che creò due distinti paesi protestanti: la parte sud diventava Ducato di Curlandia e la parte nord diventava Ducato di Livonia, quest'ultimo in unione (in realtà sottomesso) con la Lituania. Nei secoli successivi la Livonia compare nei trattati di pace tra le potenze confinanti come premio di guerra fra paesi vincitori di varie guerre. Durante il XIX secolo, la Livonia e la Curlandia beneficiano di uno status di autonomia locale. Ma dal 1889 ritornarono entrambe sotto il potere centrale di Mosca. La I Guerra mondiale segnò il ritorno all'indipendenza di tutti i paesi baltici. Il trattato di Brest-Litovsk (1918) sancì, tra l'altro, che Curlandia e Livonia "non erano più soggette alla sovranità russa". I territori baltici, le cui èlite religiose e militari avevano sempre parlato tedesco, ritornarono nell'area di influenza germanica. La Germania mosse le proprie truppe fino ai paesi baltici per proteggerne i confini con la Russia e divenne tedesca anche l'amministrazione dei territori. Il 12 aprile 1918 la Livonia entrò a far parte del nuovo Stato baltico federale (Baltischer Staat), che si proclamò indipendente e nel giro di una settimana anche la Lettonia fu proclamata repubblica, sancendo così la dissoluzione dello Stato baltico. Da questo momento la Livonia cesserà di avere un'esistenza propria. 77 LITUANIA Le origini Durante l'età del bronzo (III-II millennio a. C.), alcuni popoli di origine indoeuropea si stanziarono lungo le coste del Mar Baltico, provenienti dall'Asia centrale. Oltre al territorio delle attuali Lituania e Lettonia, queste genti abitarono la Russia occidentale, la Bielorussia, la Polonia, fino ai territori ad ovest del fiume Oder, a sud-ovest della Finlandia e a sud-est della Svezia. Unendosi con le popolazioni indigene, le cui tracce in Lituania risalgono al X millennio a. C., diedero origine ai popoli Baltici. Questi ultimi sono stati suddivisi dagli studiosi in due gruppi principali: i " balti marittimi " ovvero i prussiani, i curioni, i golindi occidentali e i "balti continentali", progenitori dei lituani, dei lettoni e dei golindi orientali. Tra il III e il IV secolo d.C., i baltici subirono le invasioni prima dei goti e poi degli unni, ma fu la massiccia migrazione slava del IV secolo che li spinse definitivamente verso la costa, dove sono rimasti fino ad oggi. Il medioevo e le crociate Le crociate organizzate nel XIII secolo dai Cavalieri Teutonici contro gli ultimi pagani d'Europa, provocarono l'effettivo ingresso nella storia dei popoli baltici, fino ad allora rimasti complessivamente isolati nei loro territori. 78 Il nome "Lituania" era stato menzionato per la prima volta in alcuni testi datati 1009 d.C. ma fu appunto nel XIII secolo che il Duca Mindaugas riunì¬ alcune contee e ducati sotto il nome di "Gran Ducato di Lituania" (1240), per respingere l'invasione dei crociati dell'Ordine Teutonico e dei Cavalieri della Spada. Chiamati in modo spregiativo " saraceni del nord ", i baltici erano da sempre vissuti divisi in molte tribù diverse, spesso anche in conflitto tra loro (ad esempio i samogiti, gli yatovingi, i curioni ecc.) ma si accorsero che questa era la loro debolezza. Le guerre contro i crociati furono particolarmente cruente, tanto che l'intera stirpe dei prussiani fu praticamente distrutta. Nel 1251 Mindaugas si convertì comunque al cristianesimo e nel luglio del 1253 fu incoronato re dei Lituani, dopo aver sconfitto l'ordine a Siauliai ed essersi alleato con Aleksandr Nevskij, principe di Novgorod. La conversione di Mindaugas e la creazione del vescovato di Lituania servirono solo in parte a mitigare la pressione teutonica su quei territori e, quando il re morì nel 1263 e il suo successore Treniotas ripristinò i culti pagani, la guerra riprese violentemente. Nel XIV secolo, nonostante i conflitti lungo i confini occidentali, il Gran Ducato si ingrandì espandendosi verso est e sud-est raggiungendo il Mar Nero ed annettendo il Ducato di Smolensk. Nel 1316 aveva preso il potere il Gran Duca Gediminas, destinato a diventare uno dei personaggi più importanti della storia lituana. Gediminas riprese le trattative con il Papa e fece numerosi tentativi per convertire la sua terra al cristianesimo, fondò la capitale Vilnius (1323) e potenziò lo stato soprattutto dal punto di vista militare. Dopo la sua morte (1341), la Lituania subì l'intensificarsi della pressione dell'Ordine Teutonico, nonostante le imprese dei fratelli Algirdas e Kestutis eredi della dinastia degli Jagelloni. Il figlio di Algirdas, Jogaila, che aveva avuto la meglio nei confronti del cugino Vytautas, erede di Kestutis, nella lotta tra i due per il potere, nel 1386 sposò la 79 regina Edvige di Polonia e diede vita alla Confederazione lituano-polacca. Si fece quindi battezzare a Cracovia, divenne re con il nome di Ladislao II e nel 1387 proclamò la conversione della Lituania al cristianesimo. Vytautas aumentò intanto il suo potere nel Gran Ducato, minacciando altrimenti di allearsi con l'Ordine Teutonico. Tuttavia, nel 1410, insieme agli alleati polacchi sconfisse definitivamente i Cavalieri Teutonici nella celebre battaglia di Tannenberg (Zalgiris in lituano), ponendo fine per secoli all'espansionismo tedesco in questa parte dell'Europa. La repubblica dei due popoli Per tutto il resto della sua vita (morì ne1430), Vytautas tentò di trasformare la Lituania da Gran Ducato a regno indipendente, equiparandola alla Polonia con cui si era federata e della quale era ormai più grande per dimensioni e popolazione, ma non riuscì mai nel suo intento. Dopo la sua morte, la Lituania attraversò un periodo difficile, pressata ad est dalla Russia, ad ovest dalla Prussia e a nord dalla Svezia, fino a quando, nel 1569, Sigismondo II Augusto firmò l'Unione di Dublino" con la Polonia, che decretò di fatto la fine dell'indipendenza politica lituana. Nacque quella "Repubblica dei due popoli" che durerà fino al 1795, costringendo i lituani a rinunciare a molte delle loro prerogative. Il polacco divenne la lingua ufficiale della Confederazione e le ultime tracce del paganesimo lituano si estinsero definitivamente. Nella seconda metà del Cinquecento il regno polacco-lituano si estese dall' Oder fino all'Ucraina e alla Livonia e dalla catena dei Carpazi fino a Riga. Lo stato venne organizzato sotto forma di "repubblica nobiliare", dove il re era affiancato nel governo da rappresentanti dell'alta aristocrazia (i magnati che costituivano il Senato) e dalla piccola aristocrazia terriera (Camera dei Deputati). Il re, i senatori e i deputati, formavano insieme la Dieta generale (Sejm). La morte di Sigismondo II Augusto (1572), privo di eredi, pose fine al potere della dinastia lituana degli Jagelloni. 80 Il suo successore, Stefan Bathory (1533-1586), apparteneva a una nobile famiglia ungherese e fu eletto re di Polonia e Gran Duca di Lituania nel 1576. Dopo aver sposato Anna Jagellona, si dedicò molto alla Lituania fondando nel 1579 l'Accademia di Vilnius, che affidata ai gesuiti diede vita all'Università ed istituendo, nel 1581, il tribunale lituano. Strappando poi la Livonia ad Ivan il Terribile, rese più sicuri i confini settentrionali del Granducato. Nel corso del XVII secolo fu realizzata una riforma agraria consolidando la pratica della servitù della gleba e introducendo il sistema della rotazione nelle coltivazioni. Oltre all'agricoltura crebbero e si potenziarono le città, si diffusero le idee dell'Umanesimo e della Riforma, vennero perfezionate le tecniche per stampare i libri e fu promulgato il Codice della Legge Lituana (o Statuto). L'egemonia culturale e politica della Polonia comunque aumentò sensibilmente nel corso degli anni, tanto da ridurre la Lituania a semplice provincia del regno Polacco. I ripetuti conflitti contro russi e svedesi indebolirono la capacità di resistenza della Confederazione e Vilnius fu più volte devastata dagli invasori. Alla fine del XVIII secolo la Repubblica dei due Popoli cessò definitivamente di esistere con la sua spartizione tra Russia, Prussia ed Austria e la maggior parte della Lituania cadde sotto l'amministrazione zarista (1795) subendo un'intensa russificazione. Tra la fine del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale moltissimi lituani emigrarono all'estero, soprattutto in America, ma la forza delle tradizioni e del sentimento nazionale mantenne viva la coscienza di chi rimaneva in patria. Nel 1904 il governo zarista, per placare il malcontento diventato ormai insostenibile, decise di togliere il bando alle pubblicazioni in lingua lituana e l'anno successivo ne fu autorizzato l'uso nelle scuole private. Con lo scoppio della rivoluzione russa del 1905, la Lituania espulse molti funzionari e insegnanti e il 4 dicembre convocò a Vilnius la Prima Assemblea Nazionale, che elesse presidente il patriota Jonas Basanavicius e proclamò la sua indipendenza da Mosca. 81 La risposta russa però non si fece attendere e soffocò dopo breve tempo la rivolta. L'indipendenza Con lo scoppio della Grande Guerra la Lituania nel 1915 fu occupata dai tedeschi. L'esercito invasore permise comunque la convocazione di una conferenza a Vilnius nel settembre del 1917, la quale elesse un Consiglio Nazionale (la Taryba) presieduto da Antanas Smetona. Il 16 febbraio del 1918 l'assemblea proclamò la restaurazione dell'indipendenza dello Stato lituano nonostante la presenza dei tedeschi con i quali fu costretta a raggiungere un compromesso. La Germania era disposta a riconoscere la Lituania in cambio di precise garanzie economiche, militari e politiche. Quando infatti l'11 luglio fu eletto sovrano Guglielmo d' Urach con il nome di Mindaugas II, la scelta non fu gradita alla Germania che si oppose fermamente. Subito dopo la sconfitta dei tedeschi i lituani proclamarono la Repubblica e Smetona diventò capo dello Stato. I due anni successivi furono molto duri per la nuova Lituania, che nel 1919 fu costretta a combattere i bolscevichi che avevano occupato il nord-est del Paese e a fronteggiare le mire polacche su Vilnius. Sebbene fosse stato firmato nell'ottobre del 1920 un trattato con la Polonia, la Lituania dovette cedere non senza combattere la sua capitale (1922) e Governo e Parlamento si trasferirono a Kaunas. Il 12 luglio del 1920 era stato intanto firmato il trattato di pace con la Russia di Lenin, il quale riconosceva solennemente l'indipendenza della Lituania e della sua capitale Vilnius. La Costituzione fu adottata il 1° agosto del 1922, con la proclamazione della Repubblica Parlamentare e presidente fu eletto A. Stulginskis. Intanto si facevano sempre più tesi i rapporti con la Germania che rivendicava il possesso della regione di Klaipeda (Memel). Il periodo tra le due guerre fu comunque di notevole sviluppo sia economico che culturale per la Lituania: nacquero numerose piccole e medie imprese agricole ed aumentarono le esportazioni soprattutto di bestiame, mentre l'industria realizzò importanti ristrutturazioni. 82 L'invasione sovietica e la Seconda Guerra Mondiale Nonostante il Patto Molotov-Ribbentrop avesse concesso la forza militare lituana alla Germania in caso di guerra, dopo un po' questa passò sotto l'egemonia russa in cambio di denaro. In seguito, la Russia pretese di fare accogliere la propria armata nel territorio lituano. Allo scoppio della guerra tra la Germania e l'URSS (22 giugno 1941), seguì l'immediata reazione dei lituani contro l'occupazione del loro Paese. Gli insorti crearono un governo provvisorio che però non fu riconosciuto dalla Germania, la quale occupò a sua volta la Lituania, trasformandola in un distretto tedesco (Ostland) e rimanendovi fino al 1944. La dominazione nazista fu molto dura per il popolo lituano, soprattutto per i numerosi ebrei che da secoli abitavano quelle terre. Il secondo dopoguerra Nell'estate del 1944, l'Armata Rossa respinse i tedeschi ed occupò la Lituania ma l'ordine sovietico fu ristabilito con una certa difficoltà. Fino al 1953 si susseguirono molti interventi repressivi per sconfiggere la resistenza lituana e la guerriglia dei partigiani baltici. Fino alla fine degli anni Settanta la Lituania fu caratterizzata da una crescente integrazione nel sistema economico ed industriale sovietico e la collettivizzazione dell'agricoltura portò all'abolizione totale della proprietà privata delle terre. Fino alla metà del 1988 tutte le attività politiche, economiche e culturali furono controllate e dirette dal Partito Comunista Lituano, membro a tutti gli effetti del Partito Comunista dell'URSS. Gli anni della perestrojka e del distacco da Mosca Il programma di riforma della "perestrojka" fu accolto positivamente dalla maggior parte dei lituani. Nell'ottobre del 1988 intellettuali, politici e semplici cittadini diedero vita al movimento per le riforme denominato Sajudis, che intendeva fare pressioni su Mosca e sulle comunità internazionali per il riconoscimento della 83 Lituania come Stato indipendente. Il 19 ottobre il segretario del PCL Rimgaudas Songaila fu sostituito da Algirdas Brazauskas, un riformatore che aveva più volte partecipato alle riunioni del Sajudis. Pochi giorni dopo all'interno del palazzo dello sport di Vilnius si tenne il congresso di fondazione del Sajudis come movimento politico organizzato. Intanto sotto la spinta dei moti popolari, il governo comunista lituano decise una serie di concessioni al movimento : il ripristino della bandiera e dei simboli nazionali, l'uso del lituano come lingua ufficiale, la celebrazione della Festa Nazionale del 16 febbraio e la riapertura al culto della cattedrale di Vilnius e delle altre chiese trasformate in musei dal partito comunista. Ormai molti membri del PCL appoggiavano le idee del Sajudis che il 20 novembre dello stesso anno adottò per la prima volta una dichiarazione d'indipendenza morale da Mosca. Nel 1989 continuò a crescere la spinta popolare a favore dell'indipendenza ed il 5 febbraio una folla immensa si strinse intorno al Cardinale Sladkevicius in occasione della riconsacrazione della cattedrale. Nel dicembre del 1989 avvenne poi il definitivo distacco del PCL guidato da Brazauskas dal PCUS e l'11 marzo 1990 l'assemblea proclamò l'indipendenza della Repubblica dall'URSS. La storica decisione del Parlamento non fu però accettata da Mosca, che dopo aver chiesto ufficialmente di revocare quell'atto di separazione, intervenne con una serie di sanzioni economiche contro la Lituania, accompagnate da alcune operazioni militari. Tra l'11 ed il 13 gennaio del 1991, le truppe sovietiche occuparono alcuni edifici (tra cui la sede della televisione ed il centro stampa) e le principali vie di accesso a Vilnius. Negli scontri morirono 14 persone ed altre 200 restarono ferite ma i lituani riuscirono a difendere il loro Parlamento. La tensione rimase alta anche nelle settimane successive, nonostante la ripresa del dialogo tra Vilnius e Mosca. Fu addirittura organizzato un referendum che doveva far decidere ai lituani se 84 essere a favore o contro la repubblica indipendente, ma Mosca non ne volle riconoscere il valore giuridico. Alcuni incidenti alle frontiere (maggio e giugno) fecero temere il precipitare della situazione ed il 19 agosto a Vilnius i palazzi della televisione e dei telefoni furono nuovamente presi d'assalto dalle truppe speciali sovietiche. La grave situazione ebbe però una svolta repentina il 21 agosto, quando la notizia del colpo di stato a Mosca iniziò a fare il giro del mondo. Il giorno successivo il PCL venne dichiarato fuorilegge dal Consiglio Supremo e tutti i suoi beni confiscati. L'esercito sovietico abbandonò gli edifici occupati da gennaio ad agosto. Il 2 settembre gli USA riconobbero ufficialmente le tre Repubbliche Baltiche ed il 6 settembre fece lo stesso il parlamento russo. L'entusiasmo dei lituani per il ritorno dell'indipendenza e della democrazia si dovette presto scontrare con una crisi economica di grandi proporzioni a causa della dipendenza energetica da Mosca. Contemporaneamente alle elezioni politiche i cittadini lituani votarono anche la nuova Costituzione democratica, che prevedeva una repubblica di tipo semipresidenziale, con poteri equamente ripartiti tra Capo dello Stato, Governo e Parlamento. Nell'agosto del 1993 si concluse il lento e contrastato ritiro degli ultimi soldati russi dal territorio lituano e il 27 gennaio del 1994 fu firmato l'accordo di partnership tra la Lituania e gli altri Paesi membri della NATO. Il 12 giugno del 1995 fu invece sottoscritto l'accordo di associazione della Lituania all'Unione europea entro il 2001. Dal maggio del 2004 la Lituania è diventata ufficialmente stato membro della Unione Europea e nel marzo dello stesso anno anche della NATO, ma ha fallito l'aggancio alla zona euro a causa dell'inflazione e punta ora al 2010. Nel Dicembre del 2007 è entrata a far parte insieme a Slovenia, Estonia, Lettonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Malta della zona Schengen. 85 86 Superficie: 65.300 Km² Abitanti: 3.425.000 (stime 2005) Densità: 52 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Vilnius (541.000 ab.) Altre città: Kaunas 369.000 ab., Klaipeda 190.200 ab., Siauliai 131.200 ab., Panevezys 117.600 ab. Gruppi etnici: Lituani 83,5%, Polacchi 6,5%, Russi 6,5%, Bielorussi 1%, altri 2,5% Paesi confinanti: Lettonia a NORD, Russia (Kaliningrad) ad EST, Polonia a SUD-OVEST, Bielorussia a SUD-EST Monti principali: Juozapine 294 m Fiumi principali: Nemunas 475 Km (tratto lituano, totale 937 Km), Sventoji 246 Km, Neris 234 Km (tratto lituano, totale 510 Km) Laghi principali: Druksiai 44,8 Km², Dysnai 24,4 Km², Dusia 23,3 Km² Clima: Temperato - continentale Lingua: Lituano (ufficiale), Polacco, Russo Religione: Cattolica 79%, Ortodossa 4%, altro 17% Moneta: Litas lituano 87 MACEDONIA Abitata da popolazioni nomadi in età neolitica (circa 6200 a.C.), dopo il 3000 a.C. una popolazione di lingua greca si stabilì nelle regioni montuose comprese tra l’Olimpo e il Pindo. Perdicca I fondò un regno nella ricca pianura alluvionale dei fiumi Aliákmon e Axios. Nel IV secolo a.C., sotto Filippo II, lo stato visse un periodo di crescita ed espansione; conquistata la Grecia nel 338 a.C., unì greci e macedoni in un unico impero. Il figlio di Filippo, Alessandro Magno, prese il comando in seguito all’assassinio del padre nel 336 a.C., del quale perseguì gli obiettivi, creando un vasto impero che si estendeva a sud fino all’Egitto e a est, attraverso la Persia, fino all’India nordoccidentale. Alessandro morì nel 323 a.C., senza lasciare un diretto successore. Il vuoto creatosi portò a conflitti all’interno dell’impero e, infine, alla sua dissoluzione. I generali dell’esercito macedone frazionarono la regione in piccoli regni, che continuarono a combattere tra loro per diversi decenni, fino al 215 a.C. Dopo una serie di ripetute guerre (215-168 a.C.), nel 148 a.C. la regione divenne provincia romana. 88 All’inizio del periodo cristiano fu luogo importante per le attività missionarie di san Paolo, che visitò Filippi e Salonicco. Nel 395 la Macedonia divenne parte dell’impero bizantino. Tra il VI e il VII secolo si stabilirono nella regione numerose popolazioni slave provenienti da altre parti dell’Europa orientale, che gradualmente diventarono il gruppo dominante; dal IX secolo fu governata dagli imperi bulgaro, bizantino e serbo. Nel 1371 la Macedonia cadde sotto l’influenza dell’impero ottomano e, durante il periodo della sua decadenza, fu scena di battaglie territoriali fra greci, serbi e bulgari. In seguito alla guerra dei Balcani (1912-13), la regione fu sottratta al controllo ottomano e divisa fra Grecia, Bulgaria e Serbia. Superficie: 25.713 Km² Abitanti: 2.023.000 Densità: 79 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Skopje (467.000 ab.) Altre città: Kumanovo 103.200 ab., Bitola 86.400 ab., Prilep 73.400 ab., Tetovo 70.800 ab. Gruppi etnici: Macedoni 64%, Albanesi 25%, Turchi 4%, Rom 2,5%, Serbi 1,5%, altri 3% Paesi confinanti: Serbia a NORD, Bulgaria ad EST, Grecia a SUD, Albania a OVEST Monti principali: Golem Korab 2753 m, Titov Vrh 2747 m Fiumi principali: Vardar 301 Km (tratto macedone, totale 388 Km), Crna 228 Km, Bregalnica 225 Km, Treska 139 Km Laghi principali: Lago d'Ocrida 243 Km² (parte macedone, totale 363 Km²), Lago di Prespa 197 Km² (parte macedone, totale 328 Km²) Isole principali: Golem Grad (nel lago di Prespa) 0,25 Km² 89 Clima: Continentale Lingua: Macedone (ufficiale), Albanese Religione: Ortodossa 54,5%, Musulmana 30%, altro 15,5% Moneta: Dinaro macedone 90 MOLDAVIA Le prime notizie che si hanno di questo territorio risalgono alla metà del secolo XIV, quando i fondatori del Principato di Moldavia crearono villaggi sparsi, senza alcuna organizzazione. Ciò è spiegato dal fatto che a quell’epoca il paese era sotto il dominio dei Tartari, nomadi, essenzialmente guerrieri, che occuparono tutta la parte orientale dell’Europa fin dalla metà del XIII secolo. Questa dominazione in parte si indebolì per le continue ribellioni da parte dei russi e la sua fine diede la possibilità alla Moldavia di sorgere. E ciò fu opera anche di Luigi il Grande, re di Ungheria. Egli conquistò il paese dove poi lasciò un capo militare e politico, capace di combattere con armi alla maniera occidentale quanto con l’arco usato dai tartari. Di questi capi, i noti “voivodi” romeni, c’era una discreta abbondanza, specialmente in Transilvania,soprattutto nella zona di Maramures, dove numerosi erano i romeni. Il compito di impedire il ritorno dei tartari nel paese fu affidato al “voivoda” Dragos. Egli fu inviato nella zona della cittadina di Baia, dove sin dal secolo XIII si erano stabiliti i Sassoni. Per questi sassoni la città si chiamava “Mulda”, per gli 91 ungheresi “Moldvabanya”. Tutto l’operato del principe Dragos è rimasto sconosciuto; si sa soltanto che ebbe un figlio, Sas, al quale fu affidato lo stesso incarico, ma che dovette in breve lasciare il paese per una ribellione condotta dal “voivoda” del Maramures, Bogdan, sceso anche lui nella Moldavia alla metà del secolo XIV. Nel 1360 egli divenne il “dominus”, completamente autonomo, e sventò tutte le minacce e tutti i pericoli ai quali fu sottoposto il paese. Lo stato moldavo allora si estendeva da Baia fino alla borgata di Siretiv. La famiglia di Bogdan si ampliò di un ramo, quello conseguente al matrimonio di Margherita, figlia ed erede di Latco (suo figlio), con un “voivoda” Stefano di origine sconosciuta. Da questo matrimonio nacquero tre figli: Pietro, Stefano e Romano, che originarono la dinastia dei “Musat”: Margherita, infatti, in romeno si diceva “Musata”, cioè la “Bella”. Questa dinastia fu la principale artefice dell’espansione al sud dello stato moldavo. Infatti, sotto il governo di Romano, il paese giunse alla confluenza del fiume Moldava con Siret. Lì Romano fondò una città che da lui prese il nome di Roman, e si adoperò per distruggere e far scomparire completamente tutto ciò che era appartenuto ai Tatari. Egli potè gloriarsi di possedere tutto il paese “dai monti al mare”. Alessandro, figlio di Romano, mentre dal popolo era considerato il signore degli eserciti, padrone assoluto, quasi un “cesare” bizantino, riapparso sulle sponde del Danubio, per i sovrani vicini era soltanto il padrone della terra moldava; la sua potenza era limitata, quindi vulnerabile. E ciò pensò Luigi d’Ungheria e dopo di lui il genero re Sigismondo che tentò di conquistare la Moldavia allorchè fu “voivoda” Stefano I. Poi fu la volta dei re polacchi a tentare l’annessione della Moldavia al loro regno ma anche per essi non fu possibile la realizzazione. Poi ci fu il momento dell’espansione dei turchi; solo un conflitto ci fu fra Moldavia e Turchia, ma fu sufficiente. 92 In seguito Maometto II restituì la libertà al Principato in cambio di un tributo annuo. Dopo di lui suo figlio Baiazet II tornò ad imporre sulla Moldavia la sua sovranità, con l’aiuto dei Tatari che erano stati, in precedenza, sottomessi dal sultano. Nel 1575, sotto Giovanni il Terribile, e poi nel 1595, sotto il principe Aarone, furono tentate le rivolte contro i turchi. Nella prima metà del secolo XVII, in unione alla Polonia, che aveva preteso di estendere il suo dominio fino al Danubio, la famiglia principesca moldava dei Movila, si ritrovò a combattere contro gli ottomani ma fu un disastro e nessuna altra guerra fu intrapresa per un certo tempo. Passarono, infatti, altri 50 anni prima che si verificasse una nuova rivolta, capitanata da Demetrio Cantemir, alleato dello zar di Russia: era il 1711. A quell’epoca furono governatori del paese i Fanarioti, greci e romeni. Sotto di loro cominciarono a nascere i primi movimenti nazionali per la libertà. Il tentativo di Cantemir ebbe come conseguenza un terribile saccheggio della Moldavia ad opera dei turchi e dei tatari. E la stessa cosa la subì la Valacchia. Inoltre la Moldavia perse i distretti settentrionali di Suceava, Campulung, Cernauti, una parte del territorio di Hotin, che divenne città turca. Nel 1775, con la Convenzione di Palamutca, la Bucovina passò all’Austria. Nel 1789 scoppiò una nuova guerra e quando si stipulò la “Pace di Iasi” nel 1792 il territorio della Moldavia non subì altre mutilazioni. Non fu la stessa cosa nel 1812 quando i russi, con la “Pace di Bucarest” poterono annettersi le terre tra il Prut ed il Dnestr e, per ingannare i turchi, le chiamò Bessarabia. La perdita della guerra e delle terre non impedì però alla Moldavia di acquisire grande prestigio, anche internazionale, dovuto soprattutto alla cultura, che ebbe un notevolissimo impulso. Ed infatti nel XVIII secolo, nonostante le difficoltà create dall’era fanariota, il principato fu alla testa della vita culturale in Romania. Nel 1857 a Iasi, per decidere le sorti del principato,ci furono i famosi dibattiti del “Divano” moldavo; ne conseguì la creazione di uno stato unitario che si chiamò 93 “Principati uniti di Moldavia e di Valacchia”, dal quale la Moldavia ebbe un grave danno, tanto da veder accrescere di giorno in giorno il suo indebolimento. Nel 1919, anche la Bessarabia, con una ultima riforma amministrativa, fu staccata dal corpo della Moldavia, della cui antica individualità non rimase che qualche piccolo particolare solo nei dialetti. L’Unione Sovietica nel 1940 operò l’annessione della Bessarabia e nell’agosto dello stesso anno fu la Moldavia ad essere innalzata al rango di repubblica e come tale divenne la 13° Repubblica dell’Unione Sovietica, con capitale Kisinev. Il dialetto moldavo fu confermato però lingua ufficiale. A questa repubblica fu incorporata la Bessarabia settentrionale e centrale, mentre quella meridionale fu incorporata alla Repubblica Ucraina. Nel luglio 1941 le truppe romene presero possesso di tutti i territori dell’ex Moldavia autonoma e questi, insieme ad Odessa, furono amministrati dalla Romania e si chiamarono Transnitria. Ma il 23 agosto 1944, con la resa della Romania, tutto fu ripristinato come in precedenza. E qui la Repubblica di Moldavia fu sottoposta ad una completa russificazione, si impose l’alfabeto cirillico, si favorì l’immigrazione russa ed ucraina, si recisero tutti i legami con la Romania e la popolazione di origine romena fu deportata in Asia centrale. E così continuò fino all’avvento di Gorbacev, nel 1989. In tutte le repubbliche sovietiche insorsero le opposizioni al regime e la repubblica di Moldavia pretese il ripristino dell’alfabeto latino ed il riconoscimento del romeno come lingua ufficiale. A maggio del 1989 nacque il Fronte Popolare per la Moldavia che, però, fu aspramente contrastato dalle minoranze etniche russa, ucraina, e dai turchi cristiani e ortodossi, i cosidetti “gagauz”, che intendevano limitare l’influenza dei nazionalisti nel governo. Al vertice del Partito Comunista Moldavo ci fu il cambio del leader. Prese le redini P. Luchinsky, giovane riformatore, la cui visione politica era sicuramente più in sintonia col pensiero di Gorbacev. Il 23 febbraio del 1990 alle elezioni del Soviet Supremo Moldavo i candidati del 94 Fronte ottennero una schiacciante maggioranza. Poi, nel settembre, M. Snegur fu eletto presidente del Soviet e poi a dicembre 1991 divenne Presidente della Repubblica. Il nuovo governo operò subito una liberalizzazione nei settori delle comunicazioni, poi tolse diversi privilegi al partito comunista, dichiarò la sovranità dello stato, gli assegnò il nome di Repubblica Socialista di Moldavia e denunciò illegale l’annessione della Bessarabia. Le minoranze etniche, dal canto loro, scontente della piega che stava prendendo la politica di stato, formarono due altre repubbliche. Una si chiamò Repubblica Socialista Sovietica Gagauz, al sud del paese, ed una fu Repubblica Socialista Sovietica Dnestr. Ma ambedue queste repubbliche furono annullate dal Soviet Supremo Moldavo, e le minoranze crearono violenti conflitti e scontri. Mentre a Mosca si tenevano riunioni fra i rappresentanti del governo e quelli delle minoranze; riunioni che fallirono. Poi il governo moldavo accelerò la secessione dall’Unione Sovietica assumendo direttamente il controllo delle imprese, istituendo una propria banca centrale ed una guardia nazionale. In seguito fu deciso di togliere dalla denominazione dello stato la parola “socialista, sovietica” e così si ebbe la Repubblica Moldoveneasca, ed il 27 agosto 1991 fu proclamata ufficialmente l’indipendenza. Furono immediatamente sistemati i confini con la Romania, poi con l’Ucraina e poi si aderì alla Comunità degli Stati Indipendenti. La questione delle minoranze fu risolta quando in Romania cadde il regime comunista e quindi fu raggiunta la completa riunificazione. Nel marzo 1992 scontri violenti si verificarono fra la polizia e la popolazione russofona. Ci furono parecchi morti e feriti e la situazione risultò molto più complicata per la presenza sul territorio di truppe russe che stavano appoggiando l’indipendenza del Transdnestr. Per la fine delle ostilità nell’agosto si svolsero colloqui che portarono ad un accordo ed alla proclamazione del “cessate il fuoco”, con conseguente evacuazione del territorio da parte delle truppe russe. 95 Dopo avere per molto tempo caldeggiato la totale integrazione con la Romania, la Moldavia, data la sua difficilissima situazione economica, dovette avvicinarsi alla Federazione Russa, dalla quale dipendeva, specialmente nel campo energetico. E, comunque, il progetto di integrazione con la Romania già nel marzo 1994 era stato accantonato con un referendum, votato in questo senso dalla maggioranza del popolo di lingua moldava. Nell’aprile del 1994 fu varato un nuovo governo con la maggioranza degli esponenti del Partito Agrario Democratico. Nello stesso anno si ebbe una nuova Costituzione che stabiliva l’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale diretto, per un periodo di quattro anni, durante il quale il presidente eletto doveva condividere il potere esecutivo col Presidente del Consiglio, responsabile del Parlamento, anche questo in carica per quattro anni. Questa nuova Costituzione prevedeva pure la possibilità, per le due regioni separatiste, la Gagauzia e la Transnistria, di raggiungere l’autonomia. Questo riferimento fu notevolmente gradito agli elettori delle due regioni, tanto che molti contrasti interetnici automaticamente si appianarono. Nel febbraio del 1995 la Gagauzia si avvalse di questa possibilità, mentre per la Transnistria la soluzione non fu subito raggiunta per la presenza di truppe russe, ancora stanziate nella zona. Tuttavia esistevano ancora contrasti interni fra il Parlamento ed i nazionalisti filoromeni che pretendevano la denominazione di “romeno” anziché “moldavo”, specialmente per ciò che atteneva la lingua ufficiale dello stato. Questi ultimi, in questa diatriba, erano sostenuti dal presidente Snegur che alle presidenziali del novembre-dicembre del 1996 fu sconfitto e sostituito da P. Luchinsky, ex Primo Segretario del Partito Comunista, e presidente del Parlamento già dal 1994. La carica di Primo Ministro fu assunta da I. Ciubuc nominato nel gennaio del 1997 e confermato con le politiche del marzo 1998. Il Partito Comunista tornò ad essere la forza politica principale del paese. 96 Intanto, i negoziati per l’autonomia della Transnistria erano ripresi, dopo l’elezione di Luchinsky, nonostante la permanenza delle truppe russe sul territorio, ed avevano anche registrato qualche passo avanti, sia nel maggio 1997 che nel febbraio del 1998. In questa ultima data era stato anche firmato un accordo di cooperazione economica, anche se il problema dell’autonomia era rimasto irrisolto. Nel febbraio del 1999, a causa di contrasti sorti nel governo, Ciubuc si dimise e fu sostituito da I. Sturza. Le tensioni politiche rimasero e nel dicembre si formò un nuovo governo presieduto da D. Barghis. 97 Superficie: 33.843 Km² Abitanti: 4.218.000 (stime 2004) Densità: 125 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Chisinau (780.000 ab.) Altre città: Tiraspol 185.000 ab., Balti 149.000 ab. Gruppi etnici: Moldavi 64,5%, Ucraini 14%, Russi 13%, Gagauzi 3,5%, Bulgari 2%, altri 3% Paesi confinanti: Romania ad OVEST, Ucraina a SUD, EST e NORD Monti principali: Dealul Balanesti 429 m Fiumi principali: Prut 695 Km (tratto moldavo, totale 926 Km), Dnestr 630 Km (tratto moldavo, totale 1370 Km) Laghi principali: Beleu 6,25 Km² Clima: Temperato Lingua: Moldavo (ufficiale), Ucraino, Russo, Gagauzo Religione: Atei 46,5%, Ortodossi 44,5%, Musulmani 5,5%, altro 3,5% Moneta: Leu moldavo Nota: La regione della Transnistria-Pridnestrovie, ubicata nella zona orientale moldava (fra il Dnepr e l'Ucraina), si è dichiarata indipendente nel Settembre 1990, anche se non è ufficialmente riconosciuta da nessuno Stato. Il nome completo della regione è Pridnestrovskaia Moldavskaia Respublika. E' ampia 4.163 Km² e conta 611.000 abitanti (33% moldavi, 29% russi, 29% ucraini, 3% bulgari, 2% polacchi, 2% gagauzi). La capitale è Tiraspol, le altre principali città sono Tighina (125.000 ab.) e Rabnita (62.000 ab.). 98 POLONIA La Polonia dei Piast (X – XI secolo) Il nome della Polonia trae origine dal nome della tribù dei Polanie, ovvero popolo che lavora i campi (campo = "pole" in polacco), che viveva nel bacino del fiume Warta, nella zona più tardi denominata Wielkopolska (Polonia Magna). Il centro del potere si trovava allora a Gniezno. Nel corso del X secolo, i duca Polanie (i Piast) conquistarono ed unirono sotto la loro autorità le altre tribù che vivevano nel territorio racchiuso fra i fiumi Odra e Bug, il litorale baltico e i Carpazi. Il primo duca della dinastia dei Piast, menzionato dalle fonti dell'epoca, fu Mieszko I (intorno a 960-992), considerato il fondatore dello Stato polacco, che riorganizzò i territori conquistati e li riunì in un sistema statale omogeneo. La Polonia dal X al XII secolo, come del resto tanti altri Stati del primo Medioevo, fu una monarchia, considerata dai suoi sovrani come proprietà dinastica – cioè patrimonium. Il duca e il gruppo di pochi magnati che lo circondava, disponevano 99 di un potere forte e centralizzato mentre l’esercito era formato da una squadra di alcune migliaia di soldati scelti, equipaggiati e mantenuti dallo stesso duca. Lo stato fu diviso in province in maniera simile alla divisione dei territori tribali, le province si dividevano a loro volta in circa cento distretti urbani. Quando Mieszko I prese il potere verso il 960, dovette subito affrontare un dilemma politico che sarebbe rimasto fondamentale per la Polonia anche nei secoli successivi: quale rapporto avrebbe dovuto instaurare lo Stato fondato dai Piast con l'Impero da una parte e con il Papato dall'altra? Le aspirazioni imperiali della Germania trovarono espressione nell’incoronazione dell'Imperatore Ottone I nel 962. L’alternativa che si poneva di fronte al duca polacco era scegliere tra il paganesimo legato alla lotta per una piena indipendenza politica o, altrimenti, il battesimo, che significava per la Polonia entrare nell'ambito della civiltà cristiana europea e sistemare così le sue relazioni con l'Impero, riconoscendo in un certo senso il suo dominio. Mieszko I scelse la seconda opzione, garantendo alla Polonia possibilità di sviluppo e la presenza nella comunità degli Stati e dei popoli europei. Egli, infatti, accettò nel 966 il battesimo ed appena due anni dopo venne fondata la prima diocesi polacca di Poznan. A Mieszko I succedette il figlio Boleslao il Probo (Boleslaw Chrobry, 992-1025), che sin dall’inizio del suo governo cercò di consolidare l’indipendenza della Polonia imboccando la stessa strada del padre. Così nel 997 egli organizzò una spedizione missionaria del vescovo ceco Adalberto (Wojciech in polacco), nei territori delle tribù prussiane, e dopo la morte del missionario ne riscattò il corpo utilizzando poi la canonizzazione del martire per accrescere il prestigio della Polonia. Nell’anno 1000, infatti, proprio di fronte alla tomba di S. Adalberto, ebbe luogo l’incontro tra Boleslao il Probo e l’Imperatore Ottone III, che nell’occasione denominò Boleslao patrizio dell’impero, gli conferì una copia della lancia di S. Maurizio, ponendo il diadema imperiale sulla sua testa, e, di comune accordo con Roma, diede il suo consenso alla fondazione a Gniezno della prima metropoli 10 0 ecclesiastica polacca. L’indipendenza politica così conseguita dalla Polonia, dovette essere più tardi difesa quando i successori di Ottone III cambiarono la linea politica dell’Impero. Bolesalo il Probo vinse la guerra polacco-tedesca scatenatasi negli anni 1002-1018, consolidando poi la sua supremazia nell’Europa centro-orientale, con la vittoriosa campagna di Kiev del 1018. Infine, la sua incoronazione a primo re di Polonia nel 1025, sancì definitivamente l’indipendenza della Polonia. I suoi successori non furono però capaci di mantenere la piena autonomia dello Stato, che solo Boleslao II Smialy (il Bravo), riuscì a ripristinare con la sua incoronazione a re della Polonia nel 1076. Egli, per salire al trono reale, approfittò del conflitto scoppiato tra l’Impero ed il Papato, schierandosi dalla parte di Gregorio VII contro Enrico IV, inimicandosi però i magnati polacchi con cui entrò in conflitto. Il re, lottando con l’opposizione, ne uccise il leader Stanislao, vescovo di Cracovia, ciò provocò una forte protesta nel Paese che gli costò la perdita del trono. Boleslao III Krzywousty (Boccastorta) (1102-1138), illustre comandante e politico, non riuscì a salire al trono nonostante fosse uscito vittorioso da numerose guerre ed anche se respinse l'invasione tedesca nel 1109 e fu uno degli organizzatori della missione di Ottone da Bramberga in Pomerania. Il territorio polacco misurava al tempo circa 250 mila kmq, popolati da quasi un milione di abitanti. Il sistema di potere fortemente centralizzato nelle mani della dinastia dei Piast, veniva indebolito da una lenta feudalizzazione dei rapporti sociali. Le tendenze centrifughe erano una caratteristica degli Stati dell'Europa feudale del Medioevo, ed in Polonia, così come in Russia ciò prese una forma di disintegrazione territoriale: lo Stato fu diviso in ducati, governati dai rappresentanti di un ramo della dinastia dei Piast. Fu il testamento di Boleslao Boccastorta a dare inizio, nel 1138, alla disintegrazione territoriale dello Stato, con la sua divisione fra i 5 figli e la nomina del maggiore di 10 1 loro a "seniore". ll seniorato fu presto abolito, ma la crescita della dinastia portò ad ulteriori divisioni, tant’è che nel periodo culminante della spartizione, a metà del XIII secolo, la Polonia era divisa in 20 ducati. I secoli XII e XIII portarono un incremento demografico e un'intensa colonizzazione. Principi, vescovi e cavalieri si trovarono impegnati a fondare nuovi villaggi ed a riorganizzare le città, riallacciandosi ai modelli provenienti dall'estero. La legge di Magdeburgo gettò le basi dell'autogestione nei villaggi e nelle città, con un proprio sistema giuridico ed una gestione finanziaria a livello locale. L'afflusso di coloni tedeschi creò in Polonia una nuova situazione etnica ed a partire dal XIII secolo, specie nelle città, una percentuale sempre più alta dei sudditi dei duchi, era costituita da abitanti d'origine tedesca. Nei centri urbani si insediò anche la ricca popolazione ebrea, la quale, nel 1264, ottenne dal duca di Cracovia, Enrico il Devoto, un privilegio speciale. Non meno importanti furono anche le trasformazioni in campo culturale. Fino al XII secolo l'arte e la letteratura romana avevano un carattere strettamente élitario, ma nel XIII secolo quest'arte diventò più diffusa. Aumentò notevolmente il numero di chiese ed iniziò un nuovo stile architettonico - il gotico. Lo sviluppo economico, demografico, sociale e culturale fu un effetto positivo della disintegrazione territoriale ma non mancavano anche i fenomeni negativi: la Polonia divenne oggetto di invasioni ed i principi locali della Pomerania Occidentale divennero autonomi. I Cavalieri Teutonici, insediati dal duca di Masovia, Konrad, nella Terra di Chelmno, conquistarono i territori delle etnie prussiane, dopodichè, dall'inizio del XIV secolo, cominciarono ad espandersi verso la Polonia. Le tre invasioni dei mongoli del 1241, 1259 e 1287 causarono grandi distruzioni. Tali pericoli esterni intensificarono le tendenze alla riunificazione delle terre polacche e del resto, persino nel momento culminante della disintegrazione territoriale, erano stati mantenuti alcuni elementi di unità: in ogni regione, tranne la 10 2 Pomerania, governavano i sovrani della dinastia dei Piast e le terre polacche erano unite intorno ad una sola Chiesa, con un’unica sede metropolìta. Continuava ad essere usato il nome Regnum Poloniae e le insegne regali venivano conservate dal 1076 nella Cattedrale di Cracovia. ll desiderio di unità, inoltre, si esprimeva anche nel culto di San Stanislao, coltivato in tutta la Polonia. Ciononostante, la riunificazione del Paese non era un obiettivo facile da raggiungere, infatti, dopo alcuni tentativi non riusciti, fatti dai duchi della Slesia e della Piccola Polonia, solo nel 1295 il duca della Polonia Magna Przemyslaw II salì al trono, ma fu presto ammazzato da un attentatore sconosciuto. Aspiravano alla sua successione il duca di Sieradz, Leczyca e Brzesk, Ladislao il Breve ed il re ceco della dinastia di Przemyslid, Venceslao II. Quest'ultimo conquistò la Piccola Polonia, la Polonia Magna, la Pomerania di Danzica, una parte della regione di Kujawy, e si incoronò re di Polonia nel 1300. La morte precoce di Ladislao II e di suo figlio Ladislao III, aprì a Ladislao il Breve la strada al trono della Polonia; questi, dopo essersi conquistato l'appoggio del Papa, un aiuto militare dell'Ungheria e dopo aver riunificato una parte delle terre polacche, si incoronò nel 1320. Fuori dal suo regno rimasero: la Slesia, i cui duchi resero omaggio al re della Boemia, la Masovia, che mantenne la sua autonomia, e la Pomerania di Danzica, occupata negli anni 1308-1309 dai Cavalieri Teutonici. La perdita della Pomerania aprì un periodo di 150 anni di lotte, tra la Polonia e l'Ordine Teutonico, per la riconquista di questa terra. Nel XIV secolo: Francia, Germania, Fiandra, Inghilterra, Italia e gli Stati della penisola iberica furono travagliati da una profonda crisi economica, dall'epidemia di Morte Nera (la peste) e dalle disgrazie della Guerra dei 100 anni, viceversa, per i Paesi dell'Europa centro-orientale, questo fu un secolo di sviluppo economico, politico e culturale. Casimiro il Grande (1333-1370), figlio e successore di Ladislao il Breve, uno dei più illustri sovrani polacchi, firmò la pace coi Cavalieri Teutonici (1343), dando 10 3 loro, come "eterna elemosina", la Pomerania. Egli riconobbe l'omaggio della Slesia al re della Boemia e dopo aver garantito la pace alla Polonia, si occupò della riforma dello Stato. Appoggiò la colonizzazione delle terre, il commercio, promulgò le leggi che sancivano i principi dell'estrazione di salgemma, di minerali, di piombo, argento e ferro, realizzò la riforma monetaria. Il diritto consuetudinario fu codificato ed unificato, la magistratura riformata. Nel 1364 il re fondò la prima università polacca - l'Accademia di Cracovia; destinò grandi fondi per la costruzione di una rete di castelli ed alla riforma dell'esercito. Il potere reale, anche se forte, veniva limitato dalla legge di cui la monarchia doveva essere garante ed esecutore. Casimiro il Grande iniziò l'espansione della Polonia verso sud-ovest. Dopo la fine in Russia di Halicz della dinastia dei Rurykowicz, il ducato fu dominato da questo re polacco (1344 e 1366). Alla fine del regno di Casimiro il Grande, il territorio dello Stato ammontava a 240 mila kmq, la popolazione era di circa 2 milioni di abitanti. In quell’epoca, un milione di persone che parlavano la lingua e coltivavano la cultura polacca, vivevano fuori dal Regno Polacco - in Slesia, Pomerania e Masovia, mentre lo Stato polacco veniva abitato, oltre che dagli stessi polacchi, anche da tedeschi, russi ed ebrei. Il re, sebbene più volte sposatosi, non ebbe un figlio legittimo ma non fu presa neanche in considerazione la possibilità di trasmettere il potere ad uno dei Piast di Slesia o di Masovia privi di prestigio, Casimiro stipulò quindi un accordo con Luigi d'Angiò, re d'Ungheria e nipote da parte materna di Ladislao il Breve, il quale salì al trono nel 1370 e regnò fino al 1382. Egli, non avendo successori maschi, cercò di convincere i nobili polacchi a riconoscere come successore al trono una delle sue figlie. Unione con la Lituania. dinastia degli Jagellone. Lo sviluppo nel XV secolo Nel 1384 Edvige, figlia undicenne di Luigi d'Angiò, chiamata in Polonia dalla 10 4 nobiltà e dai rappresentanti delle città, salì al trono reale. Un gruppo di magnati di Cracovia, che allora governava la Polonia, decise di darla in sposa al principe pagano del Gran Ducato Lituano-Jagellone, a condizione però che la Lituania accettasse il battesimo e fosse inclusa nel Regno della Polonia. L'unione fu conclusa a Krewa nel 1385 ed un anno dopo Jagellone fu battezzato a Cracovia e prese il nome di Ladislao per essere poi eletto re di Polonia (1386-1434). Tale unione polacco-lituana fu dettata anche dalla necessità di far fronte al pericolo di espansione dell'Ordine Teutonico. Il Gran Ducato Lituano era uno Stato molto vasto e diversificato al suo interno: gli stessi lituani, relativamente pochi, abitavano nelle zone nord-occidentali, mentre più numerosa era la popolazione russa ortodossa. Il battesimo del Granduca e dei magnati lituani e la loro conversione al Cristianesimo di rito occidentale, preservarono la particolarità dell'etnia lituana. Dopo aver formalizzato l'unione con la Polonia, la Lituania conservò il suo sistema politico, le proprie leggi e strutture sociali. Witold, cugino di Ladislao Jagellone che gli affidò il governo della Lituania, fu un sostenitore di tali particolarità. Nel 1413 a Horodle, l'unione polacco-lituana fu modificata in modo tale da garantire alla Lituania una certa autonomia anche dal punto di vista legale. La Polonia e la Lituania occupavano nel XIV e XV secolo un territorio enorme, di oltre 1,12 milione kmq, dove abitavano diversi gruppi etnici e religiosi: polacchi, lituani, tedeschi, russi, ebrei, armeni, tartari, gente di fede cattolica, ortodossa, giudaica e musulmana. Un così grande proliferare di fedi, nonostante il cattolicesimo fosse dominante, spingeva i sovrani a seguire una politica di tolleranza. Con il battesimo della Lituania venne meno la ragione della politica d'espansione dell'Ordine Teutonico. I Cavalieri Teutonici decisero di prevenire l'aumento della potenza polacca e lituana, iniziando nel 1409 una guerra con entrambi gli Stati. Lo scontro decisivo ebbe luogo il 15 luglio 1410 a Grunwald e si concluse, dopo un'accanita battaglia, con la sconfitta dei Cavalieri Teutonici e la morte del loro Gran Maestro, tuttavia, nonostante il crollo della potenza dei tedeschi, la città di 10 5 Malbork riuscì a salvarsi. Re Casimiro Jagellone (1447-1492) dichiarò guerra all'Ordine Teutonico, guerra che durò 13 anni e che si concluse nel 1466 con la pace di Torun a seguito della quale, la Polonia riconquistò la Pomerania con Danzica, Malbork, Elblag e la regione di Warmia. Le città situate in queste regioni ottennero numerosi privilegi, mentre alla Pomerania fu attribuita una autogestione territoriale. La restante parte delle terre dell'Ordine, la cosiddetta Prussia Teutonica, divenne un feudo della Polonia. Il sistema socio-politico della Polonia quattrocentesca cambiò in seguito ai privilegi conquistati dalla nobiltà, come l'inviolabilità dei beni dei nobili (1422) e 1'inviolabilità personale (1430-33): il sequestro o la detenzione potevano essere eseguiti solo in virtù di una sentenza del tribunale. Nel 1454 fu approvato il cosiddetto privilegio di Nieszawa, secondo il quale il re non poteva imporre nuove tasse né dichiarare guerra senza il consenso delle giunte (congressi) locali dei nobili. L'attribuzione di sempre nuovi privilegi avveniva senza l’opposizione da parte degli strati sociali inferiori e senza conflitti interni, ciò forse era dovuto al fatto che l'aumento generale del tenore di vita, la mancanza di tensioni economiche nonché la possibilità di un avanzamento sociale aperto anche ai borghesi e ai contadini più dotati, permisero di evitare tali conflitti. Lo sviluppo dello Stato e della società veniva accompagnato da quello della cultura, il cui centro fu la corte della regina Edvige, ma anche l'Accademia di Cracovia e i centri vescovili. Il Quattrocento è il periodo culminante dello sviluppo del gotico polacco, la sua espressione più spettacolare è l'altare della Chiesa Mariana di Cracovia, opera di Weitt Stoss, scultore di Cracovia e di Norimberga. Nel campo della letteratura, l'opera più importante è la magnifica cronaca scritta in latino da Jan Dlugosz, canonico di Cracovia e precettore dei figli del re, mentre solo poche opere furono scritte in polacco. 10 6 Nel corso del XV secolo, all'Accademia di Cracovia si iscrissero oltre 17 mila studenti, tra cui circa 12 mila provenivano dal Regno Polacco. E sempre a Cracovia fu fondata nel 1473 la prima tipografia. Gli Jagellone non regnarono solo in Polonia ed in Lituania, dopo una breve unione dinastica polacco-ungherese (1440- 1444), nel 1471, il figlio di Casimiro Jagellone, Ladislao, salì al trono ceco e nel 1490 anche a quello ungherese. A cavallo fra il XV e il XVI secolo, sotto i governi di due rami di Jagelloni si trovarono quindi la Polonia, la Lituania, la Boemia e l'Ungheria. La repubblica nobiliare. Il "secolo d'oro". Nella storia della Polonia il secolo XVI viene denominato il "secolo d'oro", allora il territorio della Polonia e della Lituania misurava 815 mila kmq e la popolazione era di circa 8 milioni di abitanti. I contadini costituivano il 67% della popolazione, i borghesi circa il 23%, mentre i nobili con il clero il 10%. L'esportazione di grano ed un positivo bilancio commerciale, garantivano alla Polonia benessere e un notevole aumento demografico. In campo politico fu un periodo di splendore e potenza senza la minaccia di pericoli esterni. Fu anche un periodo di rinascimento e di florido sviluppo della letteratura in lingua polacca, mentre l'alto livello di istruzione permise ai nobili di accedere al potere e di formare un sistema socio-politico del tutto particolare - la repubblica nobiliare. I privilegi ottenuti dalla nobiltà nei secoli XV e XVI, furono estesi alla cavalleria lituana, nonché ai boiari ortodossi del Granducato di Lituania. L'unità politica della nobiltà prevaleva sulle divisioni regionali, etniche e religiose ed alla fine del XV secolo tutte le giunte provinciali inviavano i loro deputati all'assemblea nazionale cui, oltre ai deputati, partecipavano anche il consiglio reale e lo stesso monarca. In questo modo si formò il parlamento composto da due camere e comune ai due Stati - Polonia e Lituania (1493). Sin dalla fine del XV secolo, intanto, proseguiva la lotta per il potere fra i magnati e la nobiltà. Il confine fra i due ceti era abbastanza mutevole, in quanto in Polonia non 10 7 esistevano diritti e titoli aristocratici separati; di fronte alla legge tutti i nobili erano uguali. In questa rivalità con i magnati, l'indipendenza economica della nobiltà garantì a quest’ultima il maggiore successo. E infatti, i ricavi provenienti dall'agricoltura aumentavano di secolo in secolo, per raggiungere il loro apogeo agli inizi del Seicento, grazie, in particolare, al grande fabbisogno di grano polacco dell'Europa Occidentale e soprattutto dei Paesi Bassi, dell'Inghilterra e della Germania settentrionale. Il grano veniva esportato per mare da Danzica. I nobili, guidati dai loro leader più illustri, lottavano per la conquista del potere soprattutto in ambito parlamentare. La costituzione del parlamento di Radom del 1505, denominata Nihil Novi, dichiarava che senza il consenso del parlamento non potevano essere varate nuove leggi, tuttavia il re Sigismondo il Vecchio (1506-1548) basò il suo governo sui magnati, politica che fu continuata da suo figlio Sigismondo Augusto (1548-1572). La guerra contro Mosca e la necessità di riscuotere le tasse, nonché il problema della successione al trono, indussero però il re, che non aveva eredi, a collaborare con i nobili. Le Diete degli anni '60 realizzarono pertanto numerose riforme, a partire da quella del tesoro ed in conformità alle aspirazioni dei nobili, fu risolta anche la questione della successione e della prosecuzione dell’unione con la Lituania. Nel 1569 fu approvata l'Unione di Lublino, in virtù della quale il re rinunciò alla successione al trono in Lituania, aprendo così nei due Stati la strada verso l'elezione comune di un nuovo sovrano. La Polonia e la Lituania conservarono uffici, leggi, eserciti e tesori separati, rimanendo unite da parlamento, sovrano e politica estera comuni. Dopo l’estinzione della dinastia di Jagelloni nel 1572, Jan Zamoyski, leader della classe nobiliare propose la cosiddetta libera elezione, alla quale poteva votare ogni nobile pervenuto all'assemblea elettorale di Varsavia. La Dieta approvò questa soluzione nel 1573, inoltre, con 1'Atto della cosiddetta Confederazione di Varsavia, stabilì la tolleranza religiosa e il divieto di guerre 10 8 religiose e questo fu un fenomeno davvero insolito in un'Europa attanagliata da conflitti di carattere religioso. Al trono polacco si presentarono ari contendenti ma alla fine fu scelto, per motivi rigidamente di convenienza politica, il duca d'Anjou Enrico di Valois, a cui furono presentati i cosiddetti pacta conventa12 legati agli “atti enriciani” che determinavano i principi dei sistemi politici polacco e lituano. Il futuro re doveva rinunciare al principio di eredità al trono, riconoscere il quello di libera elezione e giurare di rispettare la tolleranza religiosa; in caso di violazione di queste norme i nobili avevano diritto a negare ubbidienza al re. All'epoca del re Stefan Batory (1576-1586), il tribunale di corte fu sostituito dai tribunali composti da giudici che venivano eletti dai nobili. In questo modo si perfezionò il sistema politico della Polonia e della Lituania come monarchia e al contempo come una Repubblica nobiliare. La parità dei diritti di tutti i nobili, le prerogative del parlamento, il controllo esercitato sul potere reale e la tolleranza religiosa furono le basi di questa democrazia nobiliare, un sistema originale ed attraente, che garantiva ai nobili i diritti civici, completamente diverso dai regimi politici assolutisti allora presenti in Europa. La nobiltà, sfruttando la buona congiuntura economica ed impegnata nella lotta per il potere, non era interessata a conflitti esterni, così, fra le poche guerre del Cinquecento si annovera quella contro l'Ordine Teutonico negli anni 1520- 1525, conclusasi con l'omaggio prussiano a Cracovia nel 1525. Albrecht Hohenzollern ottenne dal re il consenso alla secolarizzazione dell'Ordine, alla conversione al luteranesimo e all'istituzione in una parte del territorio Prussiano, di un ducato laico feudale. Nel 1561 fu secolarizzato anche l'Ordine dei Cavalieri delle Spade e anch'esso 12 - Pacta conventa: (1573). Base del contratto che legò alla dieta nobiliare i re elettivi di Polonia a cominciare da Enrico di Valois (futuro Enrico III di Francia). Erano collegati ai cosiddetti "articoli enriciani", che ponevano forti limitazioni al potere del re (convocazione periodica della dieta e poteri preminenti di questa in fatto di guerra e tasse), mentre essi definivano i suoi obblighi positivi (in particolare farsi carico delle spese della flotta e dell'esercito). 10 9 accettò la sottomissione feudale alla Polonia. Ciò scatenò le guerre con la Russia negli anni 1562-70 e 1577-82, conclusesi con la vittoriosa campagna di Psków del re Batory e con l'arresto dell'aggressione russa agli Inflanti. Meno soddisfacenti furono i risultati della politica dinastica dei Jagelloni. Quando nel 1526, nella battaglia contro i turchi nei pressi di Mohacz perì, giovane e senza prole, Lodovico Jagellone, gli asburgo si impadronirono della corona ceca e del potere in quella parte dell'Ungheria che era sfuggita al dominio turco. Nel XVI secolo avvenne uno sviluppo particolare del Rinascimento polacco. Il centro culturale fu sempre Cracovia, dove si trovavano la corte reale, l'Università, numerose tipografie, botteghe artigianali di scultori ed architetti. Il Rinascimento cracoviese, che risplendeva su tutto il Paese, si sviluppava sotto l'influenza italiana: negli anni 1507- 36 gli artisti italiani ristrutturarono il Castello di Wawel; la cappella rinascimentale del re Sigismondo nonché i sepolcri di Sigismondo il Vecchio e di Sigismondo II Augusto venivano riprodotti in tutta la Polonia; una città completamente nuova, Zamosc - detta anche la Padova del Nord, fu costruita per Jan Zamoyski da Bernardo Morante. Nella Prussia reale prevaleva, invece, il Rinascimento settentrionale, grazie ai contatti commerciali fra Danzica e i Paesi Bassi. Una sintesi particolare della cultura polacca, russa ed osmana, si può osservare a Leopoli. Lo sviluppo della letteratura raggiunse il suo apogeo nella creatività di Jan Kochanowski (1530-1584), nelle sue Bagatelle, nei suoi Canti e nelle Poesie Funebri scritte dopo la scomparsa della adorata figliola. In Polonia regnava la tolleranza, il re Sigismondo Augusto diceva: "non voglio essere padrone delle vostre coscienze". Ogni corrente religiosa cercava di conquistarsi il campo tramite le scuole e la propaganda. La Controriforma usava per questo scopo una rete di scuole gestite dai gesuiti. Il Collegio di gesuiti di Vilnius, grazie alla Fondazione di Stefan Batory, si trasformò in università (1578). La scienza polacca fu strettamente legata a quella europea e un settore 110 particolarmente sviluppato fu l'astronomia, con il suo rappresentante più illustre Niccolò Copernico (1473-1543), autore di De revolutionibus orbium coelestium. Nelle opere degli storici cinquecenteschi veniva rispecchiata la crescente convinzione dei nobili di avere origini completamente diverse da quelle dei contadini e dei borghesi. Secondo questa opinione, la nobiltà proveniva dall'antica tribù di guerrieri detti Sarmati. ll mito sarmatico si diffuse nella II metà del XVI e nel XVII secolo, epoca in cui il fascino della cultura nobiliare aveva una grande forza di attrazione fra gli altri ceti sociali in Polonia e nei Paesi vicini. La crisi del XVII e della prima meta' del XVIII secolo Durante il lungo governo di Sigismondo III (1587-1632), discendente della dinastia svedese dei Waza, si estinsero gradualmente sia il trend di sviluppo dell'economia che le aspirazioni riformatrici dei nobili. Nel XVII secolo i rapporti di forza in campo internazionale non furono favorevoli per la Polonia nè per la Lituania. La crescente potenza della Svezia che voleva conquistare la supremazia sul Baltico e sul suo litorale, non poteva lasciare indifferente la Polonia. La Russia intendeva realizzare il suo programma di dominare tutte le terre e tutti i popoli ortodossi, il che la poneva in conflitto con la Polonia e la Lituania. La Turchia, dopo essersi impadronita dell'Ungheria, puntò ad espandersi verso le zone meridionali della Polonia. Gli Asburgo non garantivano un’alleanza sicura, tuttavia a cavallo fra il XVI e il XVII secolo la ricca Polonia trovò ancora forze sufficienti per opporsi a questi pericoli, tentando addirittura di espandersi ulteriormente. E infatti, all'inizio del XVII secolo fu nuovamente la Polonia ad attaccare Mosca e dopo la vittoria nella battaglia di Kaluszyn (1610) del comandante Stanislao Zólkiewski, le truppe polacche entrarono a Mosca….ma il successo non durò a lungo. Negli anni 1648-1673 la Polonia fu travagliata da numerose guerre ed attaccata da più parti. Lo Stato fu scosso dalla rivolta dei Cosacchi (1648), alla quale si aggregarono i contadini ucraini. La rivolta si trasformò in un'insurrezione socionazionale contro il potere polacco in Ucraina, così, approfittando della situazione, 111 nel 1645, due armate russe si introdussero nel territorio della sempre più indebolita Polonia. In questa situazione estremamente pericolosa per la nazione, ci fu anche l'attacco da parte degli svedesi (1655), che con le loro truppe occuparono in pochi mesi la maggior parte del territorio polacco, compresa la capitale Varsavia. L'improvvisa sconfitta della Polonia causò un tale squilibrio di forze nell'Europa centro-orientale ed occidentale, che l'Impero, sentendosi costretto ad aiutare la Polonia, riuscì insieme ad essa ad arrestare le operazioni belliche della Russia. Nella stessa Repubblica, considerata dagli svedesi come un trofeo di guerra, cresceva l'opposizione armata che, grazie all'eroica condotta del comandante Stefan Czarniecki, cacciò gli svedesi fuori dalla Polonia. Nel 1660 fu stipulata la pace polacco-svedese di Oliwa. Anche i cosacchi furono sconfitti ed in conformità all'armistizio di Andruszów (1667), la Russia ottenne Smolensk, una parte dell'Ucraina e Kiev. Per combattere i turchi (1620-21 e 1672-73), la Polonia si alleò con gli Asburgo, così, quando nel 1683 la potente armata turca assediò Vienna, la capitale dell'Impero fu liberata grazie all'intervento polacco guidato dal re Giovanni III Sobieski (1674-1696). La maggior parte delle lunghe guerre della II metà del XVII secolo ebbe luogo nel territorio polacco e lituano e la Polonia ne uscì distrutta e spopolata. Le guerre, inoltre, venivano accompagnate da epidemie e fame cosicché, la popolazione che prima del 1645 ammontava a circa 10 milioni, alla fine del secolo fu ridotta ad appena 6. La crisi toccò anche l'organizzazione politica dello Stato. La posizione della nobiltà impoverita divenne molto più debole e ciò indusse i magnati a prendere il sopravvento. Il parlamento fu indebolito dal principio di liberum veto: nel 1652 si riconobbe per la prima volta, che era inammissibile imporre la volontà della maggioranza anche ad un solo deputato, quindi ogni deputato poteva sciogliere il parlamento opponendosi al voto degli altri. 112 Il Liberum veto divenne ben presto uno strumento di rivalità per raggruppamenti di magnati e più tardi anche per le influenze straniere. Nel XVII secolo la Polonia combatté contro la Russia ortodossa, contro la Svezia protestante e contro la Turchia musulmana, diventando un antimurale della cristianità. La tolleranza, mantenuta ancora a livello legislativo, era in effetti fortemente limitata nella vita quotidiana e nel costume. Il Seicento fu un periodo di rigoglio del barocco e di una cultura tipicamente polacca, il sarmatismo. La corte dei Waza fu centro di pittura (Dolabella), di teatro e di opera lirica (Mecenatismo di Ladislao IV), e di scienza (mecenatismo della regina Maria Lodovica Gonzaga di Nevers). Moda, armi, decorazioni, costumi e opinioni della nobiltà polacca crearono un'originale sintesi del barocco e delle correnti orientali. I drammatici tempi delle guerre portarono al diffondersi di memorie scritte da nobili e borghesi. Il caos e la crisi economica provocarono il declino dell'istruzione pubblica a tutti i livelli. L'inizio del XVIII secolo fu il periodo più nero della Repubblica. Ai tempi di Augusto II detto Forte (1697-1733), durante la guerra del Nord, la Polonia non fu che un campo di battaglia per gli eserciti stranieri e anche il trono reale diventò oggetto di intrighi internazionali. La Russia di Pietro il Grande cominciò a determinare la politica interna della Polonia. I nobili cercavano di mantenere a ogni costo la loro "libertà d'oro", senza capire che il sistema politico disorganizzato non garantiva più alcuna libertà. Tentativi dl riforme. Illuminismo e declino dello stato L'attività riformatrice trovò due ostacoli difficili da superare, il primo consistette nella politica delle potenze vicine, le quali vedevano di proprio interesse il mantenimento del caos politico in Polonia; il secondo fu l'oscurantismo e l'ignoranza di una parte notevole della nobiltà, nonché la sua avversione per i sacrifici materiali e politici. 113 Nel 1763 il partito dei Czartoryski, che governava allora in Polonia, concordò con la Russia la candidatura al trono reale di Stanislao Augusto Poniatowski (1764-1795). I primi anni del suo regno furono dedicati alle riforme scolastiche, militari e finanziarie e ciò riscontrava però una forte obiezione da parte della zarina Caterina II, senza il consenso della quale non era possibile una riforma efficace dello Stato. La brutalità dell'intervento politico e militare russo provocò una resistenza armata dei nobili sotto forma di combattimenti di carattere partigiano che durarono 4 anni. La confederazione di Bar (1768-1772), in cui si manifestò la prima insurrezione polacca, fu soffocata e, per la prima volta nella storia, migliaia di polacchi furono deportati in Siberia. L'accordo delle tre potenze: Russia, Prussia ed Austria a scapito dell'indifesa Repubblica Polacca, venne raggiunto nel 1772. Nella prima spartizione la Polonia perdette 211 mila kmq e 4,5 milioni di abitanti, rispetto ai 733 mila kmq e 14 milioni di abitanti che vi risiedevano prima della spartizione. Il trauma della prima spartizione e i processi di sviluppo economico e demografico svegliarono dal letargo la società polacca. Le idee dell'Illuminismo, accompagnate da quelle patriottiche e riformatrici, venivano divulgate dalle scuole, dalla stampa, dalla letteratura, dal teatro, dalla musica, pittura e storiografia. Varsavia, città di centomila abitanti, divenne centro della cultura illuministica e nell'atmosfera del forte risveglio della vita politica, la Dieta dei Quattro Anni, detta anche Grande Dieta (1788-1792), promulgò la Costituzione del 3 Maggio 1791, che fu la seconda nel mondo, dopo quella degli Stati Uniti, e la prima in Europa. La Costituzione prevedeva il consolidamento del potere reale, la riorganizzazione del governo, l'abolizione del liberum veto, l’estensione delle libertà civili dei nobili ad una parte della borghesia. Si creavano le condizioni per far uscire lo Stato dalla crisi politica, pertanto tale Costituzione suscitò una ferma protesta della Russia, che inviò nuovamente i suoi eserciti in Polonia. La guerra del 1792 si concluse con una 114 sconfitta, con l'abolizione della Costituzione e con la seconda spartizione della Polonia (1793), alla quale parteciparono la Russia e la Prussia. Il rimanente territorio polacco - circa 200 mila kmq con 4 milioni di abitanti, si venne a trovare sotto il protettorato della Russia. Nel 1794, sotto la guida di Tadeusz Kosciuszko scoppiò un'insurrezione per tentare di sovvertire la spartizione della Polonia ma anch’essa si concluse con una sconfitta, con l'entrata delle truppe russe a Varsavia e con la terza spartizione del Paese (1795) fra la Russia, la Prussia e l'Austria. Lo Stato polacco fu così distrutto proprio nel periodo in cui le riforme interne e lo stato dell'istruzione e dell'economia, crearono basi solide per il suo funzionamento e sviluppo. Le terre polacche sotto il dominio straniero Dal periodo delle spartizioni fino alla prima guerra mondiale, sempre nuove generazioni di polacchi tentarono di riconquistare l'indipendenza, tuttavia la poco favorevole congiuntura internazionale rendeva difficile la ricostruzione della nazione. La Russia, l'Austria e la Prussia conducevano una politica comune volta a mantenere lo status quo ed a evitare conflitti reciproci, sicché sconfiggere le tre potenze contemporaneamente era per la Polonia praticamente impossibile. Si trattava infatti di tre potenze assolute con un sistema che contrastava con le tradizioni di democrazia, autogestione e libertà civili, tanto care ai polacchi. La lotta per l'indipendenza fu una lotta contro la prepotenza e l'assolutismo, per questo la causa della Polonia fu strettamente legata ai movimenti di liberazione democratici europei. Ciò trovò espressione nella partecipazione dei polacchi alle insurrezioni e alle rivoluzioni europee del XIX secolo, nonché nella partecipazione degli stranieri alle rivolte polacche. La parola d'ordine "per la vostra e la nostra libertà" divenne un simbolo del contributo polacco nella democratizzazione dei sistemi politici europei. A cavallo fra il XVIII e il XIX secolo la Polonia trovò un alleato nella Francia 115 napoleonica. In base al trattato di pace di Tilsit (1807), su una parte delle terre polacche annesse alla Prussia fu istituito il Granducato di Varsavia, al quale Napoleone conferì una costituzione. Venne formato un governo polacco del Granducato, fu introdotto il Codice Napoleonico ed i contadini ottennero la libertà personale. Il futuro della Polonia fu però compromesso dalla sconfitta di Napoleone nella sua campagna contro la Russia del 1812 e dalla Battaglia dei Popoli persa dalla Francia a Lipsia (1813), nella quale cadde eroicamente il principe Jòzef Poniatowski, comandante dell'esercito del Granducato di Varsavia. Il Congresso di Vienna, svoltosi nel 1815, assegnò una parte del Granducato con Poznan alla Prussia, mentre sul resto del territorio fu fondato il Regno della Polonia unito alla Russia, del quale divenne re lo stesso zar Alessandro I. Il Regno aveva una propria costituzione, il governo, il parlamento e l'esercito ma far convivere il sistema costituzionale del Regno con il regime despotico della Russia, fu impossibile; la costituzione veniva, infatti, continuamente violata e l'opposizione legale disprezzata. Ciò suscitava proteste e complotti di natura patriottica, che sfociarono infine nelle insurrezioni. La prima di esse scoppiò a Varsavia il 29 novembre 1830, dove venne formato un governo autonomo, la Dieta detronizzò lo zar ed iniziò la guerra polacco-russa. L'esercito del Regno, perfettamente addestrato ed armato lottò fino a settembre 1831, ma nulla potè contro il gran numero di uomini e le risorse economiche di cui poteva disporre la Russia. La sconfitta dell'insurrezione portò all'abolizione della Costituzione, allo scioglimento dell'esercito del Regno, nonché alla chiusura dell'Università di Varsavia. I polacchi residenti in Lituania, Bielorussia ed Ucraina furono duramente perseguitati e fu chiusa anche l'Università di Vilnius. Tale sconfitta provocò l’emigrazione di quasi 10 mila ex insortie quasi tutti si recarono in Francia e proprio a Parigi crearano le loro opere i poeti Adam Mickiewicz e Juliusz Slowacki, il compositore Federico Chopin e lo storico Joachim Lelewel. 116 Una lotta diplomatica per la sopravvivenza della causa polacca veniva guidata dal principe Adam Czartoryski. La discussione fondamentale sui motivi della sconfitta dell'insurrezione si concentrava sulla situazione dei contadini polacchi i quali non erano a quei tempi proprietari delle loro terre. Dare la terra a chi la lavora - questo fu considerato indispensabile sia per modernizzare la struttura economica sia per coinvolgere le masse contadine nel movimento polacco a favore della riconquista dell'indipendenza. La riforma agraria fu realizzata prima dalle autorità prussiane e gli Austriaci la effettuarono durante la Primavera dei Popoli ma la questione contadina rimase irrisolta nel Regno della Polonia. Negli anni 1861-62, nel Regno si osserva un'ondata di manifestazioni religiose e nazionali: i cospiratori prepararono un'insurrezione, che scoppiò in gennaio del 1863. La guerra partigiana durò un anno e mezzo e non si limitò al territorio del Regno, ma si estese fino in Lituania, Bielorussia e Wolyn. Il Governo Nazionale Clandestino, con uno dei suoi primi decreti diede la terra ai coltivatori, ma le speranze di una partecipazione massiccia alla lotta non si realizzarono: l'ultimo leader dell'insurrezione - Romuald Traugutt fu arrestato ed impiccato il 5 agosto 1864. L'insurrezione fu soffocata e il Paese - punito con apposite repressioni e la conseguente legge marziale che rimase in vigore sino alla I guerra mondiale. Il 2 marzo 1864, lo zar proclamò il proprio decreto agrario, basato su quello del Governo Nazionale, con lo scopo di attirare i contadini allo zarato. Tuttavia, conseguì l’effetto opposto in quanto questi ultimi, liberi dagli oneri feudali, diventarono pian piano membri sempre più coscienti della comunità nazionale. L'enorme mercato russo, l'arrivo di capitali stranieri nel Regno Polacco e la manodopera libera, favorivano uno sviluppo dinamico dell'industria; si stava sviluppando anche l'economia dell'area occupata dalla Prussia, mentre la Galizia amministrata dagli austriaci era piuttosto arretrata. Tutte e tre le zone furono caratterizzate di un forte aumento demografico e nel 1919 esse erano popolate da 117 circa 22,5 milioni di abitanti, il 75% dei quali era polacco. Nella seconda metà del XIX secolo, il positivismo introdusse il modello di lavoro organico, portò la divulgazione dell'istruzione e lo sviluppo dell'economia. Fioriva la creatività storica e allo scrittore Henryk Sienkiewicz fu conferito il premio Nobel per il romanzo "Quo vadis" (1905). Durante tutto il periodo dell’oppressione, sempre più numerosi intellettuali e studiosi furono costretti ad emigrare in Francia. Proprio li Maria Sklodowska-Curie trovò condizioni per svolgere la sua attività di pioniere nel campo della fisica che le fruttò premio Nobel insieme al marito Pierre nel 1903 e quello individuale nel 1910. Negli Stati Uniti fiorivano i talenti dell'attrice Helena Modrzejewska e del pianista Ignacy Paderewski. La cultura polacca si concentrò anche in Galizia, specie dopo il 1861, quando il territorio occupato dagli austriaci ricevette l'autonomia. Vi operavano due università (Cracovia e Leopoli), L'Accademia delle Abilità e numerose associazioni culturali. Alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo si formarono i partiti contadini, operai e nazionali moderni. Contemporaneamente allo sviluppo dell'industria e dei centri urbani, sorse la questione operaia, che trovò espressione nella rivoluzione del 1905 che coinvolse la Russia e il Regno di Polonia. La questione polacca nella I guerra mondiale e la riconquista dell'indipendenza L'approssimarsi della I guerra mondiale mise i politici polacchi di fronte alla necessità di operare un scelta politica. Si intravedeva una chance per la Polonia nel fatto che gli occupanti si trovarono in campi politici opposti, così la Democrazia Nazionale con a capo Roman Dmowski voleva allearsi con la Russia, mentre il Partito Socialista Polacco e specie la sua ala guidata da Józef Pilsudski si preparava alla guerra a fianco dell'Impero Austro - Ungarico. In Galizia furono create le Legioni che combatterono insieme all’Austria contro la Russia. Nella I guerra mondiale tutte e tre le potenze furono sconfitte: l'Austria e la Germania si arresero e la Rivoluzione d'Ottobre escluse la Russia dal gruppo dei 118 vincitori; ciò apri alla Polonia la strada verso l'indipendenza. Nella notte tra il 6 ed il 7 novembre 1918, a Lublino fu istituito un governo composto dai partiti socialista e contadino. Il 10 novembre arrivò a Varsavia Józef Pilsudski per assumere la funzione di Capo dello Stato ed iniziarono i preparativi per le elezioni che furono indette in virtù di una legge elettorale democratica, che attribuiva i pieni diritti alle donne. Fu introdotta una giornata lavorativa di 8 ore e la previdenza sociale per gli operai. Uno dei problemi più difficili del nuovo Stato polacco fu quello della determinazione dei suoi confini. Nel 1918 scoppiò l'insurrezione nella Polonia Magna, che, dopo accaniti combattimenti contro i tedeschi, portò, nel 1919, la regione di Poznan ad essere inclusa nel territorio polacco. Il Trattato di Versailles decise che la Polonia avrebbe ricevuto anche la Pomerania, ma Danzica sarebbe rimasta autonoma, mentre per quanto riguarda l’appartenenza della Prussia Orientale e dell'Alta Slesia, essa doveva essere risolta tramite plebisciti locali. Il loro risultato fu negativo per la Polonia, ma le tre insurrezioni della popolazione polacca dell'Alta Slesia portarono all'inclusione di una parte di questa regione alla Polonia. Più difficile fu delineare la frontiera orientale. Il ripristino di quella precedente alle spartizioni era impossibile, data la coscienza nazionale degli ucraini, lituani e bielorussi formatasi nel XIX secolo, non poteva neppure essere applicato un criterio etnico, visto che le zone di frontiera erano state per tanti anni abitate da diversi gruppi etnici. La Russia sovietica già alla fine del 1918 iniziò la sua offensiva in Ucraina e in Bielorussia; all'inizio del 1919 le truppe polacche passarono al contrattacco, al contempo proseguivano i tentativi di istituire uno Stato ucraino autonomo. L'Inghilterra propose la linea Crurzon (sul fiume Bug) come frontiera orientale della Polonia. Nel maggio del 1920 l'esercito polacco, insieme ai soldati ucraini dell'atamano Petlur entrarono a Kiev, ma la Polonia era però troppo debole ed il contrattacco dell'Armata Rossa interruppe la linea del fronte. Nell'agosto del 1920 le 119 truppe sovietiche arrivarono nei dintorni di Varsavia e l'indipendenza della Polonia, ma anche quella della Germania e dell'intera Europa si trovò di fronte ad un pericolo mortale. Tra il 12 ed il 15 agosto si svolsero accaniti combattimenti nei sobborghi di Varsavia, mentre il 16 agosto partì la controffensiva guidata da Jozef Pilsudski che portò alla sconfitta dei bolscevichi. Il Trattato di Pace stipulato a Riga il 18 marzo 1921, stabilì la frontiera orientale polacca sul fiume Zbrucz, il risarcimento dei danni, e la restituzione dei beni culturali rubati dalla Russia nel periodo delle spartizioni. Nel corso delle operazioni belliche, l'esercito polacco occupò Vilnius. Il ventennio fra le due guerre mondiali Lo Stato polacco ricostruito occupava circa 389 mila kmq. La sua popolazione secondo il censimento del 1921 ammontava a 27 milioni, dei quali il 69% era costituito da polacchi (18,7 milioni), il 14% da ucraini, 1'8% da ebrei, il 3,9% da bielorussi e il resto da lituani, boemi ed altri. I contadini costituivano il 55% della popolazione, gli operai il 27% e la borghesia e gli intellettuali - il 18% circa. Le operazioni belliche, la gestione economica basata sul saccheggio e lo sperpero da parte degli occupanti, ed infine le perdite umane, avevano distrutto l'economia polacca. Il consolidamento economico delle zone che per tanto tempo si erano trovate sotto l'occupazione straniera, fu un compito oltremodo difficile. I primi anni di funzionamento dello Stato indipendente furono dedicati alla ricostruzione dell'economia e alla formazione dell'apparato statale; i cui esiti furono trasposti nella Costituzione approvata il 17 marzo 1921. Nelle elezioni del 1922 i partiti di destra ottennero il 29% di voti, quelli di centro il 24%, quelli di sinistra il 25% e le minoranze etniche il 22%. L'Assemblea Nazionale elesse a presidente della Repubblica Gabriel Narutowicz, candidato del centro - sinistra e delle minoranze etniche, il che indusse la destra a scatenare un'aggressiva campagna antipresidenziale. Il 16 dicembre 1922 il Presidente fu ucciso da un attentatore psicopatico, tale omicidio e la dimensione 12 0 della tragedia placarono le masse isteriche dei seguaci della destra e fu eletto Presidente Stanislaw Wojciechowski. Le tensioni sociali si sarebbero però aggravate a causa della difficile situazione economica e dell'iperinflazione. Il governo di esperti convocato alla fine del 1923 da Władysław Grabski realizzò con successo la riforma monetaria e ripristinò l'equilibrio economico. Gli scontri fra partiti, la caduta del governo di Grabski alla fine del 1925, come pure le difficoltà nel formare un nuovo governo scossero il sistema politico polacco. Nel maggio del 1926 Józef Piłsudski, che fino a quel tempo era stato tenuto lontano dal potere, fu autore di un colpo di stato. Il sistema politico autoritario, così formatosi nel 1926, fu denominato sanacja, termine che proveniva dall'idea di risanare i governi dall'eccessiva influenza dei singoli partiti e dalla corruzione, che aveva caratterizzato la politica dei predecessori di Piłsudski. Le trasformazioni del sistema politico in Polonia trovarono corpo nella Costituzione del 23 aprile 1935, che rafforzò il potere del Presidente. I governi di risanamento sfruttarono inizialmente una buona congiuntura economica, ma la crisi mondiale degli anni 1929-33 colpì assai profondamente1'economia polacca che si riprese solo dopo il 1935. Gli anni 193639 furono anni caratterizzati da una buona congiuntura, da uno sviluppo dell'industria, soprattutto nel Distretto Industriale Centrale fra i fiumi Vistola e San. L'interventismo dello Stato, la giusta scelta di investimenti furono merito del vice primo ministro Eugeniusz Kwiatkowski. Cresceva il tenore di vita della popolazione, diminuiva la disoccupazione e l'eccesso di manodopera nelle campagne veniva assorbito dai nuovi investimenti. Nel 1939 la popolazione della Polonia ammontava a 35 milioni. La politica estera della Polonia era minacciata dalla potenza militare della Germania e dell'Unione Sovietica. I preparativi delle due potenze alla guerra richiedevano del tempo, perciò i due Stati stipularono con la Polonia patti di non aggressione: I'URSS nel 1932 e la Germania nel 1934. Ma l’atteggiamento condiscendente 12 1 tenuto dalle potenze occidentali di fronte alle mire espansionistiche della Germania, intaccava l'equilibrio europeo. Il punto culminante di questa politica fu l'Accordo di Monaco di Baviera, che sacrificò gli interessi della Cecoslovacchia a favore di una pace illusoria (1938). All'inizio del 1939 la diplomazia tedesca avanzò pretese nei confronti della Polonia, chiedendo tra l'altro l'annessione di Danzica al Reich e il permesso per la costruzione di un'autostrada extraterritoriale attraverso la Pomerania polacca. Per la prima volta nella sua espansione, la Germania di Hitler dovette riscontrare una ferma resistenza, il che cambiò anche la politica della Gran Bretagna, che concedette alla Polonia garanzie per la sua indipendenza, garanzie che furono poi confermate dalla Francia. Fu la stessa Unione Sovietica ad aiutare la Germania portandola fuori dall'isolazionismo. L'URSS, infatti, continuava negoziati paralleli con la Germania da una parte e la Francia e l’Inghilterra dall’altra. Stalin cercò di trarre vantaggio dall'alleanza con la Germania ed il 23 agosto 1939 fu stipulato il Patto RibbentropMolotov, la cui clausola segreta determinò i limiti dell’influenza reciproca dei due Stati ed il confine della nuova spartizione tra di essi della Polonia. Il primo settembre 1939 la Germania, senza dichiarare guerra, attaccò la Polonia. L'indipendenza della Polonia durò, dunque, appena 20 anni. Il suo successo più grande fu il consolidamento in un organismo statale omogeneo dei territori e delle economie delle tre zone occupate per tanto tempo nonché l'introduzione di una nuova legislatura, al contrario la realtà economica rimaneva assai complicata. La Polonia era uno Stato mediamente sviluppato ed i conflitti sociali e il basso tenore di vita di una parte dei cittadini turbavano il Paese sicché non si potevano evitare conflitti sociali, nazionali, religiosi. Un altro grande successo della Polonia fra le due guerre mondiali fu il rigoglio della sua cultura: nel campo della letteratura il premio Nobel fu assegnato nel 1924 a Stanisław Reymont; opere letterarie di carattere ultramoderno e precursore furono create da Stanisław Ignacy Witkiewicz (Witkacy), Bruno Schultz e Witold 12 2 Gombrowicz; nella scienza il successo più eclatante fu la nascita della scuola polacca di matematica di Leopoli e Varsavia, formatasi intorno a due illustri studiosi, Stefan Banach e Wacław Sierpinski. La seconda guerra mondiale L'invasione tedesca della Polonia, avvenuta il primo settembre del 1939 diede inizio alla II guerra mondiale. Il 3 settembre la Francia e l'lnghilterra dichiararono guerra alla Germania, il 17 settembre la Polonia fu aggredita ad est dall'Unione Sovietica. La sconfitta della Polonia fu inevitabile di fronte all'enorme supremazia dei due nemici e all'astenersi dalle operazioni militari da parte della Francia e della Gran Bretagna. Così la Polonia si trovò nuovamente sotto l'occupazione di due Stati crudeli caratterizzati entrambi da sistemi totalitari. Nel corso dei 18 mesi dell'occupazione, le autorità sovietiche sterminarono la classe dirigente polacca, arrestarono e deportarono nei lager centinaia di migliaia di persone, dove la stragrande maggioranza morì di fame. Nella primavera del 1940 su ordine personale di Stalin e di altri dirigenti dell'URSS a Katyn e in altre località furono trucidati 15 ufficiali dell'esercito polacco e 7 mila altri prigionieri di guerra tra medici, studiosi, avvocati, ingegneri, cappellani ed insegnanti. Orribile fu anche la vita dei cittadini polacchi sotto l'occupazione tedesca in modo particolare venivano perseguitate le élites. Le autorità tedesche chiusero università e scuole superiori, saccheggiarono e portarono in Germania i tesori della cultura polacca, mentre proseguivano gli arresti e le esecuzioni di massa. Gli occupanti organizzarono una rete di campi di concentramento, in cui prigionieri lavoravano come schiavi e dove furono trucidate centinaia di migliaia di persone. Nelle camere a gas installate nei campi di sterminio (Auschwitz, Majdanek, Treblinka) trovarono la morte circa 3 milioni di ebrei polacchi, nonché i polacchi e cittadini di altri Stati. La sconfitta della campagna di settembre non soffocò la resistenza dei polacchi, si formò in esilio il governo polacco riconosciuto dagli Stati della coalizione 12 3 antihitleriana e ne diventò primo ministro Wladyslaw Sikorski. Mentre nel Paese sorse l'Armata Nazionale (Armia Krajowa) e la rappresentanza del governo clandestina. Si svilupparono forme di insegnamento clandestino, venivano pubblicate centinaia di testate di stampa clandestina, si stampavano libri vietati. Il governo in esilio sin dal 1940 cominciò a formare forze armate in Occidente, basti ricordare la partecipazione dei polacchi alla vittoriosa battaglia aerea dell'lnghilterra. Dopo l'attacco della Germania all'Unione Sovietica (giugno 1941), in seguito all'accordo polacco - sovietico, nell'URSS si formarono le forze armate polacche con a capo il generale Władysław Anders. Quest'esercito, dopo l'evacuazione nel Medio Oriente avvenuta nel 1942, si rese famoso nelle lotte liberatrici in Italia (battaglia di Monte Cassino). La controffensiva dell'Armata Rossa peggiorò la situazione della Polonia nei confronti dell'URSS, la quale nel 1943 ruppe i rapporti diplomatici con il governo polacco; i comunisti residenti nell'Unione Sovietica fondarono l'Unione dei Patrioti Polacchi ed iniziò a formarsi anche una divisione militare sotto i loro auspici. Il 1943 fu un anno particolarmente tragico per la Polonia, in una catastrofe aerea morì il primo ministro, generale Władysław Sikorski, fu arrestato il comandante dell'Armata Nazionale Stefan Grot-Rowecki e nel ghetto di Varsavia scoppiò un'insurrezione, soffocata brutalmente dai tedeschi. Nel luglio 1944, dopo aver attraversato il fiume Bug, i sovietici istituirono il Comitato Polacco di Liberazione Nazionale (PKWN), sottomesso al regime. L'ultimo tentativo di conquistarsi la piena indipendenza fu rappresentata dall'insurrezione di Varsavia, scoppiata il 1 agosto 1944. La rivolta durò fino al 2 ottobre e vi persero la vita circa 17 mila insorti e 180 mila abitanti della capitale. Dopo la sconfitta dell'insurrezione i tedeschi cominciarono a radere al suolo la città. Durante l'insurrezione e poi anche durante la distruzione di Varsavia, l'Armata Rossa non intervenne. Il destino della Polonia fu determinato alla conferenza di Jalta (4-11 febbraio 1945), nella quale essa non fu rappresentata. Le tre potenze con a capo Roosevelt, Churchill e Stalin decisero di convocare il Governo Provvisorio 12 4 di Unità Nazionale, composto da membri del governo prosovietico e da militanti politici in esilio, che doveva indire elezioni libere, ma ciò non fu mai realizzato. Quando il 9 maggio 1945 cadde il Reich tedesco e si concluse la più sanguinosa guerra nella storia del mondo, la Polonia teoricamente si trovava fra i vincitori. Nei combattimenti e in seguito all’oppressione, il Paese perdette 6,5 milioni di cittadini, tra cui quasi tutti gli ebrei che vi abitavano. La capitale fu totalmente distrutta, le perdite materiali e culturali furono enormi. La Polonia uscì dalla guerra con un governo imposto dall'esterno e composto da uomini che non suscitavano alcuna fiducia fra il popolo. Gli anni 1945 - 1989 Già nel 1944 il Comitato Polacco di Liberazione Nazionale stipulò con l'URSS un accordo sulla delimitazione della frontiera orientale della Polonia lungo la linea di Curzon, che fu confermato con il trattato del 16.08.1945. La Conferenza di Potsdam (Truman, Churchill, Stalin), svoltasi fra il 17.07 e il 2.08.1945, tracciò la frontiera occidentale della Polonia lungo la linea dei fiumi Odra e Nysa. La superficie della Polonia ammontava così a 312 mila kmq e la popolazione a 24 milioni (secondo il censimento del 1946). Lo spostamento del territorio dello Stato verso l'Ovest era legato alla deportazione della popolazione tedesca decisa alla Conferenza di Potsdam, nonché al trasferimento di milioni di polacchi dai territori orientali perduti. Il Governo Provvisorio di Unità Nazionale fu composto dai rappresentanti del Partito Operaio Polacco (PPR), del Partito Socialista Polacco (PPS) e del Partito dei Contadini (PSL), guidato da Stanisław Mikołajczyk, vice primo ministro. Tuttavia, il potere reale si trovava nelle mani del PPR comunista, il quale disponeva dell'esercito, dell'apparato di sicurezza e godeva dell'appoggio sovietico. Dopo la brutale liquidazione di residui di organizzazioni clandestine, il PSL fu disintegrato e i risultati delle elezioni parlamentali del 1947, falsati. 12 5 Il passo successivo fu la liquidazione del PPS tramite l'unificazione di questo partito e del PPR in una sola struttura denominata Partito Operaio Unificato Polacco (dicembre 1948), da quel momento il partito comunista aveva ormai il pieno monopolio del potere. I tentativi di conquistarsi un appoggio sociale iniziarono già con il Comitato Polacco di Liberazione Nazionale, il quale promulgò il decreto sulla riforma agraria. Iniziò la lotta contro l'analfabetismo, l'istruzione divenne gratuita ed obbligatoria, i lavoratori godevano di assicurazioni sociali, venivano stampati libri a buon mercato, ma tutte queste riforme erano accompagnate dai tentativi di soffocare le aspirazioni nazionali polacche. Gli anni postbellici furono caratterizzati da un boom demografico e dall'enorme lavoro per la ricostruzione del Paese. I polacchi deportati dall'URSS si stabilirono nelle terre occidentali e gli abitanti di Varsavia tornarono a quel cumulo di macerie per ricostruire la capitale. L'anno 1948 portò ad un irrigidimento della politica dei comunisti. In economia, dopo la distruzione dell'attività privata e del commercio, furono aboliti i principi di libero mercato e al loro posto fu introdotta un'economia centralizzata, iniziarono enormi investimenti nelle acciaierie gigantesche e nelle fabbriche di armi; la struttura economica della Polonia veniva così adattata ai bisogni dell'URSS. Il Partito iniziò anche la collettivizzazione delle campagne che coincise con il periodo di massima ferocia del terrore stalinista. Il momento culminante della lotta contro la società fu l'attacco alla Chiesa cattolica, conclusosi con l'imprigionamento del primate di Polonia, cardinale Stefan Wyszyński (1953), solo il disgelo politico nell'URSS fece modificare la politica del POUP. Nell’ottobre del 1956 ebbe luogo una svolta politica fondamentale con l’elezione a primo segretario del Partito di Władysław Gomulka e la sua promessa di imboccare “la strada polacca verso il socialismo” che riscontrò un largo appoggio sociale. Il cardinale Wyszyński fu rimesso in libertà, le autorità rinunciarono alla collettivizzazione delle campagne, uscirono dalle prigioni gli innocenti soldati 12 6 dell'Armata Nazionale. Il grande appoggio di cui Gomułka godeva in ottobre andò però sprecato quando egli provocò un'altro grave conflitto con la Chiesa. La famosa lettera dell'Episcopato Polacco ai vescovi tedeschi ("vi perdoniamo e chiediamo perdono") che aprì l'epoca del difficile dialogo polacco-tedesco, negli anni 1965 e 1966, riscontrò una ferma protesta da parte del Partito. Grandi danni furono recati alla Polonia anche dal conflitto in seno allo stesso Partito di governo e dall'uso da parte di un gruppo dei suoi dirigenti di slogan antisemiti. Anche se l'ala antisemita del POUP non prese mai il potere, la sua politica portò all'emigrazione di quasi tutti gli ebrei rimasti in Polonia dopo la guerra e danneggiò il buon nome della Polonia (1968). Nel dicembre del 1970 a Danzica, Gdynia e Stettino scoppiarono gli scioperi e l’esercito ricevette l'ordine di sparare sulla folla di operai. In seguito Wladyslaw Gomulka perse il potere e Edward Gierek fu eletto primo segretario del POUP. La nuova équipe di governo intraprese il secondo tentativo di riformare il sistema, dopo quello del 1956, ma le strutture burocratiche non volevano arrendersi facilmente, mentre quelle industriali difendevano i loro investimenti che nulla avevano in comune con il mercato. La politica agraria, contraria alle aziende individuali, creò difficoltà sul mercato alimentare. I grandi crediti concessi dai Paesi sviluppati, riuscirono solo a rinviare la catastrofe, senza poterla prevenire. Quando nel 1976 scoppiarono gli scioperi degli operai, essi vennero soffocati con la forza. Un gruppo di intellettuali formò il Comitato per la Difesa degli Operai (KOR), ma non si trattava di un’organizzazione numerosa, così come non lo erano le altre strutture dell'opposizione. La maggior parte della società polacca temeva uno scontro aperto con il potere, al quale, l'inefficacia dell'apparato dirigente, la mancanza di prestigio e la dipendenza dall'URSS toglievano qualsiasi credibilità. Un grande ruolo nella formazione della coscienza sociale svolse la cultura, infatti, nonostante la censura, il mecenatismo dello Stato lasciava un certo margine di libertà, il che permise lo sviluppo, dopo il 1956, del cinema polacco, del teatro, della musica, della letteratura e delle arti figurative. 12 7 Importantissima fu anche la missione dell’opera letteraria, scientifica e giornalistica di quanti si trovavano all’estero. Il suo significato crebbe ancora di più dopo che il premio Nobel per la letteratura fu assegnato nel 1980 a Czeslaw Miłosz. La Chiesa cattolica, che era portavoce non solo della fede ma anche di fermi principi morali e delle tradizioni nazionali ebbe un'influenza particolare sull'atteggiamento dei polacchi. L'elezione a papa del cardinale Karol Wojtyła (ottobre 1978) e il suo viaggio pontificio in Polonia nel giugno 1979, segnano una grande svolta nella storia contemporanea della Polonia. La società polacca ritrovò la sua unità, forza e senso della dignità. Nell’estate del 1980 la Polonia fu travagliata da una ondata di scioperi. Lech Wałesa si trovò a capo del comitato di sciopero dei Cantieri Navali di Danzica. Gli intellettuali polacchi si impegnarono nella protesta nella veste di consiglieri. Le autorità furono costrette a dare il loro consenso alla creazione di sindacati liberi, così, nel corso di due mesi, sorse l'enorme “Solidarnosc” con 10 milioni di membri. Le concessioni del partito di governo, tuttavia, non durarono a lungo e dopo 18 mesi di coesistenza burrascosa di “Solidarnosc” e del POUP, di fronte all'aggravarsi della situazione economica e degli scioperi, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1981, un gruppo composto da ufficiali dell'esercito e da esponenti del partito, con a capo il generale Wojciech Jaruzelski, proclamò la legge marziale alla quale la società rispose con la resistenza civile. Tale situazione scavò nuovamente un precipizio fra le autorità alienate e la società civile. Lo stato di guerra non risolse alcun problema in quanto il potere sfuggiva dalle mani dell'apparato dirigente, mentre l'economia era in rovina. Cresceva invece il prestigio dell'opposizione, tant’è che nel 1983 Lech Wałesa ricevette il Premio Nobel per la pace. Nel 1988, gli operai polacchi organizzarono numerosi scioperi in tutto il Paese e nel 1989, con la mediazione della Chiesa, iniziarono i colloqui della "tavola rotonda", favoriti dalla congiuntura internazionale, dalla perestroika nell'URSS e dall'appoggio degli Stati occidentali per le riforme polacche. Così nel giugno 1989 ebbero luogo le elezioni parlamentari, basate su un contratto fra il potere e l'opposizione, e grazie all'attività di 12 8 Lech Walesa si potè formare il primo governo non comunista nel blocco sovietico, presieduto da Tadeusz Mazowiecki. Ben presto l'esempio della Polonia accelerò le trasformazioni in tutta l'Europa centro-orientale. La riconquista della sovranità e gli anni delle grandi trasformazioni In seguito alla buona congiuntura internazionale e agli sforzi costanti della società polacca, nel 1989 la Polonia riconquistò la piena sovranità che in politica estera significò l'uscita dalla Polonia delle truppe sovietiche, la stesura degli accordi di amicizia e collaborazione con tutti i vicini, e la rinuncia a qualsiasi rivendicazione territoriale. La libertà nella politica interna ha permesso di ripristinare i pieni diritti civici, di abolire la censura, di rispettare i risultati delle elezioni libere, di riconoscere il diritto di proprietà e quelli delle minoranze etniche. Nel gennaio del 1990 il governo di Tadeusz Mazowiecki realizzò la riforma del mercato di cui fu autore il vice primo ministro Leszek Balcerowicz. La moneta acquisì il suo valore reale, la libertà nell'attività economica liberò un'enorme energia sociale, nacquero migliaia di imprese piccole e medie ed i processi di privatizzazione abbracciarono una parte delle grandi imprese statali. L’effetto di tutto ciò è stato l’affluire negli ultimi anni del capitale straniero e la crescita degli investimenti. I risultati macroeconomici della riforma di Balcerowicz sono stati senz’altro positivi e dal 1993 si osserva un continuo incremento dell’economia. Tuttavia, per numerosi gruppi sociali la riforma è stato un trauma difficile da sopportare, con l’approfondimento eccessivo delle sperequazioni nel tenore di vita dei diversi strati sociali; così accanto alla ricchezza si osservano povertà e disoccupazione. L'elenco dei successi e delle sconfitte è molto lungo, resta il fatto che la Polonia sta realizzando in modo democratico e pacifico grandi trasformazioni storiche, di cui il risultato finale potrà essere valutato soltanto dalle future generazioni. 12 9 Superficie: 312.685 Km² Abitanti: 38.191.000 Densità: 122 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Varsavia (1.689.000 ab., 2.200.000 aggl. urbano) Altre città: Lódz 780.000 ab. (1.000.000 aggl. urbano), Cracovia 760.000 ab., Breslavia 639.000 ab., Poznan 577.000 ab., Danzica 462.000 ab. (755.000 aggl. urbano), Stettino 415.000 ab., Bydgoszcz 372.000 ab., Lublino 358.000 ab., Katowice 323.000 ab. (2.600.000 aggl. urbano) Gruppi etnici: Polacchi 97%, Tedeschi, Ucraini, Bielorussi ed altri 3% Paesi confinanti: Germania ad OVEST, Repubblica Ceca e Slovacchia a SUD, Lituania, Bielorussia e Ucraina ad EST, Russia (Kaliningrad) a NORD Monti principali: Rysy 2499 m Fiumi principali: Vistola 1047 Km, Warta 808 Km, Oder 742 Km (tratto polacco, totale 854 Km), Bug Occidentale 587 Km (tratto polacco, totale 772 Km) Laghi principali: Sniardwy 114 Km², Mamry 104 Km², Lebsko 71 Km², Dabie 56 Km² Isole principali: Wolin 265 Km² Clima: Oceanico - continentale Lingua: Polacco (ufficiale), Tedesco, Ucraino, Bielorusso Religione: Cattolica 90,5%, Ortodossa 1,5%, altro 8% Moneta: Zloty polacco 13 0 ROMANIA L'antica Romania fu abitata da tribù tracie. Nel I secolo a.C. la Grecia vi fondò lo stato della Dacia per contrastare la minaccia di Roma. La Dacia, poi, si arrese a Roma nel 106 d.C., diventando una provincia dell'Impero romano. Trovandosi a fronteggiare gli attacchi dei goti, nel 271 l'imperatore Aureliano decise di ritirare le legioni romane a sud del Danubio, ma gli abitanti ormai romanizzati della Valacchia rimasero in Dacia, formando il popolo rumeno. Intorno al X secolo sorsero alcuni piccoli stati rumeni il cui consolidamento port ò alla formazione dei principati della Moldavia, della Valacchia e della Transilvania. Fin dal X secolo i magiari iniziarono a diffondersi all'interno della Transilvania che intorno al XIII secolo divenne un principato autonomo sotto la corona ungherese. Nel XIV secolo le forze ungheresi provarono, senza riuscirvi, a impadronirsi della Valacchia e della Moldavia. Nel corso dei secoli XIV e XV la Valacchia e la Moldavia opposero una tenace resistenza nei confronti dell'espansione dell'Impero ottomano. Durante questa guerra, il principe di Valacchia Vlad Tepes divenne un eroe leggendario; più tardi la 13 1 sua figura fu associata al personaggio di Dracula. La Transilvania cadde sotto il controllo ottomano nel XVI secolo e, in conseguenza di ci ò, la Valacchia e la Moldavia dovettero pagare un tributo ai turchi per poter conservare la propria autonomia. Nel 1600 i tre stati rumeni si unirono, per un breve periodo, sotto Michele il Bravo, principe di Valacchia, che aveva congiunto le proprie forze con quelle dei potenti principi della Moldavia e della Transilvania per combattere i turchi. L'unità durò però solamente un anno; il principe venne infatti sconfitto dall'azione congiunta di un esercito asburgo-transilvanico, quindi catturato e decapitato. La Transilvania cadde allora sotto il dominio asburgico, mentre la sovranità turca continuò incontrastata in Valacchia e Moldavia fino al XIX secolo inoltrato. Nel 1775 la parte settentrionale della Moldavia, la Bucovina, venne annessa dall'Austria-Ungheria. A ciò seguì la perdita, nel 1812, del territorio orientale, la Bessarabia, a favore della Russia. Dopo la guerra russo-turca del 1828-29, il dominio ottomano sui principati terminò definitivamente. Dopo il 1848 la Transilvania passò sotto il diretto governo dell'Impero austroungarico, e Budapest la sottopose a una spietata ungarizzazione. Nel 1859 Alexandru Ioan Cuza fu eletto principe della Moldavia e della Valacchia, creando uno stato nazionale che nel 1862 prese il nome di Romania. Carlo I gli succedette nel 1866 e nel 1877 la Dobrugia divenne parte del nuovo stato. Nel 1881 la Romania assunse la dignit à di regno, con Carlo I come re. Quando morì, agli inizi della prima guerra mondiale, gli successe il nipote Ferdinando I che, nel 1916, entrò in guerra a fianco della Triplice Intesa. Il suo obiettivo era liberare la Transilvania dalla dominazione austro-ungarica. Nel 1918 la Bessarabia, la Bucovina e la Transilvania entrarono a far parte della Romania. Dopo la prima guerra mondiale emersero in Romania numerosi partiti politici, tra i quali la Legione dell'Arcangelo Michele, meglio nota come la Guardia di Ferro, di ispirazione fascista. 13 2 Guidato da Corneliu Codreanu, questo partito dominò la scena politica dal 1935. Carlo II, che successe al padre Ferdinando I sul trono della Romania, impose nel 1938 una dittatura reale e sciolse tutti i partiti politici. Nel 1939 mise alle strette la Guardia di Ferro (che precedentemente aveva attivamente sostenuto) e Codreanu e altri legionari vennero assassinati. Nel 1940 la Russia occupò la Bessarabia, e la Romania venne costretta da Germania e Italia a cedere la parte settentrionale della Transilvania all'Ungheria. La Dobrugia meridionale venne poi ceduta alla Bulgaria. Queste cessioni suscitarono una protesta generale, e il re chiamò in aiuto il Generale Ion Antonescu per placare questa crescente isteria di massa. Antonescu costrinse il re ad abdicare in favore del figlio diciannovenne, Michele, e quindi impose una dittatura fascista con egli stesso come conducador (duce). Nel 1941 si unì alla guerra antisovietica di Hitler. Nel 1944, con l'Unione Sovietica sempre più vicina alle sue frontiere, la Romania cambiò schieramento all'ultimo momento. Il ritorno della Transilvania alla Romania, architettato dall'Unione Sovietica, aiutò i comunisti, sostenuti da Mosca, a vincere le elezioni del 1946. Un anno pi ù tardi re Michele fu costretto ad abdicare e venne proclamata la Repubblica Popolare Rumena. Seguì un periodo di terrore, durante il quale tutti i leader ante guerra, gli intellettuali di spicco e i sospetti dissidenti vennero imprigionati in duri campi di lavoro. Sul finire degli ultimi anni '50 la Romania iniziò a prendere le distanze da Mosca e a portare avanti una politica estera indipendente, sotto la guida di Gheorghiu-Dej (1952-65) prima e di Nicolae Ceausescu (1965-1989) poi. Ceausescu condannò l'intervento sovietico del 1968 in Cecoslovacchia, guadagnandosi le lodi e gli aiuti economici dell'occidente. Se in politica estera si dimostrò molto abile, in politica interna fu assolutamente incapace e megalomane. Quasi tutti i suoi grandiosi progetti (la costruzione del canale Danubio-Mar Nero, l'immensa Casa del Popolo a Bucarest) si dimostrarono un fallimento clamoroso. La 13 3 Securitate (la sua polizia segreta) pose sotto controllo la popolazione, reclutando una vasta rete di informatori. L'avvento di Mikhail Gorbaciov, nel 1985, portò gli Stati Uniti a non aver pi ù bisogno della Romania e a privarla dello status di 'nazione privilegiata'. Per far fronte al crescente debito estero del paese, Ceausescu decise di esportare prodotti alimentari. Mentre Ceausescu e sua moglie Elena (suo primo ministro delegato) vivevano nel lusso, il popolo lottava per sopravvivere; pane, uova, farina, olio, sale, zucchero, carne e patate vennero infatti razionati; verso la metà degli anni '80 la carne era un bene introvabile. Nel 1987 vennero soffocate a Brasov alcune manifestazioni di protesta. Il 15 dicembre del 1989, mentre i regimi comunisti uno dopo l'altro collassavano nell'Europa dell'est, Padre Laszlo Tokes parlò contro Ceausescu dalla sua chiesa di Timisoara. Quella sera una gran folla si radunò fuori della sua abitazione per protestare contro la decisione della Chiesa Riformata di Romania di rimuovere il sacerdote dal suo incarico. Gli scontri tra i dimostranti e la Securitate proseguirono per i successivi quattro giorni. Il 19 dicembre l'esercito aderì alla protesta. Il 21 dicembre gli operai di Bucarest fischiarono Ceausescu durante un raduno di massa; iniziarono cos ì gli scontri per le strade della capitale tra le truppe armate, la Securitate e la popolazione. Il giorno seguente i coniugi Ceausescu cercarono di fuggire dalla Romania, ma vennero arrestati, giudicati da una corte improvvisata e giustiziati da un plotone di esecuzione il giorno di Natale. Si pensa che i membri del Fronte per la Salvezza Nazionale, che prese il controllo della Romania dopo la morte di Ceausescu, avessero cospirato mesi per rovesciarlo, ossia ben prima che le dimostrazioni del dicembre 1989 li forzassero ad agire più in fretta. Nel 1990 venne eletto un governo di garanzia, guidato da Ion Iliescu. Le manifestazioni studentesche di protesta contro i suoi dirigenti ex-comunisti vennero soffocate quando 20.000 minatori del carbone, provenienti dalla Valle di Jiu, 13 4 vennero portati a Bucarest per inscenare una contro manifestazione. I minatori vennero portati a Bucarest ancora un anno dopo per forzare le dimissioni del primo ministro riformista Petre Roman. Iliescu e il Fronte per la Salvezza Nazionale vennero rieletti nel 1992 ma la incontrollata inflazione, la disoccupazione, le prove della corruzione del governo fecero s ì che nel 1996 Iliescu perdesse le elezioni a favore di Emil Constantinescu, capo della riformista Convenzione Democratica della Romania. Il ballottaggio per le elezioni presidenziali rumene del dicembre 2000 ha portato alla reintegrazione di Iliescu alla presidenza. I rumeni hanno evidentemente considerato quest'ultimo il male minore, essendo il rivale di Iliescu Corneliu, Vadim Tudor, esponente del partito della destra nazionalista. Continuano le discriminazioni nei confronti dei magiari e dei gitani, alimentata dai partiti ultra-nazionalisti. L'inefficienza del governo ha provocato un clima di disaffezione e si teme che le contestazioni degli operai e dei minatori, sostenuti dagli studenti, si ripetano con i picchi già raggiunti nel 1997 e nel 1999. All'apertura del vertice della NATO a Praga, il 21 novembre 2002, i leader dei diciannove paesi membri hanno formalmente invitato a entrare, entro il 2004, nell'Alleanza Atlantica sette paesi che in passato appartennero alla cosiddetta 'cortina di ferro': Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica slovacca, Romania, Slovenia. Con la firma della «Carta di partenariato dell'Adriatico », siglata dal segretario di stato americano Colin Powell a Tirana il 2 maggio 2003, si è concluso il negoziato tra Washington e le tre nazioni balcaniche rimaste escluse dall 'allargamento della NATO, definito a Praga. La «Carta » accompagnerà Albania, Macedonia e Croazia verso l'ammissione a pieno titolo nell'Alleanza Atlantica. Mancano ancora all'appello Serbia, Bosnia e Montenegro ma gli USA hanno già espresso la loro disponibilità ad accoglierli nel partenariato. Attualmente sono proprio i paesi dell 'Est quelli più solidali nell'appoggiare gli Stati Uniti nella lotta al terrorismo globale. 13 5 Dopo la Romania, infatti, l 'Albania ha sottoscritto un 'intesa bilaterale che esenta il personale militare americano dalla nuova Corte Penale Internazionale. Nel gennaio 2005, si sono tenute in Romania le elezioni parlamentari e presidenziali. I sondaggi davano per favorito Adrian Nastase, ma il ballottaggio del 12 dicembre ha assegnato la vittoria a Traian Basescu, gi à sindaco di Bucarest. La coalizione di governo è guidata da Calin Tariceanu, che ha annunciato come obiettivi principali del suo governo la riduzione della corruzione e la conclusione dell 'iter legislativo necessario a condurre la Romania all'ingresso nell'Unione Europea. Il processo di integrazione nell'UE si è concluso positivamente e l'ingresso della Romania nell'Unione è avvenuto come previsto il 1 ° gennaio 2007. 13 6 Superficie: 238.391 Km² Abitanti: 21.795.000 Densità: 91 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Bucarest (1.934.000 ab.) Altre città: Costanza 312.000 ab., Timisoara 308.800 ab., Iasi 303.700 ab., Galati 302.800 ab., Craiova 300.500 ab., Cluj-Napoca 297.000 ab., Brasov 285.700 ab., Ploiesti 237.400 ab., Braila 222.300 ab., Oradea 210.000 ab. Gruppi etnici: Romeni 89,5%, Ungheresi 6,5%, Rom 2,5%, altri 1,5% Paesi confinanti: Moldavia a EST, Ucraina a NORD, Ungheria, Serbia a OVEST, Bulgaria a SUD Monti principali: Moldoveanu 2544 m, Negoiu 2535 m Fiumi principali: Danubio 1075 Km (tratto romeno, totale 2858 Km), Mures 761 Km (tratto romeno, totale 803 Km), Prut 742 Km (tratto romeno, totale 926 Km), Olt 615 Km, Siret 559 Km (tratto romeno, totale 670 Km) Laghi principali: Razim 415 Km², Sinoie 171 Km² Isole principali: Letea (nel delta del Danubio) 1480 Km² Clima: Continentale Lingua: Romeno (ufficiale), Ungherese, Tedesco Religione: Ortodossa 87%, Protestante 6,5%, Cattolica 5,5%, altro 1% Moneta: Leu romeno 13 7 RUSSIA Origini del popolo russo Prima dell’era cristiana, il territorio russo era popolato nelle regioni settentrionali da tribù nomadi di slavi. Più a sud, nella Scizia, si stanziarono numerose popolazioni di origine asiatica fra le quali i cimmeri, gli sciti e i sarmati, mentre mercanti e coloni greci stabilirono stazioni commerciali e insediamenti lungo la costa settentrionale del Mar Nero e in Crimea. Prime invasioni I fenomeni migratori furono agevolati dall’estensione delle pianure. Durante i primi secoli dell’era cristiana, i popoli della Scizia furono cacciati dai goti, che fondarono un regno ostrogoto sulle coste settentrionali del Mar Nero. Nel IV secolo gli unni conquistarono e distrussero la Scizia. In seguito giunsero nella regione gli avari, i magiari, i vichinghi e i cazari, che mantennero il controllo del territorio fino a circa la metà del X secolo. Nel frattempo, le tribù slave che abitavano a nord-est dei Carpazi cominciarono a migrare suddividendosi in gruppi: a ovest si stanziarono i moravi, i polacchi, i cechi e gli slovacchi, a sud i serbi, i croati, gli sloveni e i bulgari, a est i russi, gli ucraini e i bielorussi. Gli slavi orientali, facilitati dai numerosi sistemi idrografici che si estendevano dalle alture del Valdaj in tutto il territorio, fondarono importanti centri 13 8 come Kiev a sud e Novgorod a nord. La casata dei Rjurikidi L’organizzazione politica degli slavi orientali, ancora di tipo tribale, non disponeva di un’autorità suprema capace di risolvere i costanti conflitti interni. Le ostilità tra i clan divennero talmente violente che, sotto la minaccia di un’invasione dei cazari, fu presa la decisione di ricorrere a un principe straniero in grado di unire le fazioni sotto un’unica entità statale. Fu scelto Rjurik, capo vichingo (in russo variago o rus’) che nell’862 fondò il principato di Novgorod, cui si fa risalire, secondo la tradizione, l’inizio della storia dell’impero russo, avviando un periodo di consolidamento interno e di espansione dell’influenza slava verso le regioni settentrionali. Nell’879 il giovane Igor, figlio di Rjurik, succedette al padre ma il potere, di fatto, fu assunto da un parente di Rjurik, Oleg, che nell’882 conquistò la regione di Kiev, città che divenne la capitale del regno (“Terra di Rus’”). In seguito Oleg guidò le proprie truppe verso sud spingendosi fino a Costantinopoli, con cui siglò un trattato nel 911. Da quel momento in poi gli scambi culturali e commerciali russi con l’impero bizantino divennero molto intensi. Igor assunse il potere nel 912 e nel 945, alla sua morte, gli succedette la moglie Olga, che si convertì al cristianesimo; a questa nel 969 succedette il figlio Svjatoslav, grande condottiero, che rafforzò la posizione russa nel sud guidando le proprie truppe contro i cazari, i peceneghi e i bulgari. Alla morte di Svjatoslav l’impero fu spartito fra i tre figli, dopo una serie di conflitti che finirono nel 980, quando il più giovane dei tre, Vladimiro, divenne l’unico sovrano. Nel 988 egli si convertì al cristianesimo di Bisanzio, che divenne religione ufficiale del popolo russo. La Chiesa ortodossa russa, le cui funzioni si svolgevano in lingua slava, godeva di grande autonomia, nonostante fosse rimasta sotto l’autorità del patriarca di Costantinopoli. Nel 1015, dopo la morte di Vladimiro, scoppiò una sanguinosa lotta di successione 13 9 fra i suoi figli, dalla quale uscì vittorioso Jaroslav il Saggio, principe di Novgorod, che nel 1036 si proclamò sovrano di tutta la Russia. Durante il suo regno fece costruire a Kiev magnifici palazzi, come la cattedrale di Santa Sofia; inoltre, emanò un primo corpus di leggi, la Russkaja pravda (“Verità russa”). Dopo la morte di Jaroslav (1054) i figli si spartirono l’impero e, in seguito, ogni principe suddivise ulteriormente i propri territori tra i figli. La Russia divenne così un insieme di piccoli stati, in continuo conflitto tra loro ma vincolati da lingua, religione e tradizioni comuni. Nel frattempo da occidente, polacchi, lituani e Cavalieri teutonici iniziarono a invadere il paese. L'invasione mongola Nel 1223, l’esercito mongolo di Gengis Khan invase il sud-est del paese. I principi russi si allearono per combattere il nemico comune, ma nella battaglia del fiume Kalka (oggi Kalmius) la coalizione fu sconfitta. Nel 1237, sotto il comando di Batu Khan, nipote di Gengis Khan, i mongoli conquistarono, devastandola, tutta la Russia meridionale. Nel 1240 i mongoli conquistarono anche il territorio sudoccidentale, distrussero la città di Kiev, devastarono la Polonia e l’Ungheria, arrivando fino alla Moravia. Nel 1242 Batu stabilì la capitale a Sarai (vicino all’attuale Caricyn), fondando il khanato dell’Orda d’Oro, indipendente di fatto dall’impero mongolo. L’invasione dei mongoli distrusse gli elementi di autogoverno e le assemblee rappresentative che si erano sviluppate in alcune città russe; si ebbe inoltre l’arresto del progresso economico e culturale, con il conseguente isolamento della Russia rispetto ai paesi dell’Europa occidentale. La città di Novgorod, che era sfuggita all’invasione mongola, nel 1240 subì la minaccia degli svedesi, che giunsero fino alle sponde della Neva ma furono sconfitti da Aleksandr Nevskij. Due anni dopo i Cavalieri teutonici attaccarono da ovest, ma ancora una volta Aleksandr fermò il tentativo di invasione. Per evitare il rischio di una terza offensiva da sud, egli adottò una politica di sottomissione all’Orda d’Oro e di conciliazione con il khan. 14 0 Nel 1246 Aleksandr succedette al padre come duca di Novgorod e nel 1252 gli fu conferito dai principi tatari il riconoscimento del principato di Vladimir e Suzdal. La maggior parte dei principi russi seguì allora l’esempio di Aleksandr, rendendo omaggio al regno tataro. L'ascesa di Mosca La città di Mosca, nel principato di Vladimir, occupava una posizione geografica estremamente favorevole; essa era infatti al centro delle principali rotte commerciali fluviali. Nel 1263 Aleksandr Nevskij concesse Mosca al più giovane dei suoi figli, Daniele, che divenne così capostipite della potente casata dei duchi di Moscovia. Grazie alle buone relazioni con i mongoli, Daniele ampliò gradualmente i suoi possedimenti, fino a organizzarli in un nuovo stato russo. Con Ivan I Kalità, figlio di Daniele, divenuto duca nel 1328, i signori di Moscovia iniziarono a fregiarsi del titolo di principi “di tutta la Russia”. A metà del XIV secolo numerosi conflitti interni indebolirono il potere dell’Orda d’Oro e il granduca Dmitrij Donskoj ne approfittò per ribellarsi contro i mongoli sconfiggendoli nel 1380 a Kulikovo e creando così le condizioni per una rapida espansione della Moscovia. Espansione della Moscovia Nel 1453 Costantinopoli fu conquistata dai turchi ottomani e la Chiesa ortodossa russa, da quel momento, considerò Mosca la “terza Roma”, erede di Costantinopoli e nuovo centro dell’ortodossia. Il granduca Ivan III il Grande assoggettò la città di Novgorod nel 1478 e la regione di Tver nel 1485. In seguito, dopo aver posto fine al rapporto di vassallaggio con i mongoli, Ivan rivolse la sua attenzione ai territori occidentali controllati da Lituania e Polonia e arrivò a controllare molti territori di confine. Basilio III, figlio e successore di Ivan, continuò l’aggressiva politica espansionista del padre con l’annessione di Pskov nel 1510, di Smolensk nel 1514 e di Rjazan nel 1521. Ivan IV, detto il Terribile, succedette al padre Basilio III nel 1533 all’età di tre anni; morta anche la madre nel 1538, lo stato fu sconvolto da un continuo conflitto 14 1 per il potere scatenatosi fra i nobili, i cosiddetti boiari. Nel 1547 Ivan si proclamò zar assumendo le redini del governo per contrastare il potere dei boiari. Nel 1549 introdusse il primo Zemskij Sobor (assemblea nazionale che rappresentava i proprietari terrieri) al fine di consolidare la sua posizione di autocrate e di limitare il potere dei boiari e della Chiesa. Tra il novembre e il dicembre del 1564 abdicò e rientrò a Mosca dopo aver ricevuto poteri assoluti. Quando i boiari organizzarono un complotto contro lo zar, Ivan scatenò una violentissima repressione nei loro confronti. Nel 1552 l’esercito moscovita tolse ai tatari Kazan e nel 1556 Astrahan divenne parte del territorio russo. I confini della Moscovia si estesero ulteriormente grazie alle scorrerie dei cosacchi, stabilitisi lungo il corso inferiore del Volga e del Don. Alcuni si spinsero più a nord e nel 1581 il loro ataman, Jermak Timofejevič, guidò una spedizione verso est attraverso gli Urali, portando sotto il dominio russo quasi tutto il bacino del fiume Ob e avviando la conquista della Siberia. Alla morte di Ivan il Terribile, Boris Godunov divenne reggente per conto di Teodoro I; sotto la sua guida lo stato russo continuò a espandersi aumentando ricchezza e prestigio. Nel 1598 la casata dei Rjurikidi si estinse con la morte di Teodoro, privo di eredi, e Boris fu eletto zar dallo Zemskij Sobor. Quando però si diffuse la convinzione che Godunov fosse il responsabile della morte di Demetrio, figlio ed erede di Ivan il Terribile misteriosamente scomparso nel 1591, nuovi pretendenti al trono inaugurarono la cosiddetta “epoca dei torbidi”. Tre mesi dopo la morte di Godunov, nel 1605, un pretendente al trono che si faceva chiamare Demetrio I, detto anche il “Falso Demetrio”, entrò a Mosca e si impadronì del potere proclamandosi zar. Fu un sovrano coscienzioso e abile, ma il suo regime era ostile ai boiari i quali si ribellarono, assassinandolo in una congiura ordita dal principe Vasilij Šuiskij, successivamente eletto zar. I cosacchi e i contadini, temendo la severità del regime boiaro, si ribellarono unendosi a un secondo pretendente, Demetrio II, il cui esercito era già sulla strada di Mosca. Nello stesso tempo, anche il re di Polonia Sigismondo III, nell’intento di conquistare il trono 14 2 russo, invase il territorio dall’ovest mentre la Svezia su richiesta di Vasilij inviò inutilmente dei rinforzi, non riuscendo a evitare la deposizione dello zar nel 1610: l’esercito polacco entrò a Mosca e l’intero territorio cadde in un completo stato di anarchia. La riscossa russa fu organizzata dal principe Požarskij che, alla testa di un esercito composto anche da cosacchi, partì da Novgorod per Mosca e, nel 1612, cacciò i polacchi. L’anno dopo, lo Zemskij Sobor elesse zar Michele Romanov (discendente della zarina Anastasia Romanovna, moglie di Ivan il Terribile) inaugurando la dinastia dei Romanov. Le principali conseguenze dell’epoca dei torbidi furono la rovina della nobiltà boiara e l’ascesa al potere della piccola aristocrazia terriera. Sotto il governo dei due primi Romanov, Michele e suo figlio Alessio I che gli succedette nel 1645, non vennero attuate grandi riforme e nuove leggi conferirono ulteriori privilegi ai proprietari terrieri. Nel 1670 scoppiò una grande rivolta agraria nel sud-est, soffocata con grande difficoltà un anno dopo dalle truppe dello zar. Questa prima ribellione stabilì le basi di future rivolte. Nel frattempo, nel 1654, i cosacchi dell’Ucraina, dopo essersi ribellati contro il dominio polacco, offrirono la loro fedeltà allo zar Alessio. Nella successiva guerra con la Polonia (1654-1667) la Russia riconquistò l’Ucraina orientale, compresa la città di Kiev. Con Fedor III, figlio di Alessio, la Russia vinse la prima guerra contro l’impero ottomano. Alla morte di Fedor nel 1682, il suo fratellastro Pietro il Grande fu incoronato zar. L'impero russo. Nel 1697 Pietro organizzò una missione tecnico-diplomatica in Occidente assentandosi dalla Russia per diciotto mesi. Dopo questo periodo avviò, con decreti e riforme, una radicale trasformazione dell’assetto istituzionale del paese. Decretò la riorganizzazione dell’esercito, della marina militare, della struttura del governo e della società seguendo i parametri occidentali, incoraggiando lo sviluppo 14 3 dell’industria e del commercio, dell’istruzione e delle scienze. Durante il regno di Pietro, la Russia conquistò numerosi nuovi territori. Il principale conflitto, la grande guerra del Nord (1700-1721), fu combattuto contro la più potente nazione baltica di allora, la Svezia. Il controllo del mar Baltico era infatti necessario per la creazione di una grande flotta militare e per l’espansione del commercio estero russo. Dopo un’iniziale sconfitta a Narva (nell’attuale Estonia) nel 1700, Pietro riorganizzò il suo esercito e attaccò le basi svedesi in Livonia. Nel 1703 avviò la costruzione della nuova e splendente capitale, la città di San Pietroburgo, in un territorio paludoso conquistato alla Svezia (il governo vi si trasferì da Mosca nel 1714). L’esercito russo sconfisse gli svedesi a Poltava nel 1709, sancendo il predominio della Russia sul Baltico. Con la pace di Nystad (10 settembre 1721), la Russia acquisì Livonia, Estonia, Ingria, parte della Carelia e diverse isole del Baltico. Pietro fu formalmente proclamato imperatore nel 1721. Dopo la morte di Pietro, si verificò una rapida successione di sovrani causata da congiure spesso ordite dalle guardie di palazzo. Nel 1741 salì al trono Elisabetta, figlia di Pietro il Grande. Durante il suo regno l’impero estese i propri domini, conquistando parte della Finlandia nella guerra con la Svezia (1731-1743), e si alleò con l’Austria e la Francia per muovere guerra alla Prussia (guerra dei Sette anni, 1756-1763). Suo nipote e successore fu Pietro III che nel 1762, anno in cui firmò la pace con Federico II di Prussia, fu deposto e assassinato. Sua moglie, una principessa tedesca, gli succedette col nome di Caterina II, detta Caterina la Grande. Caterina fu la prima tra i successori di Pietro il Grande a proseguirne le politiche. Combatté contro l’impero ottomano per ottenere i porti sul Mar Nero necessari al commercio russo, e nel corso della guerra turco-russa, dal 1768 al 1774, conquistò la Crimea. Le successive campagne militari contro la Turchia (1787-1792) estesero il dominio russo fino a ovest del fiume Dnestr. Con le tre spartizioni della Polonia (1772, 1793, 1795), la Russia acquisì vasti 14 4 territori verso occidente. Caterina fu influenzata dalle idee degli illuministi francesi, ma la sua politica interna provocò lo svilupparsi di forti conflitti sociali, che culminarono nella rivolta contadina guidata dal cosacco Emeljon Pugačëv, soffocata nel 1775. Anziché riformare le leggi oppressive della servitù della gleba, Caterina le rafforzò, abbandonando completamente ogni progetto di riforma in senso liberale dopo l’inizio della Rivoluzione francese, nel 1789. Nel 1796 Paolo I succedette alla madre Caterina; sovrano autocratico, dispotico e squilibrato, fu assassinato nel 1801 in seguito a una congiura ordita dalla nobiltà. Suo figlio Alessandro I, nipote prediletto di Caterina, concesse l’amnistia ai prigionieri politici, elaborò un progetto di Costituzione per l’impero e abolì molte misure restrittive adottate dal padre. Il processo di riforma subì però una battuta d’arresto quando la Russia fu coinvolta in una serie di guerre su diversi fronti. Nel 1805 aderì alla terza coalizione contro Napoleone I ma, dopo la sconfitta di Friedland (14 giugno 1807), Alessandro si accordò con Napoleone firmando il trattato di Tilsit, grazie al quale ottenne libertà d’azione contro la Svezia e la Turchia. Attaccando la Turchia (vedi Guerre russo-turche) la Russia ottenne la Bessarabia, mentre al termine della guerra contro la Svezia (1808 e 1809) acquisì le isole Åland e la Finlandia. In seguito, i rapporti con la Francia si deteriorarono e nel 1812 Napoleone invase la Russia. In settembre l’esercito francese entrò a Mosca, che però era stata incendiata dai suoi stessi abitanti. Dopo la disastrosa ritirata francese, Alessandro divenne la figura centrale dell’alleanza che rovesciò Napoleone. Nel 1815, al congresso di Vienna, i territori del ducato di Varsavia furono concessi alla Russia. Nel 1825, dopo la morte di Alessandro, Nicola I succedette al fratello benché un gruppo di giovani ufficiali avesse organizzato una congiura, la cosiddetta rivolta decabrista, per un regime costituzionale. Soffocata rapidamente la cospirazione, lo zar adottò una serie di provvedimenti restrittivi, fra i quali la creazione di una nuova polizia segreta e l’applicazione di una rigida censura su tutte le pubblicazioni. Dopo le rivoluzioni del 1848, Nicola intensificò la campagna repressiva contro l’ideologia 14 5 liberale diffusasi nei circoli culturali di Mosca e di San Pietroburgo. Nicola I dispiegò una strategia espansionista nei Balcani, estendendo l’impero a sud-ovest verso le province turche, a sud attraverso il Caucaso fino all’Asia centrale e a est fino all’oceano Pacifico. La guerra con l’Iran, cominciata nel 1826, finì due anni dopo con la conquista di una parte dell’Armenia. La flotta russa, nel contempo, si unì alle navi britanniche e francesi, insieme alle quali distrusse la flotta turca nella battaglia di Navarino il 20 ottobre 1827. Nelle successive campagne militari del 1828 e del 1829, la Turchia fu nuovamente sconfitta e con la pace di Adrianopoli (14 settembre 1829) la Russia ottenne la sovranità sui popoli del Caucaso e il protettorato di Moldavia e Valacchia. Le altre potenze europee formarono allora un blocco per neutralizzare l’espansionismo russo. Nel 1853, quando Nicola invase i principati del Danubio, la Turchia dichiarò guerra alla Russia che nella guerra di Crimea (1853-1856) fu nettamente sconfitta da una coalizione formata dagli eserciti britannico, francese, piemontese e ottomano. Nel 1855 Nicola I morì e la pace fu conclusa un anno dopo da suo figlio Alessandro II. La Russia fu costretta ad abbandonare il territorio di Kars e parte della Bessarabia e a rinunciare ai protettorati danubiani. Per arginare i nefasti effetti provocati dalla guerra di Crimea, Alessandro II promosse alcune riforme. Nel 1861 sancì l’emancipazione dei servi della gleba e, nel 1864, creò le assemblee provinciali elettive (zemstvo) e riorganizzò la giustizia. Lo zar si rifiutò però di approvare una Costituzione o l’organizzazione di un’assemblea nazionale rappresentativa. Durante il suo regno si moltiplicarono i fermenti rivoluzionari: dal movimento nichilista, che lottava per l’emancipazione individuale, a quello populista del narodniki, attivo nell’organizzazione delle rivolte contadine. Alessandro II fu assassinato nel 1881 da un membro del gruppo rivoluzionario Narodnaja volja (Volontà del popolo). Il nuovo zar, Alessandro III, condusse una politica reazionaria e repressiva riducendo drasticamente le competenze degli zemstvo e proseguendo l’opera di 14 6 russificazione delle minoranze dell’impero. La propaganda rivoluzionaria e le teorie marxiste trovarono molti sostenitori tra i lavoratori delle fabbriche, aumentati notevolmente dopo la realizzazione di un intenso programma di industrializzazione. Nicola II succedette al padre Alessandro III nel 1894. Sovrano debole, mantenne il sistema autocratico del padre e perse completamente il contatto con il popolo. Durante il suo regno l’aumento dell’oppressione e del controllo esercitati dalla polizia si scontrò con un’ondata di atti terroristici e una forte crescita del movimento socialista. In politica estera, i progetti di espansione in Estremo Oriente, che sfociarono nell’occupazione della Manciuria, portarono la Russia a scontrarsi con il Giappone con cui entrò in guerra l’8 febbraio 1904. La rivoluzione del 1905 Il governo, con lo scopo di ottenere l’appoggio popolare per la prosecuzione della guerra contro il Giappone, consentì agli zemstvo di riunirsi a San Pietroburgo nel novembre 1904, ma ne ignorò le richieste e una manifestazione di migliaia di persone il 22 gennaio 1905 fu soffocata nel sangue dalle truppe imperiali: il massacro scatenò una rivolta popolare estesasi in breve in tutto il paese. La guerra con il Giappone si risolse disastrosamente per la Russia e la sconfitta, acuita dalla pressione degli avvenimenti interni, costrinse il governo a concedere una riforma costituzionale, in seguito alla quale lo zar approvò l’insediamento di un’assemblea legislativa, o Duma. Vedi anche Rivoluzione russa (1905). La rivoluzione d'ottobre Lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 arrestò temporaneamente le attività rivoluzionarie dei radicali, ma le sconfitte dell’esercito russo, pesanti quasi quanto i disastri di Crimea e Giappone, in breve tempo resero la guerra impopolare in tutto il paese. Diserzione, repressione e corruzione aumentarono notevolmente, e l’imperatore si trovò completamente soggiogato dalla moglie Alessandra e da Rasputin, la cui sgradita presenza a palazzo provocava tanta irritazione che, nel dicembre 1916, egli fu assassinato da un gruppo di aristocratici. Nel febbraio 1917 scoppiò un’insurrezione a Pietrogrado (il nome di San Pietroburgo durante la 14 7 guerra), nel corso della quale le truppe zariste si unirono ai rivoltosi; Nicola II e suo figlio furono costretti ad abdicare (15 marzo) lasciando il potere in mano a un governo provvisorio nominato dalla Duma. Questo atto segnò la fine dell’impero russo. Gli eventi del 1917 portarono a una crisi generale delle istituzioni e a una drammatica lotta per il potere, sfociata nella Rivoluzione d’ottobre e nella successiva costituzione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS). La Russia dopo l'Unione sovietica La Russia ebbe un ruolo di primissimo piano sia nella vita dell’Unione Sovietica sia nella vicenda che portò alla sua dissoluzione. In Russia si produssero infatti, nella seconda metà degli anni Ottanta, le maggiori spinte alla riforma del vacillante sistema comunista. A interpretare questo fermento furono due principali correnti: la prima, riunita intorno al presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov, orientata a riformare profondamente l’organizzazione politica ed economica dello stato, salvaguardandone tuttavia le basi federative e socialiste; la seconda, capeggiata da Boris Eltsin, eletto nel giugno 1991 alla presidenza della Russia, risoluta invece a rompere con il passato sovietico e ad attuare una totale liberalizzazione politica ed economica del sistema. Nell’estate del 1991 il confronto si risolse drammaticamente, dopo un maldestro tentativo di colpo di stato attuato da un gruppo di conservatori, a favore di Eltsin. Alla fine di agosto questi proclamò l’indipendenza della Russia promuovendo poi, con altre dieci repubbliche dell’URSS, la creazione di una Comunità degli stati indipendenti. Il 21 dicembre l’URSS cessò formalmente di esistere; la Russia ereditò il suo seggio presso il Consiglio di sicurezza dell’ONU e il controllo del suo arsenale nucleare. Con lo scioglimento dell’URSS si intensificò in Russia la lotta per il potere e il conflitto tra riformatori e innovatori. Eltsin si scontrò violentemente sia con la Corte costituzionale, che respinse il decreto di scioglimento del Partito comunista, sia con 14 8 la Duma (il Parlamento), che si oppose alla nomina a primo ministro di Igor Gaidar, autore di un piano improntato a un’ampia liberalizzazione dell’economia. Lo scontro ebbe il suo culmine nel settembre 1993, quando Eltsin rimosse Aleksandr Rutskoj dalla carica di vicepresidente con l’accusa di corruzione e decretò lo scioglimento del Parlamento, giungendo a ordinare l’attacco armato contro i deputati asserragliati nell’edificio della Duma. Nel breve e drammatico scontro trovarono la morte più di 140 persone. Il 4 ottobre 1993, Rutskoj e il presidente della Duma Ruslan Khasbulatov furono imprigionati. La vittoria di Eltsin fu tuttavia di breve durata; già a dicembre le elezioni legislative videro l’affermazione del Partito comunista e di un movimento ultranazionalista a sua volta contrario alle riforme liberiste. Rutskoj e Khasbulatov furono liberati nel febbraio 1994, amnistiati dalla nuova Duma. La guerra di Cecenia Nel 1994 si acuirono le tensioni nel Caucaso, dove nel 1991 la Cecenia aveva proclamato l’indipendenza. A dicembre, nell’intento di ristabilire l’ordine nella repubblica ribelle, Eltsin vi inviò l’esercito. L’operazione, che nelle intenzioni di Mosca avrebbe dovuto risolversi in breve tempo, innescò un violentissimo conflitto costato decine di migliaia di morti, in gran parte civili. Nell’estate del 1995 i ribelli ceceni attaccarono la città di Budenovsk, nella Russia interna, prendendo in ostaggio duemila persone. Si aprì allora, sia pure su fragili basi, un negoziato fra le autorità di Mosca e gli indipendentisti ceceni, che si concluse con la firma di un cessate il fuoco. Gli scontri tuttavia ripresero, con una serie di bombardamenti sulle principali città cecene, in particolare Grozny e Samacki, che l’aviazione e l’artiglieria russe rasero al suolo. Nel maggio del 1996, in vista delle imminenti elezioni presidenziali, per conquistarsi il favore dell’opinione pubblica russa ormai ostile al conflitto, Eltsin affidò al generale Aleksandr Lebed l’avvio di nuovi negoziati con la guerriglia cecena. Il 31 agosto, con l’accordo di pace di Khassaviurt siglato dal primo ministro russo Viktor Černomyrdin e dal capo dell’esecutivo ceceno Aslan Maskhadov, 14 9 Mosca riconobbe la sovranità della Cecenia in seno alla Federazione russa e si impegnò a ritirare le sue truppe; l’accordo lasciò tuttavia in sospeso la questione dello status definitivo della repubblica. Eltsin venne rieletto nel luglio 1996 superando di misura il candidato comunista Ghennadi Ziuganov. La Russia continuò a soffrire un’acuta crisi politica e sociale, inasprita da una preoccupante situazione economica. Il tracollo della fragile democrazia fu evitato soprattutto grazie al credito politico ed economico che i paesi occidentali concessero alla controversa leadership russa. Lo sviluppo politico ed economico del paese fu molto lento e continuamente ostacolato dalla lotta che le potentissime oligarchie politico-finanziarie ingaggiarono per il controllo del vasto patrimonio pubblico ereditato dall’Unione Sovietica. Privatizzato per una sua buona parte, spesso con operazioni al limite della legalità, il patrimonio fu diviso, negli anni seguenti, tra membri del clan eltsiniano, ex esponenti del PCUS, imprenditori privi di scrupoli e criminalità organizzata. La vita politica fu pesantemente condizionata da questa corsa all’accaparramento delle risorse e sfociò spesso in duri conflitti tra Eltsin e la Duma. Il presidente, avvalendosi di una Costituzione che gli garantiva ampie prerogative (compresa quella di sciogliere il Parlamento), fece infatti del suo enorme potere un uso spregiudicato per affermare la propria strategia e per assicurare agli uomini del suo entourage i ruoli chiave dell’amministrazione. Il paese cercò nel contempo di riaffermarsi a livello internazionale e svolse un importante ruolo nelle crisi dell’Iraq (dicembre 1998) e del Kosovo (marzo-giugno 1999), quando l’intervento della diplomazia di Mosca fu determinante per giungere all’accordo che pose fine all’offensiva della NATO. Lo scontro al vertice del potere si inasprì nel 1998. In pochi mesi Eltsin sostituì più volte il capo del governo; dopo Victor Černomyrdin, licenziato in marzo, si alternarono al posto di primo ministro Sergei Kiriyenko ed Evgenij Primakov, sostituito a sua volta nel maggio 1999 con Sergej Stepašin, già capo del controspionaggio e ministro dell’Interno. 15 0 Fatto segno da una procedura di impeachment e coinvolto in un’inchiesta giudiziaria che aveva portato alla luce il ruolo della cosiddetta “Famiglia” (il suo clan) in alcuni gravi scandali finanziari, alla fine dell’estate Eltsin destituì anche Stepašin – ritenendolo inadatto ad affrontare l’imminente battaglia presidenziale – e chiamò alla guida del governo Vladimir Putin. Funzionario quasi sconosciuto dei servizi di sicurezza, Putin si conquistò il consenso popolare sfruttando la forte ripresa del sentimento nazionalista e la diffusa ostilità verso le popolazioni caucasiche. Egli colse infatti l’occasione fornitagli da una virulenta ripresa della guerriglia cecena per sferrare nel settembre 1999 una massiccia offensiva contro le milizie di Shamil Basaev, che, sconfinate nel Dagestan, vi avevano proclamato uno stato islamico indipendente. Ignorando le proteste internazionali, nell’autunno le truppe russe ripresero l’offensiva contro la Cecenia. Dopo una martellante campagna propagandistica che oscurò tutti gli altri partiti, nelle elezioni per il rinnovo della Duma del dicembre 1999 Putin ottenne una netta vittoria con il suo partito Unità, appena costituito. Il 31 dicembre, in seguito alle improvvise dimissioni di Eltsin, Putin assunse anche la presidenza della Russia, alla quale fu confermato, prevalendo sul leader comunista Zyuganov, nel marzo 2000. Putin ereditò un paese profondamente trasformato dalla rottura radicale con il passato sovietico e dalle riforme introdotte negli anni Novanta. I risultati conseguiti da Eltsin erano tuttavia contraddittori; le riforme economiche, dettate dalla foga iconoclasta nei confronti dell’economia socialista ma soprattutto dalla corsa all’accaparramento dei settori redditizi dell’industria statale, avevano drasticamente ridotto il ruolo dello stato nell’economia e favorito lo sviluppo dell’impresa privata ma, allo stesso tempo, avevano determinato una massiccia concentrazione di ricchezza in poche mani e spinto quasi la metà della popolazione nella povertà. Con i cospicui guadagni della privatizzazione, la nuova oligarchia (spesso erede diretta dell’apparato politico del periodo sovietico) si era lanciata sui mercati finanziari internazionali, facendo mancare al paese le risorse necessarie allo 15 1 sviluppo interno. Le riforme politiche avevano prodotto risultati altrettanto incerti. Iniziato all’insegna della glasnost (“trasparenza”) e della perestrojka (“ristrutturazione”) gorbacioviane, il processo di riforma era stato in seguito piegato alle esigenze di un unico clan e di un presidente con poteri quasi dittatoriali; la politica di Eltsin, volta alla limitazione del ruolo democratico dei partiti, della Duma e delle altre istituzioni dello stato, aveva causato una forte instabilità e un diffuso scetticismo nei confronti del sistema democratico. Il paese, in pieno caos economico e politico, viveva inoltre un isolamento internazionale mai sperimentato dalla caduta dell’Unione Sovietica a causa del conflitto ceceno, che alimentava le proteste della comunità internazionale. Per ridare stabilità al paese dopo anni di frenetici rivolgimenti e rafforzare l’autorità del governo centrale, Putin lanciò un’energica offensiva contro i leader regionali e le potenti lobby politiche ed economiche. Il presidente avviò la ristrutturazione dell’amministrazione dello stato, sostituendo funzionari della passata amministrazione con suoi fedelissimi provenienti dai servizi segreti o dal cosiddetto “gruppo di San Pietroburgo”. Lanciò poi una campagna contro la corruzione, rivolta principalmente a colpire i potentati economici a lui avversi; l’offensiva di Putin fece così diverse vittime illustri, tra cui i magnati Boris Berezovszij e Vladimir Gusinskij, che agli inizi del 2000 furono costretti a cedere le reti televisive ORT e NTV e a rifugiarsi all’estero. Nei mesi successivi passarono sotto il controllo governativo molte testate giornalistiche; altre, bersagliate da una raffica di controlli fiscali e di processi per diffamazione, furono costrette a sospendere le pubblicazioni. Agli inizi del 2003, con la chiusura dell’ultima televisione indipendente, TV6, dove avevano trovato rifugio i più popolari conduttori di NTV, Putin stabilì un controllo pressoché completo sull’informazione russa. Putin attuò anche una riforma del sistema politico del paese, allo scopo di limitarne la frammentazione e semplificarne il funzionamento. Nell’estate del 2001 restrinse 15 2 la partecipazione alle elezioni ai partiti rappresentati contemporaneamente nella Duma centrale e nei parlamenti delle repubbliche della federazione, cancellando con un sol colpo il 90% delle innumerevoli formazioni nate in seguito alla liberalizzazione politica. Fomentando le divisioni nell’opposizione di destra, Putin si assicurò poi una più ampia maggioranza nella Duma, relegando il Partito comunista a un ruolo di pura testimonianza. Per portare avanti il suo piano, oltre che sulla sua popolarità, Putin poté contare sulla benevolenza della stampa ma anche sull’indifferenza dell’opinione pubblica; questa, stanca delle convulsioni che avevano accompagnato il processo di democratizzazione, si disinteressò alle lotte al vertice del potere e ai suoi effetti sul sistema democratico russo. Putin fu fatto oggetto di severe critiche e subì un momentaneo calo di popolarità solo agli inizi della suo mandato presidenziale, nell’agosto 2000, in seguito all’incidente accorso al sottomarino nucleare Kursk, affondato nel mare di Barents durante un’esercitazione con i suoi 118 uomini di equipaggio. Nell’ottobre 2003 Putin si sbarazzò del suo ultimo pericoloso avversario; con l’accusa di frode ed evasione fiscale venne infatti arrestato Michail Khodorkovsky ( e condannato nel 2005 a nove anni di prigione), il titolare della compagnia petrolifera Iukos, uno degli ultimi oligarchi schierati con i partiti dell’opposizione. Ripresa del conflitto ceceno Nel febbraio 2000, dopo averla sottoposta a un massiccio bombardamento, le truppe russe riconquistarono la capitale cecena Grozny. In giugno la repubblica caucasica passò sotto l’amministrazione di un capo religioso filorusso, Akhmad Kadyrov, posto alle dirette dipendenze di Putin. Nonostante il consistente impiego di uomini e armi, la Russia non riuscì ad aver ragione della resistenza cecena, che intensificò la sua azione, basata su improvvisi attacchi terroristici, sia all’interno della Cecenia contro le truppe di occupazione e l’amministrazione filorussa, sia in territorio russo. Nella primavera del 2002, con un sanguinoso attentato a Kaspijsk, nel Dagestan, effettuato in occasione della cerimonia di commemorazione della vittoria sovietica 15 3 sulla Germania nazista, la guerriglia cecena inaugurò una nuova e più virulenta strategia terroristica. In agosto un elicottero russo in procinto di atterrare in una base militare nei pressi di Grozny venne abbattuto da un missile lanciato da un commando guerrigliero ceceno; nell’attacco persero la vita 115 militari russi. L’offensiva della guerriglia proseguì in ottobre con il sequestro di oltre 750 spettatori nel teatro Dubrovka di Mosca, che si concluse con la morte di 48 dei 50 membri del commando ceceno (tra cui 18 vedove di guerra) e di oltre 120 ostaggi, uccisi dal gas utilizzato dalle truppe speciali russe. Putin non riconobbe mai alla questione cecena una valenza nazionale, considerandola, soprattutto dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 a New York e Washington, solo una variante locale del più ampio fenomeno del terrorismo fondamentalista islamico. Il conflitto ceceno, alimentando il sentimento nazionalista dei russi, rafforzò peraltro la posizione del presidente e dei fautori della linea dura. L’appello alla riapertura delle trattative rivolto a Mosca nel novembre 2002 dall’ex presidente Aslan Maskhadov, esponente dell’ala moderata e non islamista del separatismo ceceno, cadde così nel vuoto. La Cecenia ripiombò nella spirale di violenza e terrore, alimentata dalle divisioni all’interno della guerriglia e dalle severissime condizioni imposte dalle truppe di occupazione russe alla popolazione. Per dimostrare che la situazione nella repubblica caucasica si andava stabilizzando, nel marzo 2003 Putin vi fece svolgere un referendum sull’adozione del nuovo statuto. Secondo i dati ufficiali si recò alle urne l’85% degli elettori ceceni e di questi il 96% si dichiarò favorevole a restare nell’ambito della Federazione russa. Il referendum non fermò l’offensiva della guerriglia. Nel febbraio 2004, con un attentato alla metropolitana di Mosca, la guerriglia cecena riportò il conflitto nel cuore della Russia. In maggio si riaffacciò a Grozny, uccidendo durante una manifestazione ufficiale Akhmad Kadyrov, eletto pochi mesi prima, tra molte contestazioni, alla presidenza della repubblica caucasica. 15 4 Il 1° settembre, nel giorno di inaugurazione dell’anno scolastico, un commando ceceno fece irruzione in una scuola della città di Beslan, nell’Ossezia Settentrionale, sequestrando circa 1500 persone tra bambini, genitori e insegnanti; la vicenda si concluse drammaticamente il 3 settembre, quando nella scuola si accese un furioso scontro tra i sequestratori e le forze di polizia russe e ossete provocando un numero imprecisato di morti (330 secondo le fonti ufficiali, più di 600 secondo altre fonti), di feriti e di dispersi. All’attacco alla scuola di Beslan, rivendicato da Shamil Basaev, seguì una nuova offensiva russa, rivolta a decapitare la leadership della resistenza cecena. Nel marzo 2005 Aslan Maskhadov cadde vittima di un imboscata di un commando dell’esercito russo. Nel luglio 2006 Basaev venne ucciso a sua volta nel corso di un’operazione speciale dell’esercito russo. La Russia nel contesto internazionale Sul piano internazionale, a un’impasse diplomatica con i paesi occidentali (causata sia dal conflitto ceceno, sia dall’annuncio della ripresa del programma National Missile Defense, il cosiddetto “scudo spaziale”, da parte del nuovo presidente statunitense George W. Bush) Putin fece corrispondere un rafforzamento delle relazioni con i paesi asiatici. Nel 2001 la Russia formò con la Cina, il Tagikistan, il Kazakistan, il Kirghizistan e l’Uzbekistan il cosiddetto Gruppo di Shanghai, sottoscrivendo un accordo di assistenza militare. Putin compì in seguito diversi viaggi in Asia, stipulando importanti accordi soprattutto con l’India e l’Iran. L’attacco terroristico subito dagli Stati Uniti l’11 settembre 2001 causò un improvviso riavvicinamento tra Mosca e Washington. Putin accolse infatti la richiesta di sostegno di Bush, per riconquistare alla Russia un ruolo significativo nello scenario politico aperto dalla nuova offensiva del fondamentalismo islamico, ma anche per ottenere un allentamento della pressione internazionale riguardo alla guerra in Cecenia. La Russia offrì così il pieno appoggio alla coalizione capeggiata da Washington, pur 15 5 non partecipando direttamente alla campagna militare Enduring Freedom (“Libertà duratura”) in Afghanistan. Nel maggio 2002 la Russia e gli Stati Uniti firmarono un nuovo accordo sugli armamenti strategici, che prevedeva una riduzione del numero delle testate nucleari da 6.000 a circa 2.000 entro il 2012, istituendo nel contempo un nuovo organismo di collaborazione militare, il Consiglio NATO-Russia. Con il riavvicinamento all’Occidente, Putin conseguì un altro importante risultato diplomatico; ottenendo il riconoscimento di “economia di mercato” da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, la Russia compì infatti un primo passo verso l’ingresso nell’Organizzazione mondiale per il commercio (WTO). Le relazioni con gli Stati Uniti subirono una battuta d’arresto nel 2003, quando Mosca si unì alla Germania e alla Francia contro l’intervento anglo-americano in Iraq. Nello stesso anno la Russia istituì uno Spazio economico unico con l’Ucraina, la Bielorussia e il Kazakistan. Alla fine del 2003, lasciando in secondo piano il disaccordo sulle questioni cecena e irachena, Russia, Stati Uniti e Unione Europea ribadirono la volontà di cooperazione strategica, soprattutto riguardo alla questione energetica e a quella del terrorismo internazionale. Precedute da una propaganda senza precedenti, in cui vennero oscurati tutti i partiti dell’opposizione, le elezioni legislative del dicembre 2003 modificarono profondamente la scena politica russa. Russia Unita, la nuova formazione del presidente Putin, intorno alla quale si erano riuniti gruppi oligarchici vecchi e nuovi, con il 37,6% dei voti (e 222 seggi dei 450 della Duma), diventò il primo partito russo, superando il Partito comunista. Con i partiti alleati, Putin si assicurò una solida maggioranza pari a circa i due terzi dei seggi della Duma. Le elezioni presidenziali del marzo 2004 sancirono la definitiva vittoria di Putin, che venne confermato alla presidenza con il 71,2% dei voti. A novembre, il ruolo di Putin venne ulteriormente rafforzato con l’approvazione di un pacchetto di riforme che gli conferiva poteri straordinari tra i quali la designazione diretta dei governatori regionali. Durante il suo secondo mandato, Putin avviò un piano destinato ad affrontare i gravi 15 6 problemi del paese nei campi della sanità, dell’educazione e degli alloggi e a rilanciare l’agricoltura. Operò nel contempo per riaffermare la supremazia russa nello spazio ex sovietico e a rilanciare il ruolo del paese, anche in campo militare, sulla scena internazionale. Contrastò quindi fermamente i progetti statunitensi di espansione dello scudo spaziale alle sue frontiere, in particolare in Polonia e nella Repubblica Ceca, e l’ingresso di Ucraina e Georgia nella NATO. Le accresciute tensioni con i paesi occidentalie in particolare con Stati Uniti e Gran Bretagna indussero nel 2007 la Russia a sospendere la partecipazione al trattato Conventional Armed Forces in Europe (CFE), che limita lo spiegamento di armi sul territorio europeo. Sviluppi recenti Dmitry Medvedev, stretto collaboratore di Vladimir Putin, si aggiudica con il 70% dei voti le elezioni presidenziali del marzo 2008. In maggio il nuovo presidente affida a Putin la carica di primo ministro. 15 7 La Russia è divisa fra Asia (la parte maggiore) ed Europa. Superficie: 17.075.400 Km² (12.836.900 Km² parte asiatica, 4.238.500 Km² parte europea) Abitanti: 144.168.000 (1/1/2004) Densità: 8,5 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Mosca (10.125.000 ab.) Altre città: S. Pietroburgo 4.160.000 ab., Novosibirsk 1.425.000 ab., Nizni Novgorod 1.311.000 ab., Jekaterinburg 1.294.000 ab., Samara 1.158.000 ab., Omsk 1.134.000 ab., Kazan 1.105.000 ab., Celjabinsk 1.077.000 ab., Rostov-na-Donu 1.068.000 ab., Ufa 1.042.000 ab., Volgograd 1.011.000 ab., Perm 1.002.000 ab., Krasnojarsk 909.000 ab., Saratov 873.000 ab., Voronez 849.000 ab., Togliatti 702.000 ab. Gruppi etnici: Russi 79,8%, Tartari 3,8%, Ucraini 2%, Baschiri 1,2%, Ciuvasci 1,1%, Ceceni 0,9%, Armeni 0,8%, altri 10,4% Paesi confinanti: Lituania a NORD e Polonia a SUD (Kaliningrad), Norvegia a NORD-OVEST, Finlandia, Estonia, Lettonia, Bielorussia ad OVEST, Ucraina a SUD-OVEST, Georgia, Azerbaigian, Kazakistan, Mongolia, Cina e Corea del Nord a SUD Monti principali: Elbrus 5642 m Fiumi principali: Amur 4416 Km (totale, compresi tratti mongolo e cinese), Lena 4400 Km, Irtys 4248 Km (totale, compresi tratti cinese e kazako), Jenisej 4092 Km, Ob 3680 Km, Volga 3531 Km, Vilyuy 2650 Km, Tunguska Inferiore 2550 Km, Ishim 2450 Km (totale, compreso tratto kazako), Ural 2428 Km (totale, compreso tratto kazako), Olenëk 2292 Km, Aldan 2273 Km, Dnepr 2201 Km (totale, compreso tratti bielorusso ed ucraino), Kolyma 2129 Km Laghi principali: Mar Caspio 371.000 Km² (comprese parti azera, iraniana, turkmena e kazaka), Lago Bajkal 31.500 Km², Lago Ladoga 17.700 Km², Lago Onega 9610 Km², Bacino di Samara (artificiale) 6450 Km², Bacino di Bratsk 15 8 (artificiale) 5494 Km², Bacino di Rybinsk (artificiale) 4580 Km², Lago Tajmyr 4560 Km² Isole principali: Sahalin 76.400 Km², Nuova Zemlya settentrionale 48.904 Km², Nuova Zemlya meridionale 33.275 Km², Isole della Nuova Siberia 38.400 Km² (Kotelny 11.665 Km², Nuova Siberia 6200 Km², Lyakhovsky 4600 Km²), Isole della Terra del Nord 37.500 Km² (Isola della Rivoluzione d'Ottobre 14.170 Km² Clima: Continentale - polare Lingua: Russo (ufficiale) Religione: Russa Ortodossa, Musulmana ed altre Moneta: Rublo russo 15 9 SERBIA e MONTENEGRO Il territorio dell’attuale Serbia fece parte anticamente della regione dell’Illiria; conquistato dai romani nel 44 d.C., divenne provincia dell’impero. Intorno al III secolo i goti compirono incursioni nella regione che, dopo il 395, divenne parte dell’impero bizantino. Tra il VI e il VII secolo i serbi, una popolazione slava proveniente dalla Galizia, si stanziarono soprattutto nella regione a ovest della Morava e cercarono alleanze con i bizantini. Organizzati in piccoli principati guidati da uno zupan, subirono, tra il VII e il XII secolo, il dominio dei grandi imperi vicini: prima quello bizantino, poi quello bulgaro di Simeone, poi nuovamente quello bizantino. Durante questo periodo iniziarono a emergere due entità nazionali: la Zeta, all’origine del Montenegro, e la Rascia (o Raska), dalla quale sarebbe nata la Serbia. Entrambe subirono l’influenza politica, culturale e religiosa dell’impero bizantino e, grazie all’attività missionaria di Cirillo e Metodio, videro la diffusione 16 0 del cristianesimo e dell’alfabeto cirillico. La formazione dello stato serbo I serbi furono unificati a opera di Stefano Nemanja, che intorno al 1168 fondò sul territorio della Rascia il regno di Serbia. A Stefano Nemanja succedette il figlio secondogenito Stefano I. Durante il suo regno (1196-1227) venne creata una Chiesa ortodossa serba autocefala e la religione ortodossa diventò religione di stato. La Serbia si espanse gradualmente fino a comprendere, sotto l’impero di Stefano IX Dušan (1331-1355), gran parte dell’odierno territorio di Serbia, Montenegro, Albania e Grecia. L’impero “dei serbi e dei greci” visse un periodo di stabilità e di sviluppo; vi fiorirono le arti e furono codificati leggi e statuti. Alla morte di Stefano Dušan scoppiò la lotta tra i nobili, che portò a una veloce disgregazione dello stato. Il dominio ottomano Nel 1389 i serbi furono sconfitti nella battaglia del Kosovo dall’esercito dell’impero ottomano. La conquista turca continuò con la presa di Smederevo nel 1459 e con quella di Belgrado nel 1521. Gli ottomani non intervennero sulla struttura della società serba, che conservò l’autonomia religiosa e una forte identità nazionale. La Serbia non conobbe infatti, contrariamente alle vicine Macedonia e Bosnia, l’islamizzazione (anche se le conversioni furono numerose, per ragioni politiche o economiche) né l’insediamento di altre popolazioni sul suo territorio. La libertà religiosa fu rispettata e il patriarcato, sospeso nel 1459, fu ripristinato nel 1557 (fino al 1765). I serbi erano obbligati a pagare le imposte, a fornire giornate di lavoro gratuito nelle corvè e giovani per il corpo dei giannizzeri. Per tutto il periodo del dominio ottomano fu attiva una guerriglia contadina condotta sulle montagne dai cosiddetti haïduk (cioè “fuorilegge”), che andò via via rafforzandosi, soprattutto a partire dalla fine del XVII secolo, quando Austria e Russia iniziarono a scontrarsi con i turchi per il controllo sui Balcani. Dopo i trattati di Karlowitz (1699) e di Passarowitz (1718) molti serbi colonizzarono gli estremi lembi di territorio (krajne) passati sotto l’impero austriaco, assumendo così un’importantissima funzione di difesa dagli ottomani. Le 16 1 aree lasciate libere dai serbi vennero spesso occupate da altre comunità; nella regione meridionale del Kosovo crebbe infatti la presenza di popolazioni albanesi di fede islamica. All’inizio del XIX secolo, contemporaneamente al declino dell’impero ottomano, cominciò la lotta per l’indipendenza dello stato serbo, guidata da Gjeorgje Petrovič, detto Karagjeorgje; nel 1804 iniziarono violenti scontri che si protrassero per i nove anni successivi, fino a quando, nel 1813, l’impero ottomano riaffermò il proprio controllo sulla regione. Due anni dopo, Miloš Obrenovič guidò una seconda rivolta che liberò gran parte dei territori serbi. Obrenovič fu riconosciuto principe ereditario nel 1817 e alla Serbia venne concessa un’indipendenza limitata sotto la sovranità del sultano; in base al trattato di Adrianopoli, con cui si concluse la guerra russo-turca del 1828-29, la Serbia ottenne un’autonomia più ampia e il numero dei presidi turchi sul territorio venne ridotto. La sanguinosa rivalità tra la famiglia degli Obrenovič e quella dei Karagjeorgjević (discendenti di Karagjeorgje, ucciso nel 1818 in un complotto al quale la famiglia Obrenovič non fu estranea) portò negli anni successivi a frequenti cambiamenti al vertice del potere: nel 1839 Miloš Obrenovič fu costretto ad abdicare in favore del figlio Milan, cui succedette nello stesso anno il fratello Michele. Nel 1842 salì al trono il figlio di Karagjeorgje, Alessandro. Questi dotò il paese di nuove istituzioni (in particolare di un Codice civile nel 1844), favorì lo sviluppo dell’istruzione e stabilì buone relazioni con le grandi potenze occidentali, in particolare con la Francia di Napoleone III. Alessandro venne tuttavia deposto nel 1858, quando fu restaurata la dinastia degli Obrenovič. Durante il conflitto russo-turco del 1877-78 la Serbia strinse un’alleanza con la Russia, nell’intento di allontanare definitivamente gli ottomani dai Balcani. Nel 1878 il congresso di Berlino riconobbe l’indipendenza dei serbi, ma il paese fu di fatto sottomesso all’impero austroungarico. Nel 1882 Milan Obrenovič, con il sostegno dell’Austria, si autoproclamò sovrano e nel 1885 dichiarò guerra alla Bulgaria, ma i serbi subirono una dura sconfitta e scongiurarono la conquista del 16 2 loro territorio solo grazie all’intervento austriaco. In seguito all’esito sfortunato del conflitto, il sovrano abdicò (1889) a favore del figlio, Alessandro I Obrenovič. Dispotico e corrotto, Alessandro fu ucciso nel 1903 dalla “Mano Nera”, un’associazione segreta di ufficiali dell’esercito. Con lui ebbe fine la dinastia degli Obrenovič e venne proclamato re Pietro I Karagjeorgjević. I rapporti con l’Austria andarono deteriorandosi, soprattutto in seguito all’annessione da parte di quest’ultima della Bosnia-Erzegovina (1908), che fu determinante nell’avvicinamento della Serbia alla Russia. Nel 1912-13 i serbi presero parte alle guerre balcaniche, che portarono all’annessione del Kosovo, di parte della Macedonia e del Sangiaccato. La I Guerra mondiale e la Iugoslavia Nella crescente preoccupazione con cui l’Austria guardava all’espansione della Serbia, il 28 giugno 1914, nella città di Sarajevo, fu compiuto l’assassinio dell’erede al trono austriaco, l’arciduca Francesco Ferdinando, e di sua moglie per mano di un nazionalista serbo (vedi Attentato di Sarajevo). Il governo austriaco, accusando la Serbia dell’accaduto, le dichiarò guerra e invase il paese, dando inizio alla prima guerra mondiale. Nel 1917 un comitato formato da patrioti serbi, croati, sloveni e montenegrini firmò un documento, impegnandosi a riunificare, sotto l’autorità del re serbo Alessandro Karagjeorgjević, i popoli slavi del Sud. Caduta la monarchia austroungarica, il 1° dicembre del 1918 fu proclamato il Regno dei serbi, croati e sloveni, rinominato nel 1929 Regno di Iugoslavia. L'antagonismo serbo-croato Nel nuovo stato scoppiò presto il conflitto tra il centralismo dei serbi e l’autonomismo delle altre nazioni. Nel 1934 Alessandro I venne ucciso a Marsiglia da un nazionalista croato; i contrasti tra serbi e croati si trasformarono in una vera e propria guerra combattuta nell’ambito della seconda guerra mondiale dopo la creazione, nel 1941, dello stato croato ustascia di Ante Pavelić, sostenuto dalla Germania nazista e dall’Italia fascista. 16 3 La criminale condotta del regime ustascia allargò il fossato che separava i due popoli, producendo nello stesso momento una profonda spaccatura tra gli stessi croati, una cui cospicua parte alimentò le file della Resistenza partigiana guidata da un leader comunista croato, Josip Broz, detto Tito. Durante il conflitto mondiale, oltre alle forze ustascia e a quelle di Tito, nei Balcani agirono le milizie realiste e nazionaliste serbe dei cetnici, che raccolsero molti ufficiali dell’esercito monarchico intorno al generale Draža Mihajlović. Occupata nella primavera del 1941 dalle forze naziste, la Serbia fu liberata a partire dal 1944 dall’esercito partigiano di Tito, che proseguì la sua avanzata fino a occupare, il 1° maggio del 1945, la città di Trieste, stabilendovi per circa un mese una propria amministrazione (Questione di Trieste). Dopo la sconfitta delle potenze dell’Asse, nel 1945 fu proclamata la nascita della Repubblica federale socialista di Iugoslavia, di cui la Serbia fu una delle repubbliche costituenti. Sotto Tito la Iugoslavia tentò due difficili esperimenti, entrambi destinati al fallimento: il primo riguardava la costruzione di un modello socialista diverso e indipendente da quello sovietico; il secondo riguardava invece la costruzione di una cittadinanza “iugoslava”, atta a superare le divisioni e i contrasti che avevano contraddistinto sino ad allora il rapporto tra le diverse nazionalità. Con la morte di Tito, nel 1980, apparve chiara sia la crisi del modello politico (celata per anni) sia il fallimento del progetto nazionale; il nazionalismo, riapparso già negli anni Sessanta in Slovenia e Croazia, si diffuse in tutta la federazione, causando in breve una crisi irreversibile. Nella vicenda dello sviluppo del contrasto nazionalista, la Serbia ebbe una parte rilevante. Alla rivolta albanese esplosa nel Kosovo nel 1981, all’indomani della morte di Tito, la Serbia reagì alimentando un forte risentimento nei confronti della provincia meridionale, accusata di volersi riunire con l’Albania privando la civiltà serba della sua “culla”. Nell’estate 1986 alcuni membri dell’Accademia delle scienze e delle arti di Belgrado, tra cui il romanziere Dobrica Ćosić, firmarono un Memorandum che 16 4 conteneva – oltre che una forte critica rivolta alla leadership comunista iugoslava per la gestione dello stato e per l’“indebolimento” della Serbia nei confronti delle altre repubbliche – considerazioni sull’identità nazionale serba e sull’importanza del Kosovo nel suo sviluppo. Il Memorandum ebbe l’effetto di scatenare una violenta polemica all’interno della Iugoslavia e il rafforzamento delle tesi nazionaliste serbe, ma anche la ripresa della “mitologia” serba, legata al ruolo svolto dai serbi nello scontro tra l’islam e il cristianesimo nei Balcani. Nel 1986 Slobodan Milošević, un personaggio poco conosciuto e da poco entrato in politica, divenne segretario della Lega dei comunisti. Il nuovo leader iugoslavo tentò di sfruttare il malcontento generale, il risentimento serbo e le polemiche nazionali (spesso artificiose e funzionali all’indebolimento della Federazione), alimentate dalle tensioni in Kosovo, per consolidare la sua posizione all’interno del regime. Nella primavera del 1989 la Serbia revocò l’autonomia alla Vojvodina e al Kosovo. In giugno, nel seicentesimo anniversario della battaglia del Kosovo, Milošević raccolse più di un milione di persone nei pressi di Priština, rivendicando la sovranità serba sulla regione e la centralità della componente serba nella Federazione iugoslava. Milošević venne eletto alla presidenza della repubblica serba nel dicembre dello stesso anno. Nel 1990 la Lega dei comunisti, il partito unico al potere, aprì il sistema politico al multipartitismo. Le elezioni tenute in dicembre confermarono Milošević alla presidenza della Serbia. Scoppio del conflitto Nel giugno del 1991 Croazia e Slovenia proclamarono l’indipendenza. La Serbia compì un estremo tentativo di scongiurare la dissoluzione della Federazione inviando le truppe federali nelle due repubbliche. Se in Slovenia il contrasto durò pochi giorni e fu sostanzialmente incruento, il conflitto con la Croazia durò diversi mesi e causò migliaia di vittime. Nell’arco di pochi mesi si consumò la fine dello stato federale iugoslavo; dopo la Slovenia e la Croazia, anche la Macedonia e la Bosnia-Erzegovina (dove scoppiò il conflitto più lungo e violento) proclamarono 16 5 infatti l’indipendenza. La Repubblica Federale di Iugoslavia Nell’aprile 1992 Serbia e Montenegro proclamarono la costituzione della Repubblica federale di Iugoslavia, dichiarata erede legittima della precedente repubblica; il nuovo stato non ottenne però il riconoscimento della comunità internazionale. Nei mesi seguenti la situazione politica ed economica della Serbia andò continuamente peggiorando. Milošević mise in atto una politica fortemente autoritaria – imponendo uno stretto controllo sulla stampa e sulle televisioni e mettendo a tacere le opposizioni e le minoranze – e sostenne i serbi nella guerra che li opponeva in Bosnia ai croati e ai musulmani. Nel dicembre del 1992 Milošević venne confermato alla presidenza del paese in elezioni fortemente contestate dalle opposizioni; non riuscì però a ottenere la maggioranza dei seggi in Parlamento e fu costretto a formare un governo di coalizione. In seguito alla grave situazione economica e sociale del paese e alle pressioni internazionali, a partire dal 1994 la Serbia ridusse progressivamente il proprio sostegno ai serbo-bosniaci; questo nuovo atteggiamento – che fruttò al paese un alleggerimento delle sanzioni economiche – consentì anche l’avvio di trattative di pace in Bosnia, che nel novembre 1995 approdarono alla ratifica degli accordi di Dayton e alla fine del conflitto bosniaco. Nell’ottobre del 1996, in seguito agli accordi, le sanzioni internazionali che gravavano sulla Serbia furono parzialmente revocate. Sebbene il territorio serbo non fosse stato interessato che in minima parte dallo scontro militare, il conflitto causò in Serbia una profonda crisi economica e politica, e una forte opposizione al potere di Milošević. Nel novembre 1996 la decisione di Milošević di annullare le elezioni municipali in cui il suo Partito socialista (l’ex Lega dei comunisti) era stato battuto, provocò un moto di rivolta delle opposizioni e della società civile. 16 6 Dopo tre mesi di manifestazioni di piazza e una missione dell’OSCE per trovare una soluzione alla crisi, il regime fu costretto a riconoscere i risultati delle elezioni, che assegnavano il governo di una ventina di città, tra cui Belgrado, all’opposizione democratica del cartello Zajedno (“Insieme”). Le speranze suscitate dalla vittoria delle opposizioni durarono tuttavia pochi mesi; infatti, a causa delle rivalità sorte tra i suoi leader, la coalizione si sciolse. Nel luglio 1997 il presidente Milošević, che non avrebbe più potuto candidarsi alla presidenza serba, si fece eleggere alla presidenza della Repubblica federale. Nelle elezioni presidenziali serbe di settembre il candidato del Partito socialista, Zoran Lilić, fu battuto dal leader ultranazionalista Vojislav Šešelj, ma la consultazione, che non aveva raggiunto il quorum del 50% dei voti, venne annullata. Nelle contestuali legislative, boicottate dalle opposizioni, il Partito socialista ottenne solo 98 seggi su 250 e per costituire il governo dovette ricorrere al sostegno dell’ultranazionalista Partito radicale serbo. A dicembre venne eletto alla presidenza della repubblica serba un membro del Partito socialista, Milan Milutinović. La Serbia che uscì dalle diverse prove elettorali del 1997 era un paese spaccato e pericolosamente sbilanciato su una linea autoritaria e ultranazionalista, sottolineata dalla presenza al governo del leader radicale Šešelj. Crisi del Kosovo Nel 1998 il conflitto nazionalistico si riaccese lì dove era sorto quasi dieci anni prima: nel Kosovo. Durante tutti gli anni Novanta la situazione nella provincia a maggioranza albanese si era andata progressivamente deteriorando, fino a indurre una parte della popolazione kosovara ad abbandonare la posizione pacifista sostenuta da Ibrahim Rugova. A peggiorare la situazione fu l’insediamento, peraltro contenuto, nella provincia, di profughi serbi della Bosnia e della Croazia; il timore che Milošević volesse utilizzare i profughi per colonizzare il Kosovo e modificarne a favore dei serbi gli equilibri demografici, causò tra i kosovari-albanesi la crescita del malcontento e il 16 7 farsi strada di posizioni più radicali. Nel 1996 fece la sua comparsa un movimento di resistenza armata, l’Esercito di liberazione del Kosovo (UÇK). Dall’estate del 1997 l’azione dell’UÇK si intensificò e la sua posizione indipendentista ottenne un crescente sostegno tra la popolazione albanese del Kosovo. Nel tentativo di ripristinare il controllo sul territorio, il regime serbo rispose rafforzando la sua presenza militare nella provincia. L’offensiva lanciata dalle truppe serbe nel 1998 contro l’UÇK coinvolse pesantemente la popolazione civile, causando centinaia di vittime e la distruzione di interi villaggi. Al risoluto intervento delle truppe ufficiali si aggiunse – analogamente a quanto era successo in Bosnia durante il precedente conflitto – la criminale operazione di pulizia etnica delle bande paramilitari. Nel marzo 1998, temendo che lo scontro in Kosovo potesse provocare la ripresa della guerra e la sua estensione al resto dei Balcani, il Gruppo di contatto (istituito per vigilare sulla pace nell’ex Iugoslavia e formato da Stati Uniti, Russia, Francia, Germania, Regno Unito e Italia) impose, con il solo parere contrario della Russia, sanzioni economiche alla Serbia e minacciò un intervento militare se questa non avesse accettato di ritirare le proprie truppe e di avviare un negoziato di pace con i rappresentanti della popolazione albanese del Kosovo. In ottobre fu raggiunto un accordo che stabiliva il cessate il fuoco e l’invio di 2000 osservatori dell’OSCE nel Kosovo. Le continue violazioni della tregua verificatesi nei mesi seguenti e l’aumento del flusso dei profughi, dovuto alle crescenti violenze sulla popolazione civile, portarono a un’ulteriore iniziativa diplomatica. Tra febbraio e marzo 1999 una bozza di accordo preparata dal Gruppo di contatto fu sottoposta alle delegazioni del governo serbo e della popolazione kosovaro-albanese convocate a Rambouillet, in Francia; l’accordo prevedeva il rispetto dei diritti fondamentali della comunità albanese (politici, religiosi, culturali ecc.) e la concessione di una sostanziale autonomia al Kosovo. Sebbene le parti avessero raggiunto una buona convergenza su molti punti, la prima 16 8 fase della conferenza di Rambouillet non ebbe tuttavia alcun esito. Infatti, mentre i rappresentanti della popolazione kosovaro-albanese cercavano di cogliere l’occasione favorevole per indurre le potenze occidentali all’immediato riconoscimento del Kosovo come stato indipendente, la Serbia respingeva le clausole che imponevano al paese l’accettazione incondizionata della presenza di forze militari NATO sul territorio dell’intera Federazione iugoslava. Inoltre, la Serbia respingeva l’ipotesi di un referendum da tenersi in Kosovo a distanza di tre anni dall’accordo, che avrebbe riproposto e reso a quel punto inevitabile il distacco dalla Serbia di un Kosovo protetto da truppe straniere. Nella seconda tornata dei negoziati i complessi problemi politici e diplomatici rimasero irrisolti; al termine della conferenza, mentre i rappresentanti dei kosovaroalbanesi dichiaravano infine la loro disponibilità a firmare l’accordo, i serbi lo respinsero definitivamente. In seguito al fallimento della conferenza, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia, sostenuti dagli altri paesi della NATO, concordarono l’intervento militare; la notte del 24 marzo 1999 iniziarono le incursioni e i bombardamenti degli aerei dell’Alleanza atlantica sulla Serbia e sulle truppe serbe in Kosovo. Giustificata come un’inevitabile “ingerenza umanitaria” negli affari interni di un paese sovrano, l’operazione “Allied Forces” della NATO costituì il primo intervento militare lanciato senza una preventiva autorizzazione delle Nazioni Unite. Dopo 78 giorni di bombardamenti, agli inizi di giugno la Serbia accettò una proposta di accordo che escludeva la presenza di truppe militari straniere sul suo territorio, confermava la sovranità serba sul Kosovo, ma accettava un’amministrazione provvisoria del Kosovo da parte delle Nazioni Unite (UNMIK, United Nation Mission in Kosovo) e concedeva alla provincia albanese un’ampia autonomia, garantita da un contingente di sicurezza dell’ONU (KFOR) analogo a quello stanziato dal 1995 in Bosnia e costituito da truppe dei paesi del Gruppo di contatto, compresa la Russia. Nel Kosovo le conseguenze del conflitto furono drammatiche. La comunità 16 9 albanese, costretta, dopo l’inizio dell’attacco aereo della NATO, ad abbandonare le proprie case dalla repressione serba e a cercare rifugio nei paesi vicini (Albania, Macedonia e Montenegro), trovò al suo rientro città e villaggi colpiti dai bombardamenti e sistematicamente saccheggiati e messi a ferro e fuoco dalle truppe di Belgrado. La comunità serba fu sottoposta nei mesi successivi alla rappresaglia albanese (in cui si distinsero le milizie dell’UÇK) e fu a sua volta costretta ad abbandonare in massa la provincia. L’intervento della NATO inflisse gravissime perdite, umane ed economiche, alla Serbia, sottoposta per più di due mesi a un intenso bombardamento che colpì, oltre agli obiettivi militari, la rete di comunicazione stradale e ferroviaria, ospedali, scuole e numerose fabbriche. Il regime serbo, pur essendo riuscito a contenere la crisi che lo stava erodendo da anni, fu del tutto isolato a livello internazionale e incapace ad avviare la ricostruzione del paese. Nel corso del 2000 Milośević, accusato di crimini contro l’umanità dal Tribunale dell’Aia, vide precipitare il suo consenso presso la popolazione serba, sempre più stretta nella morsa della crisi economica, ma perse anche il sostegno di interi settori del regime e dell’esercito. Nel tentativo di puntellare il suo ormai traballante potere, tra la primavera e l’estate impose al Parlamento federale una serie di emendamenti alla Costituzione della Federazione e, assicuratosi in questo modo il diritto di concorrere nuovamente alla presidenza, indisse nuove elezioni. Le successive elezioni presidenziali federali, svoltesi a settembre, causarono un profondo rimescolamento del quadro politico balcanico. La strategia di Milošević naufragò infatti contro la ritrovata unità delle opposizioni, cheraccolsero un forte consenso intorno al loro candidato Vojislav Kostunica. Sconfitto già al primo turno, Milośević tentò di invalidare i risultati del voto ma fu infine costretto a riconoscere la vittoria delle opposizioni. La sconfitta di Milošević aprì nella Serbia e nei Balcani una prospettiva del tutto inedita. Nelle elezioni legislative svoltesi alla fine di dicembre del 2000, il fronte dell’Opposizione democratica, composto da diciotto partiti, ottenne il 64% dei voti 17 0 e 176 dei 250 seggi del Parlamento serbo. Nel febbraio 2001 si insediò il nuovo governo serbo, alla cui guida fu chiamato Zoran Djindjić. Di simpatie apertamente filoccidentali, Djindjić si apprestò a chiudere i conti con il passato regime. Milošević venne accusato di abuso di potere e di reati finanziari. Il 31 marzo, dopo giorni di convulse consultazioni istituzionali e una drammatica trattativa, l’ex leader serbo si consegnò alle forze di polizia e fu posto agli arresti. Durante tutta la primavera, la vicenda di Milošević alimentò un’aspra contesa tra le istituzioni federali e quelle serbe e, soprattutto, tra i due più importanti artefici della disfatta del vecchio regime e del suo forte apparato, Kostunica e Djindjić: il primo, nazionalista e gradualista, attento a mediare tra le varie componenti sociali e politiche del paese per non compromettere il processo di democratizzazione; il secondo, risoluto a stabilire un forte legame con i governi occidentali e a operare un’ampia ristrutturazione economica e politica. Il 28 giugno 2001, scavalcando le autorità federali, Djindjić consegnò Milošević al Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia. La decisione del governo serbo portò alla luce la debolezza del ruolo della presidenza federale e causò la crisi della coalizione democratica. A emarginare ulteriormente Kostunica fu anche la ripresa del contrasto federale con il Montenegro. Nel marzo 2002 i rappresentanti delle repubbliche di Serbia e Montenegro, affiancati dalla diplomazia europea, sottoscrissero un accordo che prevedeva una nuova unione di tipo confederale chiamata “Serbia e Montenegro”. Ratificato nel febbraio 2003, l’accordo prevedeva, trascorsi tre anni, la possibilità di accedere all’indipendenza attraverso un referendum. La Serbia, sempre più debole e isolata, scivolò in un nuovo periodo di instabilità e violenza. Caddero infatti, sotto i colpi di ignoti sicari, diversi esponenti del mondo politico-istituzionale, dell’esercito e del sottobosco affaristico-criminale che aveva prosperato durante la guerra civile; tra questi, Zeljko Raznatović, meglio conosciuto 17 1 con il nome di Arkan, capo delle “Tigri”, una delle più potenti e sanguinarie milizie paramilitari serbe attive nella guerra in Bosnia-Erzegovina. Nell’autunno del 2002 i due principali partiti democratici si presentarono separati nella corsa alla presidenza serba, e dopo il primo turno il partito di Djindjić, di fronte alla sconfitta del suo candidato, disertò le elezioni; tra ottobre e dicembre si tennero due diversi turni elettorali, ma in nessuno dei due fu raggiunto il quorum del 50% previsto dalla legge. Nel 2003 si intensificò la lotta tra poteri e apparati nuovi e vecchi. Alla fine di gennaio, sottoposti a fortissime pressioni, si consegnarono al Tribunale penale internazionale dell’Aia due esponenti di primissimo piano del passato regime iugoslavo: Vojislav Sešelj, leader del nazionalismo serbo più estremo e capo del Partito radicale serbo, e Milan Milutinović, ex presidente della repubblica serba. La risposta dei vecchi apparati non si fece attendere; il 12 marzo, il primo ministro Zoran Djindjić venne raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco davanti alla sede del governo, morendo poche ore dopo. Nelle settimane che seguirono, con il paese in stato d’assedio, furono arrestati più di mille esponenti del mondo politico, della polizia, dell’esercito e dei servizi segreti legati al passato regime. Nel contempo venne lanciata una campagna di epurazione, congedando molti funzionari dello stato e della magistratura. La profonde divisioni politiche e la sfiducia verso il nuovo regime si rifletterono sulle elezioni legislative anticipate del 28 dicembre 2003. Caratterizzate da un elevato astensionismo, le elezioni assegnarono la vittoria al Partito radicale serbo di Vojislav Sešelj. Dopo difficili consultazioni, venne formato un governo di minoranza guidato da Vojislav Kostunica. Il Partito radicale serbo ottenne un nuovo sorprendente risultato nelle elezioni presidenziali serbe del giugno 2004, quando il suo candidato, vinto il primo turno, raccolse il 45% dei voti al secondo turno, nel quale tuttavia si affermò, grazie a una ritrovata unità dei partiti democratici e moderati, il candidato del Partito democratico Boris Tadić. Nel marzo del 2004 riesplose la tensione in Kosovo. Gli scontri, che ebbero per 17 2 epicentro la città di Mitrovica, provocarono in pochi giorni una quarantina di morti (in gran parte serbi) e più di seicento feriti, tra cui una sessantina di soldati della forza multinazionale della NATO, oltre alla distruzione di una trentina di chiese ortodosse e di una decina di villaggi serbi. Nelle elezioni legislative kosovare dell’ottobre 2004 si affermò la Lega democratica del Kosovo (45,4%), seguita dal Partito democratico (28,9%), legato all’UÇK. Alle elezioni non partecipò tuttavia, in segno di protesta, la minoranza serba. Indipendenza del Montenegro Nell’ottobre 2005 vennero avviati i colloqui di associazione all’Unione Europea della Serbia e Montenegro. Agli inizi del 2006 scomparvero, a poche settimane di distanza, sia il presidente del Kosovo Ibrahim Rugova sia l’ex presidente serbo Slobodan Milošević. La morte del controverso leader serbo, avvenuta nelle carceri del Tribunale penale internazionale dell’Aia, alimentò molte polemiche nel paese. Nei mesi seguenti la Serbia venne formalmente richiamata dall’Unione Europea per la scarsa collaborazione fornita nella ricerca del generale Ratko Mladić, accusato di gravi crimini compiuti durante la guerra civile e in particolare dell’eccidio di Srebrenica. Nel maggio 2006 il Montenegro si pronunciò, attraverso un referendum, per l’indipendenza, che venne proclamata il 3 giugno. Nello stesso mese iniziarono a Vienna, sotto l’egida delle Nazioni Unite, i negoziati per lo status del Kosovo. In ottobre un referendum boicottato dai kosovari albanesi approvò in Serbia una nuova Costituzione, che proclamava il Kosovo parte inalienabile del paese. Nel febbraio 2007 la proposta presentata dall’incaricato delle Nazioni Unite Martti Ahtisaari, favorevole all’indipendenza del Kosovo, venne rigettata dalla Serbia. Nelle elezioni legislative del gennaio 2007 il Partito radicale serbo, la formazione ultranazionalista di Vojislav Sešelj, si confermò primo partito della Serbia. Alle sue spalle si piazzarono il Partito democratico e il Partito democratico serbo, che a maggio diedero vita a un nuovo governo di coalizione guidato da Vojislav Kostunica. 17 3 Sviluppi recenti Nel novembre 2007 i negoziati di Vienna sullo status del Kosovo giungono a una situazione di stallo. La Serbia respinge l’indipendenza del Kosovo, ma l’offerta di un’amplissima autonomia alla provincia albanese viene a sua volta respinta dalla leadership nazionalista kosovara. Il 3 febbraio 2008 il leader del Partito democratico Boris Tadić è rieletto alla presidenza serba battendo per pochi voti il candidato nazionalista Tomislav Nikolić. Il 17 febbraio il Parlamento di Priština proclama l’indipendenza del Kosovo, che la Serbia giudica illegale. Il 21 febbraio, ai margini di una folta manifestazione promossa dal governo serbo a Belgrado, gruppi ultranazionalisti assaltano l’ambasciata degli Stati Uniti. I contrasti tra il presidente Tadić, propenso ad accettare l’indipendenza del Kosovo in cambio dell’ingresso nell’Unione Europea, e il premier Kostunica provocano le dimissioni di quest’ultimo e il ricorso alle elezioni anticipate. Per una Serbia europea, la coalizione promossa dal Partito democratico di Boris Tadić, vince le elezioni del maggio 2008 senza ottenere tuttavia una maggioranza sufficiente a governare il paese. Al secondo posto si piazza l’ultranazionalista Partito radicale, seguito dal Partito democratico serbo e dal Partito socialista. 17 4 SERBIA Superficie: 88.361 Km² Abitanti: 9.397.000 (stime 2005, per il Kosovo i dati sono risalenti all'ultimo censimento) Densità: 106 ab/Km² Forma di governo: Repubblica federale Capitale: Belgrado (1.120.000 ab., 1.576.000 aggl. urbano) Altre città: Novi Sad 299.000 ab., Nis 251.000 ab., Kragujevac 176.000 ab., Pristina 166.000 ab. Gruppi etnici: Serbi 66%, Albanesi 21,5%, Ungheresi 3%, Bosniaci 1,5%, altri 8% Paesi confinanti: Croazia e Bosnia Erzegovina a OVEST, Ungheria a NORD, Romania e Bulgaria ad EST, Montenegro a SUD-OVEST, Macedonia e Albania a SUD Monti principali: Deravica 2656 m, Peskovi 2651 m Fiumi principali: Danubio 588 Km (tratto serbo, totale 2858 Km), Zapadna Morava 308 Km, Laghi principali: Lago di Derdap 178 Km² (artificiale - parte serba, totale 253 Km²) Isole principali: Ostrvo (nel Danubio) 60 Km² Clima: Temperato continentale Lingua: Serbo (ufficiale), Albanese, Ungherese Religione: Ortodossa 68%, Musulmana 20%, Cattolica 4,5%, altro 7,5% Moneta: Dinaro (in Serbia), Euro (in Kosovo) MONTENEGRO Superficie: 13.812 Km² Abitanti: 624.000 Densità: 45 ab/Km² Forma di governo: Repubblica Capitale: Podgorica (173.000 ab.) 17 5 Altre città: Niksic 75.000 ab. Gruppi etnici: Montenegrini 43%, Serbi 32%, Bosniaci 8%, Albanesi 5%, altri 12% Paesi confinanti: Croazia ad OVEST, Bosnia Erzegovina a NORD-OVEST, Serbia ad EST, Albania a SUD Monti principali: Bobotov Kuk (Durmitor) 2522 m, Maja Rozit 2522 m Fiumi principali: Tara 141 Km (tratto montenegrino, totale 146 Km), Lim 123 Km (tratto montenegrino, totale 220 Km), Cehotina 100 Km (tratto montenegrino, totale 125 Km) Laghi principali: Lago di Scutari 222 Km² (parte albanese, totale 370 Km²) Isole principali: Vranjina (nel lago di Scutari) 4,8 Km², Isola di Sveti Nikola Clima: Continentale-mediterraneo Lingua: Serbo (ufficiale), Bosniaco, Albanese, Croato Religione: Ortodossa 74%, Musulmana 18%, altro 8% Moneta: Euro 17 6 SLOVACCHIA Le tribù slave occuparono l'attuale Slovacchia nel V secolo d.C. Nell'anno 833 il principe di Moravia conquistò Nitra e creò l'impero della Grande Moravia, che comprendeva la Slovacchia centrale e occidentale, la Repubblica ceca e parti della Polonia, dell'Ungheria e della Germania. L'impero si convert ì al cristianesimo con l'arrivo dei fratelli missionari di Tessalonica, Cirillo e Metodio, nell'863. Nel 907 l'impero della Grande Moravia crollò a causa degli intrighi politici dei suoi governanti e dell'invasione ungherese. Nel 1018 l'intera Slovacchia fu annessa all'Ungheria e restò dominio magiaro per i successivi 900 anni, anche se dal 1412 al 1772 la regione di Spis nella Slovacchia orientale rimase sotto la giurisdizione polacca. Dopo un'invasione dei Tatari nel XIII secolo, il re ungherese invit ò i Sassoni tedeschi a stabilirsi nelle spopolate regioni lungo il confine nordorientale. Quando i Turchi sconfissero l'Ungheria all'inizio del XVI secolo, la capitale magiara fu trasferita da Buda (parte dell'odierna Budapest) a Bratislava. Solo nel 1686 la presenza ottomana fu definitivamente respinta a sud del Danubio. La formazione dell'impero austro-ungarico nel 1867 rese l'Ungheria indipendente 17 7 nelle questioni interne e in Slovacchia fu avviata una politica di 'magiarizzazione' forzata tra il 1868 e il 1918. Nel 1907, l'ungherese divenne l'unica lingua utilizzata per l'istruzione elementare. In reazione a tutto ciò, gli intellettuali slovacchi stabilirono legami culturali pi ù stretti con i Cechi, a loro volta sudditi austriaci. Il concetto di un singolo stato ceco-slovacco nacque per scopi politici e, dopo la sconfitta dell'impero austro-ungarico nella prima guerra mondiale, Slovacchia, Rutenia, Boemia e Moravia furono unite per formare la Cecoslovacchia. Le tendenze centralizzatrici dei cechi infastidirono molti slovacchi e, dopo l'accordo di Monaco del 1938 che obbligò la Cecoslovacchia a cedere parte dei propri territori alla Germania, la Slovacchia dichiar ò la propria autonomia. Il giorno prima che le truppe di Hitler invadessero il territorio ceco, nel marzo del 1939, fu istituito uno stato fantoccio guidato da monsignor Jozef Tiso (giustiziato nel 1947 come criminale di guerra) e la Slovacchia divenne un alleato della Germania. Nell'agosto 1944, i partigiani slovacchi diedero vita all'insurrezione nazionalista slovacca e occorsero diversi mesi ai nazisti per soffocarla. Agli inizi del 1945, due mesi prima della liberazione di Praga e nell'imminenza dell'avanzata russa, fu formato a Kosice un governo cecoslovacco. La seconda Cecoslovacchia, costituita dopo la guerra, avrebbe dovuto avere carattere federale, ma con la salita al potere dei comunisti nel febbraio 1948, l'amministrazione fu ancora una volta centralizzata a Praga. Molti di coloro che si opposero alla nuova dittatura comunista furono eliminati senza piet à, torturati o ridotti alla fame nei campi di lavoro. Sebbene la costituzione del 1960 garantisse a cechi e slovacchi eguali diritti, questo concetto fu realmente messo in atto soltanto con le riforme della 'Primavera di Praga', introdotte nel 1968 da Alexander Dubcek. Nell'agosto del 1968 le truppe sovietiche intervennero per sopprimere le riforme democratiche e nonostante Repubblica ceca e Slovacchia fossero teoricamente membri paritari della confederazione, il potere restò a Praga. 17 8 La caduta del comunismo in Cecoslovacchia nel 1989 port ò alla rinascita del nazionalismo e ad agitazioni in favore dell'autonomia della Slovacchia. Dopo l'elezione del nazionalista Vladimir Meciar nel giugno 1992, il parlamento slovacco votò per dichiarare la propria sovranit à e la federazione fu dissolta pacificamente il 1 ° gennaio 1993. Meciar fu sfiduciato come primo ministro nel marzo del 1994 a causa della recessione economica e delle sue tendenze sempre pi ù autoritarie, ma dopo le elezioni effettuate alcuni mesi più tardi egli riuscì a formare un nuovo governo di coalizione. Il governo semi-autoritario di Meciar ha attirato critiche in altri ambiti. Esiste una legge volta a proteggere la Repubblica che prevede l'arresto di chiunque critichi il governo; inoltre, i mezzi di informazione sono sotto stretto controllo. Lo slovacco è stato dichiarato unica lingua ufficiale, questo significa che la cospicua minoranza ungherese è diffidata dall'usare la madre lingua nei luoghi pubblici. Maciar ha ricevuto critiche da diverse organizzazioni per i diritti umani e da diversi leader dei paesi occidentali. Le seconde elezioni della storia della Repubblica slovacca si sono tenute nel 1998, ma nessun candidato è riuscito ad aggiudicarsi la maggioranza richiesta dalla legge. Rudolf Schuster, del partito SOP, ha vinto le successive elezioni presidenziali nel maggio 1999, che lo vedranno ricoprire la carica di presidente per un periodo di cinque anni. Nonostante alle elezioni del settembre 2002 abbia ottenuto la maggioranza relativa, l'autocratico Movimento per la Slovacchia democratica (Hzds), guidato dal tre volte premier Vladimir Meciar, non ha i numeri per governare. Inoltre, Meciar è isolato in ambito internazionale per la sua linea politica, tracciata negli anni Novanta, ostile all'Unione Europea e alla Nato. Il nuovo governo è stato dunque formato dalla coalizione di centro-destra guidata dal primo ministro Mikulas Dzurinda, favorevole all'ingresso nelle organizzazioni occidentali. All'apertura del vertice della NATO a Praga, il 21 novembre 2002, i leader dei 17 9 diciannove paesi membri hanno formalmente invitato a entrare, entro il 2004, nell'Alleanza Atlantica sette paesi che in passato appartennero alla cosiddetta cortina di ferro: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica slovacca, Romania, Slovenia. La Repubblica slovacca ha detto sì all'ingresso nell'Unione Europea con il 92,6% dei votanti e dal primo maggio 2004, insieme ad altri nove paesi (Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Ungheria, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta e Cipro), è divenuta tutti gli effetti membro dell'Unione Europea. L'affluenza registrata per il referendum d'adesione del maggio 2003 è stata del 52,12%. Nel maggio 2005, il parlamento slovacco ha ratificato la costituzione europea. 18 0 Superficie: 49.035 Km² Abitanti: 5.380.000 (stime 31/12/2003) Densità: 110 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Bratislava (429.000 ab.) Altre città: Kosice 236.000 ab., Presov 92.800 ab., Nitra 87.300 ab., Zilina 85.400 ab., Banská Bystrica 83.100 ab. Gruppi etnici: Slovacchi 86%, Ungheresi 9,5%, Romeni 1,5%, Cechi 1%, altri 2% Paesi confinanti: Polonia a NORD, Repubblica Ceca ed Austria ad OVEST, Ungheria a SUD, Ucraina ad EST Monti principali: Monte Gerlach 2655 m Fiumi principali: Danubio 2858 Km (totale, compresi tratti tedesco, austriaco, ungherese, croato, serbo-montenegrino, romeno, bulgaro e ucraino), Vah 390 Km Laghi principali: Orava 35 Km² (artificiale), Zemplinska Sirava 33 Km² (artificiale) Clima: Continentale Lingua: Slovacco (ufficiale), Ungherese Religione: Cattolica 69%, Atei/Non religiosi 13%, Evangelica 7%, Cattolica greca 4%, altro 7% Moneta: Corona slovacca 18 1 SLOVENIA I primi sloveni si insediarono nelle valli dei fiumi del bacino del Danubio e sulle Alpi Orientali nel VI secolo. Nel 748 la Slovenia passò sotto il controllo delle popolazioni dell'attuale Germania, prima con l'impero franco dei Carolingi, che convertirono la popolazione al cristianesimo, e poi come parte del Sacro Romano Impero nel IX secolo. La monarchia austro-tedesca conquistò il paese all'inizio del XIV secolo e continuò a mantenere il controllo (a partire dal 1804, come Impero asburgico) fino al 1918, con un'unica breve interruzione. Durante questi sei secoli, le classi sociali pi ù alte furono completamente germanizzate, mentre i contadini mantennero la loro identità slava (pi ù tardi slovena). Nel 1809, in un tentativo di isolare l'impero asburgico dall'Adriatico, Napoleone fondò le cosiddette province dell'Illiria (Slovenia, Dalmazia e parte della Croazia) e stabilì la capitale a Lubiana (dove è ancora oggi). Gli Asburgo tornarono nel 1814, ma le riforme francesi nel campo dell'istruzione, del diritto e della pubblica amministrazione resistettero. La rivoluzione culturale che attravers ò l'Europa nel 1848 accrebbe la coscienza politica e nazionale degli 18 2 sloveni; dopo la prima guerra mondiale e la caduta dell'impero austro-ungarico, la Slovenia entrò a far parte del cosiddetto regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Durante la seconda guerra mondiale gran parte della Slovenia venne annessa dalla Germania, mentre l'Italia e l'Ungheria ne presero solo una minima parte. I partigiani sloveni lottarono contro gli invasori dalle loro basi di montagna. Nel 1945 la Slovenia si un ì alla Repubblica Iugoslava e rimase per molti decenni dietro alla cortina di ferro. Gli sloveni si preoccuparono quando la Serbia, alla fine degli anni '80, iniziò a muoversi per affermare la sua supremazia culturale ed economica sulle altre repubbliche iugoslave. Alla fine del 1988, quando Belgrado pose improvvisamente fine all'indipendenza del Kossovo, gli sloveni iniziarono a temere che anche a loro sarebbe potuta accadere la stessa cosa. Ciò che spinse gli sloveni a dividersi dalla Iugoslavia fu il fatto che da alcuni anni gli interessi della Slovenia avevano cominciato a spostarsi verso il nord e l'occidente capitalistico. Allo stesso tempo, il suo legame con il resto della Iugoslavia era diventato un fardello economico e una minaccia politica. Nella primavera del 1990, la Slovenia fu la prima repubblica iugoslava a indire elezioni libere e a porre fine a 45 anni di comunismo. Nel dicembre dello stesso anno, gli elettori si espressero pressoch É all'unanimità (90%) a favore di una repubblica indipendente. Temendo il peggio, il governo sloveno iniziò a fare incetta di armi e il 25 giugno 1991 usc ì dalla federazione iugoslava una volta par tutte. Per dare enfasi alla sua lotta per l'indipendenza e per ottenere l'appoggio della comunit à internazionale, la Slovenia provoc ò deliberatamente la guerra con l'esercito federale iugoslavo tentando di assumere il controllo dei posti di blocco presso la frontiera. Seguì una guerra della durata di 10 giorni, ma la resistenza dei militari sloveni fu molto forte e, dal momento che non c'erano in gioco pretese territoriali o questioni relative a minoranze etniche, il governo iugoslavo acconsentì a un armistizio proposto dalla Comunità Europea. La Slovenia ottenne subito una nuova 18 3 costituzione e, il 15 gennaio 1992, la Comunità Europea riconobbe formalmente il nuovo stato. Nel maggio del 1992 la Slovenia fu ammessa a far parte delle Nazioni Unite. Nell'ottobre del 2000, nella terza tornata elettorale nazionale dall'indipendenza, il Partito Liberaldemocratico torn ò al potere e Janez Drnovsek riprese l'incarico di primo ministro dal quale era stato sollevato sei mesi prima, quando la sua coalizione aveva perso la maggioranza. Candidatosi alla presidenza, Janez Drnovsek ha vinto il ballottaggio del 1 ° dicembre 2002, superando Barbara Brezigar, esponente del centro-destra, e dal 23 dicembre è il nuovo presidente. Le tappe fondamentali del nuovo mandato presidenziale saranno l'allargamento della NATO e l'ingresso nell'Unione Europea. Entrambe sono già state tracciate. All'apertura del vertice della NATO a Praga, il 21 novembre 2002, i leader dei diciannove paesi membri hanno formalmente invitato la Slovenia a entrare, entro il 2004, nell'Alleanza Atlantica insieme ad altri sei paesi che in passato appartennero alla cosiddetta 'cortina di ferro': Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Slovacca e Romania. Nel marzo 2003, il referendum di adesione all'Alleanza Atlantica ha ottenuto il 66% dei voti, mentre il 90% degli elettori ha votato a favore dell'Unione Europea. Il 2 aprile 2004 la Slovenia è ufficialmente entrata nella NATO. La Slovenia ha firmato il 16 aprile ad Atene la sua adesione all'Unione Europea ed è entrata a farne parte a tutti gli effetti il primo maggio del 2004, insieme ad altri nove paesi: Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta e Cipro. Alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, in giugno, la coalizione liberaldemocratica al governo ha ottenuto il 21,9% dei voti ma è stata superata dal 23,5% raccolto dal partito conservatore all'opposizione, Nova Sloveniya. In un referendum svoltosi nel 2004, a sorpresa, il popolo sloveno ha detto 'no' alla proposta del governo di riconoscere i diritti civili e di propriet à alle persone 18 4 originarie di Croazia, Bosnia Erzegovina e Serbia ma residenti in Slovenia. 18 5 Superficie: 20.273 Km² Abitanti: 1.999.000 (30/9/2004) Densità: 99 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Lubiana (258.900 ab.) Altre città: Maribor 93.800 ab., Celje 37.800 ab., Kranj 35.600 ab. Gruppi etnici: Sloveni 83%, Serbi 2%, Croati 2%, Bosniaci 1%, altri 12% Paesi confinanti: Italia a OVEST, Austria a NORD, Ungheria ad EST, Croazia a SUD ed EST Monti principali: Triglav (Monte Tricorno) 2864 m Fiumi principali: Sava 221 Km (tratto sloveno, totale 947 Km), Drava 142 Km (tratto sloveno, totale 707 Km) Laghi principali: Cerknisko jezero 24 Km² Clima: Continentale - mediterraneo Lingua: Sloveno (ufficiale), Serbo-Croato Religione: Cattolica 58%, Non religiosi/Atei 10%, Musulmana 2,5%, Ortodossa 2,5%, altro 27% Moneta: Euro (dal 1° Gennaio 2007 ha sostituito il tallero) 18 6 UCRAINA La storia antica dell’Ucraina rappresenta un capitolo importante nella più generale storia russa. Kiev, centro di un fiorente principato tra il IX e il XIII secolo, è ancor oggi nota come la 'madre delle città russe'. La dominazione polacca Nel XIII secolo l’area tra il Dnepr e i Carpazi subì l’invasione dei mongoli, che determinò il declino e poi lo smembramento del principato di Kiev. Conservò la propria indipendenza il principato occidentale di Galizia (fondato nel XII secolo), che passò sotto il controllo della Polonia nel corso del XIV secolo. In questo stesso periodo Kiev e il principato ucraino di Volinia furono conquistati dalla Lituania ma, sul finire del XIV secolo, caddero anch’essi sotto il controllo polacco. Contro le mire espansionistiche della Polonia sulle vaste steppe a est del Dnepr, i cosacchi animarono una tenace resistenza, culminata nel 1648 in una violenta rivolta. Nel 1654, offrendo protezione ai cosacchi, la Russia avviò la sua penetrazione in Ucraina. Nel 1667, la Polonia cedette definitivamente la regione alla Russia, che stroncò i tentativi (1707-1708) dei cosacchi di sottrarsi al suo dominio. In seguito alle prime due spartizioni della Polonia (1722 e 1793), tutta la regione cadde sotto l’autorità russa, a eccezione della Galizia, della Bucovina e della Transcarpazia, incorporate nell’impero austroungarico (1722). La dominazione russa Caterina la Grande incoraggiò la colonizzazione dell’Ucraina, che divenne il principale bacino agricolo dell’impero. Verso la fine del XIX secolo la regione visse anche un forte sviluppo industriale, il quale, concentrato nelle aree di Kiev e nel bacino del Donez, attrasse molta manodopera russa. Nel 1848, una violenta rivolta scoppiata nei domini austro-ungarici e sconfinata a est ebbe come esito l’abolizione della servitù della gleba e la concessione di una Costituzione. Nella seconda metà del secolo l’Ucraina vide la comparsa, soprattutto nelle città, di un movimento culturale e politico di stampo nazionalista, prontamente represso dalle autorità russe, che nel 1863 e nel 1876 proibirono l’uso della lingua ucraina nelle scuole. Il nazionalismo ucraino poté invece ampiamente svilupparsi nei territori occidentali governati dagli austroungarici, grazie al benevolo atteggiamento delle autorità. Rivoluzione nazionale e sociale Con i profondi sommovimenti determinati dalla prima guerra mondiale, l’Ucraina si ritrovò a sperimentare un’intensa e complessa stagione politica. Nel novembre del 1917, in seguito alla rivoluzione bolscevica, i nazionalisti ucraini raccolti nella Rada proclamarono una repubblica autonoma con sede a Kiev, guidata da Simon Petlyura. A questa si contrapposero sia un movimento contadino guidato dall’anarchico Nestor Machno, sia un movimento di tendenze bolsceviche, diffuso soprattutto tra gli operai di origini russe; il primo congresso dei soviet dell’Ucraina, celebrato nello stesso mese di novembre a Kharkiv, proclamò a sua volta una repubblica sovietica. Occupata nel 1918 dalle truppe austrotedesche in seguito alla pace di Brest-Litovsk, la regione fu sconvolta per tre anni dallo scontro che oppose le armate bianche ai bolscevichi. Nel 1918, i territori affrancatisi dal dominio austriaco proclamarono una loro repubblica nella Galizia orientale (1918). Nel 1920, l’avanzata dei bolscevichi nell’Ucraina orientale favorì l’alleanza tra il governo nazionalista di Petlyura, insediato a Kiev, e la Polonia. Nel 1921, con il trattato di Riga, l’Ucraina restò sotto il controllo bolscevico, a eccezione della Galizia orientale e della Volinia, che furono assegnate alla Polonia. L'Ucraina sovietica Diventata nel 1922 repubblica federata dell’Unione Sovietica, per alcuni anni l’Ucraina godette di una relativa autonomia. Ma i tentativi compiuti dal Michailo Šypnyk di rafforzare la repubblica in senso nazionale, pur nel contesto federativo sovietico, vennero vanificati dai drammatici eventi degli anni Trenta, quando la collettivizzazione dell’agricoltura imposta da Mosca provocò una grave carestia e la morte di alcuni milioni di persone e l’offensiva antinazionalista lanciata da Stalin colpì duramente, oltre che gli intellettuali nazionalisti, i quadri comunisti ucraini. La II Guerra mondiale In seguito all’estensione del controllo sovietico sulla Polonia orientale previsto nel patto Molotov-Ribbentrop, nel 1939 la Galizia polacca fu incorporata nella repubblica federata di Ucraina. Nel 1941, confidando nella possibilità di costituire una repubblica autonoma sotto la protezione della Germania, i nazionalisti ucraini accolsero favorevolmente le truppe tedesche. La brutalità dell’occupazione nazista, che in Ucraina assunse aspetti profondamente razzisti, indusse tuttavia i nazionalisti a rivolgere le armi contro i tedeschi, conducendo nel contempo una lotta armata contro i sovietici, che sarebbe durata, con sacche di resistenza armata, anche dopo la fine della guerra. Nel 1944 l’Ucraina ripassò sotto il controllo delle forze sovietiche, che scatenarono una feroce repressione nei confronti della popolazione, accusata collettivamente di collaborazionismo con i nazisti. Dopo la fine del conflitto, alcune zone della Bessarabia e della Bucovina settentrionale rumena furono incorporate al territorio ucraino, con l’aggiunta (1945) della regione rutena della Cecoslovacchia e, nel 1954, della Crimea. La restaurazione del potere sovietico in Ucraina si accompagnò a persecuzioni politiche, linguistiche e religiose e a deportazioni di massa. Nella seconda metà degli anni Quaranta, gli ucraini andarono a infoltire le schiere del sistema concentrazionario dei gulag. La russificazione della regione continuò anche dopo la morte di Stalin, ma il nuovo corso aperto a Mosca produsse in Ucraina una parziale apertura politica che si interruppe nel 1968 con la primavera di Praga. Nei due decenni che seguirono, l’Ucraina fu tenuta in condizioni di sostanziale subalternità alla Russia. Nel 1986, sul paese si abbatté la catastrofe nucleare di Černobyl, i cui deleteri effetti economici e sanitari si sarebbero protratti per molti anni. L’incidente di Černobyl e il contemporaneo processo di riforma avviato a Mosca da Michail Gorbaciov con la perestrojka favorirono un inedito intreccio tra rivendicazioni nazionali, lotta per i diritti civili ed ecologismo, di cui si fecero sostenitori sia i nazionalisti sia i comunisti riformatori. L'indipendenza Nel 1991, in seguito al collasso del regime sovietico, l’Ucraina proclamò la sua indipendenza, sancita nello stesso anno da un referendum e dalle elezioni presidenziali che portarono alla guida del paese Leonid Makarovič Kravčuk, il leader del Partito comunista ucraino. Nel dicembre 1992, il primo ministro Leonid Kučma avviò una serie di riforme economiche che coincisero con una grave crisi economica e una violenta inflazione. Subito dopo l’indipendenza si manifestarono tensioni tra Russia e Ucraina per il possesso della Crimea. Appoggiata dai russi, nel 1992 la Crimea proclamò l’indipendenza (in seguito ritirata); nel contempo Mosca denunciò l’accordo con il quale nel 1954 la regione era stata concessa all’Ucraina. La questione si appianò nel 1995, quando la Russia rinunciò formalmente a rivendicazioni sulla regione. Un altro motivo di contrasto russo-ucraino riguardò la flotta del Mar Nero, stazionata nelle acque del porto di Sebastopoli. Nel 1992 i due paesi stabilirono un controllo congiunto sulla flotta fino al raggiungimento di un accordo definitivo. Nel 1994, in un quadro di forte crisi economica, il presidente Kravčuk cedette parte dell’arsenale nucleare ucraino alla Russia, in cambio di combustibile destinato alla produzione di energia. Agli inizi del 1994, per favorire lo smantellamento dei depositi di armi nucleari presenti nel paese e la chiusura dell’obsoleta centrale di Černobyl, gli Stati Uniti incrementarono i loro aiuti all’Ucraina. In cambio, Kiev aderì al programma Partnership for Peace, che portò l’Alleanza atlantica a ridosso dei confini russi. Eletto alla presidenza del paese (luglio), Kučma tentò di avviare un programma di riforme economiche, scontrandosi con la maggioranza parlamentare comunista e con una forte opposizione sociale. Nonostante gli aiuti del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, la situazione economica del paese rimase critica. La crisi finanziaria che colpì la Russia nel 1998 si rifletté pesantemente sull’economia ucraina, vanificando i modesti risultati ottenuti da Kučma. La scena politica, dominata da potentissimi clan e caratterizzata da una diffusa corruzione e da un aspro scontro tra Parlamento e presidenza, non subì sostanziali cambiamenti con le elezioni del 1998; il Partito comunista, risultato primo partito, rimase fuori dal governo di coalizione guidato da Viktor Yuščenko, fautore di una riforma economica di stampo neoliberista. Le elezioni di ottobre-novembre 1999 confermarono Kučma alla carica di presidente, ma solo grazie a un elevato astensionismo e a innumerevoli brogli, che causarono la sospensione degli aiuti internazionali. Sul piano diplomatico il paese compì notevoli passi in avanti, pervenendo a diversi accordi con i paesi vicini (Polonia, Romania e Bielorussia) sulle delicate questioni dei confini e delle minoranze presenti nei vari paesi. Permasero invece problemi con la Russia, anche se i due paesi firmarono un accordo con il quale Mosca riconosceva la sovranità di Kiev sulla Crimea, in cambio della concessione del porto di Sebastopoli per vent’anni. Agli inizi del 2000, dopo diversi tentativi di riavviare l’ultimo reattore operante della centrale nucleare di Černobyl, il governo ucraino deliberò la chiusura definitiva dell’impianto. Nel 2000 si intensificarono le tensioni tra il presidente Kučma e le opposizioni. Alimentato dalle attitudini autocratiche del presidente, che tentò con un referendum di limitare il ruolo del Parlamento, lo scontro sfociò in una gravissima crisi istituzionale nel febbraio del 2001, quando Kučma venne accusato dalle opposizioni dell’assassinio del giornalista Gheorghi Gongadze, autore di numerose inchieste sulla corruzione del sistema politico ucraino. Temendo la perdita di controllo sulle privatizzazioni, Kučma si oppose al piano economico del primo ministro Yuščenko, favorevole a una più decisa apertura del mercato ucraino ai paesi occidentali, costringendolo a dimettersi. Nelle elezioni legislative di aprile 2002 il Blocco Viktor Yuščenko Nostra Ucraina diventò il primo partito ucraino con il 23,6% dei voti e 112 seggi; il Partito comunista, con il 20% dei voti, ottenne solo 66 seggi, perdendo molte delle sue posizioni. Kučma diede l’incarico di formare il nuovo governo a Viktor Yanukovič, esponente della lobby politico-economica filorussa della regione del Donbass. Nei mesi seguenti, il paese vide il moltiplicarsi delle manifestazioni di protesta da parte delle opposizioni, sia di quella comunista, contraria allo smantellamento delle conquiste sociali del vecchio regime, sia di quella filoccidentale, diventata di mese in mese più incisiva, di Yuščenko. Kučma riuscì tuttavia a puntellare il suo traballante regime grazie a un riavvicinamento politico ed economico alla Federazione russa, con la quale tra il 2003 e il 2004 firmò una serie di accordi economici e politici, soprattutto in materia territoriale (delimitazione della frontiera marittima sul mar d’Azov) ed energetica. Nell’imminenza delle elezioni presidenziali, si acuì lo scontro istituzionale. Sostenute da una straordinaria mobilitazione popolare, le opposizioni riuscirono a contrastare nel Parlamento l’offensiva di Kučma, respingendo a più riprese le sue proposte di modificare l’equilibrio dei poteri a favore della presidenza. Sottoposto infine al rischio di destituzione, Kučma preparò la sua uscita dalla scena politica, riavvicinandosi clamorosamente agli Stati Uniti; nella primavera del 2003, Kučma schierò infatti un contingente militare ucraino accanto alle truppe statunitensi nell’operazione militare che portò al rovesciamento del regime di Saddam Hussein in Iraq, ottenendone in cambio assicurazioni di immunità. La “rivoluzione arancione” Il primo turno delle elezioni presidenziali (31 ottobre 2004) si concluse ufficialmente con la sostanziale parità tra i due candidati; il primo ministro Viktor Yanukovič, sostenuto dal presidente Kučma, ottenne infatti il 39,9% dei voti, contro il 39,2% del leader dell’opposizione filoccidentale Viktor Yuščenko. Il voto fu tuttavia considerato irregolare sia dalle opposizioni, che denunciarono molti brogli, sia dagli osservatori internazionali. In seguito alla protesta delle opposizioni (la cosiddetta “rivoluzione arancione”), che occuparono pacificamente per molti giorni le piazze delle principali città ucraine, la Corte suprema annullò il risultato, ordinando la ripetizione del voto. Il clima politico, già molto teso, si aggravò in seguito alle dichiarazioni di Yuščenko, che denunciò di aver subito un tentativo di avvelenamento all’inizio dell’autunno. La denuncia fu confermata da autorità mediche austriache, che attribuirono alla somministrazione di una massiccia dose di diossina l’infezione virale e la devastante acne che avevano colpito Yuščenko durante la campagna elettorale. Il 26 dicembre, con il 52% dei suffragi, Yuščenko conquistò al primo turno la presidenza ucraina. Il risultato fu confermato agli inizi di gennaio del 2005 dalla Commissione elettorale, che respinse tutti i ricorsi presentati da Yanukovič. Nel gennaio 2005, Yulia Tymošenko, protagonista della “rivoluzione arancione”, fu chiamata dal presidente Yuščenko a formare il nuovo governo, ma lasciò la carica già in settembre in seguito a un caso di corruzione. Durante l’inverno si accese un’aspra polemica tra la Russia e l’Ucraina per le forniture di gas, che il governo di Mosca sospese a gennaio, per diversi giorni, fino alla firma di un nuovo accordo. Le elezioni del marzo 2006 registrarono la crisi della coalizione Nostra Ucraina del presidente Yuščenko, che ottenne solo il 14% dei voti e 81 seggi; si affermarono le opposizioni del Partito delle regioni di Viktor Yanukovič (32% dei voti e 186 seggi) e del Blocco di Yulia Tymošenko (22% dei voti e 129 seggi). Le profonde divisioni tra i partiti filoccidentali dei due protagonisti della “rivoluzione arancione” Viktor Yuščenko e Yulia Tymošenko provocarono il fallimento delle trattative per la formazione del governo. Per scongiurare nuove elezioni, il presidente Yuščenko fu infine costretto ad affidare la guida del governo al suo acerrimo avversario Viktor Yanukovič. La vita politica del paese continuò tuttavia a soffrire di una profonda instabilità, registrando aspri scontri tra la fazione filoccidentale e quella filorussa. Nel febbraio 2007 le dimissioni del ministro degli Esteri Boris Tarasyuk, stretto alleato del presidente Yuščenko, aprirono un nuovo periodo di crisi, che portò il paese sull’orlo del conflitto civile. Sviluppi recenti Nel marzo 2007 le strade della capitale sono teatro di un preoccupante confronto tra i sostenitori del presidente e quelli del primo ministro. In aprile il presidente Yuščenko scioglie il Parlamento e chiama il paese alle urne, sollevando un’ondata di proteste. Le nuove elezioni, che si svolgono a settembre, registrano la vittoria del Partito delle regioni di Viktor Yanukovič (34,3% dei voti e 175 seggi), che tuttavia perde 11 seggi rispetto alle elezioni precedenti; al secondo e al terzo posto si piazzano il Blocco di Yulia Tymošenko (30% dei voti e 156 seggi) e la coalizione Nostra Ucraina del presidente Viktor Yuščenko (14% dei voti e 72 seggi). Dopo lunghe e complesse trattative, a dicembre Yulia Tymošenko forma il nuovo governo. Superficie: 603.700 Km² Abitanti: 47.622.000 Densità: 79 ab/Km² Forma di governo: Repubblica presidenziale Capitale: Kiev (2.639.000 ab., 3.200.000 aggl. urbano) Altre città: Kharkiv 1.464.000 ab. (1.675.000 aggl. urbano), Dnipropetrovsk 1.063.000 ab. (1.450.000 aggl. urbano), Odessa 1.013.000 ab. (1.100.000 aggl. urbano), Donetsk 1.004.000 ab. (1.700.000 aggl. urbano), Zaporizhzhia 815.000 ab., Leopoli 733.000 ab., Kryvyi Rih 669.000 ab., Mykolaiv 514.000 ab. Gruppi etnici: Ucraini 78%, Russi 17,5%, Bielorussi 0,6%, Moldavi 0,5%, Tatari 0,5%, Bulgari 0,4%, altri 2,5% Paesi confinanti: Bielorussia a NORD, Russia ad EST e NORD-EST, Moldavia e Romania a SUD-OVEST, Ungheria, Slovacchia e Polonia ad OVEST Monti principali: Goverla 2061 m, Brebenskoul 2032 m Fiumi principali: Dnepr 1121 Km (tratto ucraino, totale 2201 Km), Dnestr 925 Km (tratto ucraino, totale 1370 Km), Bug meridionale 806 Km, Donec 700 Km (tratto ucraino, totale 1053 Km), Horyn' 577 Km (tratto ucraino, totale 659 Km), Desna 575 Km (tratto ucraino, totale 1130 Km), Inhulets 549 Km, Psel 520 Km (tratto ucraino, totale 692 Km) Laghi principali: Yalpuh 149 Km², Kahul 93 Km², Kuhurluy 82 Km² Isole principali: Dzharylgach 60 Km² Clima: Continentale Lingua: Ucraino (ufficiale), Russo Religione: Atei/Non religiosi 57,5%, Ortodossa 30%, Cattolica 8%, Protestante 3,5%, altro 1% Moneta: Hrivna ucraina UNGHERIA Popolata fin dal neolitico, la regione fece parte delle province romane di Dacia e Pannonia, le prime dell’impero a subire le invasioni delle popolazioni germaniche, le quali furono soppiantate successivamente dagli unni. Dopo la morte di Attila, il territorio fu ripopolato da tribù germaniche, che nel corso del V secolo vennero scacciate dagli avari. Declinato il potere di questi ultimi, durante l’VIII secolo la popolazione slava dei moravi si stabilì nelle aree settentrionali e orientali della regione, mentre quelle sudoccidentali caddero sotto l’influenza carolingia. I magiari Nel IX secolo, sotto la pressione dei peceneghi, la popolazione ugro-finnica dei magiari si spostò a occidente, stabilendosi nelle pianure pannoniche. Sotto la guida del principe leggendario Arpad i magiari conquistarono la Moravia, irrompendo anche in Italia, dove si scontrarono con Berengario, e in Germania. L’espansione magiara proseguì per più di mezzo secolo dopo la morte di Arpad (907). Sconfitti nel 955 dall’imperatore Ottone I, i magiari stabilirono un legame sempre più saldo con il Sacro romano impero, aprendosi all’influenza politica e religiosa occidentale. Géza, un discendente di Arpad, convertitosi al cristianesimo nel 975, gettò le basi di uno stato che il figlio Stefano I sviluppò anche grazie al sostegno della Chiesa di Roma: nel Mille egli venne infatti riconosciuto formalmente sovrano da papa Silvestro II. Con Stefano I, detto il Santo, l’Ungheria si dotò di una nuova organizzazione politica e di un vero e proprio sistema amministrativo basato sulla divisione del territorio in comitati. Stefano sostenne l’attività degli ordini religiosi, favorendo la diffusione del cristianesimo. Alla sua morte, il paese fu coinvolto nel conflitto tra impero e papato, prendendo le parti di quest’ultimo. Grazie all’alleanza con papa Gregorio VII, Ladislao I rafforzò notevolmente lo stato e inaugurò una politica di espansione, conquistando la Slavonia (1089) e la Croazia (1091) e avviando un lungo conflitto per il dominio della Dalmazia. Nel XII secolo la dinastia degli Arpad si avviò verso il declino. La crescente influenza dell’impero bizantino causò una riorganizzazione feudale dello stato magiaro e il trasferimento di una significativa parte del potere alla nobiltà. Dopo la morte dell’imperatore Manuele I Comneno (1180) l’influenza bizantina si affievolì, ma i grandi feudatari conservarono i titoli e i privilegi acquisiti (Bolla d’oro Super reformationem Regni nostri, 1222). Nel XIII secolo Béla IV (1235-1270) cercò di rinsaldare l’autorità regia, ma il suo tentativo venne vanificato dall’invasione dei mongoli (1241-70), in seguito alla quale si riaffermò il potere dell’oligarchia nobiliare La morte di Andrea III (1301) pose fine alla dinastia degli Arpad. Dopo una dura lotta dinastica che oppose gli Asburgo agli Angiò di Napoli, nel 1308 Carlo Roberto d’Angiò salì sul trono ungherese con il nome di Carlo I d’Ungheria. Ristabilito l’ordine all’interno del regno, Carlo I riaffermò il potere regio limitando i poteri della nobiltà feudale e riprese la politica espansionistica verso i Balcani, conquistando la Bosnia e parte della Serbia. La minaccia ottomana A Carlo I succedette il figlio Luigi I (sul trono fino al 1382), che continuò il progetto paterno impegnandosi a espandere il regno (guerre di conquista contro Venezia). Luigi promosse riforme strutturali e amministrative, lo sviluppo del commercio, della scienza e dell’industria, contenendo nel contempo il potere dei grandi feudatari. Le spedizioni condotte in Italia dopo l’assassinio del fratello Andrea (1345), e quelle contro i lituani (1351-54), indebolirono tuttavia il suo regno, nel momento in cui nei Balcani si profilava la minaccia ottomana. Il successore di Luigi, Sigismondo, incoronato nel 1387, intraprese una crociata contro i turchi, ma fu sconfitto a Nicopoli nel 1396. In seguito, la lotta contro i riformatori hussiti (vedi Guerre hussite), che Sigismondo perseguì con pervicacia, indebolì ulteriormente lo stato ungherese. La minaccia turca tornò ad affacciarsi durante i due anni di regno del genero di Sigismondo, Alberto II d’Asburgo, alla cui morte (1439) si scatenò una violenta lotta di successione che rese il paese nuovamente vulnerabile alla minaccia ottomana, scongiurata dal voivoda Janos Hunyadi, che nel 1456 fermò a Belgrado l’avanzata dei turchi. Il figlio di Hunyadi, Mattia Corvino, fu eletto re d’Ungheria nel 1458; il nuovo monarca riformò il sistema amministrativo del regno, promuovendone lo sviluppo commerciale, e creò un esercito permanente. Nel 1480 strappò il controllo dell’Austria agli Asburgo e conquistò Vienna. Con l’acquisizione di Moravia, Slesia e Lusazia, fece dell’Ungheria il regno più potente dell’Europa centrale. Alla sua morte (1490), l’Ungheria fu riunita dagli Jagelloni alle corone di Polonia e di Boemia. I signori feudali riacquistarono gli antichi privilegi, tornando ad alimentare un clima di intrighi e di lotte di potere che fece precipitare nuovamente il paese nell’instabilità, rendendolo vulnerabile agli attacchi esterni; in questo contesto esplose la rivolta contadina guidata da György Dozsa, soffocata nel sangue nel 1514. La spartizione dell'Ungheria Nell’agosto del 1521 il sultano Solimano I guidò personalmente la presa di Belgrado e Šabac, il caposaldo meridionale del regno. Nell’agosto del 1526, Solimano sconfisse l’esercito ungherese nella battaglia di Mohács – in cui trovò la morte anche il re Luigi II – e il 10 settembre conquistò Buda. Per più di un secolo dopo la sconfitta di Mohács, il paese fu teatro di ripetuti conflitti tra gli imperatori della casa d’Asburgo, che progressivamente s’impadronirono della zona occidentale del regno ungherese, i turchi, che affermarono il loro dominio nella regione centrale, e la nobiltà stanziata soprattutto in Transilvania. Quest’ultima divenne il centro del nazionalismo magiaro, diretto contemporaneamente contro i turchi e gli Asburgo. I magiari abbandonarono la Chiesa cattolica nel periodo della Riforma; durante la Controriforma, furono protagonisti di un aspro conflitto con gli imperatori. Al termine della cosiddetta “Lunga Guerra” (1593-1606), l’imperatore Rodolfo II fu costretto a riconoscere ai signori di Transilvania autonomia politica e religiosa, estensioni territoriali e altri privilegi. Lo scontro proseguì durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648), con il principe di Transilvania Gábor Bethlen che costrinse Ferdinando II ad accordare libertà religiose e politiche alla Transilvania. Giorgio I Rakoczy, succeduto nel 1631 a Bethlen come principe di Transilvania, intensificò l’offensiva contro gli Asburgo e, alleatosi con svedesi e francesi, invase l’Austria nel 1644. L’imperatore Ferdinando III si vide costretto a fare ulteriori concessioni ai magiari, tra cui la libertà totale di culto per la popolazione ungherese soggetta al dominio asburgico. Sotto il principato di Giorgio II Rakoczy (1648-60), i turchi estesero la loro sfera d’influenza alla Transilvania, riducendola gradualmente allo status di provincia. Inoltre, l’azione dei missionari nei territori ungheresi acquisiti dagli Asburgo indusse molti a riabbracciare il cattolicesimo e ad abbandonare la lotta nazionalista. Il conte Imre Thököly compì l’estremo tentativo di opporsi alla casa d’Austria, conseguendo con l’aiuto dei turchi una serie di vittorie sulle forze di Leopoldo I. Fermati i turchi a Vienna (1683), gli Asburgo soffocarono nel sangue la rivolta magiara, imponendo il proprio diritto sulla corona d’Ungheria. Nel 1699, il trattato di Karlowitz lasciò alla Turchia la regione del Banato, mentre la Transilvania veniva riunita ai possedimenti asburgici. Nel 1703, Ferenc II Rakoczy (1676-1735), approfittando del coinvolgimento austriaco nella guerra di successione spagnola, guidò una nuova rivolta contro Vienna, ma nel 1711 l’imperatore Carlo VI offrì ai ribelli, già sconfitti militarmente, accettabili condizioni di pace. La concessione di un’amnistia generale, della libertà di culto e di una serie di autonomie minori favorì l’accordo tra Asburgo e magiari, garantendo all’Ungheria un lungo periodo di stabilità. L’Ungheria uscì devastata dal lungo periodo di conflitto, ma per tutto il Settecento conobbe, soprattutto dopo l’ascesa al trono di Maria Teresa, una forte ripresa economica e culturale e un grande cambiamento sociale. Alla vecchia nobiltà, afflitta da una profonda crisi, si andò infatti sostituendo nel controllo della proprietà terriera un’aristocrazia strettamente legata alla corte di Vienna e spesso di origine straniera. La Rivoluzione francese e il periodo napoleonico videro la nobiltà ungherese conservarsi fedele alla corona asburgica, dando tuttavia nuovo impulso al nazionalismo magiaro. La crescita del movimento liberale, promossa da uomini quali István Széchenyi, Lajos Kossuth e Lajos Batthyány, s’accompagnò a una grande effervescenza letteraria e culminò in una larga vittoria nelle elezioni per il rinnovo della Dieta del 1847. Inizialmente le autorità austriache sottovalutarono questo risultato, ma l’anno successivo l’ondata insurrezionale scoppiata a Vienna (Rivoluzioni del 1848) le indusse a cedere alle richieste ungheresi, autorizzando la formazione di un esecutivo nazionale guidato da Batthyány. La legislazione da questi introdotta nel marzo del 1848 troncava di fatto ogni legame di dipendenza dall’Austria per costituire uno stato indipendente dalla marcata identità magiara; tuttavia, le altre componenti etniche del regno (soprattutto quelle romena e croata) si sentirono discriminate e le loro rivendicazioni furono strumentalmente sostenute da Vienna, che nel settembre tentò di ristabilire la sua egemonia con la forza occupando Budapest. La reazione ungherese diede vita a una strenua resistenza che sfociò nell’aprile 1849 nella proclamazione dell’indipendenza. Con l’appoggio dello zar Nicola I, nell’estate del 1849 l’imperatore Francesco Giuseppe intervenne contro gli ungheresi e dopo una rapida e sanguinosa campagna stroncò ogni resistenza patriottica. Nell’autunno i capi rivoluzionari furono giustiziati o costretti all’esilio e l’autorità asburgica venne pienamente ripristinata. Negli anni seguenti, l’impegno militare richiesto dalla lotta risorgimentale italiana (Guerre d’indipendenza italiane) indusse comunque Francesco Giuseppe ad adottare un atteggiamento conciliante verso i magiari. Nel 1865 il governo imperiale approvò la prima stesura di una nuova costituzione ungherese, ma prima che il documento fosse completato la Prussia sconfisse l’Austria nella guerra austro-prussiana, rafforzando così la posizione negoziale degli ungheresi. In seguito alle condizioni del compromesso (Ausgleich) adottato nel marzo del 1867, la corona ungherese fu riconosciuta autonoma da quella imperiale, benché unificata nella persona dello stesso sovrano. La costituzione concesse all’Ungheria sovranità assoluta nella conduzione degli affari interni e parità con l’Austria per le decisioni relative alla difesa nazionale e agli affari esteri. Su questa base, l’8 giugno 1867 l’imperatore Francesco Giuseppe fu incoronato re d’Ungheria nell’ambito del neocostituito impero austroungarico. La I Guerra mondiale e la repubblica Nei decenni seguenti, l’Ungheria rafforzò la propria coesione, lasciando tuttavia irrisolto il problema, gravissimo, delle minoranze. Allo scoppiare della prima guerra mondiale, i leader politici ungheresi appoggiarono l’Austria, temendo che la vittoria russa avrebbe causato la defezione delle minoranze slave e, con essa, lo smembramento del paese. Tra la leadership magiara vi fu tuttavia anche chi si oppose strenuamente alla guerra, temendo la crescente potenza della Germania. La difficile situazione determinata dal conflitto si aggravò in seguito alla scomparsa di Francesco Giuseppe (novembre 1916), quando venne meno uno degli ultimi legami tra Austria e Ungheria. Caduta la monarchia austroungarica alla fine del conflitto, il 16 novembre 1918 il Consiglio nazionale ungherese proclamò la repubblica, con Mihály Károlyi alla presidenza. Il dopoguerra fu caratterizzato da profonde tensioni sociali e politiche. In un breve arco di tempo l’Ungheria vide due rivoluzioni, l’occupazione straniera di ampie parti del territorio e, infine, una violenta controrivoluzione. Alla rivoluzione democratica di Károlyi, nel 1919 seguì infatti quella comunista di Béla Kun, che a giugno proclamò l’effimera repubblica dei soviet. Invasa dai cechi a nord e dai rumeni a sud, la repubblica sovietica crollò infatti il 1° di agosto; tre giorni dopo Budapest fu occupata dai romeni. Sotto la supervisione alleata, fu formato un governo provvisorio guidato da Miklós Horthy de Nagybánya, protagonista della controrivoluzione. Nel marzo 1920, l’Assemblea generale, eletta dopo una severa rappresaglia contro i movimenti liberali e di sinistra, ripristinò la monarchia sotto la reggenza di Horthy, che governò con poteri dittatoriali per oltre due decenni. Il 4 giugno l’Ungheria firmò il trattato del Trianon, con il quale veniva privata della Transilvania, della Croazia e della Slovacchia. Durante l’ufficio di primo ministro (1921-1931) di István Bethlen, le difficoltà economiche e le umilianti condizioni di pace favorirono la ripresa di un movimento nazionalista di stampo radicale. Con la nomina a premier di Gyula von Gömbös (1932-35), l’Ungheria si lanciò in una politica estera aggressiva nei confronti dei paesi vicini, manifestando una forte simpatia per i regimi totalitari dell’Italia fascista e della Germania nazista. Sotto il governo di Gömbös crebbero movimenti revanscisti e antisemiti, tra cui quello delle Croci frecciate di Ferenc Szálasi. La collaborazione con la Germania fruttò, nella spartizione della Cecoslovacchia, l’assegnazione all’Ungheria di Slovacchia e Rutenia. Ritiratasi dalla Lega delle Nazioni nel gennaio 1939, l’Ungheria sottoscrisse con Germania, Italia e Giappone il patto Anticomintern. La II Guerra mondiale Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, il governo ungherese proclamò la propria neutralità, ma di fatto condivise i progetti dell’Asse. Nel 1940 Italia e Germania riconobbero i diritti dell’Ungheria sulla Transilvania e, nell’aprile dell’anno successivo, il regime ungherese approfittò dell’attacco tedesco alla Iugoslavia per riappropriarsi dei territori persi con il trattato del Trianon. Tra il giugno e il dicembre del 1941 l’Ungheria dichiarò guerra prima all’Unione Sovietica e poi agli Stati Uniti. Costretta a subire pesanti perdite sul fronte sovietico, nel 1943 tentò invano di trattare con gli Alleati una pace separata. Nel marzo 1944 il paese fu invaso dalle truppe naziste con il consenso di Horthy, che venne in seguito costretto alle dimissioni e sostituito dal capo delle Croci frecciate Ferenc Szálasi; questi avviò una campagna di terrore contro gli oppositori e collaborò con le forze naziste nella deportazione degli ebrei. Nell’aprile del 1945 l’Ungheria fu liberata dai sovietici; dopo la firma dell’armistizio con le forze alleate, fu istituito un governo provvisorio sottoposto al controllo delle autorità militari sovietiche. Alle elezioni dell’Assemblea nazionale la maggioranza relativa venne tuttavia conquistata dal Partito dei piccoli proprietari e dei contadini di Zoltán Tildy, che fu eletto presidente. Proclamata la repubblica, fu formato un gabinetto di coalizione guidato da Ferenc Nagy; Mátyás Rákosi, capo dei comunisti, assunse la carica di vicepremier. Il regime comunista I primi mesi della nuova repubblica furono dominati dai gravissimi problemi della ricostruzione. Nel gennaio del 1947 una cospirazione si abbatté sul Partito dei piccoli proprietari e alcuni dei suoi leader, accusati di cospirare contro la repubblica, vennero arrestati. A Nagy, costretto alle dimissioni, succedette il compagno di partito Lajos Dinnyés che, sottoposto a forti pressioni, sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni. Il risultato dei comunisti fu inferiore alle aspettative (22%); essi dominarono tuttavia la coalizione di governo formata da Dinnyés, eliminando man mano tutte le forze dell’opposizione. Epurato dei suoi leader più indipendenti, nel 1948 il Partito socialdemocratico si unì al Partito comunista per dar vita al Partito ungherese dei lavoratori. Alla ormai scontata affermazione comunista alle elezioni del maggio 1949 fece seguito l’adozione da parte della nuova assemblea di una Costituzione che istituiva la Repubblica popolare ungherese. Negli anni successivi il regime avviò un ampio processo di trasformazione economica e sociale in senso comunista. Furono stipulati trattati di amicizia e cooperazione con l’Unione Sovietica e gli altri paesi comunisti; le scuole religiose furono nazionalizzate e molti membri del clero furono arrestati. Numerose industrie furono nazionalizzate, mentre ai contadini restii a integrarsi nel sistema delle cooperative vennero confiscate le terre; migliaia di oppositori politici furono inviati nei campi di lavoro. La morte di Stalin nel 1953 determinò forti cambiamenti nel sistema politico ungherese. Preoccupata per la critica situazione del paese, Mosca favorì infatti l’ascesa di una leadership riformatrice. Rákosi, primo ministro dal 1952, mantenne la guida del Partito comunista ma venne costretto ad abbandonare quella del governo, che fu assunta da Imre Nagy. Fu stabilito un programma economico più flessibile, mentre il governo concesse un’amnistia e abolì i campi di lavoro. Nel 1955 l’Ungheria si unì con altri paesi comunisti nel patto di Varsavia. Il cauto processo di liberalizzazione subì una brusca interruzione nell’aprile del 1955, quando Nagy fu destituito dall’incarico di premier ed espulso dal partito con accuse pretestuose. A beneficiare del ripensamento di Mosca fu Rákosi, che riprese in mano il controllo del governo. Tuttavia, la condanna dello stalinismo pronunciata dal leader sovietico Nikita Sergeevič Kruscev nel 1956 tornò a favorire le posizioni riformiste all’interno del Partito comunista ungherese. La rivoluzione del 1956 Anche a causa del clima di incertezza creatosi all’interno del blocco sovietico in seguito alla sfida mossa dalla Polonia all’egemonia di Mosca (vedi Polonia: Il socialismo nazionale di Gomułka), opposizione politica e malcontento popolare trovarono spazi di espressione mai avuti prima. Nel luglio del 1956 Rákosi venne nuovamente costretto ad abbandonare il governo. Un crescendo di manifestazioni studentesche e operaie espresse appoggio ai lavoratori polacchi di Poznań. Il 23 ottobre un’imponente manifestazione attraversò le strade di Budapest, chiedendo il ritorno di Nagy alla guida del paese: ebbe così inizio la rivoluzione ungherese (o, nella vulgata di regime, i “fatti d’Ungheria”), destinata a consumarsi in pochi giorni in un crescendo di tensione e violenza. Il governo comunista, ormai incapace di controllare la situazione, chiese l’intervento delle truppe sovietiche, disintegrandosi subito dopo. Il 28 ottobre Nagy assunse la guida del governo, mentre János Kádár, un nazionalista già imprigionato per le sue critiche al regime, assumeva quella del partito, ribattezzato il 1° novembre con il nome di Partito socialista operaio ungherese. Il 4 novembre, fallito ogni tentativo di mediazione, le truppe sovietiche entrarono a Budapest, reprimendo nel sangue la rivolta. L’intervento armato sovietico provocò migliaia di morti e una fuga di circa 200.000 persone dal paese. Imre Nagy, rapito e portato in Romania, fu condannato a morte e giustiziato nel 1958 dopo un processo a porte chiuse. Confermato premier e capo del Partito dei lavoratori socialisti ungheresi (PSOU), Kádár compì in breve tempo la restaurazione dell’ordine sovietico. Per due anni, fino al 1958, attuò una severa repressione: diverse centinaia di rivoltosi vennero giustiziati o deportati in Unione Sovietica e migliaia furono gli arresti eseguiti dalla polizia politica. Negli anni seguenti, grazie anche al sostegno dell’Unione Sovietica, l’Ungheria visse un periodo di forte sviluppo economico. Dagli inizi degli anni Sessanta Kádár ammorbidì la dittatura, perseguendo una politica di pacificazione rivolta a conquistare al regime il consenso della popolazione ungherese. Verso la metà degli anni Sessanta l’Ungheria ripristinò ed estese gli scambi commerciali e culturali con i paesi non comunisti. La rete di rapporti così creata favorì lo sviluppo economico del paese, determinando anche una certa apertura del sistema politico. L’Ungheria restò tuttavia sotto la diretta influenza di Mosca, al cui fianco nel 1968 partecipò all’invasione della Cecoslovacchia (vedi Primavera di Praga). A partire dalla metà degli anni Settanta, l’Ungheria, sebbene in misura inferiore agli altri paesi comunisti, venne colpita da una seria crisi economica, che di lì a pochi anni si sarebbe rivelata fatale. Le pesanti ripercussioni dell’inflazione sul livello di vita della popolazione resero Kádár oggetto di critiche sempre più manifeste e alimentarono la richiesta di riforme liberali in favore della libertà di espressione. Agli inizi degli anni Ottanta l’Ungheria fu tra i paesi comunisti quello più influenzato e interessato dagli avvenimenti che in Polonia videro l’affermarsi del sindacato Solidarność. La democrazia Il nuovo segretario del partito Károly Grósz, subentrato a Kádár nel 1988, avviò un severo programma di risanamento economico (introduzione di nuove imposte, drastico taglio dei sussidi statali, incoraggiamento dell’iniziativa privata), accompagnandolo con un processo di liberalizzazione politica (riduzione della censura, libertà di formazione di gruppi politici indipendenti, legalizzazione del diritto di sciopero). Nel 1989 l’Ungheria riabilitò Imre Nagy e le vittime del 1956. Nello stesso anno il paese archiviò senza alcuna violenza, né rimpianti, il suo passato comunista; fu reintrodotto il multipartitismo e il paese cambiò il suo nome in Repubblica d’Ungheria. Nell’aprile del 1990 una coalizione di centro-destra (il Forum democratico ungherese) vinse le prime elezioni libere dopo 45 anni. Al vertice dello stato venne eletto un intellettuale, Arpád Göncz. Nello stesso anno l’Ungheria fu la prima nazione europea del Blocco orientale a unirsi al Consiglio d’Europa e tra il 1991 e il 1992 il governo siglò accordi di cooperazione con altri paesi dell’ex blocco orientale. Nell’aprile del 1994 il paese fece richiesta di adesione all’Unione Europea. A maggio le elezioni legislative videro il trionfo del Partito socialista, nato dalla trasformazione dell’ex partito unico. Il suo leader Gyula Horn, divenuto primo ministro, nell’intento di ridurre il pesantissimo debito estero introdusse rigorosi tagli al bilancio dello stato e una riforma intesa a rilanciare il programma di privatizzazione. Membro dal 1994 del programma Partnership for Peace, nel 1997 il paese venne ammesso, con Polonia e Repubblica Ceca, al primo gruppo di allargamento della NATO, in cui entrò ufficialmente nel 1999. Nelle elezioni del 1998 il Partito socialista conservò la maggioranza dei voti, ma a ottenere più seggi fu l’Alleanza dei giovani liberali (FIDESZ), il maggior partito dell’area conservatrice; il suo leader Viktor Orbán costituì un governo di coalizione con il Partito dei piccoli proprietari e agrari (FKgP) e con il Forum democratico. Il nuovo governo confermò, rafforzandola, la politica di liberalizzazione economica, che diede buoni frutti anche grazie alla favorevole congiuntura internazionale. Tuttavia, per un buon terzo della popolazione ungherese colpito dalla disoccupazione e dalla crescente povertà, gli effetti della ristrutturazione economica si rivelarono drammatici; la crisi economica e sociale vissuta dalle fasce popolari ebbe un inquietante risvolto statistico, segnato da un sensibile aumento del tasso di mortalità e da un drastico calo delle nascite. Nell’agosto del 2000 il giurista Ferenc Mádl succedette ad Arpád Göncz alla carica di presidente della Repubblica. Nello stesso anno alcuni scandali investirono il governo conservatore, senza tuttavia minarne la stabilità. La vita politica del paese proseguì in un clima di accesa polemica, provocato dalle tendenze accentratrici e autoritarie del premier Orbán. Nel giugno 2001 il Parlamento ungherese approvò un provvedimento a favore delle minoranze magiare all’estero che suscitò una certa tensione soprattutto con la Slovacchia e la Repubblica Ceca, ma anche la contrarietà dell’Unione Europea. L’ultimo anno di mandato di Orbán fu caratterizzato da un aspro scontro ideologico tra i partiti di opposizione e la maggioranza di governo, la quale, nel tentativo di scongiurare una nuova affermazione socialista, compì una manovra di avvicinamento all’estrema destra nazionalista e filomonarchica. Le elezioni legislative di aprile 2002 registrarono una sconfitta di misura della coalizione del premier uscente Orbán, che, con il 41,1% dei suffragi, conquistò 188 dei 386 seggi dell’Assemblea nazionale. Ottenendo il 42,1% e 178 seggi, grazie all’accordo con l’Alleanza dei liberi democratici (5,5% dei suffragi e 20 seggi) il Partito socialista riconquistò la guida del governo ungherese, affidandola a Péter Medgyessy. Non entrarono nel nuovo Parlamento né il Partito ungherese della giustizia e della vita, nazionalista e xenofobo (4,4%), né il Partito dei piccoli proprietari, che subì un clamoroso crollo (0,8%). Un aspro scontro ideologico continuò a turbare il clima politico ungherese, alimentato dalla scelta del governo di sostenere nel 2003 l’offensiva degli Stati Uniti contro l’Iraq, ma anche dal rafforzamento, all’interno della destra, di forze ultranazionaliste e apertamente antisemite. Il 1° maggio del 2004 l’Ungheria entrò ufficialmente nell’Unione Europea. A settembre, il primo ministro socialista Péter Medgyessy lasciò l’incarico al compagno di partito Ferenc Gyurcsány. Sviluppi recenti Nel giugno 2005 il Parlamento elegge Laszlo Solyom, sostenuto dalle opposizioni, alla presidenza del paese. A dicembre il Parlamento ratifica la Costituzione europea. Le elezioni legislative dell’aprile 2006 confermano alla guida del governo la coalizione di centrosinistra tra il Partito socialista e l’Alleanza dei liberi democratici, che ottengono rispettivamente il 43% e il 6,5% dei suffragi (190 e 20 seggi). L’Alleanza dei giovani liberali FIDESZ-Partito civico ungherese, il principale partito di opposizione, conquista il 42% dei voti e 164 seggi, mentre il Forum democratico ungherese, con il 5% dei voti, ottiene 11 seggi. Superficie: 93.030 Km² Abitanti: 10.096.000 (1/1/2005) Densità: 109 ab/Km² Forma di governo: Repubblica parlamentare Capitale: Budapest (1.695.000 ab., 2.100.000 aggl. urbano) Altre città: Debrecen 205.900 ab., Miskolc 180.300 ab., Seghedino 162.900 ab., Pécs 158.900 ab. Gruppi etnici: Magiari 93%, Rom 2%, Tedeschi 0,5%, altri 4,5% Paesi confinanti: Slovacchia a NORD, Austria e Slovenia ad OVEST, Croazia e Serbia a SUD, Romania e Ucraina ad EST Monti principali: Kékes 1015 m Fiumi principali: Tibisco 579 Km (tratto ungherese, totale 966 Km), Danubio 420 Km (tratto ungherese, totale 2858 Km) Laghi principali: Balaton 592 Km² Isole principali: Csepel (sul Danubio) 257 Km² Clima: Continentale Lingua: Ungherese Religione: Cattolica 54,5%, Protestante 19,5%, altro 26% Moneta: Fiorino (Forint) ungherese