Seminario Ambrosetti, sabato 7 settembre 2013 RILANCIO DELLA COMPETITIVITÀ E DELLA CRESCITA DELL’EUROPA PANEL: LA MANIFATTURA PER TORNARE A CRESCERE Speaking points del Vice Presidente Tajani Segnali positivi, ma non sufficienti Malgrado qualche timido segnale di ripresa, l'Ue non è ancora riuscita a lasciarsi alle spalle la crisi. Alcuni dati, tuttavia, fanno ben sperare. Il PIL UE ha registrato un +0.3% nel secondo trimestre, con Germania (+0,7 %), Inghilterra (+0,6 %) e Francia (+0,5 %) sopra la media. Il manifatturiero dell’Eurozona è in recupero per il secondo mese consecutivo. Ricominciano a tirare gli ordinativi per le imprese tedesche, italiane, olandesi, austriache e spagnole. 1 Per l’Italia, ancora in territorio negativo, gli indicatori lasciano presagire una stabilizzazione entro fine anno, con un ritorno alla crescita nel 2014, grazie al miglioramento degli scambi con l’estero, al rilancio degli investimenti e al pagamento dei debiti pregressi P.A. alle imprese. Dopo 12 anni, la bilancia commerciale italiana ha segnato un avanzo, malgrado le forti importazioni energetiche. Tuttavia, sul fronte del lavoro la situazione è ancora drammatica: il tasso di disoccupazione ha superato il 12%, con un livello record del 40% per i giovani. Anche nel resto dell'Europa lo scenario resta fosco, con situazioni estreme in Grecia, Portogallo o Spagna, dove un giovane su due non trova lavoro. Per invertire questo trend serve una ripresa molto più robusta, andando al di la della ricetta dell'austerità, che da sola rischia invece di spegnere i primi focolai di ripresa. Dal rapporto sulla competitività appena pubblicato dal World Economic Forum emerge che i paesi Ue più 2 sottoposti alla cura del rigore hanno perso posizioni nella graduatoria mondiale. L’Italia passa dalla 42esima alla 49esima posizione, la Spagna finisce alla 35esima, il Portogallo alla 51esima e la Grecia addirittura alla 91esima. Secondo il Rapporto, "Questi Paesi devono rimediare alla mancanza di efficacia e flessibilità dei loro mercati (…), promuovere l’innovazione e migliorare l’accesso al finanziamento per aumentare la competitività". Il messaggio è chiaro: "In Europa, gli sforzi fatti per lottare contro l’indebitamento e la possibile rottura dell’euro hanno deviato l’attenzione dai problemi strutturali e più fondamentali legati alla competitività". Serve un'Industrial Compact La radice della crisi sta, dunque, nel crescente differenziale di competitività tra le economie europee, che minaccia la tenuta dell'euro e della stessa Unione. L'Europa è segnata da profondi squilibri strutturali. In molti paesi il mercato del lavoro è poco dinamico, 3 incapace di favorire l'incontro tra domanda e offerta. Il divario di produttività rimane ampio, con paesi gravati da fiscalità punitiva, pubblica amministrazione inefficiente o tempi della giustizia eccessivi. Per non parlare della limitata capacità d'innovazione, dei costi dell'energia o, dell'inadeguatezza del sistema infrastrutturale. Non è solo la mancanza di riforme a livello nazionale a compromettere la competitività dell'industria. E' la stessa Ue, talvolta, a creare più ostacoli che benefici alle imprese. La soluzione non è – come proposto da alcuni - una divisione in aree valutarie del sud e del nord, che riflettano i gap di competitività. Tale divisione metterebbe probabilmente fine all'integrazione economica, compromettendo la stessa tenuta politica dell'Ue proprio quando più serve un'Europa forte nel mondo globale. Dobbiamo invece lavorare per riattivare il processo di convergenza tra le diverse economie, rafforzando la governance economica, non solo per le misure macro di consolidamento fiscale, ma anche per la parte micro più 4 direttamente legata alla competitività industriale. Con in primo piano il miglioramento del contesto per l'industria, sia a livello Ue che nazionale. Al Patto Fiscale va dunque affiancato un Patto per l'Industria che riequilibri e integri l'azione per la crescita, per attirare investimenti e produzione manifatturiera. Bisogna agire subito. Nell'ultimo decennio l'Europa ha perso 350 miliardi d'investimento, dimezzando la propria quota globale dal 40% al 20%. La crisi ha accelerato il processo di deindustrializzazione, con 4 milioni di posti persi nell'industria. La Cina ci ha quasi sorpassato e potrebbe presto diventare il primo produttore globale. Dopo anni di centralità di finanza e servizi e politiche punitive per l'industria, lo scorso ottobre abbiamo approvato una strategia per invertire il declino e passare dall'attuale 15.3% di PIL legato al manifatturiero al 20% entro il 2020. L'Ue non può, infatti, permettersi di arretrare ancora in un settore che vale l'80% dell'innovazione, ¾ dell'export e buona parte dell'occupazione. 5 La reindustrializzazione si basa su 4 pilastri: (i) più investimenti in innovazione e (ii) formazione vicina alle imprese e (iii) migliore accesso al credito e (iv) ai mercati. E' essenziale mettere l'economia reale e imprese in cima all'agenda. Le politiche per il mercato interno, il fisco, la concorrenza, il commercio, l'ambiente, l'energia, la ricerca o le infrastrutture, devono, dunque, essere coerenti con l'obiettivo della re-industrializzazione. Dobbiamo fronteggiare una concorrenza sempre più agguerrita e mostrarci meno ingenui. Ad esempio, continuare con politiche sulle emissioni che rendono il costo dell'energia il più alto al mondo significa spingere alla delocalizzazione, con perdita di posti e aggravamento del problema del clima. Cosi come dobbiamo garantire l'accesso effettivo ai mercati a parità di condizioni, senza giocare 11 contro 11 in Europa e 9 contro 13 in trasferta. Gli ultimi Vertici europei su Energia e Disoccupazione Giovanile hanno posto questi temi al centro del dibattito. Il prossimo vertice del febbraio 2014, dedicato 6 all'industria, sarà l'occasione per consolidare l'inversione di marcia e definire un Patto per l'Industria. Entro fine mese, in occasione della presentazione dei rapporti sulla competitività Ue, sottoporrò ai ministri dell'industria una road map per concretizzare il Patto per l'Industria da presentare al Consiglio europeo. Tale Patto dovrà necessariamente affrontare il nodo di una governance davvero efficace per promuovere, a livello nazionale e Ue, misure micro indispensabili al miglioramento del contesto del business da rendere parte integrante del Semestre Europeo. Accesso al credito In cima alle priorità di questo Patto vi deve essere l'accesso al credito, senza il quale le imprese rischiano di fallire o di non poter innovare e assumere. La restrizione e le disparità sul credito sono la più seria ipoteca per l'uscita dalla crisi, specie per Italia, Spagna, Portogallo o Grecia con un alto numero di PMI, le più 7 colpite dal credit crunch. Va superata la frammentazione del mercato interno che penalizza un'impresa per il solo fatto di operare in un paese, anziché in un altro. La BEI è chiamata a svolgere un ruolo più incisivo per la crescita, in sinergia con il bilancio Ue e, a rafforzare gli strumenti di garanzia per il credito e venture capital. Vanno anche esplorate possibilità di collaborazione con la BCE, tra cui la cartolarizzazione dei crediti delle PMI. Alcune misure che abbiamo adottato, quali la direttiva sui ritardi di pagamento, lo svincolo dal Patto di Stabilità dei debiti pregressi, la non applicazione della ratio di capitale più restrittiva di Basilea III per prestiti alle PMI fino a 1.5 milioni e, i programmi CIP e COSME, sono già operative. Ma occorre fare di più. Su nostra proposta, l'ultimo Vertice europeo ha dato mandato alla Commissione di realizzare un fondo da 10.5 miliardi finanziato dal bilancio Ue, in sinergia con la BEI, per prestiti alle PMI tramite garanzie e cartolarizzazioni. L'effetto leva potrebbe superare i 100 miliardi a beneficio di oltre 1 milione di PMI. 8 Infine, va portata in porto l'Unione bancaria, prima tappa del percorso delineato dai 4 presidenti verso l'unione fiscale, economica e politica. Tale Unione è essenziale non solo per evitare salvataggi a spese del contribuente, ma anche a creare un mercato del credito europeo più integrato che faciliti il finanziamento alle imprese. Rilancio della domanda interna I dati incoraggianti sull'export non bastano a riassorbire il lavoro perso. Per una crescita adeguata, dobbiamo, necessariamente, rilanciare la domanda interna. Prima di tutto, abbandonando l'eccesso di austerità che, come ricordato dal presidente Barroso, ha raggiunto i suoi limiti. La Commissione ha cominciato a concedere più tempo per il rientro nel Patto Fiscale. Inoltre, per la prima volta, i paesi non soggetti a procedura di deficit possono deviare, seppur temporaneamente, dall'obiettivo di bilancio di medio termine per cofinanziamento dei Fondi Strutturali e delle Reti Trans-Europee. 9 E' la strada giusta. Tuttavia, la gravità della crisi richiede ulteriori misure straordinarie. L'Ue deve dotarsi di forme di mutualizzazione del debito, quali gli eurobonds, che affianchino la moneta unica e rafforzino il coordinamento delle politiche fiscali facendo scendere il costo del debito. Strumenti d'indebitamento comune, sul modello dei project bond, sono anche essenziali ad avviare un grande piano d'investimenti infrastrutturali, indispensabile per completare l'integrazione del mercato interno. Reti digitali avanzate, sistema di trasporti e logistica moderno e, reti energetiche adeguate, sono la premessa per un un'industria competitiva con costi dei servizi e dell'energia concorrenziali. Essenziale anche continuare a investire nello Spazio. Le prime infrastrutture fisiche Ue, Galileo e Copernicus, avranno ricadute stimate in oltre 130 miliardi. Tutto questo richiede uno sforzo comune di centinaia di miliardi di euro (si stimano mille miliardi per le sole reti energetiche), dove gli investimenti pubblici devono fare 10 la volano a quelli privati. In questo contesto, serve una banca centrale che guardi anche all'occupazione, sul modello della FED. L'azione di Draghi è stata ineccepibile e fondamentale per la stabilità dell'euro. Ora è necessario che tutti rispettino l'autonomia della BCE, senza pressioni indebite per un prematuro irrigidimento dei tassi. Il caso Italia Nel 2012 il PIL italiano è sceso del 2,4%, con un ulteriore – 06% nel primo trimestre del 2013. Un calo – seppure attenuato - è previsto anche nel secondo trimestre. L'Italia resta cosi il solo paese del G7 in recessione. E l'ulteriore perdita di competitività segnalata dal World Economic Forum e dalla stessa Commissione indica chiaramente che sono ancora tanti i nodi strutturali da sciogliere se si vuole agganciare la ripresa. Negli ultimi anni il peso dell’industria sul PIL italiano si è ridotto dal 16,3% al 15,5%. È proseguita la flessione 11 dei prestiti bancari alle imprese con un divario del tasso d'interesse rispetto all’area euro di circa 80 punti. Dal 2007 il costo dell’elettricità per le imprese è aumentato del 33%, la più cara dell'UE, inferiore solo a Cipro. La pressione fiscale sulle imprese ha superato il 68%, triste primato tra i paesi OCSE e UE. Siamo oltre 24 punti dalla media Ue (44%), 20 punti dai tedeschi e ben 31,3 dagli inglesi. A livello globale il confronto è impietoso: rispettivamente 39,4 e 21,8 punti su Canada e USA. Le tasse sul lavoro sono al 42%, 1 punto più della Francia, 5 della Germania, il doppio dell'Inghilterra. Un ulteriore aumento dell'IVA o di altre imposte rischierebbe di dare il colpo di grazia al malato che cerca faticosamente di riprendersi. Il contesto per il business resta il maggiore handicap: siamo al 73 posto su 185, in coda ai paesi avanzati. Conclusioni 12 Davanti a questi dati è essenziale che l'Europa abbandoni l'ossessione per il solo rigore e metta in primo piano un'agenda di riforme da portare avanti al più presto. La nuova governance Ue non sarà davvero compiuta finché non avremo strumenti per sciogliere alcuni nodi strutturali, tornando a essere un luogo più favorevole all'industria. Bisogna bilanciare bastone e carota, riconoscendo agli Stati che fanno riforme e investimenti per la competitività, maggiore flessibilità nel rientro dei parametri del Patto. In questo senso, il Patto per l'Industria potrebbe integrare e bilanciare quello fiscale. L'Italia, quale secondo paese manifatturiero e terza economia dell'euro zona, deve dare il suo contributo per fare uscire l'Ue dalle secche della crisi. Il Governo sta facendo bene. E' stato invertito il trend della pressione fiscale, è iniziato il contenimento della spesa, anche attraverso una razionalizzazione degli acquisti delle amministrazioni e i primi tagli a sprechi e privilegi. Bene anche l'anticipo al 2013 di parte del rimborso 13 dei debiti pregressi alle imprese e il rilancio delle infrastrutture. Positiva, inoltre, l'istituzione di un'agenzia per migliorare l'utilizzo dei fondi Ue, concentrandoli su progetti con un reale impatto sulla competitività. Ma per ripartire davvero e ridurre disoccupazione e debito, l'Italia non può accontentarsi di crescere dello zero virgola. E' necessario un governo stabile e solido che proceda con coraggio, ancora più speditamente, nell’attuazione delle raccomandazioni del Consiglio Europeo. Le priorità sono note a tutti e, ribadite anche nel recente accordo tra le parti sociali che va salutato con soddisfazione. La madre di tutte le riforme, quella della pubblica amministrazione, è la chiave per razionalizzare e ridurre in maniera significativa e strutturale la spesa pubblica e il debito senza incidere sulla qualità dei servizi. Questo anche in vista dell'applicazione del Fiscal Compact al debito dal 2015. Applicando i parametri di numero di funzionari e spese di Germania e Austria o, delle regioni italiane più virtuose, si possono risparmiare alcune decine 14 di miliardi l'anno. Vitale anche ridurre i tempi della giustizia civile, primo ostacolo agli investimenti esteri. Il 29 Ottobre a Bruxelles vi sarà una conferenza sul tema Pubblica Amministrazione-Competitività, a cui parteciperà anche il Presidente Barroso. E' un'occasione per ragionare su modelli organizzativi presi dalle migliori pratiche Ue. Il carico fiscale va riportato a livelli sostenibili per imprese, lavoro e consumi. Prioritarie le agevolazioni fiscali e semplificazione amministrative per tirocini, apprendistato, primo impiego e start up. La produttività per occupato deve aumentare. Serve un sistema educativo che promuova l'imprenditorialità e sia più vicino a imprese e centri di ricerca, orientando la formazione verso l'effettiva domanda di lavoro. La nuova Agenzia deve assicurare un migliore uso dei fondi strutturali, in sinergia con fondi ricerca e competitività Ue e BEI, per più investimenti su innovazione con ricadute industriali, accesso al credito e 15 infrastrutture di rete, utilizzando anche Project Bond. Servono maggiore apertura dei mercati e infrastrutture di rete adeguate per far scendere il costo di energia e servizi. Va valorizzato il turismo che, specie nel sud, può essere il principale volano di nuova occupazione. Questo è possibile con riforme a costo zero, quale la semplificazione dei visti, che stiamo già realizzando a livello Ue anche in vista dell'EXPO 2015. Per fare questo è essenziale stabilità e senso di responsabilità. Lo spread spagnolo, a pochi punti da quello italiano, pur avendo la Spagna il doppio dei disoccupati, è un segnale chiaro da parte dei mercati. Ognuno – istituzioni, partiti, parti sociali, – deve fare la propria parte, ricordando che l'Italia sta giocando in Europa e nel mondo una partita delicata quanto vitale. Dobbiamo – tutti quanti - indossare la maglia della nazionale, lasciando nel cassetto, almeno per una volta, quella del proprio club. 16