Licinio Contu Le Cellule Staminali Emopoietiche un dono per la vita Parte Prima Associazione Donatori Midollo Osseo A.D.M.O. 1987 - 2006 Realizzato grazie alla generosità della FONDAZIONE BANCO DI SARDEGNA L. Contu - Le Cellule Staminali Emopoietiche Un dono per la vita - Parte prima © dicembre 2006 - A.D.M.O. Associazione Donatori di Midollo Osseo Realizzato da DUECINQUE di M. Lampis • Sanluri •Dicembre 2006 Le Cellule Staminali Emopoietiche - Un dono per la vita Parte prima Premessa Son passati nove anni dalla precedente edizione del 1997 dell’opuscolo “Perché donare il midollo osseo ?”. Nove anni che hanno registrato enormi progressi nelle conoscenze relative alle Cellule Staminali Emopoietiche (CSE) e al loro impiego clinico. Il midollo osseo non è più la fonte quasi esclusiva di CSE, quale era nella pratica trapiantologica fino al 1996. Il sangue di cordone ombelicale (SCO) ha visto crescere progressivamente il suo impiego specialmente nei pazienti pediatrici, grazie allo sviluppo, in molti paesi, di apposite Banche per lo stoccaggio e il rilascio delle unità raccolte, al numero crescente di unità stoccate e disponibili subito per trapianto, e alla organizzazione di reti di coordinamento nazionali e internazionali molto efficienti, tra le varie Banche. Ma è soprattutto il ricorso alle CSE prelevate dal sangue periferico che va imponendosi sempre più, specialmente nel trapianto autologo, ma anche in quello allogenico, sia da donatore familiare che non familiare. Intanto la disponibilità di donatori non familiari di midollo osseo è cresciuta notevolmente in tutto il mondo nell’ultimo decennio, raggiungendo nel mese di novembre 2005 la cifra complessiva di 10 milioni. Parallelamente è cresciuta la disponibilità dei donatori volontari di midollo osseo a donare le CSE del sangue periferico. In Italia, i donatori iscritti nel Registro Nazionale sono oggi più di 340.000 contro i 203.000 del 1997. In Sardegna si è passati dagli 11.500 donatori del 1997 ai 21.631 attuali. Ma non sono solo questi i cambiamenti verificatasi dal 1997 ad oggi. Ricordo: le nuove conoscenze sui meccanismi della reazione immunitaria e della sua regolazione nel trapianto allogenico; il ruolo e le possibili applicazioni mediche delle cellule staminali mesenchimali, recentemente identificate nel midollo osseo e nel sangue cordonale; l’immunosoppressione indotta (specialmente in riferimento alla prevenzione del rigetto e della GVHD) e i fattori biologici e farmacologici attualmente disponibili per ottenerla; i metodi di selezione dei donatori per trapianto non familiare, che si basano oggi sull’analisi diretta dei geni HLA sia di classe II che di classe I, e che assicura no una definizione certa del livello di identità HLA tra donatore e ricevente; i protocolli di preparazione pretrapianto del paziente, che sono stati sottoposti a profonda revisione, specialmente con l’introduzione dei regimi di condizionamento “a intensità ridotta”, molto meno tossici, e di trattamenti immunosoppressivi più sicuri ed efficaci. Tutti questi ed altri cambiamenti hanno migliorato nettamente la prognosi del trapianto allogenico di CSE negli ultimi anni, sia da donatore familiare che soprattutto da donatore non familiare. Hanno consentito di estendere il trapianto a pazienti che prima erano esclusi per l’età, per la condizione clinica o per la mancanza di un donatore perfettamente identico. Pertanto l’opuscolo del 1997 è in gran parte superato e non può essere più di grande utilità nè come strumento informativo, né come strumento promozionale. Il numero di pazienti che ha bisogno di un trapianto di CSE cresce continuamente, e per molti di essi la ricerca di un donatore idoneo HLA identico purtroppo non ha successo. E’ perciò necessario intensificare l’impegno promozionale in favore della donazione di CSE e ampliare in modo consistente il numero di donatori sia di midollo osseo che delle altre fonti di CSE. Per questi motivi, e anche perché sollecitato da molti dirigenti e soci dell’A.D.M.O., mi è parso utile ed opportuno preparare una nuova edizione dell’opuscolo del 1997, che tenga conto, da una parte, dei progressi scientifici e medici intervenuti, e dall’altra delle finalità informative e promozionali che questo opuscolo deve avere. Questa esigenza, insieme al desiderio di facilitare la lettura ad un pubblico eterogeneo per cultura ed interessi, non necessariamente esperto della materia, mi ha indotto a dividere gli argomenti trattati in due fascicoli separati. Il primo è dedicato alle CSE e tratta in modo sintetico, ma attento alle attuali conoscenze scientifiche e mediche, dell’origine, delle caratteristiche e del ruolo biologico delle CSE, delle diverse fonti da cui possono essere ottenute, e del loro impiego medico nella cura di molte malattie oncoematologiche, immunologiche e genetiche. Una particolare attenzione è riservata alle problematiche del trapianto, specialmente allogenico – familiare e non - sia per quanto riguarda le indicazioni di tale terapia (anche in funzione delle possibili alternative che le CSE di fonti diverse ci consentono), sia per quanto riguarda la selezione dei donatori e la preparazione dei pazienti, che i risultati e le possibili complicazioni. Il secondo fascicolo tratta dei donatori non familiari di CSE. I primi Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima tre capitoli sono dedicati al Registro regionale e del Registro nazionale dei donatori di midollo osseo. Il ruolo delle componenti tecnicosanitaria ed organizzativa e quello insostituibile delle componenti informativa e promozionale nel reperimento di donatori volontari di CSE è sottolineato. L’A.D.M.O., la prima associazione italiana di volontariato per la donazione di midollo osseo, illustra bene questo ruolo. Nata in Sardegna nel 1987, l’ A.D.M.O., grazie alla sua organizzazione in sezioni comunali distribuite su tutto il territorio regionale, ha portato il Registro Sardo dei Donatori di Midollo Osseo al primo posto in Italia per numero di donatori in rapporto al numero di abitanti (13,2 contro 5,8 del Registro Italiano). I capitoli successivi dell’opuscolo danno informazioni dettagliate sui seguenti aspetti: 1. Come si diventa donatori del Registro; 2. Come avviene in pratica la selezione dei donatori del Registro per una donazione effettiva, e quali procedure si seguono fino alla decisione finale; 3. Di quali tutele e di quali diritti gode il donatore. In entrambi i fascicoli gli argomenti trattati sono in gran parte gli stessi dell’edizione del 1997. Ma i contenuti sono largamente modificati e sono state introdotte molte tabelle e figure allo scopo di ottenere maggiore chiarezza e facilità di lettura. Si è tenuto conto nella trattazione dei diversi argomenti, non solo dei progressi scientifici e medici, ma anche delle innovazioni legislative e organizzative introdotte in Italia, sulla donazione di CSE. Per questi aspetti, abbiamo attinto a documenti ufficiali del Ministero della Salute e dell’IBMDR. 1. Le Cellule Staminali Emopoietiche Tutte le cellule prodotte nel midollo osseo e immesse nel sangue periferico hanno origine da particolari cellule progenitrici denominate, per la loro funzione, cellule staminali emopoietiche (CSE). Queste cellule, dopo la nascita, hanno sede definitiva nel midollo osseo, dove si riproducono continuamente e si differenziano nelle diverse serie di cellule del sangue e del sistema immunitario. Sono cellule staminali adulte multipotenti, che devono essere ben distinte dalle Cellule Staminali Embrionali (ESC). Queste originano, per successive divisioni, dall’ovocita fecondato. Nei primi giorni della vita embrionale ognuna di esse è capace di dare origine a qualunque tipo di cellula dell’organismo. Sono dette perciò cellule staminali totipotenti. A partire dal 3° giorno della vita embrionale (morula di 8 cellule), queste cellule cominciano ad orientarsi verso una differenziazione e tendono, in numero crescente, a ridurre la loro totipotenza. Divengono così cellule staminali embrionali pluripotenti. Ognuna di esse è capace di dare origine a un gran numero di linee cellulari diverse, ma non a tutte (Fig.1a). Per maggiori dettagli vedi riquadro 1. Le cellule staminali adulte, che originano da quelle embrionali, hanno un potenziale differenziativo molto più ristretto e, in generale, limitato a poche serie di cellule tessuto-specifiche. Hanno il compito di sostituire continuamente le cellule mature di un dato tessuto che esauriscono il loro ciclo vitale. Così le cellule staminali nervose riproducono i neuroni, gli astrociti e gli oligodendrociti; le cellule staminali del limbo corneale rinnovano continuamente le cellule corneali; e così tutti gli altri tessuti del nostro organismo vengono ricostruiti giorno per giorno grazie all’attività di specifiche cellule staminali adulte che possono essere multipotenti, oligopotenti o monopotenti (Fig. 1b). Le CSE compaiono intorno al 16° - 18° giorno della vita embrionale nel sacco vitellino. Sono cellule di origine mesodermica che, nel sacco vitellino, danno inizio alla produzione di cellule ematiche e del sistema vascolare, prima ancora che cominci l’organogenesi. Sono state perciò denominate anche Emangioblasti. In questa fase (fase extra-embrionale dell’emopoiesi), l’emopoiesi è intravascolare ed essenzialmente eritroide. Cioè, produce quasi esclusivamente globuli rossi. Questa fase dell’emopoiesi raggiunge l’acme alla 4a -5a settimana di vita e cessa alla 14a -15a settimana (Fig.2). A partire dalla 5a - 6a settimana le CSE si trasferiscono nel fegato, dove Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima l’emopoiesi diviene extravascolare, e dal fegato cominciano a migrare verso la milza e il midollo osseo a partire dalla 10a settimana di vita. L’eritropoiesi comincia a comparire nel fegato dalla 6a settimana (fase epatica) e nella milza dalla 12a settimana (fase epatosplenica). Ectoderma Mesoderma Endoderma MCI Blastocisti (4-10 gg) (> 32 cell.) CS germ. Trofoblasto ESC PLURIPOTENTI Gastrula ≥ 10 gg Blastocele Morula (2-3 gg) 8 cellule Morula precoce (1-2 gg) (2-4 cell.) ESC TOTIPOTENTI Morula (3-4 gg) (16 cellule) Ovacita fecondato 1° giorno (zigote) Fig.1a – Sviluppo dell’embrione e delle cellule staminali embrionali (ESC) dopo la fecondazione fino alla formazione della gastrula con gli strati germinativi. 1. MCI = Massa Cellulare Interna (Vedi riquadro) C.S. Adulte C.S. Embrionali Fig.1b – Origine delle cellule staminali adulte dei vari tessuti dalle cellule staminali embrionali pluripotenti degli strati germinativi della gastrula. Le cellule staminali emopoietiche derivano dal mesoderma. I cerchi colorati rappresentano tessuti con C.S. adulte già dimostrate. I cerchi chiari rappresentano tessuti con C.S. adulte non ancora dimostrate con sicurezza. Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima Riquadro 1. Sviluppo dell’embrione e cellule staminali embrionali. Con la fusione dei due pronuclei parentali (anfimissi) formatisi nell’ovocita dopo la penetrazione dello spermatozoo, e la costituzione dello zigote diploide, si conclude il processo della fecondazione e inizia la fase embrionale di un nuovo essere. I due pronuclei non si fondono però in uno zigote mononucleato. Essi hanno ancora il nucleolo e i cromosomi despiralizzati. Perciò, prima duplicano il DNA e iniziano la prima divisione mitotica separatamente. Poi perdono i rispettivi involucri nucleari e nucleoli. Quindi i cromosomi si condensano, si portano insieme nel fuso mitotico, e migrano nei primi due blastomeri che si formano per segmentazione dall’ovocita fecondato. Dalla fecondazione sono passate circa 30 ore. I due blastomeri sono le prime cellule staminali embrionali. Sono cellule staminali totipotenti perché ognuna di esse è potenzialmente capace di produrre tutti i tipi di cellule dell’organismo. Nella realtà però non è così . Uno solo dei due blastomeri svilupperà l’embrione: quello che si divide per primo. L’altro produrrà tessuti e strutture extra-embrionali. In effetti, i blastomeri dei mammiferi (incluso l’uomo), dopo la prima divisione, si dividono ogni 12-24 ore, ma non in maniera sincrona. Così, dallo stadio di 2 cellule (stadio 2) si passa allo stadio di 3 cellule (stadio 3), e da questo allo stadio 4, 5, e così via. In questo modo i blastomeri si diversificano, fin dal secondo giorno, per età, volume e posizione, e, col progredire delle divisioni cellulari, si avviano verso percorsi differenziativi diversi e tendono a perdere la totipotenza, divenendo cellule staminali embrionali pluripotenti, cioè capaci di generare molti tipi di cellule dell’ organismo, ma non tutti. Allo stadio 2, la corona radiata dell’ovocita si stacca e i blastomeri sono avvolti e tenuti insieme dalla sola zona pellucida. La proliferazione cellulare continua, l’embrione assume l’aspetto di una mora (da cui il nome di morula), ma il suo diametro (circa 100 µm) rimane pressoché costante. Fino allo stadio di 8 blastomeri, tutte le cellule conservano la totipotenza. Ma in questa fase ha inizio il fenomeno del compattamento dei blastomeri che si completa nella morula di 16 cellule ed esita successivamente nella formazione della blastocisti (maggiore 32 cellule), in cui le cellule sono in gran parte cellule staminali pluripotenti. I blastomeri che fino allo stadio 8 presentano tra loro degli spazi, entrano in stretto contatto l’uno con l’altro, annullando gli spazi inter-cellulari. Tra i blastomeri periferici si sviluppano dei ponti proteici (gap junction proteins), costituiti principalmente da connexine, che li compattano fortemente tra loro, realizzando uno strato cellulare impermeabile all’interno della zona pellucida. I blastomeri interni vengono così isolati dall’ambiente esterno. Gli ioni Na+, pompati fuori dalle cellule, trasportano acqua che si fa spazio tra le cellule periferiche e quelle interne (meno compatte), formando delle fessure che si allargano e confluiscono in un’unica grande cavità detta blastocele. I blastomeri interni sono sospinti verso un polo e formano la massa cellulare interna (MCI) o nodo embrionale. Come già sottolineato le cellule periferiche invece, allungate ed appiattite, formano il trofoblasto o trofoectoderma, e daranno origine agli annessi embrionali. L’embrione è così giunto allo stadio di blastocisti, e, nel suo viaggio lungo la tuba, raggiunge l’utero. La membrana pellucida, che fin qui ha protetto l’embrione, viene perduta. Può avvenire così l’annidamento della blastocisti nella mucosa della parete uterina, che si compie tra il 6° e il 9° giorno dopo la fecondazione. A partire dal 10° giorno, la blastocisti va incontro a una serie di complesse modifiche strutturali che esitano nella formazione, da una parte degli abbozzi della cavità amniotica, del sacco vitellino, del corion e dei villi coriali, della placenta embrionale e del cordone ombelicale, e dall’altra della gastrula con la differenziazione delle cellule degli strati germinativi (Ectoderma, Mesoderma, Endoderma, e Cellule germinali). Come mostra la fig. 1b da queste cellule, che sono tutte Cellule staminali embrionali pluripotenti, hanno origine tutte le cellule staminali adulte tessuto specifiche. Il fegato è la sede principale dell’emopoiesi tra la 10a e la 27a settimana della vita fetale1 (v.fig.2). Ma l’emopoiesi epatica è quasi esclusivamente eritroide fino alla 15a settimana, poiché produce essenzialmente cellule della serie rossa (eritroblasti ed eritrociti o globuli rossi), con una piccola proporzione di cellule della serie piastrinica (megacarioblasti, megacariociti e piastrine). Tra la 10a e la 12a settimana si sviluppa nel fegato la mielopoiesi, cioè la produzione di leucociti o globuli bianchi del tipo mieloide (granulociti o polinucleati). Questa procede poi insieme all’eritropoiesi e si accompagna a una ulteriore migrazione di CSE verso il midollo osseo. La fase midollare dell’emopoiesi ha inizio a partire dalla 11a -12a settimana (v.fig 2). Dalla 18a settimana l’emopoiesi epatica comincia a decrescere e viene progressivamente sostituita dall’emopoiesi midollare che diviene prevalente dalla 28a settimana e quasi esclusiva dopo la 36a settimana di vita fetale. Alla nascita l’emopoiesi è di norma tutta midollare. Nel midollo osseo, come nel fegato e nella milza, l’emopoiesi è extravasale. Embrione Feto c b a 0 4 8 12 16 20 24 28 32 36 40 settimane a) Emopoiesi vitellina o extraembrionale b) Emopoiesi epatica c) Emopoiesi midollare Fig.2 - Fasi successive dell’emopoiesi durante la vita embrionale e fetale, fino alla nascita Durante il periodo della colonizzazione epatica da parte delle CSE, non c’è significativa attività linfopoietica nel fegato fetale. Le poche cellule linfoidi rintracciabili nel fegato prima di 12-15 settimane sono immunologicamente inerti. Si tratta di progenitori di linfociti T che necessitano di un passaggio e di un adeguato processo di differenziazione e di maturazione nel timo per divenire linfociti T immunologicamente competenti. La migrazione dei progenitori T 1 L’embrione diventa feto a 8 settimane di vita 10 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima nel timo comincia già alla 12a settimana e si compie intorno alla 15a – 18a settimana di vita fetale. Il processo di differenziazione e di maturazione delle cellule T continua poi durante la vita fetale fino alla nascita e per molti anni dopoo la nascita. Come dimostrano i trapianti eseguiti in pazienti anziani e in pazienti privi del timo, le cellule stromali del microambiente midollare sono però capaci di portare le CSE a differenziazione e maturazione T linfocitaria completa anche in assenza del timo. I linfociti B, che devono compiere il loro percorso maturativo prima nel midollo osseo e poi negli organi e tessuti linfatici periferici, e soprattutto nella milza e nei linfonodi, sono presenti nel fegato fetale, in numero significativo solo a 22-26 settimane di gestazione. Quindi il fegato fetale umano prima di 15-18 settimane è un organo eritropoietico molto efficiente, ma privo di attività linfoide e quindi di immunocompetenza. Questo spiega perché i trapianti di cellule di fegato fetale non causano nei riceventi manifestazioni di aggressione immunologia tipo GVHD. D’altra parte, un trapianto in utero di CSE, eseguito nel feto dopo 17-18 settimane di vita (a parte i casi di immunodeficienza congenita severa ) ha scarse probabilità di superare la barriera immunologia fetale, Il periodo migliore per effettuare un trapianto di CSE in utero (per es. in casi di beta talassemia) sembra essere compreso secondo alcuni ricercatori, tra 11 e 15 settimane di vita fetale. Ma altri ricercatori ritengono che tale periodo, definito “finestra di opportunità immunologica” debba essere anticipato di circa 2 settimane, onde evitare il rigetto. Le CSE alla nascita si trovano in numero relativamente alto nel sangue del cordone ombelicale, oltreché nel midollo osseo. Dopo la nascita e nel corso della vita si trovano quasi esclusivamente nel midollo osseo. Solo poche CSE possono essere reperite nel sangue periferico. Ma mediante trattamento con particolari fattori biologici, detti fattori di crescita (G-CSF e GM-CSF), queste cellule possono essere indotte a trasferirsi in numero elevato dal midollo osseo al sangue periferico (mobilizzazione). E’ così possibile effettuarne la raccolta da una vena periferica con una semplice procedura di leucaferesi. Le CSE vengono facilmente riconosciute per la presenza, sulla loro membrana, di alcune molecole proteiche (antigeni) e in particolare di una molecola denominata CD34. Il profilo antigenico che distingue queste cellule è: CD34+ CD33- CD38-, HLA-DR- (vedi fig.3). L’impiego di anticorpi monoclonali (vedi riquadro 2) specifici per 11 questi antigeni permette di determinare il numero esatto di CSE presenti in campioni di midollo osseo, di sangue periferico o di sangue cordonale, e di separarle dalle altre cellule nucleate (Progenitori, Precursori e cellule mature), ottenendo delle sospensioni quasi pure di CSE. Le vere CSE costituiscono nel midollo osseo una massa di tessuto molto piccola, probabilmente secondo alcuni ricercatori nell’ordine di 1 mg o di 1 milione circa di cellule. Oltre il milione di CSE vere, nel midollo osseo si trova un numero molto maggiore di cellule progenitrici emopoietiche in stadi maturativi più o meno avanzati. (Fig.3). Sono cellule con capacità riproduttiva illimitata, ma con capacità differenziativa limitata ad una o poche serie cellulari. Si distinguono dalle CSE per un diverso profilo antigenico, e in particolare per essere CD34-. Tutte le cellule emopoietiche (staminali vere) + (progenitori) rappresentano dallo 0,8% al 3% delle cellule nucleate del midollo osseo. Queste cellule hanno una capacità riproduttiva portentosa e generano 300-600 miliardi al giorno di cellule mature in sostituzione di quelle che muoiono. Qualunque malattia che coinvolga direttamente le CSE può avere conseguenze molto gravi sulla produzione e/o sulla funzione delle cellule periferiche. Sono proprio le CSE che rendono possibile il successo del trapianto di midollo osseo proliferando nel ricevente fino a ricostituire un nuovo midollo osseo e rinnovare le cellule del sangue e del sistema immunitario. E pertanto ovvio che anche sospensioni di CSE ottenute dal sangue di cordone ombelicale o dal sangue periferico, possano sostituire il midollo osseo agli effetti del trapianto. Riquadro 2. Anticorpi monoclonali Quando un linfocita B è stimolato da un antigene specifico, è indotto a proliferare, e produce una “discendenza” di linfociti B tutti uguali che costituisce un clone. I linfociti B appartenenti a un determinato clone producono anticorpi (cioè, molecole di immunoglobine) tutti identici tra loro e dotati della stessa specificità e della stessa affinità nei confronti di un antigene. Questi anticorpi sono detti perciò anticorpi monoclonali. Vengono prodotti in laboratorio con procedure diverse (di solito su topini) e rappresentano lo strumento biologico di maggiore specificità di cui disponiamo per riconoscere gli antigeni, sia solubili che sulla membrana delle cellule, come, per esempio, gli antigeni CD. Quando un antigene stimola differenti linfociti B, ciascun linfocita produce un clone B differente. Ogni clone, composto da molti linfociti B identici, produce molecole anticorporali, tutte rivolte contro l’antigene stimolante, ma differenti da quelle prodotte dagli altri cloni, sia per specificità che per affinità. Sono anticorpi policlonali. Nel nostro organismo, gli anticorpi prodotti nei confronti di antigeni virali, batterici o di qualunque altro tipo, sono fisiologicamente anticorpi policlonali. 12 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima Autorinnovamento CD 38Cellule Staminali Emopoietiche CD 34+ CD 33- ++++ HLA-DR- CD 38CD 34+ CD 33- +++ HLA-DR+/CD117+ + CD117+ CD 38CD 34+ CD 33- HLA-DR+ LINFOPOIESI CSE orientate o Progenitori precoci MIELOPOIESI CD 38+ CD 34(-) CD 33+/- CD10+ + Tdt CD117+ HLA-DR+ CD123 CD133 CD 45RA+ CFU-GEMM CD 61+ CD 71+ CD 45+ Progenitori CD 33 CD 34 CD 123 CD 131 BFU-E BFU-MK CD36 CD123 CFU-E Precursori Proeritroblasto GlycophC CD36 GlycophA AgH CD71 Eritroblasti C. mature nel sangue GlycophC CD55 CD59 CD147 CD35 CD44 GlycophA AgH Eritrocita CFU-B CFU-Eos CD34+/CD33 DR CD36+/CD41,61 CD36 AgH CD71 CD9 CD36 CD41 CD42 CD61 Megacaricito CD9 CD36 CD41 CD42 CD61 Piastrine HLA-DR+ CFU-GM CFU-G (CD91) CD114 CD116 Mega- Mieloblasto Mieloblasto carioblasto Baso Eos DR 116,131 CD38 CD13 CD15 CD43+ CD33 CD115 CD10 CD116 (CD34) CD123 Tαt CD13 CD15 CD33 CD116 CD123 CD34 CD123 CFU-MK (34) 115,123 CD 38+ CD 33+ CD 13+ CFU-BME Mielocita Baso Mielocita Eos CD125 CD89 Granuloc. Basofilo CD114 CD116 Granuloc. Eosinofilo CFU-M CD11c CD13 CD14 CD33 CD36 DR CD13 (CD15) CD33 DR CD65 CD13 CD65 (CD15) CD33 CD65 CD67 Mielocita N CD17 CD24 CD32 CD35 CD89 CD92 CD93 CD114 CD9 (CD15) (CD33) (DR) CD25+ DR CD11c CD14 CD45RO CD45RB (CD13) Macrofago pro-NK CD7ckitR CD43 CD25 CD5 CD45RA pro-T + CD2+ TdtCD7+ CD34- CD10 CD25+ CD122+ CD4+ CD8+ CD161CD3+ IL15Rα CD1 CD5++ CD45RO CD43 pre-NK pro-T doppio pos. CD9 CD45R+ CD10 + CD19 CD20+ CD24+ CD23 Linfocita preB CD11b CD11c IgM CD13 CD14 CD15 CD33 DR CD33 Monocita (34) CD34CD122- CD4CD161- CD8 CD3 CD2 CD2 Tαt CD10 CD2 CD19 CD22 CD43 CD45RA DR pre-preB Promonocita CD10 CD13 CD15 CD16b CD65 CD66 CD116 DR Granuloc. Neutrofilo CD11c CD13 CD14 CD33 CD36 DR CD45RA c-kit R CD19+ CD24+ DR pro-B Mieloblasto Monoblasto N CD89 CD91 CD116 CD123 CD117+ HLA-DR+ CD127 C. STAMINALE LINFOIDE CD 38+ CD 34+ CD 90+ CD 124+ CD45RO CD45RA (CD2) CD11b CD19+ CD11c CD20+ CD122+ CD23+ CD161+ CD56+ CD22 CD57 CD43 CD7 KIR CD16+/- Linfocita B IgM IgD CD19 CD20 CD21 CD22 CD45RA DR NK CD7 CD28 CD4 CD8 CD3 CD2 CD5 (CD5) Linfo T CD4+ CD28 Linfo T CD8+ TIMO B maturo Fig.3 - Differenziazione e maturazione delle C.S.E. NB. gli antigeni CD espressi sulla membrana delle cellule mieloidi della serie basofilia ed eosinofila, sono in gran parte comuni a quelli della serie neutrofila, a parità di livello maturativo. 13 2. Le Fonti delle C.S.E. Le CSE possono essere ottenute dal midollo osseo, dal sangue periferico e dal sangue placentare. 2.1 Il Midollo osseo Il midollo osseo è un tessuto essenzialmente emopoietico ed immunopoietico, in quanto la sua attività è dedicata in maniera nettamente prevalente alla produzione delle cellule del sangue e del sistema immunitario (v. fig.3). Cellule che derivano tutte da un’unica cellula madre che è la CSE. Ma nel midollo osseo hanno anche origine, come vedremo, delle cellule del tutto differenti, che hanno funzioni di sostegno e microambientali, e che derivano da una cellula madre differente, che è la Cellula Staminale Mesenchimale o CSM, di cui si parla in un paragrafo apposito. Il midollo osseo è contenuto nelle cavità midollari delle ossa. Si distingue in midollo rosso o emopoietico (che produce le cellule del sangue) e in midollo giallo, costituito da cellule adipose. Nel neonato tutto il midollo è rosso, ma con gli anni esso viene progressivamente sostituito da midollo giallo. Nell’adulto solo le ossa spugnose (bacino, corpi vertebrali, coste, sterno e scapole) e le epifisi prossimali degli omeri e dei femori contengono midollo rosso. Il midollo giallo è una vasta area di riserva per l’emopoiesi che deve adeguarsi alle necessità dell’organismo. Infatti, se l’emopoiesi è fortemente stimolata, il midollo giallo si riduce e quello rosso si espande. Il midollo osseo è, nell’insieme, un tessuto molto voluminoso che rappresenta nell’adulto il 3,5-6% del peso corporeo (cioè da 1700 a 4500 gr.) Nel giovane di sesso maschile il midollo osseo ha un volume totale medio di 2800-3800 ml con 1300-1750 ml di midollo emopoietico. L’attività riproduttiva del midollo osseo è enorme, poiché deve garantire il mantenimento pressoché costante del numero di cellule ematiche delle diverse serie. In condizioni normali, l’attività riproduttiva dipende quindi dalla durata media della vita di ciascun tipo di cellula, oltrechè dal suo numero fisiologico nel sangue (v.tabella 1). In un adulto normale vengono prodotti ogni giorno in media 150250 miliardi di globuli rossi, 100-200 miliardi di piastrine e 60-150 miliardi di globuli bianchi, che vengono immessi nel sangue in sostituzione dei globuli rossi, delle piastrine e dei globuli bianchi che 14 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima esauriscono il loro ciclo vitale. (Tab. 1) Il sistema impegna fisiologicamente solo in piccola parte le riserve di cui dispone come capacità riproduttiva. In condizioni di emergenza (emorragia, crisi emolitica, infezioni), può rispondere rapidamente allo stimolo aumentando fino a 5-10 volte la produzione giornaliera di ciascun tipo di cellula. Tab.1 - Attività riproduttiva delle CSE e relazione con la vita media e il numero delle cellule nel sangue Tipo di Cellule Globuli rossi Numero medio nel sangue N/mm3 Vita media delle cellule Attività delle CSE: Cellule prodotte N/giorno 4,0 - 6,0 x 106 110 - 130 gg. Piastrine 150 - 400 x 103 8 - 12 gg 100 - 200 x 109 Globuli Bianchi* 4,0 - 10,0 x 103 6 - 8 h. 50 - 100 x 109 * alcuni tipi di linfociti possono sopravvivere mesi o anni 150 - 250 x 109 Quando viene prelevato, il midollo osseo appare come una sospensione semiliquida d’aspetto simile al sangue che, in assenza di un anticoagulante, coagula rapidamente. 2.2 Il Sangue periferico Le CSE si trovano normalmente nel sangue periferico in piccolissime quantità (0,05-0,04% delle cellule nucleate) ma possono essere indotte a emigrare in alto numero dal midollo osseo al sangue periferico. Questo fenomeno, detto mobilizzazione, è di comune osservazione nei pazienti trattati con chemioterapia antiblastica, durante la fase di ricostituzione emopoietica. Specialmente se questa è sostenuta con la somministrazione di alcuni fattori biologici, noti per la loro attività stimolante sulla proliferazione e differenziazione delle CSE, denominati genericamente fattori di crescita. Due di questi, fisiologicamente presenti nell’organismo, si sono dimostrati particolarmente efficaci per la mobilizzazione delle CSE: • il GM-CSF, che favorisce la sopravvivenza delle CSE e dei progenitori quando sono ancora capaci di prendere diverse vie differenziative verso differenti linee cellulari. E’ dunque un fattore senza specificità di linea cellulare o linea non specifico. • Il G-CSF, che stimola la proliferazione delle CSE e la loro differenziazione verso una determinata linea cellulare: la linea granulocitaria. E’ dunque un fattore linea-specifico. Il fattore di crescita comunemente usato per la mobilizzazione delle CSE a scopo di trapianto è il G-CSF nella forma glicosilata per 15 la sua buona tollerabilità ed efficacia. Rispetto al midollo osseo, il sangue periferico dopo mobilizzazione presenta un maggior grado di maturazione delle cellule emopoietiche, con una maggiore proporzione di progenitori. 2.3 Il Sangue placentare Nel 1988 è stato dimostrato che il sangue placentare, che può essere prelevato alla nascita dal Cordone ombelicale, è ricco di CSE, e che può essere utilizzato per ricostruire il patrimonio cellulare del midollo osseo e del sangue periferico in casi di aplasia midollare. Da allora, l’impiego del sangue placentare (o del cordone ombelicale), in alternativa al midollo osseo, per scopo di trapianto allogenico, si è esteso progressivamente a tutte le patologie ematologiche genetiche ed acquisite, immunologiche e neoplastiche, nelle quali ha un indicazione il trapianto di midollo osseo (v.trapianto di CSE). Facendosi però preferire a questo in alcune categorie di pazienti per i minori rischi che comporta in termini di GVHD (vedi più avanti). Il sangue di cordone ombelicale (SCO) contiene mediamente una quantità di CSE di 0,1-1,0% di tutte le cellule nucleate. La composizione cellulare del sangue cordonale, alla nascita, presenta delle peculiarità sia emopoietiche che immunologiche, dovute alle particolari caratteristiche anatomofunzionali del circolo fetoplacentare. Rispetto alle CSE midollari, le CSE del sangue cordonale mostrano un minore grado di maturazione e una maggiore capacità proliferativa. La loro espansione in vitro è autocrina o paracrina e quindi indipendente dall’aggiunta di fattori di crescita. Il numero assoluto per μl di linfociti nel SCO è più alto che nel sangue periferico. I linfociti T sono però più immaturi, poco alloreattivi, e si differenziano dai T periferici per una maggior proporzione di cellule T CD4+ CD25+, dotate di elevata attività soppressiva. I linfociti cordonali sono comunque capaci di esprimere intensa attività citotossica tipo NK e LAK, dopo stimolo con IL2. Anche le cellule B e le cellule dendritiche presenti nel sangue del cordone ombelicale sono in gran parte funzionalmente immature2. Una sintesi dello sviluppo degli organi extraembrionali e della circolazione sanguigna durante la vita prenatale, può servire a capire meglio le cause di tali peculiarità. Questi caratteri possono spiegare perchè il trapianto di CSE di SCO presenta una minore incidenza e gravità della GVHD e un maggior rischio di non attecchimento rispetto al trapianto di midollo osseo (TMO) 2 16 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima 2.4 La Placenta e il Cordone ombelicale Una settimana dopo la fecondazione, l’embrione approda nella mucosa uterina e vi si impianta stabilmente. Le cellule dell’involucro protettivo esterno dell’embrione proliferano rapidamente tra i vasi sanguigni della mucosa uterina ipertrofica che ricopre completamente l’embrione. Verso la parete uterina, le cellule dell’involucro esterno dell’embrione continuano a proliferare nella mucosa e, in pochi giorni realizzano una struttura spugnosa tra le cui maglie scorre il sangue materno che porta ossigeno e sostanze nutritive. E’ il primo abbozzo della Placenta. La porzione restante dell’involucro cellulare esterno, rivolta verso la cavità uterina, diventa una membrana liscia e compatta, ricoperta dalla mucosa uterina. E’ la membrana fetale esterna, denominata Corion. Contemporaneamente, lo strato cellulare interno dell’involucro protettivo dell’embrione evolve in una sottile membrana denominata membrana fetale interna o Amnios. Questo Amnios, come un sacco ricoperto dal corion, contiene l’embrione immerso in un liquido trasparente (liquido amniotico). Alla 3a settimana di vita, nella porzione caudale dell’embrione, si forma una cavità che darà luogo a un intestino primordiale. Da questo si diparte, verso la curva anteriore dell’amnios, una formazione allungata che costituisce il Sacco Vitellino. Un grosso “gambo”, ripieno di materiale gelatinoso, collega ora la placenta con l’intestino Sacco Vitellino Placenta Embrione Liquido amniotico Amnios Corion Cordone ombelicale Mucosa uterina Cavità uterina Fig.4 - Embrione dopo 3 settimane di vita. 17 primordiale, verso la curva posteriore dell’amnios. E’ l’abbozzo del Cordone Ombelicale (v.fig 4). Intanto i primi vasi sanguigni compaiono nella placenta e nel sacco vitellino dove le prime CSE danno inizio alla produzione di globuli rossi. Alla 5a settimana nella matrice gelatinosa del gambo che unisce l’embrione alla placenta, si completa il cordone ombelicale. Dopo pochi giorni, i vasi sanguigni della placenta, del sacco vitellino e del cordone ombelicale sono completi. Alla 6a settimana il sacco vitellino smette di crescere. La sua produzione di globuli rossi diminuisce progressivamente e cessa verso l’11a settimana, quando il peduncolo del sacco vitellino si stacca. Il fegato, che ha iniziato la produzione di globuli rossi alla 6a settimana, è ora la sede dell’emopoiesi. Il cuore è ormai completo e la circolazione sanguigna tra la placenta e l’embrione avviene per mezzo del cordone ombelicale. Due arterie ombelicali, immerse nella robusta sostanza gelatinosa del cordone, portano il sangue venoso dal feto alla placenta, fino alle più sottili ramificazioni sinusoidali. Qui l’anidride carbonica e i prodotti di rifiuto filtrano attraverso la barriera materno-fetale, nel sangue materno, e in direzione opposta, il sangue del feto assume ossigeno e sostanze nutritive dal sangue arterioso materno, e si dirige lungo la grande vena ombelicale verso il fegato. Qui viene filtrato e quindi immesso nella circolazione fetale. Alla nascita, il cordone ombelicale è lungo in media 50 cm e la placenta è un organo spugnoso, a forma di bacinella, del diametro di 25 cm circa. Pesa 500 gr. E contiene 100-180 ml di sangue. 3. Le Cellule Staminali Mesenchimali Il midollo osseo contiene, insieme alle CSE, un altro tipo di cellule staminali adulte multipotenti denominate Cellule Staminali Mesenchimali (CSM). Si tratta di cellule immature dotate della capacità di autorinnovarsi e di differenziarsi continuamente in cellule specializzate tessuto-specifiche. Queste sono: osteoblasti e osteociti, condroblasti e condrociti, adipociti, mioblasti scheletrici, cellule endoteliali, cellule stromali di supporto dell’ematopoiesi, e tenociti. Le CSM si trovano nel midollo osseo a una concentrazione di 1-4/100.000 cellule nucleate. Ma sono presenti, in concentrazioni minori, anche nel sangue del cordone ombelicale, nel fegato fetale e nel liquido amniotico. Le CSM rappresentano una sottopopolazione di cellule aderenti alla plastica che possono essere facilmente espanse in vitro in presenza di solo siero senza fattori di crescita. Le CSM sembrano 18 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima poter essere di notevole importanza nei trapianti allogenici, sia di CSE che di organi e tessuti, per il loro effetto immunosoppressivo. Attualmente non conosciamo ancora un marcatore antigenico specifico di queste cellule. Le CSM vengono riconosciute per la presenza sulla loro membrana di specifiche molecole di adesione (AC 133, CD90, CD44, CD73, CD105 e CD166) e per l’assenza dei marcatori emopoietici CD34, CD38, CD45, CD14 e HLA-DR. Le CSM, dando origine alle cellule stromali del microambiente midollare, hanno un ruolo essenziale nella regolazione dell’emopoiesi midollare, in particolare per quanto riguarda la proliferazione e la differenziazione delle cellule mieloidi e delle cellule linfoidi sia B che T. Sono le cellule stromali del microambiente midollare che, anche in assenza del timo, forniscono il supporto necessario per lo sviluppo dei linfociti T nel midollo osseo, in caso di trapianto di CSE. Nel trapianto allogenico di CSE, le CSM, addizionate in dosi adeguate (≤1x106/Kg di peso del ricevente) esercitano una forte azione immunosoppressiva che diminuisce l’incidenza e la severità della GVHD (anche in caso di trapianto parzialmente incompatibile), e riduce la necessità di pesanti regimi di immunosoppressione farmacologica. L’infusione di CSM del donatore insieme alla sospensione delle CSE, accelera inoltre l’attecchimento e la ricostituzione emopoietica, inclusa quella linfoide T e B. L’impiego clinico delle CSM, dato il loro basso numero nelle sospensioni midollari infuse in un trapianto allogenico convenzionale (2-5 x 103/kg. di peso del ricevente), presuppone la loro espansione in vitro. Gli studi sono ancora in fase iniziale e devono ancora risolvere diversi problemi, ma già da oggi sembrano confermare che le CSM saranno nel prossimo futuro uno strumento estremamente importante per superare la barriera della compatibilità donatore/ricevente, sia nei trapianti allogenici di CSE che di organi e tessuti. Ma le promesse di queste straordinarie cellule non sono solo queste. Alcuni esperimenti di espansione in vitro hanno mostrato che le CSM isolate dal midollo osseo dopo 25-30 passaggi in appositi terreni di coltura, danno origine a una colonia di cellule multipotenti capaci di generare, sia in vitro che in vivo (in animali da laboratorio) numerosi tipi diversi di cellule tessuto-specifiche: c.nervose, cutanee, ematiche, ossee, cartilaginee, adipose, muscolari scheletriche e cardiache, renali, endoteliali, epatiche e pancreatiche. Queste cellule sono state perciò denominate MAPC (multipotent adult progenitor cells). Il fenomeno è stato interpretato come espressione di una particolare proprietà delle CSM (ma anche delle CSE), denominata 19 plasticità o transdifferenziazione, per cui, in particolari condizioni (danni tessutali) queste cellule possono prendere vie differenziative diverse da quelle fisiologiche. Questa interpretazione sembra trovare conforto nei risultati clinici positivi ottenuti in diversi centri di ricerca con la somministrazione di CSM o di CSE autologhe in pazienti affetti da varie patologie (infarto del miocardio, cisti e necrosi ossee, fratture, diabete tipo 1, necrosi cerebrale acuta, arteriopatia ostruttiva, epatopatia cronica tossica). Ma la discussione è ancora aperta. Recentemente è stato isolato dal midollo osseo un sottogruppo di CSM, non ancora ben caratterizzato,che ha dimostrato di possedere qualità sovrapponibili alla MAPC. Così i risultati delle CSM e delle CSE attribuiti a plasticità potrebbero essere invece dovuti alla persistenza nel midollo osseo di un piccolo sottogruppo di cellule dotato di un potenziale differenziativo molto più vasto di quello delle CSE e delle CSM. Una cellula staminale pluripotente, che ha caratteri di cellula staminale nervosa e produce neuroni, oligodendrociti e astrociti, è stata da poco isolata dalla gelatina di Wharton, la matrice del cordone ombelicale, . 4. Il Prelievo delle C.S.E 4.1 Il Prelievo di midollo osseo Il midollo osseo può essere prelevato per scopi diagnostici o per scopi terapeutici (donazione per trapianto). In entrambi i casi il prelievo viene eseguito mediante agoaspirato generalmente dalle ossa del bacino e in particolare dalle creste iliache (v. fig. 5 e 6). Nel primo caso la spina iliaca posteriore superiore viene localizzata e l’area cutanea sovrastante viene pulita e disinfettata con una soluzione antisettica. Si pratica anestesia locale dell’area prescelta mediante infiltrazione fino al periostio di 10 ml di anestetico (xilocaina 2% o altro prodotto analogo). Dopo 5 minuti circa si infigge l’ago da aspirato midollare nella cresta iliaca fino a penetrare nella cavità midollare. Si estrae dall’ago il mandrino, si inserisce una siringa di vetro o di plastica monouso da 10 ml contenente 0,2 ml di eparina (1000 unità/ml) e si aspirano pochi ml di midollo osseo (frustoli di midollo con sangue sinusoidale) ritirando indietro con forza lo stantuffo della siringa. Il prelievo generalmente è molto rapido e provoca dolore locale moderato che scompare rapidamente. Nel secondo caso, il procedimento è molto simile ma la quantità di midollo da prelevare è molto maggiore (fino a 500-1000 ml, e 20 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima SPINE ILIACHE POSTERO-SUPERIORI Fig.5 - Le spine iliache postero-superiori, indicate dalle frecce, e le creste iliache sono le sedi in cui si pratica comunemente il prelievo del midollo osseo per trapianto. Fig.6 - Prelievo del midollo osseo dalla spina iliaca postero-superiore sinistra, con il donatore in decubito prono. Di solito due medici lavorano ai due lati del donatore e prelevano simultaneamente il midollo osseo dalle due spine iliache postero-superiori. 21 anche di più, a seconda del peso corporeo del donatore e del paziente). Per ottenere sospensioni midollari ricche in cellule staminali e progenitori emopoietici, bisogna prelevare pochi ml di midollo con ogni agoaspirato, evitandone una diluizione eccessiva e inutile col sangue periferico. Perciò si devono praticare numerose punture e aspirazioni in punti diversi delle creste iliache. Ciò impone per il donatore un’anestesia generale o spinale al momento della donazione, un predeposito di sangue autologo una-due settimane prima (verrà reinfuso al termine del prelievo del midollo osseo), e una serie di Tab.2 - Indagini preliminari da eseguire sul donatore di midollo osseo, prima della donazione 1. Visita medica con anamnesi e esame obiettivo; 2. Esame emocromocitometrico completo, con formula leucocitaria e conteggio piastrine; 3. Esami ematochimici: azotemia, glicemia, creatininemia, bilirubinemia totale e frazionata, transaminasi, γGT, fosfatasi alcalina, protidemia totale e elettroforesi della sieroproteine, colinesterasi, elettroliti sierici (Na, K, Cl,Ca e Mg), dosaggio delle IgG, IgA, IgM, sideremia e ferritinemia; 4. VES e titolo anti-streptolisine; 5. Test della coagulazione: PT, PTT, fibrinogenemia, proteina C e anti-trombina III; 6. Virologia: anticorpi anti-HVS, HVZ, EBV, HBsAg, HCV; 7. Toxotest e sierodiagnosi per tifo, paratifo A e B, e brucellosi; 8. Diagnosi sierologica e molecolare di HIV1 e 2, e CMV; 9. Esame urine; 10. Test allergologici per anestetici; 11. Valutazione anestesiologica; 12. Valutazione cardiologica con ECG e Eco CG; 13. Radiografia del torace 14. Ecografia addome. esami preliminari volti ad accertare le sue condizioni di salute, in modo da escludere rischi significativi sia per il paziente che riceverà il midollo (infezioni, neoplasie), sia per lo stesso donatore (vedi tabella 2). Il prelievo di midollo osseo per trapianto dura mediamente 30-45 minuti e non comporta danni o menomazioni al donatore, quando le procedure previste e i criteri di esclusione sono rispettati (v.tabella 3). Questo dimostra l’esperienza di alcune centinaia di migliaia di prelievi per TMO effettuati nel mondo. Solo un indolenzimento mo22 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima Tab.3 - Principali criteri di esclusione dalla donazione di midollo osseo 1. Comportamenti a rischio di infezioni trasmissibili con l’infusione di midollo e derivati del sangue: • assunzione di droghe; • agopuntura, tatuaggi, piercing; • rapporti omosessuali promiscui; • rapporti sessuali con sconosciuti; • trasfusioni ricevute fino a 5 anni prima; 2. Presenza di epatite o ittero; 3. Presenza di malattire veneree; 4. Positività per: Test della sifilide (TPHA o VDRL); Test dell’A.I.D.S. (HIV1 e 2); Test dell’epatite B (HBsAg); Test dell’epatite C (anti-HCV); 5. Rapporti sessuali con persone incluse in quest’elenco; 6. Tutte le altre condizioni di esclusione elencate nella legge 4 maggio 1990 n. 107 e relativi decreti attuativi. desto e di breve durata nella sede del prelievo, il rischio estremamente raro legato all’anestesia generale (1:10.000), e il fastidio di due giorni di ricovero in ospedale, sono da considerare. La quantità di midollo da prelevare per un TMO, è calcolata come numero di cellule nucleate per kg di peso del paziente. Per un trapianto autologo ne sono sufficienti 2,0 x 108/kg di peso del ricevente. Per un trapianto allogenico da donatore familiare HLA-identico occorrono almeno 3,0x108 cellule nucleate/kg di peso del ricevente. Infine, per un TMO da donatore non familiare, o non del tutto HLA identico, o in caso di manipolazione del midollo (rimozione dei linfociti T o dei globuli rossi o del plasma) occorre un numero maggiore di cellule nucleate/kg. Il midollo prelevato si ricostruisce nel donatore in 7-10 giorni spontaneamente. Dopo il prelievo; il midollo osseo viene filtrato per rimuovere eventuali microcoaguli, piccoli frammenti ossei, ed altre possibili impurità, e viene quindi raccolto in apposite sacche di plastica simili a quelle trasfusionali. L’incompatibilità ABO tra donatore e ricevente non è un impedimento al TMO. Tuttavia, poiché la sospensione di midollo da infondere contiene grandi quantità di globuli rossi, se l’incompatibilità tra paziente e donatore è del tipo paziente O/donatore A, B o AB, 23 oppure paziente A/donatore B o AB, o pazienti B/donatore A o AB, si procede alla rimozione dei globuli rossi dalla sospensione di midollo prima di infonderla nel paziente, onde evitare una pericolosa emolisi. 4.2 Prelievo di CSE da sangue periferico E’stato già precisato che il prelievo di CSE da sangue periferico prevede un preliminare trattamento del donatore con dei fattori biologici fisiologicamente presenti nel nostro organismo, allo scopo di mobilizzare le CSE dal midollo al sangue periferico. I fattori sperimentati a questo scopo sono praticamente due. Il GM-CSF che, oltre ad agire direttamente sulla sopravvivenza delle CSE e dei progenitori, in concorso con altre interleuchine (IL3), induce il reclutamento nel ciclo cellulare sia delle CSE che dei progenitori più primitivi. Promuove così la proliferazione e la differenziazione delle CFU-GEMM, delle BFU-E, delle BFU-Mega, delle CFU-M, e dei precursori emopoietici che da queste derivano (v.fig.3). Il G-CSF agisce invece sulle CSE, indirizzandone la differenziazione in CFUG, e sulle CFU-G inducendone la proliferazione e la maturazione fino alla tappa di granulociti maturi. Entrambi i fattori devono essere somministrati a dosi molto più alte di quelle fisiologiche per ottenere Tab.4 - Criteri di ammissione alla procedura di mobilizzazione e di aferesi delle CSE. • • • • • • • • • • • Non presentare nessuna delle condizioni che controindicano la donazione di sangue e di midollo osseo; Non essere in gravidanza o in periodo di allattamento; Non essere in terapia con aspirina o antiaggreganti piastrinici, anticoagulanti, ACE-inibitori, o litio; Avere un emocromo normale, incluso il conteggio delle piastrine; Non avere splenomegalia (valutata in ecotomografia*); Non avere sofferto di episodi di vasculite, irite o episclente; Non eseere portatore di trait falcemico; Non avere nella storia clinica personale e familiare episodi di alterazione della coagulazione (specialmente di trombosi arteriosa o venosa); Avere un profilo coagulativo normale ai test di laboratorio specie per trombo- filia, che includono l’analisi della AT III, della Proteina C e dell’Omocisteina; Avere una situazione cardiovascolare normale; Avere buoni accessi venosi periferici; * L’ecotomografia della milza deve essere ripetuta almeno una volta nei giorni di somministrazione del G-CSF. 24 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima una buona mobilizzazione delle CSE midollari. E questo può comportare degli effetti collaterali e indesiderati. Per la sua efficacia e per una migliore tollerabilità, il preparato comunemente usato è il G-CSF. Prima di essere ammesso alla procedura di mobilizzazione il donatore deve essere attentamente valutato. I criteri principali sono riportati nella tabella 4. Deve essere inoltre richiesto al donatore di firmare un consenso alla procedura di mobilizzazione e di aferesi, dopo aver avuto informazioni chiare e complete su: 1. modalità e protocollo di somministrazione del G-CSF; 2. medico responsabile della somministrazione e della procedura di aferesi; 3. effetti previsti del G-CSF, effetti collaterali e possibili effetti indesiderati e rischi che la somministrazione del G-CSF può causare, particolarmente in rapporto all’insorgenza di splenomegalia e di fenomeni trombotici (v.tabella 5) 4. modalità della procedura di aferesi e sue possibili complicazioni. Il modulo di consenso dovrà essere controfirmato dal medico incaricato dell’aferesi o da un altro medico del Servizio di aferesi. Per la mobilizzazione delle CSE, il G-CSF viene somministrato al donatore per via sottocutanea, alla dose di 10 μg/kg/die, in due frazioni giornaliere, per 4-5 giorni consecutivi, valutando ogni giorno il numero di CSE CD34+ nel sangue, mediante citofluorimetria a flusso. La raccolta delle CSE viene fatta mediante aferesi con apparecchi che impiegano materiali e circuiti sterili (v.fig. 7). La procedura comune prevede due accessi vascolari nelle braccia che consentono di prelevare il sangue da un braccio, selezionare le CSE e i progenitori, raccoglierli in un’ apposita sacca, e di reinfondere nell’altro braccio il sangue residuo. La procedura dura 3-4 ore. E’ necessario raccogliere e infondere almeno 4x106 cellule CD34+/kg di peso del ricevente, per ottenere un buon attecchimento. Questo risultato si ottiene nella grande maggioranza dei donatori con una sola aferesi. Ma in un quinto circa dei donatori occorrono due aferesi. Esiste anche un 5-10% di individui che rispondono poco o nulla al G-CSF. E’ stato osservato, tuttavia, che le probabilità di successo di un trapianto allogenico aumentano sensibilmente quando si infondono quantità di CSE molto maggiori di quelle sopra indicate. Perciò in molti centri si ricorre a più procedure di aferesi. Come è stato ricordato, la somministrazione di G-CSF può causare 25 1 2 3 6 4 7 5 Fig.7 - prelievo di CSE e di Progenitori emopoietici da sangue periferico mediante aferesi Legenda: 1 - Sacche di raccolta delle CSE periferiche 2 - Sangue intero nel separatore 3 - Sangue residuo dopo separazione delle CSE e dei Progenitori, reinfuso nel donatore 4 - Sangue intero nella centrifuga di separazione 5 - Centrifuga di separazione 6 - CSE e Progenitori emopoietici selezionati, raccolti in una sacca 7 - Sangue residuo da reinfondere Tab.5 - Effetti collaterali da G-CSF in procedure di mobilizzazione e prelievo di CSE da sangue periferico. • • • • • • • • • • • • • • • • EFFETTI INDESIDERATI Dolori ossei diffusi, mialgie, e/o artralgie lievi o moderati Cefalea lieve o moderata Sindorme simil-influenzale Insonnia Nausea e Anoressia Febbricola o Febbre Anemia e/o piastrinopemia Splenomegalia e/o epatomegalia non pre-esistente Reazioni allergiche cutanee lievi Ipotensione arteriosa (≤90/60 mm Hg) Iper-leucocitosi (≥ 100.000 leucociti/mm3) Dolori Ossei, artralgie e/o cefalea intensi, o insopportabili, che necessitano di potenti analgesici reazioni allergiche cutanee gravi (orticaria. edemi facciali) e/o respiratoria (dispnea) Incidenti vascolari ischemici Vasculite cutanea Rottura di milza* * Osservati 2 casi mortali 26 INCIDENZA 80 - 90% 70 - 80% 30 - 40% 30 - 40% 20 - 30% 15 - 20% 10 - 15% 5 - 10% 3 - 5% 3% 2% < 1/250 < 1/4000 < 1/5000 < 1/7000 < 1/8000 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima dei disturbi che sono in generale di lieve o modesta entità, facilmente controllabili e transitori. Solo in casi estremamente rari sono stati osservati degli incidenti gravi e anche mortali. L’incidenza degli effetti indesiderati da G-CSF è riportata nella tabella 5. 4.3 Prelievo di sangue placentare Il sangue del cordone ombelicale può essere facilmente prelevato subito dopo il parto (sia spontaneo che cesareo), prima o dopo l’espulsione della placenta. Si utilizza generalmente un sistema chiuso, in quanto comporta rischi molto minori di contaminazione. Ai fini della raccolta, la gestazione deve essere non inferiore a 34 settimane. Subito dopo il parto vengono posizionati due clamp sul cordone ombelicale a una distanza di 5-10 cm dal neonato, mentre l’ostetrica esegue le operazioni di routine (aspirazione, lavaggio, misura, peso corporeo, etc). Terminate queste operazioni si taglia il cordone tra i due clamp. Si disinfetta accuratamente la zona del cordone in cui sarà effettuato il prelievo. In questa zona viene inserita, nella vena Neonato Placenta Clamps Cordone ombelicare Sacca di raccolta del SCO Fig.8 - Tecnica di prelievo del sangue di cordone ombelicale. 27 ombelicale verso la placenta, una cannula collegata con la sacca di raccolta, e si fa defluire il sangue compiendo una delicata spremitura del cordone per favorire il deflusso del sangue (v.Fig.8). Quando questo è terminato, si chiude con apposito clamp il tubo di raccordo con la sacca e si toglie l’ago. Dopo il secondamento, la placenta viene ispezionata dall’ostetrica per valutarne la completezza. Si preleva quindi, con una siringa monouso da 10-20 ml, il sangue contenuto nei vasi placentari ancora congesti, previa accurata disinfezione della sede del prelievo. Il sangue raccolto nella siringa viene trasferito nella sacca di raccolta, tramite il dispositivo di iniezione posto nella parte alta della sacca. Prima della raccolta, l’operatore riporta sulla sacca il numero di braccialetto assegnato alla madre e al figlio e la data del prelievo. Dopo la raccolta, la sacca viene conservata a 4°C. Entro 24-48 ore dalla raccolta, il sangue prelevato deve essere manipolato, caratterizzato e crioconservato. Ai fini della conservazione in una banca di sangue cordonale, vengono considerate idonee solamente le raccolte con volume superiore a 40 ml e con numero di cellule nucleate superiore a 8x108. La manipolazione dell’unità di SCO deve limitarsi alla riduzione del volume mediante deplezione dei globuli rossi e/o del plasma. Di ciascuna unità saranno conservati dei campioni di riferimento. Un campione di 3 ml di sangue sarà prelevato sterilmente dalla sacca per la caratterizzazione. Questa dovrà comprendere tutti i dati riportati nella tabella 6. Dopo il prelievo, si eseguono sul siero materno le analisi per HIV1 e 2, HbsAg, anti-HCV, anti-CMV e TPHA. Un test per HIV1 viene ripetuto dopo 6 mesi su un nuovo campione di sangue materno. Il volume di SCO che viene raccolto è molto variabile. In media 100-120 ml contenenti 8-12 x 108 cellule nucleate e 1-5 x 106 cellule CD34+. Tab.6 - Caratterizzazione dell’unità di SCO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 28 Determinazione del volume; Conta del numero totale di cellule nucleate; Determinzione del gruppo ABO ed Rh; Conta del numero totale di cellule CD34+ in citofluorimetria; Valutazione del potenziale clonogenico mediante colture cellulari su terreno semisolido, e determinazione del numero di (CFU-GEMM+CFU-GM+BFU-E)/ml di sangue placentare; Tipizzazione HLA-A, Cw, B, DRB1, B3, B4, B5 e DQB1, eseguita con tecniche molecolari, almeno per la classe II; Valutazione di sterilità per batteri e funghi, e, in caso di positività, esecuzione di antibiogrammi. Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima 4.4 Crioconservazione delle sospensioni di CSE Il sangue di cordone ombelicale di norma non viene utilizzato per un trapianto subito dopo la donazione, e viene conservato in una Banca apposita, individuata dalla Regione di competenza, in base alla art.15 della legge 1 aprile 1999 n.91 e della legge 4 maggio 1990 n.107. La conservazione viene effettuata mediante criocongelatore programmato, sull’intera Unità di SCO, previo trasferimento dalla sacca di raccolta ad una sacca da criocongelamento. Si utilizza allo scopo una miscela di congelamento composta da RPMI 1640 70 parti, DMSO 10 parti e Albumina Umana 20% 20 parti, che viene aggiunta goccia a goccia al SCO nella sacca di congelamento, nella proporzione di 1 vol. di miscela per 1 vol. di SCO. Subito dopo, la sacca viene chiusa con una saldatrice, sistemata in un premisacca metallico, e, entro 10 min. dall’aggiunta della miscela di congelamento, inserita nel criocongelatore a discesa programmata della temperatura. Al termine del congelamento, che dura 90 min. circa, la sacca viene tolta dal premisacca e trasferita rapidamente in un contenitore di azoto liquido dove viene definitivamente conservata a –135°C. Il contenitore di azoto liquido è dotato di un dispositivo che garantisce il controllo del livello di azoto e di un sistema di monitoraggio continuo della temperatura. Un sistema di controllo dell’inventario deve poter indicare l’ubicazione di ogni unità di SCO e dei relativi campioni di riferimento, dentro il criocongelatore. Un sistema di allarme dotato di segnalatori visivi e sonori deve garantire il funzionamento dell’apparato per 24 ore al giorno. Il criocongelamento viene fatto con le stesse modalità, quando è necessario, anche per la conservazione di Unità di midollo osseo e di CSE da sangue periferico. La conservazione per scopo di trapianto di Unità di SCO deve prevedere dei controlli di qualità sul materiale e sul prodotto, pre-congelamento e post-congelamento, che includono: il test di sterilità della sospensione cellulare, il test di vitalità e la valutazione del potenziale clonogenico delle CSE. 5. Il Trapianto di CSE Come è stato già precisato, il trapianto di CSE può essere eseguito sia con midollo osseo, sia col sangue periferico dopo mobilizzazione, che col sangue di cordone ombelicale. I tre tipi di trapianto hanno la stessa finalità, le stesse indicazioni, seguono gli stessi criteri di ido29 neità e di sicurezza, le stesse modalità di preparazione del paziente e di infusione della sospensione contenente le CSE. Si distinguono però per molti aspetti che ne giustificano una esposizione separata. Per tutti gli aspetti comuni il trapianto di midollo osseo è quello di riferimento. 5.1 Trapianto di midollo osseo Il trapianto di midollo osseo (TMO) consiste nel sostituire un midollo malato o irreversibilmente danneggiato (per es. da farmaci, da sostanze tossiche o da radiazioni ionizzanti) con un midollo osseo sano. Questo deve essere capace di (1) riprodurre l’intero patrimonio cellulare del midollo osseo, del sangue e del sistema immunitario dei tessuti e degli organi linfatici (milza, linfonodi); (2) ripristinare normali funzioni ematologiche e immunologiche. Il TMO può essere autologo (midollo osseo dello stesso paziente) o allogenico (midollo di un donatore sano). In entrambi i casi il TMO si esegue infondendo il midollo osseo al paziente in una vena centrale. Il TMO autologo è riservato a casi particolari in cui sia possibile ottenere dal paziente del midollo osseo sano o ripulito dalle cellule malate, o ancora quando non sia disponibile alcun donatore idoneo. Oggi viene generalmente sostituito col trapianto di CSE autologhe prelevate dal sangue periferico dopo mobilizzazione. Il trapianto autologo di midollo osseo, ha un indicazione elettiva nel trattamento chemioterapico e/o radiante di tumori solidi in cui di debbano raggiungere livelli di tossicità midollare (mielotossicità) tali da comportare la distruzione o il danneggiamento irreversibile delle cellule staminali e dei progenitori emopoietici. In questi casi il midollo osseo del paziente (oppure le CSE da sangue periferico) viene prelevato e criocongelato, in azoto liquido, mediante criocongelatore programmato (v.par. 4.4) prima di iniziare il trattamento antitumorale del paziente. Al termine del trattamento antitumorale, la sospensione di midollo osseo o di CSE da sangue periferico viene scongelata (v. par.5.3 e tab.8) e rinfusa per una vena centrale nel paziente (autotrapianto). La quantità ottimale di progenitori CD34+ da infondere è ≥ 5 x 106/kg. L’autotrapianto è chiaramente proponibile in campo oncologico a condizione che il tumore sia sensibile al trattamento antiblastico, chemioterapico e/o radioterapico, e che le CSE prelevate al paziente non siano contaminate da cellule neoplastiche. Questa condizione non è facile da realizzare nei pazien30 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima ti con malattie oncoematologiche, come le leucemie, i linfomi e i mielomi. In questi casi bisogna trattare prima il paziente con protocolli di induzione della remissione, ottenere la remissione completa della malattia, e prelevare le CSE del paziente in questa fase. La sospensione di CSE può tuttavia contenere ancora piccole quantità di cellule tumorali in grado di riprodurre la malattia dopo il trapianto. Vengono perciò proposte delle procedure di decontaminazione (purging) per eliminare le cellule maligne dalla sospensione di CSE, prima di reinfonderle al paziente. La reale utilità di tali procedure rimane però dubbia. Il trapianto autologo non è ovviamente proponibile per nessuna malattia che coinvolga direttamente le cellule staminali, sia qualitativamente (come la β-talassemia, l’anemia falciforme, la leucemia mieloide cronica, le immunodeficienze primitive, etc), sia quantitativamente (come le aplasie midollari gravi costituzionali ed acquisite). Solamente il trapianto allogenico di CSE è proponibile in questi casi. La quantità di midollo osseo da trapiantare viene valutata in base al numero di cellule nucleate e di cellule staminali presenti nel midollo. In generale si trapianta una quantità di midollo pari a 200-400 milioni di cellule nucleate per kg di peso del paziente. Questo corrisponde a 3-6 milioni di CSE e progenitori per kg di peso ed equivale mediamente a 500-600 ml di sangue midollare per un ricevente di 50 kg. Nel caso di incompatibilità ABO tra donatore e ricevente in cui il ricevente ha anticorpi nel siero rivolti contro gli antigeni A e/o B del donatore, si procede alla rimozione dei globuli rossi dalla sospensione di CSE da trapiantare. L’infusione del midollo osseo (e delle altre sospensioni di CSE) viene fatta in una camera sterile, in una vena centrale, molto lentamente . Generalmente non comporta alcun disturbo per il paziente. L’attecchimento delle CSE trapiantate è dimostrabile di solito dopo 2 settimane circa dal trapianto, attraverso l’aumento del numero di granulociti neutrofili per 3 giorni consecutivi oltre 500/mm3 o attraverso l’analisi molecolare di marcatori genetici polimorfici (microsatelliti) che hanno nel donatore genotipi diversi da quelli del ricevente. Lo sviluppo delle CSE dopo l’attecchimento avviene progressivamente nelle settimane successive e raggiunge livelli compatibili con la dimissione del paziente, dopo 5-6 settimane. 31 Per raggiungere questo obiettivo è necessario: 1) Selezionare un donatore di midollo osseo sano che abbia il massimo grado di compatibilità HLA con il paziente; 2) Valutare attentamente l’esistenza di un’indicazione al trapianto (v.paragrafo 6) e dell’idoneità clinica al trapianto del paziente (v. tabella 7) e del donatore (v.par. 5.4); 3) Nel caso di malattia oncoematologica, indurre preliminarmente la remissione completa della malattia; 4) Preparare adeguatamente il paziente al trapianto, provvedendo a : ÿ distruggere completamente, o in gran parte le cellule midollari (mieloablazione); ÿ sopprimere le difese immunitarie del paziente; ÿ prevenire la GVHD e controllarla quando insorge; ÿ proteggere il paziente da infezioni, emorragie e/o anemizzazione 5) Prelevare e trapiantare una quantità adeguata di CSE Tab.7 - Valutazione dell’idoneità clinica del paziente al TMO • • • • • • • • • • • • • • 5.2 Anamnesi e visita medica; Es. emocromo completo, VES; Es. ematochimici (come per il donatore v. tab. 2); Test della coagulazione (come per il donatore); Virologia, toxotest, sierodiagnosi, sierologia per epatite, per HIV e CMV (come per il donatore); Es. urine; Prove imunoematologiche; Rx torace; Visita cardiologica con ECG e Ecocardiogramma; Emogasanalisi e funzionalità respiratorie; TAC total body con contrasto; Eco epatosplenica; Se donna: visita ginecologica con PAP/test e eventuali test di gravidanza; Valutazione psicologica. Trapianto di CSE da sangue periferico Nel paragrafo precedente si è già parlato del trapianto autologo di CSE periferiche. La procedura del trapianto allogenico di CSE da sangue periferico e da sangue del cordone ombelicale non è sostanzialmente diversa da quella del midollo osseo. Nel caso delle CSE da sangue periferico, il numero di progenitori CD34+ da trapiantare per aver un buon attecchimento è considerato ≥ 4 x 106/kg di peso corporeo del ricevente. Tuttavia,come abbiamo già visto, con la pro32 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima cedura di aferesi si possono ottenere sospensioni cellulari che contengono quantità di CSE molto maggiori di quelle che si ottengono normalmente col prelievo di midollo osseo. Perciò il trapianto di CSE da sangue periferico si presta particolarmente all’adozione di protocolli di condizionamento pretrapianto “a intensità ridotta”, specialmente in malattie oncoematologiche. La diminuzione della tossicità peritrapiantologica, associata a una forte immunosoppressione (ottenuta con farmaci che hanno modesta tossicità extramidollare, come la Fludarabina) e a dosi elevate di CSE, permette di ottenere risultati migliori della procedura standard. In particolare: 1) una minore mortalità da tossicità farmacologica; 2) un più stabile attecchimento e una più rapida ricostituzione ematologica; 3) un importante effetto graft-versus-tumor (GVT) o graft-versus-leukemia (GVL), senza aumentato rischio di GVHD acuta. Sembra però che, rispetto al TMO tradizionale, l’incidenza di GVHD cronica sia maggiore. 5.3 Trapianto di sangue placentare Nel caso del trapianto di CSE di sangue cordonale, l’unità di SCO selezionata per il trapianto è conservata in una Banca di sangue cordonale, in condizioni di criocongelamento. Si deve provvedere preliminarmente allo scongelamento dell’unità da trapiantare. Questo viene fatto in bagno termostatico a 37°C con una procedura riassunta nella tabella 8. I successivi controlli sulla sterilità della sospensione cellulare e sulla vitalità e potenziale clonogenico delle cellule permetteranno di stabilire l’idoneità o meno dell’unità di SCO ad essere trapiantata. Purtroppo la valutazione del potenziale clonogenico del SCO richiede 2 settimane di coltura e il trapianto può essere necessario prima. Un’alternativa è la determinazione del numero delle cellule CD34+ nella sospensione scongelata. E’ generalmente ammesso che per ottenere un buon attecchimento il numero di cellule nucleate vive da trapiantare è ≥ 3,5 x 107/kg di peso corporeo del paziente, e il numero di CSE è ≥ 1,5 x 105/kg di peso del paziente. Purtroppo la quantità di CSE totali presenti in generale in un unità di SCO limita l’uso di questo tipo di trapianto a pazienti di peso corporeo ≤ 50 kg, benché non manchino in letteratura dei trapianti su pazienti di peso maggiore, e perfino di 90-100 kg. Gli studi sulla amplificazione in vitro delle CSE di SCO, come pure 33 Tab.8 - Procedura di scongelamento del sangue cordonale crioconservato e relativi controlli di qualità, pre-trapianto 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Togliere la sacca di SCO dal criocongelatore ed immergerla immediatamente in un bagno termostatico a 37°C; Togliere la sacca dal bagno quando sono ancora presenti piccoli cristalli di ghiaccio, e trasferirla in una cappa sterile, usando una vaschetta di ghiaccio in scaglie; A scongelamento avvenuto, prelevare sterilmente e trasferire in una provetta sterile 5ml del SCO della sacca, per i controlli di qualità; Aggiungere goccia a goccia un volume di RPMI 1640-FCS 20% pari ad almeno 10 volte il volume scongelato; Centrifugare a 200g. (˜1000 rpm) per 10 min.; Decantare il sopranatante e lavare il sedimento di cellule 2 volte con RPMI 1640-FCS 20%, centrifugando a 200g. per 10 min.; Decantare il sopranatante e risospendere il sedimento cellulare in un volume di RPMI 1640-FCS 20% adeguato; Sulla sospensione ottenuta al punto 7, valutare la vitaltà delle cellule con trypan blue 0,4%, mediante conteggio al microscopio delle cellule vive (translucide) e di quelle morte (blu). Si potrà conoscere così il numero totale di cellule nucleate vive nell’unità di SCO dopo lo scongelamento, che è quel lo che importa per il trapianto. Generalmente la percentuale di cellule vive è > 90%; Si valuta inoltre la sterilità e il potenziale clonogenico. L’unità di SCO è considerata non idonea per il trapianto se risulta non sterile e/o la coltura per il potenziale clonogenico da esito negativo. quelli sull’impiego di due unità di SCO per un paziente, potranno permettere di superare questo limite. E’ importante sottolineare che con questo tipo di trapianto allogenico, il rischio di GVHD è molto ridotto, sia come incidenza che come intensità. E’ possibile perciò trapiantare senza rischi eccessivi anche quando non si dispone di un’unità di SCO con completa identità HLA col paziente: una incompatibilità per due alleli HLA di classe I, con identità per DRB1 ad alta risoluzione è accettabile. Altri aspetti positivi del trapianto allogenico di SCO sono: ÿ la pronta disponibilità dell’unità di CSE da trapiantare (nel caso del trapianto di midollo osseo e di CSE da sangue periferico, i tempi d’attesa per la donazione sono molto più lunghi); ÿ il rischio praticamente nullo di infezioni sia batteriche, che virali. D’altra parte la ricostituzione emopoietica, in particolare per le piastrine, è un po’ più lenta con il SCO che con le CSE altre fonti. Inoltre il rischio di recidiva dopo trapianto, nelle malattie oncoema34 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima tologiche, è più elevato, probabilmente in rapporto alla mancanza di effetto GVL. 5.4 Selezione del donatore La ricerca di un donatore idoneo è condizione indispensabile per poter programmare un trapianto allogenico di CSE. La valutazione dell’idoneità, e dunque la selezione del donatore, si basa su criteri medici ed immunogenetici. I criteri immunogenetici sono gli stessi nel caso di donazione di midollo osseo, di CSE da sangue periferico, e di sangue cordonale, e prevedono di norma un’identità HLA tra il donatore e il ricevente (v.riquadro 2 e par.14). I criteri medici sono viceversa differenti nei tre casi. 5.4.1 Donazione di midollo osseo Per i donatori non familiari (donatori dei Registri) i requisiti minimi di idoneità sono quelli previsti per la donazione di sangue. Ma a differenza di questi, il donatore di midollo osseo deve avere non più di 35 anni, al momento dell’iscrizione nel Registro Italiano e non più di 55 anni al momento della donazione. Questi limiti di età come quello minimo di 18 anni per essere iscritto nel Registro dei donatori non familiari, non valgono per i donatori familiari. La donazione di midollo osseo per un familiare può essere fatta a qualunque età, purchè siano rispettate le norme sul consenso e i criteri dell’idoneità medica alla donazione di midollo (v.tabelle 2 e 3). I criteri medici di idoneità alla donazione di midollo osseo hanno lo scopo di prevenire: (1) eventuali danni che potrebbe avere il donatore in conseguenza della procedura di prelievo del midollo osseo (che implica un’anestesia generale o peridurale), e (2) eventuali rischi infettivi che potrebbero derivare al paziente dall’infusione del midollo osseo. A questo scopo i donatori sono sottoposti a un check-up medico completo che permette di escludere dalla donazione: (1) tutti i soggetti con ipersensibilità o allergia agli anestetici, o che presentano disturbi cardiovascolari, respiratori, epatici, renali, ematologici, metabolici o immunologici tali da costituire un rischio per il donatore all’atto della donazione; e (2) i soggetti che risultino portatori di agenti infettivi trasmissibili al paziente col trapianto, e, in particolare dei virus HIV1, HBV, HCV, EBV, CMV, HS e HVZ (vedi tabella 2). I criteri immunogenetici si basano principalmente sulla tipizzazione tissutale o HLA, e prevedono, come condizione ottimale, l’identità HLA completa tra donatore e ricevente (per saperne di più, vedi Riquadro 3). 35 Telomero Braccio corto p HLA-A HLA-E HLA-C HLA-B 25 24 23 22.3 22.2 22.1 21.3 21.2 21.1 12 11 C2, BF C4A, C4B }Classe III 12 13 14 15 16 Braccio lungo q } HLA-DRA HLA-DRB3/4/5 HLA-DRB1 HLA-DQA1 HLA-DQB1 HLA-DPA1 HLA-DPB1 Centromero 21 } Classe I Regione HLA Classe II 22 23 24 25 26 27 Telomero Cromosoma 6 Fig.9 - Mappa della regione HLA nel braccio corto del cromosoma 6 (p 21.121.3). I loci analizzati per la tipizzazione HLA a scopo di trapianto sono quelli della classe I (in scuro) e della classe II. 36 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima Riquadro 3. Sistema HLA. E’ un sistema genetico complesso presente in ogni individuo nel braccio corto del 6° cromosoma (v. Fig.9) E’ costituito da 12 geni in serie, denominati, dalla regione telomerica a quella centromerica, HLA-A, C, B, DRA, DRB3, DRB4, DRB5, DRB1, DQA1, DQB1, DPA1, DPB1. Questi codificano la sintesi di due tipi di molecole che hanno struttura, distribuzione cellulare e funzioni immunologiche differenti. Le prime, HLA-A, Cw e B, sono dette molecole di classe I, sono espresse su tutte le cellule nucleate e presentano gli antigeni per la reazione immune ai linfociti T CD8+ (citotossici). Le seconde, HLA-DR, DQ e DP, sono dette molecole di classe II, sono espresse normalmente solo su cellule immunologiche specializzate (linfociti B, cellule dendritiche e macrofagi), e presentano gli antigeni per la reazione im-mune ai linfociti T CD4+. Sia le molecole che i geni HLA sono polimorfici, nel senso che di ogni molecola e di ogni gene HLA esistono nelle popolazioni molte versioni differenti. Così, per esempio, ci sono le molecole HLAA1, A2, A11, etc…; le molecole HLA-Cw1, Cw2, Cw3, etc… HLA-B5, B18, B65, etc…; HLA-DR1, DR2, DR3, etc; e ci sono i geni o alleli HLA-DRB1* 0101,0102, DRB1* 0201, 0202, etc. Le differenti versioni delle molecole HLA possono essere riconosciute sulle cellule degli individui, in laboratorio con anticorpi specifici. Questo metodo di riconoscimento costituisce quel tipo di analisi che viene detti tipizzazione HLA sierologica. Le differenti versioni alleliche dei geni HLA possono essere riconosciute esaminando direttamente il DNA con metodi specifici di amplificazione e di sequenza. Questo tipo di riconoscimento costituisce quella che viene detta tipizzazione HLA molecolare o genotipizzazione. Ora, ogni individuo possiede due alleli di ognuno dei geni HLA, uno trasmesso dal padre e l’altro dalla madre, e a ciascun allele corrisponde una specifica molecola HLA. Quindi ogni individuo eredita dal padre un allele A, uno C, uno B, etc, e dalla madre un secondo allele A, C, B,, etc. Queste combinazioni di alleli paterni e materni sono detti aplotipi HLA, e sono molto stabili nelle famiglie nella sequenza che va da HLA-A a DQB1. Così il padre possiede due aplotipi HLA, che possiamo indicare come aplotipi a e b, e la madre possiede altri due aplotipi HLA che indichiamo come aplotipi c e d. Ogni figlio eredita un aplotipo dal padre e uno dalla madre. Pertanto, sono possibili tra i figli solo 4 combinazioni aplotipiche diverse: ac, ad, bc e bd. Ne deriva che se due figli hanno ereditato dai genitori gli stessi aplotipi (per es. ac e ac) sono HLA identici; se hanno ereditato lo stesso aplotipo da un genitore e due aplotipi differenti dall’altro (per es. ac e ad) sono HLA semi-identici o aploidentici; se infine hanno ereditato aplotipi differenti da entrambi i genitori (per es. ac e bd) sono HLA differenti. Solo nel primo caso (identità HLA) esiste una compatibilità totale, che è condizione ottimale per un trapianto allogenico. 37 La probabilità statistica di identità HLA completa tra due fratelli (o sorelle, o fratello e sorella) è pari al 25%, cioè ¼. Tra due individui estranei (non familiari) tale probabilità è enormemente minore, e varia notevolmente in rapporto alla frequenza nella popolazione del fenotipo HLA che si ricerca: da una probabilità media di 1/103-1/104, per fenotipi HLA frequenti, a 1/106 o meno, per fenotipi rari. Per questa ragione la ricerca di un donatore di midollo osseo è effettuata, se possibile in prima istanza tra i familiari del paziente e in particolare tra i fratelli e le sorelle. Solo quando questa fallisce si cercherà un donatore al di fuori della famiglia, nel Registro dei donatori di midollo osseo. In pratica, si procede in una prima tappa, alla tipizzazione HLA degli antigeni A, Cw, B e DR (tipizzazione sierologica) nel paziente e nei suoi familiari. Per questo è sufficiente un prelievo di 10 ml di sangue da una vena del braccio. Se nessuno dei familiari risulta HLA identico al paziente, il donatore dovrà essere cercato fuori dalla famiglia (v. II parte par. 9). Se invece uno dei fratelli risulta identico al paziente, avendo ereditato dai genitori gli stessi antigeni HLA, con altissima probabilità l’identità sarà completa per tutti gli alleli dei due aplotipi HLA. Per accertare questo si procederà alla tipizzazione HLA degli alleli DRB1, DQA1 e DQB1 (tipizzazione molecolare) nel paziente e nel donatore. Se l’identità HLA tra il paziente e il candidato donatore sarà confermata, anche a livello molecolare, si potrà procedere al prelievo del midollo osseo e al TMO. Oltre alla tipizzazione HLA, è necessario determinare nel paziente e nel donatore i gruppi ABO e Rh, allo scopo di prevenire possibili rischi da incompatibilità o da isoimmunizzazione, al momento del trapianto, come è stato già precisato al paragrafo 5.1. 5.4.2 Donazione di CSE da sangue periferico La donazione di CSE da sangue periferico può essere richiesta a un donatore HLA identico, sia familiare del paziente che non familiare, a condizione che siano rispettati tutti i criteri elencati nelle tabelle 2, 3 e 4, e che sia stato sottoscritto dal donatore un libero consenso informato, come precisato nel paragrafo 4.2. Va ricordato che l’uso del trapianto di CSE periferiche da donatore familiare ha avuto inizio nel 1995 e che solo dal gennaio 2005 è possibile in Italia, a termini di legge, richiedere una donazione di CSE da sangue periferico al donatore non familiare. 38 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima 5.4.3 Donazione di sangue placentare La donazione del sangue di Cordone ombelicale per scopo di trapianto è regolamentata in Italia dal testo della Conferenza Stato-Regioni (G.U. n°227 del 30.09.2003) e dalla Ordinanza del Ministero della Salute del 30.12.2002 (G.U. n°27 del 3.2.2003) prorogata negli anni successivi v. ordinanza del 7.4.2005. I criteri essenziali per tale donazione sono stati riportati nei paragrafi 4.3, 4.4 e 5.3. 5.5 Preparazione del paziente Prima di iniziare la preparazione vera e propria al trapianto, il paziente viene sottoposto ad una serie di accertamenti volti a stabilire se esistono le condizioni fisiche e psichiche atte a consentire il trapianto e le terapie correlate (vedi tab.7). Viene quindi predisposto un accesso venoso centrale inserendo un catetere tipo Hickman, a due-tre vie radiopaco, nella vena cava superiore o nell’atrio destro, attraverso la vena succlavia o la giugulare interna o esterna. Questo tipo di catetere, o altri simili, assicurano una durata media d’impiego molto lunga, senza complicazioni, e consentono sia l’infusione del midollo, sia la somministrazione dei farmaci e delle terapie di supporto, che l’esecuzione facile di prelievi di sangue. La disponibilità di un accesso venoso sicuro è condizione essenziale per il successo del trapianto. Sono comunque possibili, anche se non frequenti, complicanze legate sia all’inserimento del catetere che alla sua lunga presenza (mesi). Sono da considerare in particolare infezioni, occlusioni del catetere e trombosi. Predisposto l’accesso venoso, si passa alla preparazione pretrapianto del paziente o condizionamento. Questo ha i seguenti obiettivi: 1. Eradicare la malattia ematologica o oncologica di base e creare spazio nel microambiente midollare (Mieloablazione); 2. Nel caso di TMO allogenico, occorre sopprimere il sistema immunitario del paziente, per prevenire il rigetto (Immunoppressione). 5.5.1 Mieloablazione La distruzione completa delle cellule midollari del paziente e, in particolare delle CSE, può essere realizzata con protocolli diversi che prevedono l’impiego di mezzi fisici (radiazioni ionizzanti) oppure farmaci antiblastici o entrambi. Questa fase di trattamento dura generalmente 6-8 giorni. I farmaci più comunemente usati sono il Busulfano per os (è in sperimentazione un preparato iniettabile en39 dovena) seguito dalla Ciclofosfamide endovena; l’Etoposide, il Melphalan, il BCNU, il Thiotepa e l’Ara-C, in combinazioni diverse. L’evidenza sempre più chiara che il successo del TMO allogenico, specie in alcune patologie, come le malattie linfoproliferative croniche, dipende dall’effetto immunologico del TMO (graft versus tumor) più che dall’intensità del condizionamento pre-TMO, associata alla dimostrazione che si possa diminuire la tossicità del condizionamento con l’adozione di regimi “a intensità ridotta”, senza conseguenze sull’esito del trapianto, hanno mutato negli ultimi anni l’approccio al TMO. L’impostazione attuale mira ad ottenere: (1) una forte immunosoppressione con farmaci poco tossici, quale la Fludarabina + ATG* o altri prodotti biologici. (2) una parziale mieloablazione con Busulfano o altro antiblastico a dosi ridotte; (3) uno stabile attecchimento usando alte dosi di cellule staminali; (4) l’eliminazione progressiva delle cellule ematopoietiche del paziente da parte delle cellule T e NK del donatore; e (5) un effetto GVL o GVT affidato alle stesse cellule effettrici del donatore. *Globulina anti Timocita 5.5.2 Immunosoppressione Viene già ottenuta in parte con i comuni protocolli di condizionamento, in quanto i farmaci mieloablativi utilizzati sono dotati di forte attività citostatica e citolitica anche sulle cellule linfoidi sia B che T. Può essere realizzata mediante irradiazione corporea totale (TBI) in dose singola (in un’unica seduta) o frazionata (in più sedute e in più giorni) con acceleratore lineare o con 60 Co a duplice fascio. La dose totale impiegata varia da 10 a 14,5 Gy e la durata del trattamento da 1 a 6 giorni. In alcune patologie, come l’aplasia midollare grave e l’anemia di Fanconi, in cui è necessario l’effetto immunosoppressivo e non la mieloablazione, viene usata l’irradiazione a campi ristretti nella forma toracoaddominale (TAI) o linfonodale totale (TNI), sia in dose singola che frazionata. Nella maggior parte dei casi l’immunosoppressione del paziente, già in parte ottenuta con la mieloablazione, viene consolidata con la somministrazione di farmaci immunosoppressivi quali Fludarabina, Metotrexate, Ciclosporina, Corticosteroidi e ATG, nella fase immediatamente pre e post-trapianto. 40 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima 5.6 Prevenzione delle infezioni e supporto trasfusionale In conseguenza del trattamento mieloablativo e immunospoppressivo il paziente va incontro rapidamente a citodeplezione midollare e linfoide, perde completamente la capacità di riprodurre le cellule del sangue e del sistema immunitario. Si osserva così una rapida diminuzione del numero dei globuli bianchi (granulociti, monociti e linfociti) e delle piastrine, e più lentamente dei globuli rossi. Il paziente è perciò esposto a infezioni (batteriche, fungine e virali), ad emorragie e ad anemizzazione. Questo impone: a) una protezione ambientale che viene realizzata trasferendo il paziente in una camera sterile a pressione d’aria positiva, al termine del protocollo di condizionamento o prima di iniziarlo; b) una adeguata profilassi per infezioni batteriche, fungine e da protozoi (Pneumocystis Carinii); c) una particolare attenzione all’infezione da CMV, che rappresenta una delle cause maggiori di mortalità nel TMO allogenico, sia sul piano diagnostico (antigenemia con mAb e monitoraggio quantitativo del DNA virale), che terapeutico (trattamento precoce dell’infezione prima che diventi clinicamente manifesta, con farmaci specifici come il Ganciclovir, il Foscarnet e il Cidofovir), limitando il trattamento ai pazienti CMV positivi, ed evitando, nei pazienti CMV negativi, di infondere sospensioni di piastrine o di emazie da donatori CMV positivi. d) un corretto supporto trasfusionale con emazie filtrate e lavate e con piastrine da aferesi (da donatori selezionati) che devono essere sempre irradiate (2500 r) prima di essere infuse nel paziente. 5.7 Profilassi della GVHD La GVHD è un fenomeno molto complesso che consiste essenzialmente in una aggressione di uno o più tessuti del paziente sottoposto a trapianto allogenico di midollo osseo (o di CSE da altra fonte) da parte delle cellule immunocompetenti contenute nella sospensione cellulare che si trapianta. Diversi fattori riguardanti il paziente e il donatore possono influire, interagendo tra loro, sull’insorgenza e la gravità della GVHD. I fattori principali sono: a) Il grado di soppressione del sistema immunitario del paziente. Una immuno-soppressione pre-trapianto insufficiente impedisce la GVHD e favorisce il rigetto; 41 b) Il grado di immunocompetenza della sospensione cellulare trapiantata. La presenza in questa di linfociti T maturi del tipo CD4+ CD25- e CD8+ CD25- e di cellule APC (Cellule dendritiche o DC, macrofagi e linfociti B), deputate alla presentazione degli antigeni estranei ai propri linfociti T, il loro numero e la loro capacità di essere attivati, è essenziale per la comparsa di GVHD. Una T deplezione parziale del midollo osseo, prima di un trapianto allogenico, riduce il rischio di GVHD. Una T deplezione profonda lo annulla, ma crea un rischio elevato di rigetto. Il trapianto di SCO ha un rischio minore di GVHD in rapporto al minore grado di maturazione dei linfociti T e delle cellule APC. c) Il grado di compatibilità HLA tra donatore e ricevente. In un trapianto allogenico, con profonda immunosoppressione del paziente e senza T deplezione della sospensione di midollo osseo, la frequenza e la gravità della GVHD sono significativamente maggiori se il donatore è HLA incompatibile, specialmente quando l’incompatibilità riguarda le molecole HLA-DR e DQ. Tuttavia, in assenza di un’adeguata profilassi, la GVHD è molto frequente anche nei trapianti allogenici HLA identici. Questo è spesso dovuto a incompatibilità per antigeni differenti da HLA, denominati antigeni minori di istocompatibilità o mHA. Tab.9a - Definizione dei gradi della GVHD acuta Cute* Fegato* Intestino* 0 I II III IV 0 1-2 1-3 2-3 2-4 0 0 1 2-3 2-4 0 0 1 2-3 2-4 * vedi Tab. 9b. 42 Organi interessati Grado di GVHD Compromissione funzionale degli organi 0 0 1 2 3 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima Tab.9b - Stadiazione clinica della GVHD acuta: organi interessati e manifestazioni Stadio Clinico Cute: Lesione ed estensione fegato: Bilirubina sierica mmol/l. (mg./dl) Tratto intestinale: Diarrea vol/die 34-50 (2-3) ≥500ml 51-102 (3-6) ≥1000ml 1 Rash maculopapulare <25% superficie corporea 2 Rash maculopapulare 25-50% superficie corporea 3 Eritroderma generalizzato 103-255 (6-15) ≥1500ml 4 Eritroderma generalizzato con comparsa di bolle e desquamazione > 255 (>15) ≥2000ml con dolore addome e ileo Esistono due forme diverse di GVHD, una acuta e una cronica. La prima compare entro i primi 100 giorni dal trapianto (mediamente dopo 18-20 giorni) ed ha un’incidenza molto variabile, a seconda dei fattori in gioco, che viene complessivamente stimata tra il 30% e l’80%. Nei casi di importante disparità HLA tra donatore e ricevente o se non viene instaurata alcuna terapia immunosoppressiva, la GVHD può svilupparsi pochi giorni dopo l’infusione del midollo, è quasi costante e spesso molto grave. Si parla in questi casi di GVHD iperacuta. I sintomi più caratteristici della GVHD acuta sono rappresentati dalla triade rash cutaneo, diarrea e ittero da stasi. (vedi tabelle 9a e 9b). La seconda compare di solito dopo i primi 100 giorni dal trapianto (mediamente dopo 110-120 giorni). Può far seguito alla GVHD acuta o insorgere ex novo. Può interessare le stesse sedi della GVHD acuta, ma in genere la sua estensione è maggiore, coinvolge molti organi ed apparati (cute, mucosa orale o esofagea, congiuntive, fegato e polmoni), e può assumere i caratteri della sclerodermia, della cirrosi biliare o della bronchiolite obliterante. (vedi Tab. 10) Può essere limitata (cute +/- fegato) o estesa (cute generalizzata +/compromissione multipla di organi). La sua frequenza globale è stimata al 30-40%. Entrambe le forme di GVHD sono spesso di grado lieve o moderato, ma talvolta grave e mortale. Aumentano molto la suscettibilità del paziente a complicanze infettive. E’ ‘indispensabile attuare precocemente e per un lungo periodo dopo il trapianto (fino a 9-12 mesi) un’efficace profilassi della GVHD, utilizzando farmaci immunosoppressivi come Metotrexate, Corti43 costeroidi e soprattutto la Ciclosporina A. Altri più potenti agenti immunosoppressivi, come il Tacrolimus, il Mycofenolato Mofetil e la Rapamicina sono impiegati nella profilassi della GVHD, ma soprattutto nel trattamento della GVHD sia acuta che cronica. Una procedura che può ridurre significativamente il rischio di GVHD è rappresentata dalla T-deplezione della sospensione di CSE da trapiantare. Questa può essere realizzata con vari metodi, sia fisici (sedimentazione dei linfociti T dopo fissazione su emazia di pecora, o rosettazione; fissazione su microsfere magnetiche ricoperte da anticorpi monoclonali anti-T specifici); che farmacologici (incubazione con farmaci citotossici), o biologici (incubazione con anticorpi monoclonali anti-CD52, come CAMPATH-1H). Naturalmente, bisogna tener presente che con la T-deplezione aumenta il rischio di rigetto e, nel caso delle malattie oncoematologiche, aumenta il rischio di recidiva. Altre procedure di prevenzione della GVHD consistono nella somministrazione di ATG (Globulina anti-T) nei 2-3 giorni che precedono il trapianto e/o subito dopo il trapianto. Risultati positivi sono stati ottenuti negli ultimi anni con l’infusione di quantità molto elevate di CSE nel trapianto, e, del tutto recentemente, con l’aggiunta alla sospensione di CSE di piccole quantità di CSM o di cellule T regolatorie (TCD4+ CD25+) dello stesso donatore. Tab.10 - Manifestazioni della GVHD cronica. Sede Manifestazioni cliniche Cutanea • Rash maculopapulare eritematoso; • Desquamazione con ipo- o iper-pigmentazione; • Dermatite lichenoide, cute secca e atrofica con perdita di peli; • Poichilodermia e Sclerodermia. Tratto gastrointestinale • Mucosite orale, disfagia, atrofia linguale, ulcere orali e lesioni lichenoidi; • Malassorbimento, diarrea, perdita di peso, esofagite. Fegato • Ittero fluttuante con epatopatia di varia gravità e di lunga durata; • Raramente ipertensione portale e cirrosi epatica. Altro • Artralgie, contratture articolari; • Sindrome di Sjogren; • Pneumopatia restrittiva ed ostruttiva; • Versamento pleurico e/o pericardico. 44 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima 6. Le Indicazioni del Trapianto di CSE Il trapianto allogenico di CSE è un trattamento efficace per un gran numero di malattie gravi. Queste includono empatie maligne, insufficienze midollari primitive e secondarie, emopatie genetiche, immunodeficienze gravi e malattie congenite del metabolismo. Le tabelle 11 e 12 riportano le indicazioni al trapianto di CSE nei pazienti adulti e in quelli pediatrici, distinte per tipo di trapianto (allogenico e autologo) e per fonte di CSE (midollo osseo, sangue periferico e sangue di cordone ombelicale). Per molte di queste malattie, come la leucemia mieloide cronica, le sindromi mielodisplastiche, l’insufficienza midollare grave, le emopatie genetiche, come la betatalassemia, le immunodeficienze severe e gli errori congeniti del metabolismo, il trapianto allogenico di CSE rappresenta ad oggi, l’unica terapia veramente curativa, in grado di portare a guarigione definitiva i malati. Le indicazioni per il trapianto allogenico di midollo osseo sono, in un certo senso, quelle di riferimento per tutti i trapianti allogenici di CSE, essendo basate sulla esperienza di alcune centinaia di migliaia di trapianti effettuati nel mondo, di cui oltre 50.000 da donatori non familiari. Ma negli ultimi anni, l’impiego delle CSE da sangue periferico ha superato quello del midollo osseo, sia nel trapianto dal donatore familiare che in quello da donatore non familiare. In Europa, nel 2004, più del 70% dei trapianti da donatore familiare e più del 60% dei trapianti da donatore non familiare è stato fatto con CSE periferiche. Anche il trapianto di CSE di sangue cordonale viene utilizzato sempre di più, in gran parte in pazienti di età pediatrica, ma anche in adulti. Le indicazioni sono, in linea di massima le stesse del trapianto di midollo osseo. Esistono tuttavia delle differenze, legate in particolare alla minore incidenza e gravità della GVHD con il SCO. In Italia, il SCO è utilizzato esclusivamente per trapianti allogenici, non essendo, almeno, ancora possibile conservare il SCO per uso autologo. A luglio 2004 erano stati eseguiti nel mondo più di 3000 trapianti di CSE di SCO. Di questi, il 65% riguardava pazienti di età inferiore a 15 anni, e l’85% era del tipo non familiare. Alla stessa data in Italia erano state trapiantate 316 unità di sangue placentare, di cui 187 (59%) per pazienti di età inferiore a 15 anni, e 129 per pazienti di età ≥ 15 anni. Le patologie trattate sono state in grande maggioranza patologie oncoematologiche, ma numerosi sono stati anche i casi di patologie su base genetica. Vediamo le indicazioni maggiori. 45 6.1 Emopatie maligne Rappresentano l’indicazione più frequente al TMO allogenico (v.tab.11). Fra tutti i TMO allogenici effettuati finora, l’80% circa ha riguardato questo gruppo di malattie. In Europa, dal 1990 al 2003 Mieloma Multiplo = 5.355 Mielodisplasia = 11.628 Leucemia mieloide acuta = 45.135 Sindrome linfoproliferativa = 18.054 Leucemia mieloide cronica = 37.791 Leucemia Linfoide acuta = 35.037 Fig.10 - Proporzione delle patologie oncoematologiche sottoposte a TMO allogenico in Europa dal 1990 al 2003 (153.000 Trapianti) sono stati più di 153000. Di questi, il 52,4% ha riguardato pazienti con leucemia acuta (29,5% con leucemia acuta mieloide e il 22,9% con leucemia acuta linfoide). Il 24,7% erano pazienti con leucemia mieloide cronica, il 7,6% pazienti con una sindrome mielodisplastica, l’11,8% affetti da una sindrome linfoproliferativa e il 3,5% erano affetti da mieloma multiplo (v.Fig.7). Il quadro non è molto diverso in altre casistiche, ma tende a cambiare negli ultimi anni, in rapporto con il forte aumento dell’impiego delle CSE da sangue periferico, in alternativa al midollo osseo, con la introduzione di regimi di condizionamento di intensità ridotta, di nuovi farmaci, e del Imatinib mesylato nel trattamento della leucemia mieloide cronica. In una casistica italiana relativa a 592 trapianti allogenici di CSE effettuati in adulti con empatie maligne fino al 2005, le leucemie acute rappresentano il 39,5%, la leucemia mieloide cronica il 30,7%, i linfomi il 9,6% e il mieloma multiplo il 20,1% del totale. Per quanto riguarda la fonte delle CSE impiegate, negli ultimi anni in Europa, la proporzione di CSE da sangue periferico nel trapianto allogenico, è salito al 70% circa per i donatori familiari, e al 60% circa per i donatori non familiari. 46 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima Tab.11 - Indicazioni al trapianto di CSE in malattie neoplastiche In pazienti adulti Malattie e fase Clinica Allogenico Familiare Non familiare MO SP In pazienti pediatrici Antologo MO SP Leucemia mieloide acuta non M3 I RC basso rischio non M3 I RC alto rischio non M3 II RC o > M3 I RC Persist. mal. molec. M3 II RC rem. molec. M3 Recidiva o refrattaria + + + + + S + + + + + S Leucemia linfoide acuta I RC alto rischio II RC Recidiva o refrattaria + + S + + S + + S + + S - Leucemia mieloide cronica Fase cronica Fase accelerata Crisi blastica + + S + + S + + S + + S - S - Mielodisplasia AR, AREB, LMMC AREB-T fase più avanzata + + + + + + + S S + S S - Leucemia linfatica cronica S + S S Linfoma non Hodgkin Linfoblastico Alto grado I RC G. intermedio I RC o > G. intermedio recidiva o nr Basso grado I RC Basso grado recidiva, II RC o > + + S S S + + S S S + + S S S Linfoma di Hodgkin I RC 1a recidiva, II RC o > Refrattario S S S S Mieloma multiplo I stadio Stadi successivi S (+) S + Tumori maligni solidi NR NR NR NR Allogenico Familiare Non familiare SCO MO SP MO SP - + + + + - + + + + - + + - + + - S + S S + S S + - S + - S - + + S + + S + + S + + S S S - S S - + + + + + + - - + - - + + S S S - S (+) (+) S (+) S + + S + S S + S S + S S S S - + S S + S S - S - S - S S S S - (+) (+) + + - - - - S (+) + + + + + + + (+) (+) S S SCO MO SP (+) (+) (+) + + + - + + - + + - - S - S - + - S - - - - - - - + S + S S + S S - S - + - + - - - - - S NR NR NR NR NR S S (+) (+) S S - MO SP Antologo (+) (+) (+) S S S S S S - - S S S S (+) (+) Leggenda:MO = midollo osseo; SP = sangue periferico; SCO = sangue di cordone ombelicale; + = indicazione standard; (+) = indicazione con riserva, non elettiva, da confermare; - = indicazione negativa o non possibile; S = indicazione sperimentale; NR = indicazione non raccomandata; RC = remissione completa; nr = non risposta. NB La ricerca di un donatore nel registro italiano può essere attivata per le malattie con indicazione standard o con riserva, per pazienti di età inferiore ai 66 anni, afferenti a un CT con accreditamento GITMO. Per altre indicazioni, è necessaria una approvazione preventiva del GITMO. 47 Entrando nel merito delle singole patologie, devono esser fatte alcune precisazioni. • Leucemie acute. L’indicazione al trapianto allogenico, rispetto al trapianto autologo di CSE, rappresenta circa l’80% per la leucemia linfoide, e il 65% per la leucemia mieloide, con una tendenza ad aumentare nel tempo. Naturalmente il trapianto si propone di massima, solo per i pazienti che hanno raggiunto la remissione completa (RC) con la chemioterapia. Ma per i pazienti in RC, oltreché l’opzione del trapianto (allogenico o autologo), c’è anche quella della chemioterapia standard. La scelta dipende dall’età del paziente, dal suo stato clinico, e da eventuali fattori di rischio. Nei pazienti con LMA a rischio intermedio, i tassi di guarigione post-remissione sono 25-30% con la chemioterapia, 50% con il trapianto autologo, e 55% circa con il trapianto allogenico. In alcuni tipi di LMA si ottengono però dei risultati migliori con ciascuna delle tre opzioni (rispettivamente 5060%, 65-75% e 75-80%). Per i pazienti con LMA che non ottengono la remissione completa, o che hanno un rischio elevato (come quelli con monosomia 7), il trattamento di scelta è il trapianto allogenico di CSE, benché la percentuale di guarigione sia solo del 20%. Per i pazienti in seconda remissione completa, il trapianto (autologo o allogenico) offre probabilità di guarigione del 30-40%. L’introduzione recente del Gemtuzumab ozogamicina (un mAb anti-CD33 legato alla calicheamicina ) nella terapia della LMA in pazienti con >60 anni in prima recidiva che non tollerano la chemioterapia standard, ha ottenuto il 30% di remissione completa. Questa categoria di pazienti, finora esclusi dal trapianto, può ora essere considerata per un trapianto autologo o allogenico. Nei pazienti con LLA, raggiunta la remissione completa con la chemioterapia, si passa alla profilassi del sistema nervoso centrale, per eliminare eventuali focolai di cellule leucemiche nelle meningi. A questo punto la scelta terapeutica è la chemioterapia standard o la chemioterapia ad alte dosi seguita dal trapianto allogenico. La decisione si basa sull’età del paziente e sui fattori di rischio della malattia. I pazienti con alto rischio (per il quadro citogenetico o per la scarsità di risposta alla chemioterapia), vanno indirizzati al trapianto allogenico. Il trapianto autologo è una possibilità per i pazienti con alto rischio che non hanno un donatore idoneo. • Leucemia Mieloide cronica: L’introduzione di farmaci inibitori dell’attività tirosinochinasica dell’oncogene bcr/abl, come l’Imatinib mesylato, ha modificato l’approccio al trapianto in questa malattia. Il trapianto allogenico è indicato nei pazienti con ≤ 60 anni che hanno un donatore HLA identico. I migliori risultati si ottengono nei 48 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima pazienti con ≤ 40 anni che vengono trapiantati entro 1 anno dalla diagnosi (80% di successo). Ma anche nella fascia d’età di 41-60 anni, il 60% dei pazienti ha una lunga sopravvivenza senza segni di malattia dopo il TMO. L’Imatinib da un buon controllo della malattia in fase cronica nel 98% dei casi, e, nel 30% di questi, da una remissione completa ematologica, citogenetica e molecolare della malattia, che si protrae per più di 2-3 anni. Per questo, l’approccio attuale prevede un trattamento iniziale con un inibitore della tirosinochinasi, e il TMO allogenico, se dopo 6 mesi non c’è alcuna risposta citogenetica e/o molecolare, oltrechè clinica. Tuttavia, nei pazienti con <40 anni, può essere proposto il TMO allogenico come prima scelta. In tutti i pazienti trattati con Imatinib che, dopo un periodo più o meno lungo di remissione completa della malattia, recidivano, l’indicazione è quella del trapianto allogenico. Questo rimane finora l’unico approccio terapeutico che può portare una guarigione sicura e definitiva della LMC. • Sindromi Mielodisplastiche: Il trapianto allogenico di CSE ha un indicazione nei pazienti con <60 anni e con donatore HLA identico. La percentuale di guarigione è del 30-50%. Nelle forme a basso rischio, come la sindrome 5q-, possono essere ottenuti buoni risultati con fattori biologici, come G-CSF, GM-CSF e Eritropoietina, o con farmaci come la 5-Azacitidina, e specialmente con un nuovo immunomodulante derivato dalla Talidomide (Revimid) che sembra molto promettente. L’uso di regimi di condizionamento a intensità ridotta, molto meno tossici di quelli tradizionali, potrebbe estendere l’indicazione del TMO allogenico anche alle forme meno aggressive di MDS (senza eccesso di blasti). • Leucemia linfatica cronica: Nella LLC il trapianto allogenico di CSE è un trattamento potenzialmente curativo, ma dovrebbe essere usato solo nei pazienti in cui la malattia non può essere controllata dalle terapie standard. Il TMO allogenico non mieloablativo ha dato risultati incoraggianti che possono estendere il ruolo del trapianto di CSE nella LLC. L’allotrapianto non è una procedura elettiva in questa patologia per l’alta mortalità che comporta. • Linfomi non-Hodgkin: I linfomi non-Hodgkin indolenti, a basso grado, non costituiscono in generale un’ indicazione per il trapianto di CSE. Tuttavia in alcuni pazienti con forme cliniche aggressive di NHL a basso grado, il trapianto allogenico può essere una buona indicazione. Il TMO allogenico è inoltre indicato nel linfoma linfoblastico, nel linfoma di Burkitt e nelle forme ad alto grado in 1a RC. 49 L’uso di regimi di condizionamento non-mieloablativi , meno tossici di quelli standard, può allargare in questa patologia il ruolo del trapianto allogenico. Il ruolo del trapianto autologo rimane dubbio nei NHL a basso grado benché, in alcuni pazienti con malattia ricorrente, sembri aver prolungato la remissione della malattia. Il trapianto autologo precoce è indicato in pazienti con linfoma ad alto rischio, di grado intermedio, che recidivano dopo un’iniziale chemioterapia. A condizione che i pazienti siano ancora responsivi alla chemioterapia. Il ruolo della chemioterapia ad alte dosi seguita da trapianto autologo o allogenico nel linfoma mantellare è ancora da valutare. • Mieloma Multiplo: La terapia ottimale iniziale nei pazienti affetti da MM con <70 anni d’età è il trapianto autologo di CSE. Un trattamento precoce aggressivo prolunga sia la durata della remissione che la sopravvivenza. Il trapianto autologo è anche utile nei pazienti con recidiva, se la malattia è ancora sensibile alla chemioterapia. Naturalmente è importante tener conto dei risultati positivi ottenuti con la Talidomide, con suoi derivati, come il Revimid, e con il Velcade (Bortezomib), un proteasoma-inibitore. La Talidomide ha dimostrato di indurre significative risposte anche nel MM avanzato e recidivato, specie in combinazione con il desametasone. Il Revimid e il Velcade hanno dato buone risposte nel 25-28% dei pazienti che non avevano risposto ad almeno due precedenti trattamenti, ottenendo la remissione clinica nel 18-20% dei casi per più di un anno. Il trapianto allogenico è potenzialmente curativo nel MM, ma il suo ruolo è stato finora limitato per la mortalità molto elevata (40-50%) che comporta. Procedure nuove e meno tossiche con regimi di condizionamento non mieloablativi hanno però dato recentemente dei risultati incoraggianti specie quando il trapianto allogenico è fatto precocemente nel corso della malattia, come pure nella fase di malattia minima dopo un trapianto autologo. Negli ultimi 15 anni il numero di pazienti con MM che sono stati sottoposti a trapianto di CSE è aumentato progressivamente, e nella grande maggioranza dei casi si è trattato di trapianto autologo. 6.2 Malattie genetiche Comprendono un insieme eterogeneo di malattie (v.tab. 12) che hanno in comune di poter essere curate finora unicamente con il trapianto allogenico di CSE, con la sola eccezione della terapia genica nel deficit di ADA. Sono malattie che si manifestano clinicamente in età 50 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima infantile, e che perciò sono particolarmente adatte al trapianto allogenico di CSE da SCO. Tuttavia la maggiore esperienza è stata fatta finora col trapianto allogenico di midollo osseo da donatore familiare. Sono quasi tutte malattie rare, gravi e, se non si può procedere al trapianto allogenico di CSE, mortali. (vedi Tab. 12) Fra tutte queste malattie, è di particolare interesse in Italia, e ancor più in Sardegna, la beta-Talassemia major che conta nel nostro paese non meno di 5000 pazienti, dei quali più di 1000 in Sardegna. La beta-Talassemia major ha una probabilità molto elevata di guarire col trapianto allogenico di CSE, se si dispone di un donatore HLA identico, e se le condizioni cliniche del paziente sono idonee per un trapianto (per es. il paziente è in classe di rischio I o II, secondo Lucarelli, v.par.7.2), In queste condizioni, se l’identità HLA del donatore è certa (fratello del paziente che condivide con questo gli stessi aplotipi HLA ereditati dai genitori), la probabilità di guarigione si avvicina al 100%. Per lungo tempo si è ritenuto che il TMO da donatore non familiare non fosse proponibile per i beta-talassemici. Il Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo era pertanto precluso a questi pazienti. L’adozione di criteri più rigorosi nella selezione dei donatori e, in particolare, l’introduzione della tipizzazione molecolare degli alleli HLA e la selezione di coppie donatore-paziente identici per due aplotipi HLA estesi (ciò che, con rare eccezioni garantisce fra due estranei un’identità simile a quella di due fratelli, per tutta la regione HLA) hanno permesso all’equipe del Centro Trapianti della Cattedra di Genetica Medica dell’Università di Cagliari, di dimostrare la fattibilità del TMO da donatore non familiare anche nei pazienti beta-talassemici, eseguendo con successo il primo trapianto al mondo di questo tipo il 2 Novembre 1992 e confermando il risultato con altri TMO negli anni successivi. Così nel 1995 il Registro Italiano dei Donatori è stato aperto anche ai pazienti talassemici. Gli studi condotti in seguito a livello multicentrico, coordinati dal Centro Trapianti del P.O. R. Binaghi di Cagliari, hanno fornito la prova definitiva del fatto che i trapianti di midollo osseo da donatore non familiare danno anche nella talassemia, risultati sovrapponibili a quelli da donatore familiare, se l’identità HLA tra donatore e ricevente è molecolare ad alta risoluzione per tutti i loci. Nei casi in cui si dispone solo di donatori con 1-2 incompatibilità HLA di classe I, il trapianto può essere fatto con SCO. Per quanto riguarda i talassemici in classe III di rischio, il TMO allogenico con procedura standard comporta un’incidenza di mor51 Tab.12 - Indicazioni al trapianto di CSE in malattie non-neoplastiche In pazienti adulti Malattie Allogenico Familiare MO SP Non familiare MO SP In pazienti pediatrici Antologo SCO Allogenico Familiare MO SP Non familiare MO SP Antologo SCO Anemie da Hb-patie ereditarie β-Talassemia Major (classe 1 e 2)* + + + (+) + NR NR NR NR S β-Talassemia Major (classe 3)* + (+) + (+) (+) Anemia falciforme - Piastrinopatie costituzionali Tromboastenia di Glanzman S. di Bernard-Soulier - - - - - - + + (+) (+) + + S S + + - S. da Insufficienza midollare Acquisita: Idiopatica Secondaria Genetica: Anemia di Fanconi Discheratosi congenita A. di Diamond-Blackfan + + - + + - S S - S S - - - + + + + + (+) (+) (+) (+) (+) S S + + + S S S S S + + + + + - Immunodeficienza primitiva (ID) S. da ID combinata grave (SCID) S. da ID con iper-IgM Disgenesia reticolare S. di Omenn S. di Wiskott-Aldrich Deficit di ADA S. di Bruton ID comune variabile S. dei linfociti nudi - - - - - - + + + + + + + + + (+) (+) (+) (+) (+) (+) (+) (+) (+) + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + - Difetti della funzione fagocitica S. di Chediak-Higashi S. di Kostmann Deficit di aderenza leucocitaria Malattia granulomatosa cronica - - - - - - + + + + (+) (+) (+) (+) + + + + (+) (+) (+) (+) + + + + - - - - - - - S S S S + + S S S S - - - - - - - + + + (+) (+) (+) + + S S S S + + + - + S S + S NR NR NR S NR NR NR (+) (+) - - - - - Errori congeniti di metabolismo Mucopolisaccaridosi Leucodistrofie Altre patologie ematologiche Osteopetrosi maligna Linfoistiocitosi emofagocitica S. di Duncan Malattie Autoimmuni Piastrinopenia grave Sclerosi multipla Lupus eritematoso sistemico + + + + + (+) + NR NR NR NR S + (+) + (+) + Leggenda:MO = midollo osseo; SP = sangue periferico; SCO = sangue di cordone ombelicale; + = indicazione standard; (+) = indicazione con riserva, non elettiva, da confermare; - = indicazione negativa o non possibile; S = indicazione sperimentale; NR = indicazione non raccomandata NB La ricerca di un donatore nel registro italiano può essere attivata per le malattie con indicazione standard o con riserva, per pazienti di età inferiore ai 66 anni, afferenti a un CT con accreditamento GITMO. Per altre indicazioni, è necessaria una approvazione preventiva del GITMO. * Sono le classi di rischio secondo Luccarelli (v. pag. 55 par. 7.2) 52 - Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima talità troppo elevata (30%). Le possibilità offerte dalle procedure di condizionamento “a bassa intensità” con immunosoppressione profonda associata all’infusione di dosi elevate di CSE, possibilmente combinate con CSM, sono da valutare. Anche i pazienti con gravi deficit immunitari congeniti, che nella casistica mondiale dei TMO allogenici rappresentano meno del 2% del totale, hanno nel trapianto allogenico di CSE la sola terapia che finora li può salvare. Come già detto, però nel deficit congenito di adenosindeaminasi sembra si possa ottenere la guarigione con la correzione genica delle CSE del paziente seguita da autotrapianto delle CSE corrette. Molte altre malattie genetiche gravi, come l’anemia Falciforme, l’anemia di Fanconi e altre sindromi da insufficienza midollare, alcune piastrinopatie costituzionali gravi, l’Osteopetrosi maligna e alcune malattie congenite del metabolismo, hanno un’indicazione terapeutica elettiva nel trapianto allogenico di CSE, sia da donatore familiare, che da donatore non familiare (di SCO e di midollo osseo). Anche per molte malattie genetiche riportate nella tab. 12, che per la loro rarità, hanno casistiche di trapianto ancora modeste, sembra che il trapianto allogenico di CSE HLA identiche possa dare buoni risultati. È comunque una importante possibilità terapeutica. 7. Risultati del trapianto di CSE L’analisi dei risultati clinici dei trapianti di CSE eseguiti nei maggiori Centri del mondo, nelle diverse patologie e con diverse fonti di CSE, ha permesso di evidenziare, nelle tappe che segnano il decorso di un trapianto, alcuni fattori che rivestono un ruolo preminente sull’esito del trapianto. Fra questi, il grado di immunodepressione del paziente, la compatibilità HLA donatore-ricevente, l’immunocompetenza della sospensione cellulare trapiantata, le condizioni cliniche del paziente al momento del trapianto, e il tipo di condizionamento attuato. 7.1 Attecchimento e rigetto Dopo il trapianto, la prima tappa per il successo è rappresentata dall’attecchimento delle CSE trapiantate. Questo si verifica di solito dopo 12-15 giorni dal trapianto ed è rivelato dall’aumento progressivo del numero di granulociti nel sangue oltre 500/mm3 in tre con53 trolli giornalieri consecutivi. Il primo di questi tre giorni è registrato come la data dell’attecchimento. Nel trapianto allogenico la diagnosi d’attecchimento è confermata mediante analisi molecolare di marcatori genetici polimorfici, selezionati prima del trapianto, che distinguono il donatore dal ricevente. L’attecchimento per la serie piastrinica è dato da una conta superiore a 20.000/mm3 per 7 giorni consecutivi, senza supporto trasfusionale. Il primo dei 7 giorni è quello dell’attecchimento. Purtroppo, in alcuni casi rari di trapianto può mancare l’attecchimento. In altri, all’attecchimento può seguire precocemente, o anche dopo ≥ 1 anno, il rigetto. Questo è definito dalla diminuzione del numero dei granulociti sotto 100/mm3 e della cellularità midollare sotto il 5%, dopo un normale attecchimento. I principali fattori in gioco nel rigetto sono: l’insufficiente soppressione del sistema immunitario del paziente, l’incompatibilità HLA tra donatore e ricevente, e l’assenza, o forte riduzione , della immunoreattività della sospensione di CSE trapiantate. Il rigetto riguarda solamente i trapianti allogenici. Oggi, il rigetto è un evento poco frequente che incide sull’esito del trapianto , in media , per < del 2%. 7.2 Dopo l’attecchimento L’evoluzione del trapianto può essere molto diversa a seconda del tipo di malattia, delle condizioni cliniche del paziente, del condizionamento che viene attuato, della compatibilità HLA donatore-ricevente, dell’immunocompetenza del trapianto, della profilassi della GVHD, e di altri fattori imprevedibili, quali in particolare le infezioni. Nelle malattie oncoematologiche c’è anche la resistenza del clone neoplastico alla terapia e il rischio di recidive. Se consideriamo, per esempio, la leucemia mieloide cronica, le percentuali di successo variano infatti grandemente a seconda che il trapianto venga eseguito in pazienti con <40 anni, nella prima fase cronica della malattia, entro 1 anno dalla diagnosi. In questi casi si arriva all’80% di probabili guarigioni. Nei pazienti di 41-60 anni la percentuale di guarigione scende al 60%. Se poi il paziente è in fase accelerata di malattia, o in crisi blastica, le percentuali di successo diminuiscono rispettivamente al 40% e al 15% circa. In pratica, con il progredire dello stadio della malattia si riducono notevolmente le possibilità di successo del trapianto allogenico. La beta-talassemia costituisce un altro esempio chiaro di come le condizioni cliniche del paziente influiscano sull’esito del trapianto. In base ai dati accumulati su un gran numero di trapianti allogenici 54 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima di midollo osseo, da donatori familiari HLA identici, sono state definite da Lucarelli e collaboratori 3 classi di rischio per i beta-talassemici sottoposti a trapianto: classe I=assenza di epatomegalia, fibrosi epatica, e sovraccarico marziale; classe II= presenza di uno-due di questi fattori; classe III= presenza di tutti e tre i fattori. Se il trapianto viene effettuato in pazienti in classe I, la probabilità di guarigione, come DFS (sopravvivenza senza segni di malattia) a 10 anni) è del 98-100%; se il paziente è in classe di rischio II, la DFS è del 9095%; se infine il paziente è in classe di rischio III, la probabilità di DFS a 10 anni è intorno al 70%. Come è stato dimostrato dall’equipe del Centro Trapianti dell’Ospedale Binaghi di Cagliari, i risultati del TMO allogenico nella beta-talassemia, non sono differenti se il donatore è un volontario non familiare, purchè sia HLA identico a livello genico, e ancor meglio se identico per aplotipi estesi. Le cause di insuccesso del trapianto possono essere precoci e tardive. CITOPENIE Piastrinopenia Neutropenia TOSSICITÀ DA PROTOCOLLO Polmonite Idio Polmonite Idiopatica VOD Mucosite GVHD GVHD cronica GVHD acuta INFEZIONI Batteri capsulati Batteriche Gram + e P. carinii Aspergilli Fungine Pneumocystis carinii Candida VZV Virali C M V e Adenov. HSV 0 30 60 90 120 150 180 210 Giorni dal trapianto 270 360 Fig.11 - Principali complicazioni del trapianto allogenico di CSE. Le aree delimitate riflettono il rischio di ciascuna complicazione, il tempo medio d’insorgenza e la durata. VOD = Malattia veno-occlusiva epatica. 55 7.2.1 Complicanze precoci Le complicanze precoci, a parte i rari casi di rigetto, sono in generale dovute alla tossicità extramidollare del trattamento di preparazione al trapianto (fra queste sono di particolare rilievo le complicazioni polmonari acute che insorgono nei primi 100 giorni dal trapianto); alle gravi infezioni batteriche fungine, protozoarie e virali, la cui insorgenza è certamente favorita dallo stato di immunodepressione del paziente; o ancora alla comparsa di gravi complicanze immunologiche, come la GVHD acuta (v. fig 11 e tab. 9a, 9b). Questa, come abbiamo già ricordato, rappresenta la complicanza più temibile nel trapianto, ed è di solito di entità lieve o moderata (grado I o II). Con i più recenti protocolli di condizionamento e di profilassi della GVHD, e in particolare con il trapianto di CSE da SCO, la frequenza delle forme gravi di GVHD (grado III e IV) è molto ridotta rispetto al tradizionale trapianto di midollo osseo. Le forme gravi di GVHD acuta sono spesso mortali. Di solito insorgono in casi di incompatibilità HLA donatore-ricevente, per alleli DRB1, associata a profonda immunosoppressione del paziente e ad immunocompetenza della sospensione di CSE trapiantata. 7.2.2 Complicanze tardive Le complicanze tardive del trapianto sono riportate nella tabella 13. Se si eccettua la GVHD cronica, di cui si è già riferito (v. tab. 10), sono in gran parte dovute alla chemioterapia ad alto dosaggio per ottenere la mieloablazione. E’ importante monitorare con attenzione i pazienti trapiantati, in particolare per le alterazioni respiratorie, epatiche e renali, e per le infezioni (specie da CMV), come pure per i problemi neurologici, muscolo-scheletrici e cutanei, che possono portare a quadri molto gravi, invalidanti e anche mortali, senza però trascurare i disturbi dell’accrescimento corporeo e della fertilità. Un problema di particolare rilevanza nel decorso del trapianto di CSE, specialmente autologo, riguarda le malattie oncoematologiche. E’ il rischio di recidiva della malattia per la quale è stato fatto il trapianto. Il rischio è inversamente correlato con la GVHD e direttamente correlato con la T deplezione della sospensione di CSE che si trapianta. Esiste infatti una chiara relazione tra la comparsa di GVHD e l’effetto GVL, cioè l’aggressione del clone neoplastico da parte delle cellule immunocompetenti presenti nella sospensione cellulare trapiantata. In realtà, le poche cellule neoplastiche che non raramente resistono 56 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima alla terapia antiblastica di induzione della remissione pre-trapianto, possono essere eliminate completamente, col trapianto, dalle cellule immunocompetenti del donatore (Graft-versus-leukemia). Se questo non avviene, si verifica fatalmente la recidiva della malattia. Quindi, entro certi limiti, la GVHD è un effetto favorevole nel trapianto allogenico di malattie oncoematologiche. Questo effetto manca totalmente nel trapianto autologo, ed è molto ridotto nel trapianto allogenico con SCO. Perciò la frequenza di recidive con questi tipi di trapianto è sensibilmente superiore a quella che si osserva nel trapianto allogenico di midollo osseo. In pratica dunque, il rischio maggiore di GVHD acuta legato al trapianto allogenico di midollo osseo e di CSE da sangue periferico, sia da donatore familiare che da donatore non familiare, nelle malattie oncoematologiche, è compensato dal minore rischio di recidiva, rispetto al trapianto di CSE da SCO e a quello di midollo osseo (o di CSE periferiche) T-depleto. Tenuto conto di tutto ciò, vediamo ora brevemente quali risultati possiamo attenderci mediamente nelle diverse malattie con indicazione al trapianto. Tab.13 - Complicanze tardive del trapianto di midollo osseo, incluse quelle della GVHD cronica. Polmonari: Polmonite interstiziale Bronchiolite obliterante Bronchite e broncopolmonite ricorrenti Renali: Ipertensione e ritenzione di liquidi Glomerulopatia Vescicali: Cistite emorragica Neurologiche: Polineuropatia Miastenia grave Leucoencefalopatia multifocale Disfunzione sessuale Alterazione dello sviluppo psicologico nei bambini Epatiche: Epatite cronica attiva Cirrosi biliare Cutanee: Depigmentazione Sclerosi Lesioni lichenoidi sulle mucose Atrofia cute e perdita di peli e unghie Deterioramento denti S. di Sjogren (occhi e bocca secchi) Intestinali: Malassorbimento con dimagrimento e diarrea Endocrine: Ritardo della crescita Menopausa prematura Insufficienza testicolare Ipofunzione tiroidea Infertilità Muscoloscheletriche: Miosite Artrite Oftalmiche: Cataratta S. Sjogren Alterazioni ossee: Osteoporosi Necrosi asettica Ematologiche: Recidiva della malattia oncoematologica di base Generali: Neoplasie secondarie Fenomeni autoimmunitari Infezioni 57 7.2.3 Risultati nelle singole malattie Nella tabella 14 sono riportate le percentuali medie di DFS (sopravvivenza senza malattia) 5 anni dopo il trapianto di CSE, secondo l’IBMTR, nelle principali patologie. LMA. Nei pazienti con ≤ 50 anni in I RC, il TMO allogenico, sia da donatore familiare che non familiare, dà una probabilità di sopravvivenza senza malattia (DFS) a 5 anni del 50-70% circa, e la probabilità di recidiva è del 20%. Non c’è invece alcuna prova che l’autotrapianto dia risultati superiori alla chemioterapia, in termini di sopravvivenza globale, nella LMA in I RC. Nella II RC il TMO allogenico da una probabilità di DFS a 5 anni del 35-40% circa. Tab.14 - Sopravvivenza media senza malattia a 5 anni dal trapianto di CSE autologhe e allogeniche HLA identiche (dati IBMTR) PATOLOGIA Anemia falciforme Beta-talassemia (classe 1 e 2) Anemia aplastica (paz.<40 a.) ID combinata grave (SCID) Leucemia mieloide acuta: 1a remissione 2a remissione non remissione Leucemia linfoide acuta: 1a remissione 2a remissione non remissione Leucemia mieloide cronica: fase cronica fase accelerata crisi blastica Leucemia linfatica cronica Mielodisplasia Mieloma multiplo Linfoma non-Hodgkin 1a ricaduta/2a remissione Linfoma di Hodgkin 1a ricaduta/2a remissione non remissione Cancro del seno: stadio II alto rischio stadio IV NA=non applicabile; NR=non raccomandato; NV=non valutabile (dati insufficienti) 58 Trap. Autologo % Trap. Allogenico % NA NA NA NA 88 - 94 90 - 95 90 90 50 30 - 55 - 65 40 15 - 20 40 30 - 50 - 60 40 15 - 20 NR NR NR NV NV 35 70 - 80 30 - 50 15 - 20 50 45 30 40 40 - 50 50 - 40 25 70 15 NA NA Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima Questo risultato non è diverso col TMO allogenico da donatore non familiare, mentre sembra associarsi ad un rischio maggiore di recidiva con il trapianto allogenico di CSE periferiche. Il trapianto autologo in questa situazione da dei risultati inferiori al TMO allogenico, ma superiori alla sola chemioterapia. Perciò è proponibile quando il TMO allogenico non è possibile. Per quanto riguarda la leucemia promielocitica, il trapianto allogenico di CSE è riservato ai casi con malattia molecolare residua, dopo la terapia standard o con II RC. E’ dubbia l’utilità del trapianto in presenza di recidiva o di refrattarietà. LLA. Dati i risultati della chemioterapia convenzionale, nei pazienti con <15 anni, il trapianto allogenico è indicato solo in presenza di fattori di alto rischio di recidiva alla diagnosi (per esempio LLA Ph+, o t 4;11). Sono candidati al trapianto allogenico anche i bambini con recidiva precoce di malattia o che recidivano dopo terapie particolarmente intensive o che non rispondono alla prima linea di trattamento. In media, nella LLA ad alto rischio del bambino in I RC e in quella dell’adulto in I RC, la probabilità di DFS a 5 anni dopo TMO allogenico è 40-70%, e la probabilità di recidiva è 25%. Nella LLA del bambino a basso rischio il TMO è indicato in II RC, e da una probabilità di DFS a 5 anni del 30-50%. Il TMO da donatore non familiare da risultati simili. L’autotrapianto negli ultimi anni trova applicazione sempre minore nella LLA. Infatti i risultati che si ottengono nella LLA in termini di sopravvivenza globale a 5 anni, con l’autotrapianto (35%) non sono superiori a quelli della sola chemioterapia. Inoltre nei pazienti in II RC, o successiva, il rischio di recidiva con l’autotrapianto è molto alto. LMC. Ne abbiamo già trattato nel paragrafo 6.1. Globalmente, il TMO da familiare HLA identico, in fase cronica, da una probabilità di sopravvivenza a 5 anni del 70-80%, e di DFS a 5 anni del 6070%, con probabilità di recidiva del 15-30%. L’autotrapianto è da considerare una procedura sperimentale da eseguire nell’ambito di trials terapeutici randomizzati. Col TMO da donatore non familiare la probabilità di DFS a 5 anni nei pazienti in 1a fase cronica, in fase accelerata, in 2a fase cronica, e in crisi blastica, è rispettivamente 64%, 39%, 32%, 7%. MDS. Il gruppo di Seattle ha riportato, col TMO allogenico, una DFS media del 45% a 3 anni. Per i pazienti di età <40 anni e senza eccesso di blasti, la DFS era >50% a 4 anni. Dunque l’allotrapianto è indicato nei pazienti con <40 anni, senza grave citopenia, e prima della progressione blastica. Sull’autotrapianto i risultati sono molto dubbi. 59 LLC. La leucemia linfatica cronica insorge nel 90% dei casi in pazienti con più di 50 anni e l’età mediana della insorgenza è 65 anni. La sopravvivenza media è di circa 6 anni, ma molti pazienti rimangono in una fase indolente della malattia per 10 anni o più, in cui presentano solamente una linfocitosi (stadio 0) +/- linfoadenopatia modesta (stadio I) e non necessitano di alcuna terapia. La comparsa di astenia progressiva, linfoadenopatia sintomatica, organomegalia (stadio II), e soprattutto di anemia (stadio III) e paistrinopenia (stadio IV), indica la necessità di una terapia. L’uso della Fludarabina, specialmente in combinazione con un anticorpo monoclinale antiCD20 (Rituximab) può produrre remissioni complete o parziali in una buona percentuale di questi pazienti (50%). Un altro anticorpo monoclonale con specificità anti-CD52, si è dimostrato utile nella LLC refrattaria alla Fludarabina e agli agenti alchilanti, in cui ha dato buone risposte nel 33% dei casi per 7 mesi. Nella LLC non trattata in precedenza questo mAb produce buone risposte nel 87% dei pazienti con alte proporzioni di remissioni complete a lungo termine. Tutto ciò considerato, il trapianto allogenico di CSE viene riservato solamente a piccoli gruppi di pazienti, relativamente giovani, che non possono essere controllati con le altre terapie, benché sia l’unico approccio che può potenzialmente guarire questi pazienti. Il trapianto allogenico non mieloablativo ha dato recentemente dei risultati molto incoraggianti che potrebbero allargare il ruolo di questo approccio nella LLC. L’autotrapianto non si è dimostrato finora realmente utile in questa malattia. NHL. In questa malattia l’effetto GVL non si traduce col TMO allogenico in aumento della DFS, rispetto all’autotrapianto, a causa della maggiore mortalità da trapianto. Tuttavia il trapianto allogenico è comunque consigliabile nei pazienti con NHL aggressivo, linfoma di Burkitt, linfoma linfoblastico, specie in pazienti giovani e in alcuni pazienti con linfoma a basso grado clinicamente aggressivo. Anche in questa malattia, come in altre empatie maligne, l’uso di protocolli di condizionamento non mieloablativi può allargare le indicazioni del trapianto allogenico. L’autotrapianto è indicato nei NHL ad alto ed intermedio grado, con recidiva sensibile alla chemio. Nei pazienti refrattari o in recidiva non sensibile alla chemioterapia, la probabilità di DFS, con l’autotrapianto è del 10-20%. Nei linfomi B a basso grado è preferibile la chemioterapia: l’uso del Rituximab (un mAb anti-CD20), in associazione con la Fludarabina dà buoni risultati, con lunghe re60 Le Cellule Staminali Emopoietiche, un dono per la vita - Parte prima missioni complete, sia come terapia iniziale che come terapia della recidiva. Nei NHL in fase molto avanzata di malattia (II Recidiva o più) l’efficacia dell’autotrapianto è dubbia. Invece, sono abbastanza soddisfacenti i risultati che si ottengono nei pazienti con remissione incompleta alla prima linea di terapia o in II RC. In tutte le forme sottoposte a trapianto, la fonte di CSE utilizzata è quasi esclusivamente il sangue periferico. HL. Il linfoma di Hodgkin viene indirizzato al trapianto allogenico di CSE solo in un numero ridotto di pazienti con 1° recidiva sensibile alla chemioterapia. Si può ottenere il 40-50% di DFS a 5 anni. Il tipo di trapianto che viene di solito eseguito nel HL è l’autotrapianto, ma i risultati sono ancora di difficile valutazione. MM I risultati che possono essere ottenuti col trapianto di CSE nel MM sono stati già esposti nel paragrafo 6.1. Il numero di trapianti eseguiti nel MM negli ultimi 15 anni è aumentato progressivamente, e oggi il MM rappresenta, in ordine di frequenza, la seconda malattia oncoematologica (dopo le sindromi linfoproliferative) per indicazione al trapianto. Nel 90% circa dei casi si tratta di autotrapianto, ma anche il trapianto allogenico ha segnato un incremento notevole in questa patologia. L’introduzione della Talidomide, e più recentemente del Revimid e del Velcade, da un parte, e dei regimi di condizionamento a intensità ridotta con l’uso di CSE da sangue periferico dall’altra, hanno determinato un netto miglioramento dei risultati e hanno allargato a molti pazienti di MM, prima esclusi, la possibilità del trapianto allogenico. Malattie genetiche. Il trapianto allogenico di midollo osseo consente di ottenere la guarigione in molti pazienti affetti da malattie genetiche. Le percentuali di guarigione sono particolarmente elevate nella beta-talassemia. (v. par. 6.2) nell’anemia falciforme, nelle anemie aplastiche e nelle immunodeficienze primitive (v. tab.14). In condizioni di identità HLA completa donatore-ricevente, a livello molecolare, il TMO allogenico da donatore non familiare da risultati molto vicini, se non uguali a quelli del TMO da donatore familiare. Sono mediamente migliori i risultati che si ottengono con il sangue di cordone ombelicale. 61 8. Conclusioni Come abbiamo visto, il protagonista dei trapianti ematologico non è più il midollo osseo, in quanto tale. Le cellule staminali emopoietiche ne hanno preso il posto. Possiamo ottenere queste cellule da fonti diverse: dal midollo osseo, dal sangue del cordone ombelicale e dal sangue periferico. Cambia perciò e si diversifica a seconda della fonte, la tipologia del donatore, la procedura del prelievo, la strategia di conservazione e di utilizzo delle CSE , e, ovviamente, l’organizzazione tecnico-sanitaria, nonché l’informazione da dare alla popolazione e l’approccio promozionale da adottare. Ma le CSE delle diverse fonti differiscono anche per grado di maturazione e per proprietà immunologiche. I risultati che si ottengono nei trapianti sono di conseguenza alquanto differenti per tipo di CSE. In particolare: 1. Il rischio di GVHD acuta è modesto con il sangue cordonale rispetto al midollo osseo e alle CSE da sangue periferico; 2. Il rischio di recidivia nelle patologie onco-ematologiche è significativamente minore con il midollo osseo che con il sangue di cordone ombelicale; 3. il numero di CSE che può essere prelevato dal sangue periferico e trapiantato è molto maggiore di quello che si può ottenere col midollo osseo e, ovviamente, col SCO. Ciò consente di ottenere un importante effetto immunosopressivo e un più rapido attecchimento, favorendo l’adozione di protocolli di condizionamento “a intensità ridotta”, con riduzione della mortalità trapiantologia. Queste differenze si traducono in indicazioni e in opzioni terapeutiche differenti. Malati che fino a qualche anno fa erano esclusi dal trapianto di midollo osseo per l’età, per la patologia e per le condizioni cliniche, oggi possono accedere al trapianto di CSE da altra fonte e possono guarire. L’ovvia conseguenza è l’aumento progressivo del ricorso al trapianto di CSE in tutto il mondo. È perciò necessario uno sforzo maggiore a livello promozionale e a livello tecnico-sanitario ed organizzativo affinché le tre opzioni possibili nella scelta delle CSE per trapianto siano messe concretamente a disposizione dei malati in tutte le regioni d’Italia. In Sardegna non abbiamo ancora una banca di CSE di sangue cordonale nonostante le sollecitazioni che da molti anni, cittadini, malati, medici e associazioni di volontariato presentano ai responsabili regionali della sanità. È una grave lacuna non più accettabile, specialmente nella regione che ha la più alta incidenza di beta talassemia d’Italia. 62 Sommario 1. Le Cellule Staminali Emopoietiche 6 2. Le Fonti delle C.S.E. 14 2.1 Il Midollo osseo 14 2.2 Il Sangue periferico 15 2.3 Il Sangue placentare 16 2.4 La Placenta e il Cordone ombelicale 17 3. Le Cellule Staminali Mesenchimali 18 4. Il Prelievo delle C.S.E20 4.1 Il Prelievo di midollo osseo20 4.2 Prelievo di CSE da sangue periferico24 4.3 Prelievo di sangue placentare27 4.4 Crioconservazione delle sospensioni di CSE29 5. Il Trapianto di CSE 29 5.1 Trapianto di midollo osseo 30 5.2 Trapianto di CSE da sangue periferico 32 5.3 Trapianto di sangue placentare 33 5.4 Selezione del donatore 35 5.4.1 Donazione di midollo osseo 35 5.4.2 Donazione di CSE da sangue periferico 38 5.4.3 Donazione di sangue placentare 39 5.5 Preparazione del paziente 39 5.5.1 Mieloablazione 39 5.5.2 Immunosoppressione 40 5.6 Prevenzione delle infezioni e supporto trasfusionale 41 5.7 Profilassi della GVHD 41 6. Le Indicazioni del Trapianto di CSE 45 6.1 Emopatie maligne 46 6.2 Malattie genetiche 50 7. Risultati del trapianto di CSE 53 7.1 Attecchimento e rigetto 53 7.2 Dopo l’attecchimento 54 7.2.1 Complicanze precoci 56 7.2.2 Complicanze tardive 56 7.2.3 Risultati nelle singole malattie 58 8. Conclusioni 62