L’IMPIEGO DELLE CELLULE STAMINALI NELLA PATOLOGIA NEOPLASTICA EMATOLOGICA Intervento di Giuseppe Bandini al Convegno UniSalute “Le cellule staminali e il loro impiego attuale nella clinica” Bologna, 30 settembre 2011 L’impiego “ematologico“ delle cellule staminali emopoietiche consiste nell’infusione dei precursori emopoietici e linfopoietici, allo scopo di ripristinare l’emolinfopoiesi con le cellule reinfuse. In termini pratici, si parla di trapianto di CSE. Il trapianto può essere: - Autologo (sono le stesse CSE del paziente ad essere reinfuse) Non c’è nessuna barriera immunologica - Allogenico (le CSE provengono da un’altra persona genotipicamente diversa dal paziente) Esiste una formidabile barriera immunologica - Singenico (le CSE provongono da un gemello monovulare) Pur trattandosi di altra persona non c’è barriera immunologica Trapianto autologo Nel trapianto autologo, le CSE vengono prelevate al paziente e criopreservate, dopodiché si somministra la chemioradioterapia ad alte dosi, quindi le cellule vengono reinfuse e nel giro di circa due settimane si ristabiliscono normali valori di globuli bianchi e piastrine nel sangue. La funzione del trapianto è quindi quella di ricostituire l'emolinfopoiesi, che sarebbe altrimenti distrutta dalla chemioradioterapia pretrapianto. Il trapianto autologo è pertanto indicato in quelle condizioni suscettibili di guarigione solo con la chemioradioterapia ad alte dosi. In Italia, si fanno oltre 2500 trapianti autologhi all'anno, con un progressivo calo rispetto all'apice di oltre 3200 nel 2004; le malattie per cui si utilizza la procedura sono soprattutto linfomi e mielomi; la ragione del calo di attività è legata alla presenza di nuovi farmaci efficaci che in certi casi rendono non necessario l'autotrapianto. Trapianto allogenico Nel trapianto allogenico, invece, le cellule provengono da un'altra persona rispetto al paziente. Poiché il sistema immunitario di ciascun individuo è deputato al mantenimento della propria identità (self) e al rigetto di ciò che è estraneo (non self), è necessario e indispensabile che paziente e donatore siano identici nel repertorio degli antigeni di trapianto, il cosiddetto sistema HLA. Nonostante questa identità HLA, vi sono comunque piccole differenze fra il donatore e il ricevente, e vi sarà un tentativo di rigetto. Questo Convegno UniSalute “Le cellule staminali e il loro impiego attuale nella clinica” Bologna, 30 settembre 2011 tentativo è doppio, nel senso che il paziente tenderà a rigettare le CSE trapiantate (rigetto classico) e le cellule trapiantate tenderanno a rigettare il paziente, realizzando la cosiddetta reazione o malattia del trapianto contro l'ospite (GVHD). Questa reazione immunitaria delle CSE trapiantate si svolge pertanto anche contro le cellule leucemiche, e costituisce uno dei due meccanismi con cui il trapianto allogenico guarisce le neoplasie, l'altro meccanismo essendo rappresentato dalla chemioradioterapia ad alte dosi somministrata prima del trapianto, e che da sola non è sufficiente a garantire la guarigione. La probabilità di reperire un donatore HLA identico è del 25%, fra i fratelli in base alle leggi dell'eredità mendeliana; per ovviare quindi alla penuria di donatori, si sono costituiti nel mondo dei "registri" di donatori volontari pronti a donare le loro CSE per qualsiasi paziente in qualsiasi parte del mondo, in caso di compatibilità accertata. Oggi i donatori nel mondo sono circa 18 milioni, riuniti nella World Wide Bone Marrow Donor Association, e circa due terzi dei trapianti vengono ormai effettuati da donatore volontario. Le cellule staminali del donatore possono essere prelevate dal midollo osseo (circa 30% dei casi) oppure dal sangue periferico (circa 65%), in quanto dopo opportuna stimolazione con l'ormone fisiologico "fattore di crescita granulocitario" le CSE escono dal midollo ed entrano nel sangue periferico. La prima procedura si svolge in anestesia generale, la seconda in regime ambulatoriale, mediante una raccolta con separatore cellulare. Entrambe le procedure comportano un rischio veramente minimo per il donatore e non arrecano alcun danno all'organismo. Negli ultimi anni si è affermata anche una terza sorgente di CSE, cioè quelle contenute nel sangue del cordone ombelicale e i trapianti da cordone ombelicale rappresentano il 6-7% del totale. Nel mondo sono attualmente disponibili a scopo di trapianto circa 600 mila cordoni ombelicali, ed è necessario incrementare tale donazione volontaria in quanto si prevede un forte incremento dell'utilizzo di queste cellule che hanno il grande pregio di consentire trapianti anche tra individui solo parzialmente HLA identici. L'insieme dei sopracitati fattori ha fatto si che l'attività di trapianto allogenico sia cresciuta ininterrottamente anno per anno dal 1991 in poi, e nel 2010 sono stati effettuati in Italia 1585 trapianti. Le indicazioni al trapianto allogenico sono costituite nell'adulto soprattutto da leucemie acute mieloidi, leucemie acute linfoidi, linfomi, mielodisplasie. L'attività di trapianto allogenico rappresenta quindi oggi un esempio di cooperazione scientifica, tecnologica, logistica di altissimo livello su scala mondiale e l'attività di Convegno UniSalute “Le cellule staminali e il loro impiego attuale nella clinica” Bologna, 30 settembre 2011 donazione, sia dei donatori che del cordone ombelicale, contiene un'alta valenza etica. I risultati del trapianto allogenico danno una percentuale di guarigione nell'ordine del 5060% se la leucemia o la neoplasia, al momento del trapianto, è in fase di "remissione completa", cioè espressa ad un livello minimo in seguito alle cure iniziali. Vogliamo infine segnalare una nuova modalità di trapianto del cordone ombelicale, sviluppata dal dott. Francesco Frassoni di Genova e ripresa anche nel nostro Istituto, coordinatrice dott.ssa Bonifazi. Si tratta dell'infusione diretta delle CSE del cordone ombelicale nell'osso, al livello delle creste iliache posteriori, e non direttamente nel sangue come in genere è la prassi del trapianto. il motivo di questa scelta è che numerosi studi hanno dimostrato come delle cellule CSE iniettate nel torrente circolatorio solo il 10% si annidano nel midollo osseo, che è la sede naturale della mielopoiesi. Poiché i cordoni ombelicali presentano in partenza una quantità di CSE molto più bassa rispetto al trapianto di CSE da midollo o da sangue periferico (dalle 10 alle 50 volte di meno), è ovvio che una perdita di quasi il 90% comporta che solo un minimo numero di cellule arriva nel midollo osseo, quindi l'attecchimento è meno frequente e i tempi di recupero dei globuli bianchi e delle piastrine sono molto più lunghi, con susseguente morbidità e mortalità. Per questa ragione, fino a tre anni fa il trapianto di cordone ombelicale veniva effettuato solo in pazienti di peso inferiore ai 30 Kg, cioè eminentemente pediatrici. L'infusione intraossea diretta, invece, supera questi fatti negativi e permette il trapianto anche in individui adulti, con peso superiore agli 80 Kg e produce risultati che sono sovrapponibili a quelli che si ottengono da midollo o da sangue periferico. L'infusione intraossea si è anche dimostrata superiore alla via scelta dai più negli ultimi anni, di aumentare l'efficienza mediante il trapianto contemporaneo di due cordoni ombelicali. Il nostro Istituto è impegnato nel proseguire questa ricerca e sul fronte clinico e su quello biologico, tra l'altro coordinando una cooperazione fra vari centri italiani che prenderà l'avvio nei prossimi mesi. 28/10/2011 Dott. Giuseppe Bandini Coordinatore Trapianti CSE Convegno UniSalute “Le cellule staminali e il loro impiego attuale nella clinica” Bologna, 30 settembre 2011