E POTERI CONFLITTI IPErtEsto La guerra dai cieli in Europa Wilbur Wright osserva il fratello Orville (disteso sul velivolo) mentre compie il primo volo sulla spiaggia di Kitty Hawk, nella Carolina del Nord (Stati Uniti). F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 1 La guerra dei cieli in Europa Può essere interessante, a titolo di curiosità, ricordare che alcuni patrioti russi gettarono bombe sull’esercito francese, durante l’avanzata di Napoleone verso Mosca (1812), servendosi di mongolfiere, e che gli austriaci fecero qualcosa di simile nel 1848-1849, durante la rivolta di Venezia. In realtà, fino al primo conflitto mondiale, non ha senso parlare di guerra dai cieli: anzi, persino negli anni 1914-1918, lo scontro fu sostanzialmente una guerra a due dimensioni, in quanto la maggioranza dei danni a persone e cose fu inferta dall’artiglieria, non da mezzi volanti. L’aeroplano fu sperimentato con successo per la prima volta nel 1903, sulle colline della Carolina del Nord, quando i fratelli Wright riuscirono a far decollare il primo velivolo dotato di equipaggio umano. Cinque anni dopo, fu lanciato il primo grido d’allarme: lo scrittore inglese Herbert George Wells pubblicò un romanzo di fantascien- ➔Paure za (La guerra nell’aria, 1908) in cui immaginava che immense flotte aeree presto sa- da apocalisse rebbero state in grado di colpire le principali città del continente e di provocare la fine della civiltà in Europa: «Ci sarebbero state trombe e urla e fenomeni celesti, una battaglia di Armageddon e il giudizio universale». In pratica, secondo Wells, se la guerra aerea si fosse trasformata in realtà, l’apocalisse si sarebbe rovesciata sui Paesi civili, avrebbe distrutto ogni cosa e obbligato finalmente gli europei a meditare sulla loro follia. La prima guerra mondiale confermò in parte le fosche previsioni di Wells. Nei primi due IPERTESTO C Preistoria della guerra aerea IPErtEsto UNITÀ VII LA SECONDA GUERRA MONDIALE 2 anni di guerra, i tedeschi cercarono di attaccare l’Inghilterra con i dirigibili Zeppelin, ma questi si dimostrarono troppo lenti e vulnerabili: per di più, l’idrogeno di cui erano riempiti era altamente infiammabile. Un’importante svolta si registrò con la costruzione dei grossi bombardieri Gotha, che entrarono in azione nella primavera del 1917. Il 25 maggio, 21 aerei tedeschi bombardarono Folkestone, uno dei porti da cui partivano le truppe inglesi che andavano a combattere in Francia. In quell’occasione si ebbero 95 morti e 195 feriti; il 13 giugno, un’altra squadra di Gotha attaccò Londra, sganciò 4 tonnellate di bombe e provocò 162 morti e 432 feriti. Le incursioni si ripeterono fino alla fine della guerra (in totale furono 27), con una media di 2-3 al mese, a seconda della stagione. In totale, furono sganciati quasi 120 tonnellate di bombe; restarono uccise 835 persone, mentre i feriti furono 1972. Gli inglesi risposero con 675 incursioni, che provocarono la morte di 764 tedeschi e dan➔Problemi ni per 1,2 milioni di sterline. Non si trattò certo dell’apocalisse profetizzata da Wells; i mezdi tipo tecnico zi tecnici a disposizione, del resto, erano ancora molto rudimentali: biplani in legno e tela, con autonomia di volo e di carico relativamente scarsa, in numero limitato. Per gli inglesi, inoltre, i costi furono altissimi con la perdita di 352 velivoli e di 264 aviatori. Ciò nonostante, la lezione della guerra non fu dimenticata. In particolare, molti osservatori notarono il terrore che – al di là del numero dei morti e dei danni effettivi – le incursioni aeree provocavano tra la popolazione. Da più parti si iniziò a pensare che, nella guerra del futuro, l’aviazione sarebbe stata l’arma decisiva. I più ottimisti pensavano che essa sarebbe stata un’eccellente alternativa alla tragedia delle trincee; i realisti, al contrario, annunciarono (e progettarono) una guerra totale, che non distingueva tra obiettivi militari e civili, che mirava a far terra bruciata delle strutture produttive del nemico e a terrorizzarne la popolazione, al fine di ottenerne la capitolazione e la resa incondizionata. Questa prospettiva determinò la comparsa del principio della deterrenza, poi sviluppato – su scala ancora maggiore – al tempo delle armi nucleari: di fronte alla prospettiva di una distruzione totale del proprio Paese, da parte dell’aviazione nemica, solo un pazzo – si diceva – si sarebbe avventurato a cuor leggero in un nuovo conflitto. 6 maggio 1937: il dirigibile tedesco Hindenburg urta una struttura in ferro e prende fuoco. L’incidente suscitò parecchi interrogativi su questi velivoli, divenuti ormai troppo lenti e insicuri. F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 DOCUMENTI Negli anni Venti del Novecento, man mano che gli aeroplani diventavano armi sempre più affidabili e potenti, tutti i comandi degli eserciti europei si interrogarono sul futuro della guerra. In Inghilterra, la voce più autorevole fu quella del primo comandante della RAF (Royal Air Force), Sir Hugh Trechard. Il passo che riportiamo è tratto da un discorso del 1927; alcuni anni prima, l’italiano Giulio Douhet aveva dato alle stampe Il dominio dell’aria (1921), in cui teorizzava la guerra totale come strumento capace di piegare il nemico. IPErtEsto Timori e prospettive per la guerra aerea Sir Hugh Trechard IPERTESTO C Ci saranno molte persone che, nel rendersi conto che questa nuova forma di combattimento estenderà all’intera comunità gli orrori e le sofferenze finora limitate ai campi di battaglia, insisteranno perché le offensive aeree vengano ristrette alle zone occupate dalle forze armate nemiche. Se questo tipo di restrizione fosse possibile, io non mi opporrei, ma non è fattibile… Qualunque sia il punto di vista riguardo alla legalità o umanità di questa strategia militare, non vi è alcun dubbio che durante la prossima guerra entrambe le parti manderanno i loro aerei senza alcuna remora a bombardare quegli obiettivi che saranno ritenuti più opportuni. F. tAyLor, Dresda 13 febbraio 1945: tempesta di fuoco su una città tedesca, Mondadori, Milano 2005, p. 91, trad. it. N. CANNAtA Generale Giulio Douhet Nella grande guerra, benché essa venisse ad interessare profondamente popoli interi, avvenne che, mentre una minoranza di cittadini combatteva e moriva, la maggioranza viveva e lavorava per fornire alla minoranza i mezzi per combattere. Tutto ciò perché non era possibile oltrepassare le linee del fronte senza prima spezzarle… Ora è possibile oltrepassare le linee del fronte. L’aereo dispone di questa capacità… Non più possono esistere zone in cui la vita possa trascorrere in completa sicurezza e con relativa tranquillità. Non più il campo di battaglia potrà venire limitato. Esso sarà solo circoscritto dai confini delle nazioni in lotta: tutti diventano combattenti perché tutti sono soggetti alle dirette offese del nemico: più non può sussistere una divisione fra belligeranti e non belligeranti… I bersagli delle offese debbono essere sempre grandi: i piccoli bersagli hanno poca importanza e non meritano, generalmente, che di essi ci si preoccupi… I bersagli delle offese saranno quindi, in genere, superfici di determinate estensioni sulle quali esistano fabbricati normali, abitazioni, stabilimenti ecc. ed una determinata popolazione. Per distruggere tali bersagli occorre impiegare i tre tipi di bombe: esplodenti, incendiarie e velenose, proporzionandole convenientemente. Le esplosive servono per produrre le prime rovine, le incendiarie per determinare i focolari di incendio, le velenose per impedire che gli incendi vengano domati dall’opera di qualcuno. G. GrIbAUDI, Introduzione, in H.E. NossACk, La fine. Amburgo 1943, il Mulino, bologna 2005, pp. 7-8, trad. it. b. ForINo Quali sono le conclusioni strategiche cui arrivano i due generali e in quale misura coincidono? Secondo Douhet, quale sarà l’unico confine che delimiterà un campo di battaglia? Secondo Douhet e Trenchard, un quadro come quello che essi stessi prospettavano avrebbe dovuto indurre gli statisti a rifiutare il concetto stesso di guerra. Perché il principio della deterrenza non funzionò, mentre sarebbe risultato valido, invece, dopo il 1945? F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 Due aerei da combattimento utilizzati durante la prima guerra mondiale. La guerra dei cieli in Europa 3 IPErtEsto Le prime esperienze 1 Riferimento storiografico pag. 7 Londra devastata dopo uno dei numerosi bombardamenti tedeschi sulla città. Nel dicembre del 1931, l’ex capo dell’aviazione irlandese, colonnello James Fitzmaurice immaginò lo scenario che, di lì a poco, sarebbe stato esperienza comune per migliaia di uomini e donne, in Europa e in Asia: «Un’abominevole pioggia di morte e distruzione cade stridendo e sibilando attraverso lo spazio e l’atmosfera fino all’indifesa, popolosa terra sottostante. La scossa che fa seguito all’urto è terrificante. Grandi edifici vacillano e crollano ridotti in polvere come birilli di nessun valore... I sopravvissuti, ridotti a masse completamente demoralizzate di dementi... sono colti da una frenesia di terrore demoniaca. si strappano le maschere antigas, ben presto inspirano i fumi velenosi e muoiono tra spasmi orribili, maledicendo il destino che non li ha annientati rapidamente e senza preavviso nella prima spaventosa esplosione». Questa apocalittica profezia, assai più puntuale di quella ben più vaga formulata da Wells all’inizio del secolo, si realizzò per gradi. I primi segnali emersero durante la guerra civile spagnola, durante i bombardamenti su Madrid (1936) e su Guernica (1937). Nel 1939, i tedeschi fecero un ulteriore importante passo in avanti durante la campagna di Polonia: il 24 settembre, furono 1000 gli aerei che attaccarono Varsavia (a fronte dei 21 che distrussero Guernica), seguiti da altri 420 il giorno successivo. La capitale polacca registrò 10 000 morti, la distruzione del 10% dei propri edifici e il danneggiamento di un altro 40% delle strutture. L’intero centro storico andò praticamente distrutto. UNITÀ VII sebbene questi eventi fossero noti ed eloquenti, gli inglesi furono colti da un terribile stupore quando l’apocalisse dal cielo si rovesciò sulle loro città, nell’autunno del 1940. Fino ad allora, i tedeschi avevano concentrato i loro attacchi sugli aeroporti e su altre strutture, nel tentativo di creare le premesse per invadere l’Inghilterra. Quando fu chiaro che lo sbarco era impossibile, i bombardieri tedeschi presero di mira le città, al fine di demoralizzare la popolazione britannica e spingerla a chiedere la resa. Il primo impatto veramente traumatico si ebbe il 14 novembre 1940, allorché 515 bombardieri tedeschi distrussero completamente la città di Coventry, che ospitava nel proprio centro molte fabbriche di munizioni. Il numero delle vittime fu relativamente modesto (568 morti), ma in una notte furono distrutti circa 60 000 edifici. La stampa inglese restò colpita dal fatto che un’intera città medievale fosse stata rasa al suolo in poche ore: «La famosa cattedrale – scrisse “e Guardian”, il 16 novembre – è poco più di uno scheletro, grandi quantità di macerie che formano enormi cumuli nelle sue mura spoglie, mentre altri obiettivi sono stati due chiese, alberghi, club, cinema, rifugi pubblici, bagni pubblici, stazioni di polizia e uffici postali». Londra (tra il settembre 1940 e il dicembre 1941) fu attaccata 57 volte: morirono 14000 londinesi, in media 250 per ogni aggressione. si tratta di una quota molto alta, se si tiene pre- LA SECONDA GUERRA MONDIALE 4 F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 ➔La tempesta di fuoco IPErtEsto sente che, nel 1944, gli inglesi provocavano alla Germania circa 127 vittime al giorno, rovesciando sul suo territorio una quantità di esplosivo e di bombe incendiarie di molto superiore. Il principale attacco su Londra ebbe luogo il 29 dicembre 1940; l’obiettivo era di scatenare una tempesta di fuoco, cioè un gigantesco incendio che non fosse più controllabile da parte dei pompieri. I vari focolai suscitati dalle bombe incendiarie, però, non divennero un unico rogo, cosicché Londra superò quella che tutti (testimoni e storici) considerano la più pericolosa delle incursioni aeree subite dalla capitale britannica durante la guerra. Gli inglesi provarono a reagire e a colpire la Germania. I loro tentativi, però, furono a lungo maldestri e inefficaci. Nei cieli della ruhr, la più importante regione industriale tedesca, una spessa coltre di fumi rendeva gli obiettivi praticamente invisibili; dai risultati di un’inchiesta ufficiale emerse che solo un aereo su dieci arrivava sull’obiettivo. Nel medesimo tempo, il 21% dei velivoli inviati restava colpito e non faceva ritorno alla base. Da più parti, il governo ricevette forti pressioni affinché i fondi impiegati nella costruzione di grandi bombardieri bimotori o quadrimotori fossero dirottati verso la produzione di aerei più piccoli, capaci di appoggiare la marina o l’esercito in azioni di combattimento. Alla fine del 1943, i bombardieri inglesi tentarono di lanciare una grande offensiva contro Berlino, ma incontrarono una resistenza durissima: a fronte di circa 10 000 berlinesi uccisi, tra l’agosto 1943 e il marzo 1944 la rAF perse, nei voli contro la capitale del reich, 625 aerei (pari al 5,8% della flotta) ed ebbe 2690 uomini uccisi e altri 1000 catturati. Questo sostanziale insuccesso, insieme alla necessità di preparare lo sbarco in Normandia, portò a un temporaneo allentamento della pressione sulle città della Germania. Lo scenario mutò nel dicembre 1944, allorché i tedeschi lanciarono un’ultima disperata offensiva in belgio, nella regione delle Ardenne. Anche se l’attacco fu infine respinto (e l’esito della battaglia fu deciso sia dalla superiorità aerea anglo-americana, sia dalla carenza F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 Riferimenti storiografici pagg. 9 e 10 2 e 3 5 ➔Spezzoni incendiari ➔Il doppio attacco La guerra dei cieli in Europa Preso atto della difficoltà di colpire impianti e strutture industriali, il governo e il comando britannici decisero di cambiare strategia e di puntare alla distruzione del morale della popolazione tedesca, colpendo nel modo più duro possibile i centri urbani della Germania. La direzione di queste operazioni di bombardamento fu assegnata ad Arthur Harris, che scelse come primo obiettivo Lubecca: centro industriale, base per gli U-boot e porto di primaria importanza, terminale di arrivo dei minerali ferrosi provenienti dalla svezia. Lubecca fu attaccata la notte del 28-29 marzo 1942 da 234 bombardieri; fu la prima città tedesca a essere incenerita: 320 persone restarono uccise e 16 000 si trovarono senza tetto. Le novità introdotte furono micidiali. Innanzi tutto, si decise di impiegare un doppio tipo di strumenti distruttivi, associando le bombe ad alto potenziale esplosivo a spezzoni incendiari, cioè a ordigni molto più piccoli, ma capaci di suscitare e alimentare grandi incendi. In pratica, il primo tipo di bombe sventrava le case, le strade e le condutture, mentre il secondo distruggeva ogni cosa col fuoco. In secondo luogo, a Lubecca fu collaudata la tecnica del doppio attacco: dopo una prima ondata di aerei, ne subentrava una seconda, che assumeva come bersaglio e punto di riferimento i grandi incendi scatenati dall’incursione iniziale. Il 27 luglio 1943, fu la volta di Amburgo, attaccata da 787 velivoli, che scaricarono 2326 tonnellate di bombe, per la maggior parte incendiarie. La città fu travolta da una tempesta di fuoco, espressione che non è una metafora, ma denota un tipo particolare di incendio caratterizzato da altissime temperature (tra gli 800 e i 1000 °C); in tali condizioni, si creano correnti ascensionali, che risucchiano verso l’alto tutto l’ossigeno, determinando la morte per asfissia di migliaia di persone che avevano trovato protezione nei rifugi. In totale, si stima che le vittime del bombardamento di Amburgo siano state circa 40 000: le più fosche previsioni di Douhet e trenchard trovarono la più terribile delle conferme. IPERTESTO C I bombardamenti sulle città tedesche IPErtEsto UNITÀ VII LA SECONDA GUERRA MONDIALE 6 Tra le rovine di Amburgo DOCUMENTI Lo scrittore tedesco Hans Erich Nossack fu uno dei pochi intellettuali tedeschi che cercarono di esprimere i sentimenti che provarono a cospetto delle rovine delle città bombardate. Nossack era fuori città, quando i bombardieri colpirono Amburgo il 27 luglio 1943. Al suo ritorno, trovò uno scenario surreale, impossibile da narrare perché diverso da qualunque situazione conosciuta. Quel che vedevamo intorno non ci ricordava in alcun modo ciò che era andato perduto. Non aveva nulla a che fare con questo. Era qualcosa di diverso, era l’estraneità in sé, era l’autentico non possibile. […] Dove un tempo lo sguardo incontrava i muri delle case, adesso una muta pianura si stendeva verso l’infinito. Era un cimitero? Ma quali creature avevano sepolto lì i propri defunti piantando canne fumarie sulle loro fosse? Isolati fumaioli si levavano dal suolo come monumenti, simili a dolmen o a dita ammonitrici. Attraverso di essi coloro che erano sepolti lì respiravano forse il cielo azzurro? E dove, in mezzo a quella strana sterpaglia, una vuota facciata strapiombava nell’aria come un arco di trionfo, riposava forse uno dei loro signori ed eroi? O si trattava dei resti di un acquedotto come presso gli antichi romani? O tutto questo non era che la scenografia per un’opera fantastica? Quante cose avevamo imparato a scuola, quanti libri avevamo letto, quante illustrazioni avevamo guardato con stupore, ma nessuno ci aveva mai raccontato di cose simili a quelle. Esistevano dunque continenti inesplorati? Negli occhi di tutti scorgevo questa tesa e attenta esplorazione del paesaggio esterno e una vana ricerca di riscontri all’interno. Attendevamo che da qualche parte si mostrasse qualcosa che potesse sciogliere l’enigma, e non dovevamo lasciarcelo sfuggire per nessuna ragione. […] Ho attraversato tutti questi quartieri, a piedi o in auto. Solo alcune delle strade principali erano tenute sgombre, ma chilometro dopo chilometro non c’era più una sola casa viva. E se si provava a infilarsi nelle strade laterali, si smarriva subito ogni senso del tempo e dell’orientamento. Mi perdevo completamente in zone che credevo di conoscere bene. Cercavo una strada che avrei dovuto trovare anche a occhi chiusi. Ero già lì dove pensavo che si trovasse ma non sapevo come cavarmela. Contavo sulle dita i solchi laterali che s’aprivano fra i detriti, ma nemmeno così riuscivo a ritrovarla. E se dopo ore s’incontrava un’anima, si trattava comunque di qualcuno che vagava come in sogno attraverso quella desolazione eterna. Si passava uno di fianco all’altro con uno sguardo timido e parlando a voce ancora più bassa di prima. Magari da qualche parte splendeva il sole, che però nulla poteva su questo crepuscolo. H.E. NossACk, La fine. Amburgo 1943, il Mulino, bologna 2005, pp. 72-77, trad. it. b. ForINo Spiega l’espressione «era l’estraneità in sé, era l’autentico non possibile». Di fronte a quali altre esperienze estreme ti è capitato di sentir dire dai superstiti che non esistevano le parole per descrivere quanto avevano visto o vissuto? Spiega la frase «Attendevamo che da qualche parte si mostrasse qualcosa che potesse sciogliere l’enigma, e non dovevamo lasciarcelo sfuggire per nessuna ragione». La città di Amburgo duramente colpita dagli attacchi aerei inglesi. F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 Riferimenti storiografici 1 Guerra aerea e strategia militare Negli anni Trenta, a proposito della guerra aerea si fronteggiarono due diverse scuole di pensiero strategico. Mentre un primo gruppo di politici e di militari dava la precedenza ad aerei di piccola o media dimensione, da usare soprattutto in battaglia, a sostegno dell’esercito, un secondo orientamento era invece favorevole alla costruzione di aerei imponenti, capaci di portare distruzione nelle città del nemico. Con l’importante eccezione degli Stati Uniti, nessuno degli altri stati in guerra vedeva grandi vantaggi nei bombardamenti strategici a lungo raggio: su iniziativa dello stesso Stalin il programma di sviluppo dei bombardieri pesanti era stato chiuso in Unione Sovietica già nel 1937 e gli sfortunati promotori, capeggiati da Aleksandr Tupolev, spediti in campi di lavoro, dove continuarono la loro opera dietro il filo spinato. L’esperienza della guerra civile spagnola, nella quale i piloti sovietici avevano combattuto a fianco delle forze repubblicane contro Franco nel 1936, aveva convinto Stalin che le forze aeree erano più utili se usate in prima linea, come appoggio per l’esercito. Gli osservatori tedeschi e francesi arrivarono più o meno alle stesse conclusioni. Durante la guerra civile spagnola l’aeronautica provò in combattimento il suo nuovo bombardiere da picchiata, lo Junker Ju-87 [meglio noto col nome di Stuka, n.d.r.], con la sua terrificante sirena che annunciava il bombardamento imminente. Questo aereo era opera del colonnello Ernst Udet, aviatore di mitica fama che faceva fremere le platee cinematografiche negli anni venti con le sue acrobazie, oltre che essere un noto vignettista. L’appoggio dato alla causa di Hitler gli fruttò l’incarico di dirigere la produzione delle forze aeree tedesche. Il suo amore per le acrobazie aeree lo portò a trascurare i bombardamenti a lungo raggio per favorire bombardieri più piccoli che potessero scendere in picchiata e distruggere anche bersagli di piccole dimensioni sul campo di battaglia. Quando il responsabile dell’aviazione tedesca, Hermann Göring, insistette perché la Germania producesse anche un bombardiere quadrimotore a lungo raggio d’azione, Udet disse ai progettisti tedeschi che anch’esso doveva essere in grado di scendere in picchiata, una F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 IPErtEsto Riferimento storiografico 4 pag. 11 IPERTESTO C ➔Grande scandalo e polemiche 7 La guerra dei cieli in Europa di carburante che ormai affliggeva i tedeschi), fu un vero shock per i comandi alleati, che si erano illusi mancasse poco al collasso della Germania. Il 3 febbraio 1945, le forze aeree americane (che utilizzavano le cosiddette fortezze volanti, o B17, scortate da caccia P51 Mustang, capaci di percorrere lunghissime distanze) lanciarono una delle più devastanti incursioni su berlino, che provocò la morte di 3000 civili e la completa distruzione del palazzo imperiale. I russi, dopo questo successo, chiesero agli anglo-americani di bombardare le zone orientali del reich. Nacque così la decisione di colpire Dresda, che fino ad allora non era mai stata seriamente danneggiata. Il bombardamento ebbe luogo la notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945 e si svolse secondo il collaudato sistema del doppio attacco. Una prima ondata di 244 quadrimotori inglesi Lancaster rovesciò sul centro storico della città sassone 881,1 tonnellate di bombe (per il 57% dirompenti, per il 43% incendiarie) in circa 15 minuti (tra le ore 22,15 e le 22,30) e riuscì a provocare una tremenda tempesta di fuoco. Il secondo gruppo di bombardieri (550 aerei) arrivò tre ore dopo e allargò ulteriormente l’area colpita, che fu la più vasta mai colpita in una singola aggressione. Le bombe della seconda ondata colpirono anche la zona della stazione ferroviaria, in cui si trovavano moltissimi profughi fuggiti dalle zone che stavano passando sotto il controllo dei russi. Il bombardamento di Dresda destò grande scandalo e numerose polemiche, durate a lungo anche dopo la guerra. tuttavia, gli studi più recenti ritengono che la propaganda nazista abbia gonfiato il numero delle vittime, affermando che erano centinaia di migliaia. In realtà, anche se la tempesta di fuoco distrusse interamente una delle più belle città della Germania orientale e l’esperienza degli abitanti fu terrificante e veramente apocalittica, le stime più realistiche oscillano fra i 25 e i 40 000 morti. IPErtEsto UNITÀ VII LA SECONDA GUERRA MONDIALE 8 richiesta che ne ritardò la realizzazione di tre anni. Quando scoppiò la guerra la Germania diede la priorità alla cooperazione tra l’aviazione e l’esercito, una strategia che fu mantenuta, così come in Unione Sovietica, fino alla fine del conflitto. Perché dunque Gran Bretagna e Stati Uniti si schierarono contro ogni conoscenza militare acquisita e insistettero con i bombardamenti? [...] L’aviazione e i politici britannici rimasero legati alla loro visione degli anni tra le due guerre mondiali che un bombardamento indiscriminato, finalizzato al raggiungimento di un rapido «colpo finale», sarebbe stato probabilmente una delle caratteristiche della successiva guerra: per opporsi alla minaccia dei bombardamenti bisognava dotarsi a propria volta di bombardieri propri. Le radici della deterrenza post-bellica risalgono dunque alla decisione britannica degli anni trenta di costituire una potente forza d’attacco di bombardieri per spaventare i potenziali nemici. C’erano, naturalmente, ragioni più fondate per portare avanti i bombardamenti che non il timore di esserne vittime. Nessuno voleva che si ripetesse lo spaventoso spargimento di sangue della grande guerra, e una guerra di bombardamenti, nonostante i suoi molteplici orrori, sembrava promettere un conflitto più rapido e asettico. Il colonnello Fitzmaurice confortò i suoi lettori rassicurandoli che il suo Super-Armageddon avrebbe posto fine alle guerre di logoramento una volta per tutte, garantendo che queste erano «sepolte e dimenticate nel fango, nella poltiglia e nei cimiteri di guerra delle Fiandre». A paragone dello spreco di giovani vite nello stallo delle trincee, i bombardamenti potevano causare una settimana di orrori seguita dalla resa: si profilava insomma una guerra a poco prezzo, che faceva risparmiare non solo vite ma anche denaro, una strategia economica che risultava parimenti attraente al contribuente democratico e al ministro del Tesoro. Tutto ciò lasciava aperte importanti questioni: cosa avrebbero dovuto colpire i bombardieri? Caccia bimotori tedeschi sorvolano una città inglese durante la seconda [...] L’aviazione britannica e quella americana, guerra mondiale. Questi velivoli, che facevano la scorta ai bombardieri assai più libere dalle soffocanti restrizioni di eserveri e propri, avevano una grande autonomia di volo. citi con lunga tradizione, volevano una strategia che concedesse loro un’effettiva indipendenza, il giusto complemento della novità e modernità delle armi a loro disposizione. Scelsero poi quello che venne chiamato il bombardamento strategico, per distinguerlo dal puro e semplice bombardamento tattico di appoggio all’esercito e alla marina. L’obiettivo del bombarQuale concezione diere strategico era il cuore stesso del paese nemico, la sua popolazione e la sua econoaveva Stalin, del mia. La grande guerra aveva aperto la strada a un nuovo genere di conflitto, la guerra totale, ruolo militare nella quale la distinzione tra civile e militare non valeva: il bombardiere ne era lo strumento dell’aviazione? Quale utilizzo fecero per eccellenza, capace com’era di polverizzare le industrie del nemico e terrorizzare la popolazione per indurla alla resa. [...] Per tutti gli anni Trenta, e ancora nelle prime fasi della dell’aviazione, guerra, questa strategia fu impossibile da realizzare tecnicamente e operativamente poco in prevalenza, seria. Nel dicembre 1937, comunque, il comando bombardieri britannico ricevette l’ordine i tedeschi? di progettare la distruzione dell’economia tedesca con una serie di bombardamenti, e da Spiega le espressioni quel momento fu posta la base di quella che sarebbe diventata l’offensiva coordinata di bom«bombardamento bardamenti lanciata nel 1943. strategico» e «bombardamento r. oVEry, La strada della vittoria. Perché gli Alleati hanno vinto la seconda guerra mondiale, il Mulino, tattico». bologna 2002, pp. 157-159, trad. it. N. rAINò F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 L’esperienza dei bombardamenti britannici sui centri urbani tedeschi dimostrò, nel giro di poco tempo, che il fuoco provocava alle città danni molto più gravi di quelli causati dalle bombe dirompenti ad alto potenziale. Le città della Germania, dunque, si trasformarono in giganteschi roghi, impossibili da domare. Sin dalla fine del 1942 gli scienziati alle dipendenze del ministero dell’Aviazione britannico studiavano un modo per mettere a frutto le proprietà distruttive del fuoco. Le bombe dirompenti erano pesanti da trasportare e infliggevano danni che impressionavano relativamente poco il nemico; il materiale incendiario era più leggero, poteva essere sganciato in grossi quantitativi e, una volta colpito l’obiettivo, dava inizio a un processo di distruzione che si propagava da sé. In determinate circostanze una bomba incendiaria da due chilogrammi desertificava una superficie superiore a quella devastata da una bomba dirompente mille o duemila volte più pesante. [...] Gli attacchi incendiari scatenati sulle città tedesche costituirono una novità assoluta nella storia bellica: era la prima volta che il controllo di un’arma era totalmente in mano agli scienziati, la prima volta che ideazione e utilizzo andavano così di pari passo. Quando fu raggiunto il culmine della sinergia fra conoscenze, realizzabilità tecnica, disponibilità di materiale e apparecchiature, la guerra finì. Se gli Alleati non si fossero dedicati con tenacia all’elaborazione anche concettuale dell’annientamento, la tempesta di fuoco sarebbe rimasta un’arma spuntata com’era all’inizio. Prima di raggiungere la perfezione, si procedette a lungo a tastoni, attraverso correzioni progressive. Inizialmente il fuoco veniva appiccato soltanto per illuminare gli obiettivi delle bombe dirompenti durante gli attacchi notturni. L’analisi comparativa delle riprese aeree dimostrò che settemila tonnellate d’esplosivo causavano trenta chilometri di danni, mentre la stessa quantità di sostanze incendiarie ne provocava centocinquanta. L’opinione secondo cui le città erano più facili da bruciare che da far esplodere e che un incendio di dimensioni sufficienti avrebbe raggiunto entrambi gli obiettivi si consolidò solo nell’estate del 1943. Ci si arrivò con l’esperienza e con una serie di bombardamenti che in parte funzionarono e in parte no. [...] Il primo lancio sperimentale di uno spezzone incendiario era avvenuto nel 1936, grazie alla collaborazione tra la RAF e le Imperial Chemical Industries; il test fu considerato un successo: la bomba si accendeva sempre e non si spezzava mai. Nell’ottobre dello stesso anno, il governo britannico ne ordinò 4 500 000 esemplari. Allo scoppio della guerra, le scorte erano di cinque milioni. La robustezza, l’efficienza incendiaria e l’abbondanza fecero delle bacchette di electron imbottite di termite (in coppia con le blockbusters [schiacciaisolati; si trattava di bombe dirompenti cilindriche da 1800 chilogrammi, n.d.r.]) l’arma principe della guerra aerea sulla Germania. Nel 1944, una semplice modifica rese l’impiego degli spezzoni incendiari ancora più micidiale. Gli ordigni cominciarono a essere sganciati in grappoli legati fra loro che si separavano poco prima dell’urto. La densità maggiore permise di produrre vere e proprie tempeste di fuoco capaci di divorare città come Darmstadt, Heilbronn, Pforzheim e Würzburg. Un bombardamento protratto per più giorni, a base di diverse miscele incendiarie di benzina, gomma, resina artificiale, olio, asfalto fluido, glicerina e piccole quantità di saponi metallici, acidi grassi e fosforo, dispiegava un potenziale distruttivo superato solo dalle armi nucleari. J. FrIEDrICH, La Germania bombardata. La popolazione tedesca sotto gli attacchi alleati 1940-1945, Mondadori, Milano 2004, pp. 11-18, trad it. M. bosoNEtto, F. PIsANI, C. Proto Che ruolo ebbero gli scienziati nella guerra aerea condotta contro la Germania? Spiega l’espressione «elaborazione anche concettuale dell’annientamento». F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 Manifesto tedesco di propaganda che mostra uno stormo di aerei mentre bombarda un complesso industriale. IPERTESTO C IPErtEsto L’ingegneria dell’incendio 9 La guerra dei cieli in Europa 2 IPErtEsto 3 Di fronte ai bombardamenti della guerra, la maggior parte dei tedeschi (compresi gli intellettuali e gli scrittori) scelse la negazione, cioè fece finta che non fossero accaduti, cercando al più presto di riprendere la vita normale. In realtà, interrogarsi sui bombardamenti significava chiedersi perché avevano avuto luogo, cioè parlare delle responsabilità della guerra e del consenso di cui Hitler aveva goduto fra il popolo tedesco, fino a poco tempo prima della disfatta finale. Sembra proprio che in quegli anni – eccezion fatta per Nossack – nessuno fra gli scrittori tedeschi volesse o sapesse mettere per iscritto qualcosa di concreto sul decorso e le conseguenze di quella lunghissima, immane campagna di annientamento. E la realtà non cambiò nemmeno a guerra finita. La reazione quasi naturale, dettata dalla consapevolezza del proprio disonore e da un senso di sfida nei confronti dei vincitori, era tacere e volgere gli occhi altrove. Stig Dagerman, nell’autunno del 1946 corrispondente dalla Germania per lo svedese Expressen, scrive da Amburgo di aver attraversato con la ferrovia, viaggiando per un quarto d’ora a velocità normale, il paesaggio lunare tra Hasselbrook e Landwehr e di non aver visto anima viva in quell’immane contrada desolata, forse la più raccapricciante distesa di rovine dell’intera Europa. Il treno, prosegue Dagerman, era sovraffollato come tutti i treni in Germania, ma nessuno guardava fuori dal finestrino. E poiché lui invece lo faceva, tutti capirono che era straniero. [...] La capacità che gli uomini hanno di dimenticare ciò di cui non vogliono prendere atto, di distogliere lo sguardo da quanto sta loro davanti agli occhi, fu di rado messa così bene alla prova come nella Germania di quegli anni. In un primo momento, solo perché in preda al panico, si decide di andare avanti come se non fosse accaduto nulla. Il resoconto di Kluge sulla distruzione di Halberstadt inizia con la storia dell’impiegata di un cinema, la signora Schrader, che dopo la caduta della bomba si mette subito all’opera con una pala della protezione antiaerea, nella speranza di riuscire a «sgomberare le macerie per lo spettacolo delle due del pomeriggio». [...] UNITÀ VII LA SECONDA GUERRA MONDIALE 10 Il silenzio degli scrittori tedeschi Donne con bambini fuggono da una città tedesca durante un bombardamento aereo nemico. Nonostante l’evidenza dei fatti, la maggior parte degli scrittori tedeschi preferì non descrivere la reale situazione della Germania negli ultimi anni del conflitto. F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 W.G. sEbALD, Storia naturale della distruzione, Adelphi, Milano 2004, pp. 40-41, 50, 58-59, trad. it. A.VIGLIANI 4 Apocalisse a Dresda La distruzione di Dresda (13-14 febbraio 1945) suscitò enormi polemiche. In realtà, a quell’epoca, gli Alleati non credevano affatto che la fine della guerra fosse vicina: per loro, la città sassone era un obiettivo militare come tanti altri, da colpire al fine di creare caos nelle retrovie tedesche (i russi erano a circa 100 chilometri) e deprimere il morale della popolazione. Lo storico inglese Frederik Taylor ha minuziosamente ricostruito la dinamica dell’azione di bombardamento e raccolto innumerevoli storie di chi è fortunosamente riuscito a sopravvivere alla tempesta di fuoco. Le grandi mine aeree [le bombe dirompenti, ad alto potenziale, n.d.r.] non dovevano solamente fare esplodere gli edifici e generare enormi crateri nelle strade, causando così problemi di accesso per i pompieri e per gli altri servizi di emergenza, anche se fecero entrambe queste cose. La funzione di queste mostruosità esplosive era anche di creare grandissime ondate di aria ad alta pressione come era successo nei grandi isolati di Amburgo nel luglio 1943. Queste ondate divelsero porte e finestre a centinaia, aumentando rapidamente le correnti d’aria necessarie perché i piccoli incendi causati da decine di migliaia di spezzoni incendiari si diffondessero e combinassero il più in fretta possibile. Era anche fondamentale per gli attaccanti che la densità e la forza del loro bombardamento tenessero la popolazione chiusa nei rifugi anziché nelle case, a contrastare gli incendi che erano stati appiccati nei sottotetti e nelle soffitte. La maggior parte delle bombe incendiarie si spegneva facilmente se queste venivano soffocate dalla sabbia che per legge andava tenuta a portata di mano nei sacchi dall’aspetto ormai familiare distribuiti a tutti. In alcuni casi, i più intraprendenti raccoglievano le bombe da due chili che andavano a fuoco (di norma con una pala o delle tenaglie) e le buttavano fuori dalla finestra. Lì sarebbero rotolate senza conseguenze fino a spegnersi fuori, sulla strada, insieme al gran numero di altre bombe incendiarie che non erano riuscite a cadere sopra un edificio. Nel caso dell’attacco incendiario della RAF su Lipsia di poco più di un anno prima, il numero sorprendentemente basso di vittime era stato in larga parte dovuto alla disobbedienza della popolazione cittadina. Anziché stare nei loro rifugi fino al segnale ufficiale del cessato allarme, i cittadini di Lipsia erano usciti fuori in fretta e avevano preso parte attiva allo spegnimento dei fuoF.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 IPErtEsto IPERTESTO C Spiega l’espressione «distogliere lo sguardo». Spiega il parallelo tra lo scrittore tedesco H.E. Nossack e il messaggero della tragedia classica. 11 La guerra dei cieli in Europa Nossack è stato l’unico scrittore – e questo va incontestabilmente a suo merito – che abbia intrapreso il tentativo di mettere per iscritto nella forma più sobria possibile quanto, di fatto, aveva visto. È vero: nel suo resoconto sulla catastrofe di Amburgo si affaccia a volte la retorica dell’ineluttabilità del destino, si afferma che il volto dell’uomo è stato santificato per l’ascesa all’eterno, e le cose assumono alla fine una piega allegorico-fiabesca, ma nel complesso ciò che qui davvero interessa lo scrittore sono i fatti puri e semplici: la stagione e le condizioni meteorologiche, il punto di vista dell’osservatore, il macinio degli squadroni in avvicinamento, i bagliori rossi all’orizzonte, le condizioni fisiche e psichiche degli uomini in fuga dalla città, gli scenari carbonizzati, i comignoli rimasti stranamente in piedi, la biancheria che asciuga sullo stendino davanti alla finestra della cucina, una tenda strappata che sventola da una veranda vuota, un divano con una coperta all’uncinetto e le innumerevoli altre cose andate perdute per sempre, al pari delle macerie dalle quali sono sepolte, della nuova vita che si muove lì sotto raccapricciante e della repentina bramosia che gli uomini sentono per il profumo [Nossack, infatti, ricorda che il puzzo di bruciato e l’odore dei corpi in putrefazione invasero l’intera città, insieme a moltissimi ratti, mosche e vermi, per la presenza dei cadaveri, n.d.r.] L’imperativo morale, ossia che almeno uno metta per iscritto quanto accadde ad Amburgo in quella notte di luglio [del 1943, n.d.r.], comporta un’ampia rinuncia al cimento artistico. Il resoconto viene steso in un linguaggio spassionato, quasi si trattasse «di un terribile evento dell’età preistorica». In una cantina a prova di bomba un gruppo di persone finisce per cuocere vivo, in quanto le porte si sono bloccate e nei locali adiacenti le riserve di carbone hanno preso fuoco. «Le pareti scottavano» racconta Nossack «e tutti avevano cercato rifugio al centro della stanza. Li ritrovarono lì, stretti l’uno contro l’altro, gonfiati dal calore». Il tono di chi narra, qui, è quello del messaggero della tragedia classica. E che il destino di tali messaggeri sia spesso il capestro, Nossack lo sa bene. Nel suo memorandum sulla rovina di Amburgo è inserita la parabola di un uomo il quale sente il dovere di raccontare il decorso degli eventi, ma finisce poi massacrato dagli ascoltatori perché diffonde intorno a sé un gelo mortale. Sorte ignobile, questa, risparmiata in genere a chi riesca a trovare un senso metafisico nella distruzione. Muoversi in tale prospettiva è meno pericoloso di quanto non lo sia affrontare il ricordo concreto. IPErtEsto UNITÀ VII L’immagine mostra quello che rimane di Dresda dopo i terribili bombardamenti che hanno sventrato il cuore della città. LA SECONDA GUERRA MONDIALE 12 Che cosa salvò Lipsia, nel 1944, da un destino simile a quello di Amburgo e di Dresda? Per quale motivo, restare nei rifugi, era pericolosissimo, una volta esplosa una tempesta di fuoco? chi prima che si diffondessero e diventassero ingestibili. La popolazione di Dresda fu più passiva e obbediente, forse più fiduciosa nelle autorità. Avrebbe pagato cara questa fiducia. […] Alle 23 l’Altstadt [il centro storico, n.d.r.] stava bruciando in modo così esteso che il rogo era troppo grande per essere domato dai mille pompieri della città. Unità dei sobborghi e ausiliari erano rapidamente giunti di rinforzo, e camion dei pompieri stavano arrivando da altre città, alla fine vennero addirittura da Berlino, circa centocinquanta chilometri più a nord. Non fece nessuna differenza. Mentre si avvicinava la mezzanotte, il cuore di Dresda cadde nella morsa feroce e spietata della tempesta di fuoco, ormai c’era assai poco da fare. […] Una volta che le bombe incendiarie rotolarono dentro alle soffitte e ai sottotetti dell’Altstadt di Dresda, e – cosa altrettanto importante – poterono bruciare indisturbate mentre gli abitanti si rannicchiavano nei loro seminterrati e rifugi, la scena era pronta per una conflagrazione della stessa ferocia di quella che si era sprigionata nei condomini relativamente moderni di Amburgo il 28 luglio 1943 e nei centri medievali di Darmstadt e Kassel l’anno precedente. […] Molte, moltissime persone morirono nelle strade tentando di fuggire – bruciate, asfissiate, trascinate entro la bocca famelica e incandescente della tempesta di fuoco – ma per quelli che nemmeno tentarono la fuga la morte era quasi certa. La cosa più terribile riguardo alla seconda ondata fu che nel centro della città essa giunse senza preavviso. Rudolph Eichner era un giovane soldato di Dresda, ferito al fronte, che trascorreva la convalescenza nella sua città di origine. […] Sulla strada, nella Dippoldiswalder Gasse, la tempesta di fuoco era al suo apice e infuriava con violenza, l’aria formava un uragano di schegge di legno ardenti, metallo e carta. Rami di albero incandescenti volarono vicino al giovane soldato terrorizzato e ogni sorta di oggetti semiriconoscibili furono catturati nella tempesta che montava, compresi, si accorse, anche esseri umani impotenti. […] L’elemento di gran lunga più ricorrente nelle storie di questi sopravvissuti (che, in quanto tali, sono già un gruppo selezionato) è la tenacia della loro lotta per la sopravvivenza; una lotta dapprima contro il soffocamento e poi contro l’uragano di scintille ardenti e macerie che minacciava di accecarli e sfigurarli mentre tentavano di trovare una via di uscita fuori dal labirinto dell’Altstadt – generalmente, seguendo una forma di istinto animale – in direzione del fiume [l’Elba, n.d.r.]. La fuga dai quartieri del centro di Dresda sembrò seguire le leggi di Darwin: erano favoriti i giovani e chi era mentalmente e fisicamente forte. Berthold Meyer, uno studente di ingegneria di ventuno anni, era deciso a raggiungere l’Elba dopo essere scampato alla morte negli scantinati di una casa in fiamme nella Blochmannstrasse, a est del centro: «Solo chi è stato in un mare di fiamme come quello può giudicare che cosa significhi respirare in un’atmosfera che è così povera di ossigeno… combattendo, al contempo, contro correnti di fuoco e di aria orribilmente calde e che cambiano continuamente direzione. I miei polmoni erano dilatati. Le mie ginocchia iniziarono a indebolirsi. Alcune persone, soprattutto gli anziani, cominciarono a rimanere indietro. Si sedevano, apatici, sulla strada, o su mucchi di macerie e si lasciavano semplicemente morire di asfissia». F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010 F. tAyLor, Dresda 13 febbraio 1945: tempesta di fuoco su una città tedesca, Mondadori, Milano 2005, pp. 261-262, 272-273, 286-291, trad. it. N. CANNAtA