IL REGNO DELLA BELLEZZA
La Grecia
Nessuno sa esattamente quale fu il popolo che dominò in Creta, la cui arte fu copiata nel continente greco,
particolarmente a Micene. Recenti scoperte inducono a pensare che si parlasse una specie di greco arcaico. Successivamente,
intorno all’anno 1000, tribù guerriere provenienti dall’Europa penetrarono
nell’accidentata penisola greca e nelle coste dell’Asia minore, combattendo
e debellando gli abitanti. Qualcosa dello splendore e della bellezza di
quell’arte, distrutta nel protrarsi delle guerre, sopravvive soltanto nei canti che
ci narrano queste battaglie, ovvero nei poemi omerici, giacché tra i nuovi
arrivati erano le tribù greche a noi note.
I vasi erano spesso decorati con semplici motivi geometrici, e ogni scena
rappresentata faceva parte di un disegno rigoroso. La figura accanto
riproduce un corteo funebre. Il morto giace nella bara, mentre alcuni
personaggi, a destra e a sinistra, alzano le mani nel rituale gesto di lamento
comune a quasi tutte le società primitive.
Il vaso del Dipylon o anfora del Dipylon è un'anfora
greca, prototipo dello stile tardo geometrico, ritrovata
nella necropoli ateniese del Dipylon e datata al 750 a.C.
circa. È considerato il capolavoro del Maestro del
Dipylon ed è conservato nel Museo archeologico
nazionale di Atene.
Qualcosa di questo amore per la semplicità e la disposizione ordinata sembra essere penetrato nello stile architettonico
introdotto dai greci in quei lontani tempi e che, strano a dirsi, sopravvive ancora nelle nostre città e nei nostri paesi. Qui accanto
vediamo un tempio greco dell’antico stile che ha preso il nome dalla tribù dei DORI. Era la tribù alla quale appartenevano gli
spartani, noti per la loro concretezza e la loro austerità.
Nei loro edifici non c’è, infatti,
niente di superfluo, niente, almeno, di
Fidia, Iktinos, Kallikrates, il Partenone 450 a.C.
cui non si creda di scorgere lo scopo.
Tempio dorico sull’Acropoli di Atene
Probabilmente i primi templi del genere
erano costruiti in legno e consistevano
in una minuscola cella, chiusa da ogni
lato, destinata a contenere l’immagine
del dio. Tutto intorno una solida cintura
di puntelli di legno per sorreggere il
peso del tetto. Verso il 600 a. C. i greci
cominciarono a riprodurre in pietra
queste semplici strutture. Ai puntelli in
legno sostituirono colonne atte a
reggere le massicce travi trasversali in
pietra. Sono queste le architravi, e
l’intero apparato poggiante sopra le
colonne prende il nome di trabeazione.
Possiamo
scorgere
tracce
delle
antiche costruzioni in legno nella parte
superiore, dove sembra che ancora
emergano le testate delle travi. Queste
travi in legno originarie erano generalmente segnate da tre scanalature, denominate con parola greca triglifi,
che vuol dire appunto tre graffi. I triglifi sono intervallati da riquadri, detti metope, scolpiti a bassorilievo con scene
di battaglia o di divinità.
La cosa che più colpisce in questi antichi santuari, che tanto chiaramente imitano le costruzioni in legno, è la
semplicità e l’armonia dell’insieme. Se i costruttori avessero usato semplici pilastri quadrati, o colonne cilindriche, l’edificio
sarebbe potuto sembrare pesante e goffo. Invece, essi ebbero cura di ingrossare leggermente le colonne a metà e di affusolarle
verso la cima (rastremazione), cosicché si direbbero quasi elastiche, come se il peso del tetto le premesse lievemente senza
schiacciarle né comprometterne la linea. Sembrano quasi organismi viventi tesi a reggere senza sforzo alcuno il proprio carico.
Sebbene molti di questi templi siano vasti e maestosi, non tendono al colossale come ad esempio le costruzioni egizie.
Si sente che furono costruiti da creature umane per creature umane. Non c’era infatti tra i greci un tiranno divino che potesse o
volesse costringere un intero popolo ad abbrutirsi di lavoro per lui. Le tribù greche erano sistemate in numerose cittadine e
porticcioli. Fra le piccole comunità esistevano molte rivalità e molti contrasti, ma nessuna riuscì a prevalere sulle altre.
Il tempio era costituito da una parte chiusa,
accessibile solo ai sacerdoti, e da una aperta,
esterna, spettacolare e visibile in lontananza. La parte
chiusa era suddivisa in tre ambienti:
1. Quello centrale, denominato cella o naos,
destinato alla custodia della statua del dio cui il
tempio era dedicato.
2. L’accesso al naos era mediato dal pronaos.
3. Sul retro era presente un vano denominato
opistodomos utilizzato come ambiente di servizio per
le offerte rituali.
Tutto il tempio era sopraelevato su un crepidoma,
grande basamento con valore simbolico, e costruito
direttamente sullo stilobate, l’ultimo gradino del
crepidoma. Le colonne perimetrali, presenti nella
maggior parte dei templi ancora eretti, prendono il nome di peristilio.
Queste caratteristiche strutturali si ripetono anche nelle successive evoluzioni degli stili architettonici. Questi stili in architettura
prendono il nome di ordini, e differiscono soprattutto per le dimensioni e per le decorazioni delle singole parti del tempio. Gli
ordini più diffusi (secondo la classificazione che ne fece Vitruvio, grande architetto romano del II secolo dopo Cristo) sono:
A.
Dorico
B.
Ionico – V e IV secolo a. C., caratterizzato da snellezza ed eleganza formale, prende il nome dall’etnia degli Ioni. I templi
C.
Corinzio
– dal secolo VIII al VI a. C., caratterizzato da forme monumentali e ampia diffusione (sono i più grandi e i più
presenti nel territorio). Prende il nome dalla etnia dei Dori, popolazione proveniente dall’Europa dell’est.
non sono particolarmente grandi.
– dal 300 a. C. fino alla conquista romana dopo l’anno zero. È lo stile più ricco di decorazioni e molto raffinato.
Deve il nome alla città di Corinto dove fu introdotto per la prima volta. Venne utilizzato in età ellenistica e fu ripreso dai
Romani e in età cristiana.
Ordine dorico
TRIGLIFI
METOPE
TIMPANO
TRABEAZIONE
CAPITELLO
COLONNA
FUSTO
STILOBATE
CREPIDOMA
METOPE
FREGIO
ABACO
ARCHITRAVE LISCIO
ECHINO
TRIGLIFI
Ordine ionico
ARCHITRAVE TRIPARTITO
FREGIO CONTINUO
ECHINO A VOLUTE
BASE
Ordine corinzio
Alla fine del V secolo a. C. venne
introdotto il CAPITELLO CORINZIO,
ideato secondo la tradizione
dall’architetto CALLIMACO, che
si ispirò ad un cesto sormontato
da una lastra, lasciato accanto
ad un sepolcro e sormontato da
foglie d’acanto.
I frontoni
Il FRONTONE è un triangolo lungo e basso,
costituisce la cornice esterna del triangolo interno,
detto TIMPANO. Non era facile disporre le statue,
scolpite a tutto tondo, in maniera armoniosa e
coerente. I greci ci riuscirono adattando le figure
agli spazi reali: così la statua centrale risulta eretta,
mentre le altre seguono l’inclinazione delle falde e
sembrano chinarsi fino quasi a stendersi. Le storie
narrate, mitologiche, si sposano alla forma
triangolare.
L’Acropoli di Atene
È uno dei monumenti dell’antichità più conosciuti al mondo. Rappresenta la cittadella sacra della città di Atene, dedicata
alla dea Atena, nota per essere portatrice di vittoria, di virtù guerriere e pura, incorruttibile.
Posta su una collina sopra Atene, a 160 m di altezza, fu ricostruita per volere di Pericle per mano degli architetti Ictino e
Callicrate, mentre tutti i più
importanti lavori di modellazione
e decorazione furono affidati al
grande scultore Fidia.
PARTENONE
L’arte greca toccò il culmine del suo
sviluppo nell’epoca di maggior
fioritura della democrazia ateniese.
Nel 480 a.C. i templi sull’altura sacra di
MUSEO E BIBLIOTECA
Atene erano stati incendiati e
ERETTEO
saccheggiati dai persiani e dovevano
essere ricostruiti in marmo, con uno
splendore e una maestosità senza
precedenti. Pericle trattava gli artisti
PROPILEI
come suoi pari e scelse con grande
attenzione
gli
esecutori
della
ricostruzione.
TEMPIO DI
La fama di Fidia è basata su
ATHENA NIKE
opere che non ci sono pervenute,
principalmente la statua di Zeus ad
Olimpia e la statua crisoelefantina1 di
Athena Parthenos2 all’interno del
Partenone, il tempio più grande e maestoso dell’acropoli di Atene. Tali opere sono andate perdute. Ma le copie eseguite dai
romani all’epoca delle dominazioni ci forniscono però una pallida idea di come potessero apparire.
1
2
Relativo a statua greca del periodo arcaico e classico con il volto e le parti scoperte del corpo in avorio e le vesti in oro.
Vergine, pura, incorruttibile. Partenope è anche il vecchio nome di Napoli (da cui il termine partenopei).
La statua di Athena Parthenos all’interno del Partenone era una gigantesca
scultura di legno, alta circa dodici metri, completamente ricoperta da materiali preziosi,
armatura e abiti in oro, la pelle d’avorio. Colori
vivaci e splendidi erano nello scudo, mentre gli
occhi erano gemme sfavillanti.
Alcuni ippogrifi si levavano sull’elmo della
dea, e gli occhi di un enorme serpente
arrotolato all’interno dello scudo erano
anch’essi di scintillanti pietre. Chi entrando nel
tempio si trovava improvvisamente di fronte a
questa statua doveva provare un misterioso
timore. C’era nei suoi tratti qualcosa di
primitivo e selvaggio: essa era più di una
statua, più di un semplice idolo o demone. Era
un essere umano sublimato: la sua
potenza non derivava dal mistero o
dagli incantesimi, ma dalla bellezza.
L’arte di Fidia ispirava una nuova concezione
del divino. La statua sembra, nella sua rigida
frontalità, risentire ancora dei canoni e delle
regole dell’arte egizia, ma l’artista vuole studiare l’anatomia delle ossa e dei muscoli,
e cerca di costruire una struttura umana convincente, visibile anche sotto il
drappeggio. Il modo stesso con cui gli artisti greci impiegavano il drappeggio per sottolineare le principali partizioni del corpo
umano mostra quale importanza essi dessero alla conoscenza della forma e allo studio delle proporzioni.
Tale equilibrio tra fedeltà alle regole e libertà ha valso all’arte greca tanta ammirazione nei secoli posteriori: gli artisti in cerca
di ispirazione sono sempre ricorsi ai capolavori dell’arte greca, considerata sempre un modello insuperabile di riferimento.
L’acropoli di Atene era un luogo importantissimo per tutti i cittadini ma anche per i visitatori: durante le feste panatenee3
erano migliaia le persone che accorrevano dall’intera Grecia. Riti religiosi, avvenimenti culturali, giochi ginnici e spettacoli
teatrali animavano le giornate dei pellegrini.
3
Panatenee La più importante festa religiosa e civile dell’antica Atene, istituita secondo la tradizione da Teseo e celebrata in onore di Atena Poliade nel mese di
ecatombeone (all’incirca luglio). Si distinguevano le piccole P., annuali, e le grandi P., quadriennali. Culminavano entrambe il 28° giorno del mese, considerato natalizio di
Atena, con una processione che recava alla dea, sull’Acropoli, il prezioso peplo tessuto dalle donne ateniesi. Nel corso delle P. si svolgevano agoni ginnici e ippici, gare
poetiche e musicali, e la sera del 27 una παννυχίς o festa notturna, con la lampadedromia o corsa con le fiaccole.
Il Partenone si innalza nel punto
centrale dell’Acropoli ed è certo il più
conosciuto
fra
i
capolavori
dell’architettura greca, abbiamo detto.
Presenta 8 colonne davanti (tempio
octastilo) e 17 sui lati, e si poggia su un
basamento di tre gradini. Un tempo le sue
superfici erano coperte di dolori vivaci e
rilievi, oggi resta solo il marmo. Ci vollero 9
anni per costruirlo e fu completato nel 438
a.C. La sua importanza risiede nel fatto di
essere uno degli edifici più completi mai
costruiti, realizzato da una delle civiltà più
avanzate che il mondo abbia mai
conosciuto. Il Partenone, anche se è stato
studiato per secoli, cela ancora tanti
interrogativi e misteri. È considerato
l’edificio perfetto ed è la costruzione più
imitata al mondo. È un po’ come la
Acropoli di Atene
Gioconda di Leonardo: anche se si son
viste decine di fotografie, non si è mai del
tutto
preparati
all’immensità
del
Partenone, nel bene e nel male. Si potrebbe restare enormemente delusi, o incantati per sempre.
Sfregiato dal tempo e dalla storia, divenne in ordine un tempio romano e poi una chiesa cristiana; trasformato in moschea,
fu utilizzato come polveriera dai turchi e nel 1687 una disastrosa esplosione causata dall’assedio dei veneziani ne distrusse la
parte centrale. Abbandonato ogni utilizzo, divenne una cava di materiali edili (marmi e ferri) per gli abitanti del luogo, finché
tra il 1700 e il 1800 fu letteralmente depredato di tutte le sculture ancora rimaste, alcune delle quali oggi sono visibili nei più
importanti musei del mondo. Un lento e laborioso lavoro di restauro è iniziato nel XX secolo, e ad oggi non è ancora ultimato.
La VALLE DEI TEMPLI di Agrigento
Valle dei templi è una definizione moderna per indicare quella che fu l’area della città antica di
Agrigento (Akragas).
Il suo significato si è andato meglio precisando negli
ultimi tempi tanto che oggi per “Valle
dei
templi”
s’intende non più solo la fascia della
collina su cui sono edificati i templi, ma l’intera area della città antica,
dalla Rupe Atenea ai templi: se fossero staccati dal loro contesto
paesaggistico e territoriale, i templi stessi assumerebbero l’assurda
dimensione puntiforme di oggetti museificati.
Il sito dell’antica Agrigento è costituito da un altopiano
calcarenitico dai bordi
rocciosi, abbracciato da
due corsi fluviali, l’Hypsas
e l’Akragas, che confluiscono a sud sino alla foce del fiume oggi denominato San
Leone.
La città greca di Akragas, fondata probabilmente da coloni da Gela e
da Rodi intorno al 580 a. C., ebbe un periodo di particolare prosperità verso la fine
del V secolo: poeti come Pindaro e Simonide la salutarono come la più bella delle
città dei mortali, sede di Persefone, e fu patria del poeta, filosofo e mistico
Empedocle, che disse del territorio: “gli agrigentini si godono il lusso come se
domani dovessero morire, ma costruiscono palazzi come se dovessero vivere in
eterno”. La maggior parte dei suoi famosi templi fu innalzata in questo periodo.
Lo storico greco Polibio descrive così la città: La città di Akragas differisce da
molte altre città per la sua fortezza e soprattutto per la sua bellezza e costruzione.
Essa dista diciotto stadi dal mare e la cinta muraria che la circonda è saldissima sia
per natura che per arte.
La cinta muraria,
che correva lungo il contorno roccioso dell’altopiano per
un perimetro di circa 12 km, risulta in parte tagliata nella roccia e in parte costruita
e costituisce un invalicabile caposaldo difensivo. La parte alta della città, sulla
cosiddetta Collina dei Templi, costituiva senz’altro l’acropoli dell’antica Akragas.
Nella cinta muraria si aprono nove porte (ne sono state riconosciute nove), protette da bastioni poderosi o da massicci torrioni,
mentre sul fondo fu costruita una strada, ancora
oggi in parte percorribile nella roccia, che forse
costituiva il collegamento con Gela.
A sud est
della Collina, sul margine del
suggestivo rialzo, si collocano in successione i templi
di Giunone Lacinia, il tempio della Concordia, il
tempio di Ercole, il tempio di Zeus Olimpio
(Olympeion) e il tempio di Vulcano. Va detto che
tutti questi nomi, ad eccezione dell’Olympeion,
sono pure fantasie umanistiche. Ad ovest sorgevano,
purtroppo ancora ammantati dal mistero e da fantasiose ricostruzioni ottocentesche,
Giardino della Kolimbetra.
il santuario delle divinità ctonie e il
Il tempio di Giunone Lacinia
Costruito su di uno sperone di roccia in gran parte artificiale, è un edificio dorico risalente al 450 a. C. circa (m 38,15 x 16,90),
periptero di 6 colonne frontali per 13 colonne laterali, fornito di pronao e opistodomo, con scale per ispezionare il tetto e
krepidoma di quattro gradini. Si conserva ancora il colonnato settentrionale, anche se frutto di anastilosi4, parte del fregio e
pochi elementi della cella; l’edificio fu incendiato nel 406 a. C. e restaurato in età romana. Sono visibili resti dell’altare. È così
chiamato erroneamente per la confusione fatta col tempio di Era sul promontorio Lacinio, a Crotone. Rimangono erette 25
colonne.
Il tempio della Concordia
Costruito come quello di Giunone Lacinia su un
massiccio basamento per superare i dislivelli del terreno
roccioso, e databile intorno al 440-430 a. C., per il suo
stato di conservazione è considerato uno degli edifici
sacri di epoca classica più notevoli del mondo greco.
Deve il suo nome ad una iscrizione latina trovata
nelle
vicinanze
(oggi
conservata
al
Museo
archeologico di Agrigento), che però non ha alcun
rapporto con il tempio, di dedicazione ignota.
4
anastilòṡi [dal gr. ἀναστήλωσις «riedificazione»]. – In archeologia, ricostruzione di antichi edifici, specialmente dell’antichità classica, ottenuta mediante la
ricomposizione, con i pezzi originali, delle antiche strutture.
Su un krepidoma di quattro gradini si erge la conservatissima peristasi di 6 x 13 colonne (m 39,44 x 16,91), caratterizzate da 20
scanalature ed entasi (la curvatura della sezione verticale), sormontate da architrave liscio e fregio con triglifi e metope e finiture
con cornicette. Sono conservati in maniera
integrale i timpani. È presente la cella con
pronao e opistodomo, ai quali si accede con
un gradino. Ben conservati sono i piloni
angolari con le scale di accesso al tetto e,
sulla sommità delle pareti della cella e lungo la
trabeazione, gli incassi per le travi in legno del
tetto. L’esterno e l’interno del tempio erano
rivestiti di stucchi certamente policromi, ed
erano presenti grondaie con teste di leoni,
mentre le tegole erano in lastre marmoree.
La sua trasformazione in chiesa cristiana
comportò un rovesciamento dell’antico
orientamento, per cui il muro di fondo della
cella fu abbattuto e furono praticate dodici
aperture ad arco nelle pareti della cella, per
costituire le tre navate tradizionali delle basiliche: le due laterali nel peristilio e quella centrale coincidente con la cella. Distrutto
l’altare di epoca greca e sistemate ad est le sacrestie, l’edificio divenne organismo basilicale perfetto.
All’interno ed all’esterno della trasformata chiesa vennero scavate delle sepolture altomedievali, secondo la consuetudine
collocate in stretto rapporto con la basilica.
Il tempio di Ercole
Alcuni caratteri arcaici – come la planimetria
allungata, l’echino molto largo ed espanso - inducono a
considerare il tempio di Ercole (o di Eracle) come il più antico
tra quelli agrigentini.
Il nome fu dato in
età
umanistica,
basandosi su una
citazione di Cicerone
che parlava di un
tempio
dedicato
all’eroe “non lontano
dal foro”. Ma non si
può dimostrare in
maniera certa che la
piazza
dell’antica
Akragas
sorgesse
nelle vicinanze.
Il tempio risale agli ultimi anni del VI secolo a. C., e presenta oggi
visibili restauri di età romana.
Una anastilosi del 1920 circa ha sollevato le colonne adesso visibili. L’edificio sorge su un krepidoma di tre gradini, di proporzioni
allungate (m 67,00 x 25,34), con un peristilio di 6 x 15 colonne doriche, con cella munita di pronaos e di opistodomos.
Le colonne, molto alte, denotano evidentemente l’arcaismo dell’edificio. Esso è certamente anteriore di almeno un
cinquantennio rispetto agli altri templi. Sulla fronte orientale restano le tracce del grande altare del santuario.
OLYMPEION
Sull’altro lato della strada che imbocca la Porta Aurea si stende una
vasta spianata, dominata dal
gigantesco campo di rovine
dell’Olympeion, o tempio di Zeus Olimpio, uno dei templi più studiati
della Sicilia. Con il Tempio G di Selinunte, era il più colossale dell’Occidente:
oggi un ammasso di macerie, ridotto alle fondazioni. Costruito dal 480 a. C., era ancora
incompiuto al momento della conquista cartaginese del 406.
L’originale complesso dell’OLYMPEION si incentra sul colossale edificio sacro, descritto entusiasticamente da Diodoro
Siculo e da Polibio. Oggi il tempio è ridotto ad un suggestivo campo di rovine dalle distruzioni iniziate già nell’antichità e
proseguite fino ad epoca moderna, quando l’edificio venne usato come cava di pietre per la realizzazione dei moli di Porto
Empedocle.
Il tempio misurava m 112,70 x 56,30. Pieno di ardite innovazioni, era costituito
al centro da una cella semplice con pronao ed opistodomo; al posto del
peristilio ha un muro pieno, con mezze colonne all'esterno e corrispondenti
pilastri interni, fornito, nel mezzo degli intercolumni esterni, di colossali figure di
giganti – i cosiddetti telamoni5 (alti m 7,65) - che concorrono a sostenere
la pesantissima cornice; nei lati maggiori le semi-colonne sono 14, nei minori
7, talché, al posto dell'ingresso centrale, vi era una colonna; il tetto doveva
esser coperto di tegole fittili6 policromate, e la trabeazione era fornita di rilievi.
La gigantesca costruzione era interamente realizzata
a piccoli blocchi di pietra calcarea e tufacea,
comprese le colonne, i capitelli, i telamoni e gli
architravi. La trabeazione
era alta 7,48 mt e il
diametro delle colonne era
di 4,30 mt, con scanalature
nelle
quali,
afferma
Diodoro, poteva entrare
comodamente un uomo.
Le colonne arrivavano ad
una altezza tra i 14 e i 19
mt.
Nelle
decorazioni
frontonali si narravano la
gigantomachia e la guerra
di Troia.
5
6
TELAMONE (τελαµών, telamo). - In latino il termine indica le figure virili impiegate nelle architetture a sostegno di trabeazioni o cornici.
Fìttile agg.– Che è plasmato di terracotta: vasi f. etruschi; figure f.; o che riguarda la lavorazione di vasi e figure di terracotta: l’arte fittile.
L’OLYMPEION, afferma Diodoro, rimase incompiuto per la conquista cartaginese. Era privo di tetto, per le continue
distruzioni subite dalla città. Di esso oggi restano visibili parte del pronao, dell’opistodomo e della cella. Intorno ai resti del
basamento, si conservano, ancora in posizione di caduta, alcune parti delle facciate, nonché la ricostruzione di un capitello e il
calco di un telamone.
Varcato lo spiazzo dopo la Porta V, si accede al
Santuario delle divinità ctonie.
Purtroppo
scavi
di
rapina,
ricostruzioni
fantasiose
e
fraintendimenti fanno sfuggire la piena comprensione
dell’importante complesso, che doveva occupare
una posizione di straordinario rilievo tra i culti
agrigentini. Tra le rovine presenti e pittorescamente
(ma non scientificamente) ricostruite spiccano il
Tempio dei Dioscuri,
il
témenos
(recinto
diversi
altari, tra cui uno circolare e uno
quadrato. Probabilmente tutti destinati alle divinità
sacro), due templi di misure identiche e
eleusine, tra cui spiccano le dee Demetra e
Persefone.
Chiudeva il perimetro e lo decorava la Colimbetra, una gigantesca peschiera extraurbana, popolata da pesci e uccelli
acquatici e alimentata da fonti e dalle acque degli acquedotti circostanti.
Il teatro
Per l’evoluzione e lo sviluppo della civiltà greca, fu fondamentale l’attenzione per l’individuo: l’urbanistica,
l’architettura e la qualità della vita si misurano su scala territoriale ma anche e soprattutto attraverso il benessere dei gruppi
familiari ma anche dei singoli cittadini. Case ampie e spaziose, strade larghe e comode, furono apripista per una evoluzione
culturale e sociale di lunga durata.
Tra i numerosi edifici destinati a cambiare per sempre il rapporto dei cittadini con il mondo circostante, il teatro è tra i più
spettacolari e quello che pare cristallizzare l’ideale greco dell’architettura come pura forma geometrica.
Le rappresentazioni facevano parte delle celebrazioni in onore di Dioniso7. Nei primi e più antichi drammi l’azione era
portata avanti prevalentemente dal coro,
mentre il ruolo dei singoli attori era assai limitato.
Diàzoma
Nel corso del V secolo a.C. gli attori assunsero
Galleria
un’importanza sempre maggiore e all’epoca
Càvea
delle ultime commedie di Aristofane, scritte nella
prima metà del IV sec. A.C., il coro era ormai
praticamente
scomparso,
a
favore
del
movimento degli attori nello spazio circolare
dell’orchestra. In breve tempo anche la
Platea
Scalette
scenografia
e
l’architettura
subirono
un’evoluzione analoga. Nel V e nel IV secolo la
progettazione del teatro aveva dato rilievo
Settori
soprattutto alla posizione dell’orchestra, il luogo
circolare per le danze dove il coro si esibiva e
interagiva con gli attori. La càvea, (theatron),
ricavata sfruttando il pendio naturale di una
collina, si era sviluppata come luogo di
osservazione situato intorno all’orchestra, una
sorta di platea naturale che infine fu dotata di
Pàrodoi (corridoi)
forme architettoniche appositamente studiate.
Il teatro di Epidauro, costruito in aperta
campagna, riprodotto accanto in pianta, del IV
Proscenio
sec. A.C., è uno splendido esempio di teatro
classico. La cavea ha un diametro di 118 m, costituita da 55 gradoni in
marmo. Lo spazio generato, praticamente illimitato, consentiva a 20.000 spettatori di sentire e
vedere gli attori. Un capolavoro di acustica che ancora oggi sbalordisce.
7
Orchestra e coro
Scena
Dioniso (gr. Διόνυσος) Una delle grandi divinità dell’Olimpo greco. Dioniso era considerato l’inventore della vite, del melo, del vino, della birra; gli si attribuiva, inoltre,
la crescita e il rinnovarsi della vita dei fiori e degli alberi. Il vino, da lui donato agli uomini, era per i Greci la bevanda che faceva dimenticare gli affanni, che creava gioia
nei banchetti, che induceva al canto, all’amore, nonché alla follia e alla violenza e che, nel sacrificio, era strumento di mediazione tra uomini e dei. Le sue epifanie erano
caratterizzate dal polimorfismo: era toro, leone, serpente, capretto, barbaro e greco, giovane e vecchio, femmineo nel vestire e nei capelli fluenti.
La rappresentazione degli spettacoli greci avveniva solo nelle ore diurne, prima del tramonto, e riguardava tragedie con
finale drammatico, commedie e, in epoca ellenistica, anche farse.
Nei teatri del V e IV secolo l’edificio del proscenio o palcoscenico,
alto un solo piano, veniva usato per riporre gli arredi scenici e le
quinte, mentre alle sue spalle si ergeva il fondale architettonico o
la scena (skené). Tutto questo costituiva la coreografia.
Teatro di Epidauro, 350 a. C.
Con il teatro concludiamo la trattazione relativa
all’architettura greca. Ma resta lo spazio per alcune
considerazioni condivise. In realtà la spettacolare
evoluzione di quest’arte, frutto di un processo evolutivo
senza precedenti per qualità e velocità, deve trasmetterci l’idea di una civiltà spavaldamente pop, ad usare un termine
moderno: il disastrato Partenone di oggi era in origine uno straordinario edificio coloratissimo. Sui suoi marmi si riscontrano
consistenti tracce di malachite, di ematite, di azzurrite. Il rosso, l’azzurro, il verde caratterizzavano la Valle dei templi ad
Agrigento, l’Acropoli era un grande luna-park dell’antichità capace di attrarre masse di visitatori.
Certo, la tradizione ci trasmette immagini di compassate civiltà che facevano del bianco del marmo e del giallo del tufo
l’immagine più evidente del rigore geometrico e proporzionale. Ma i greci erano sanguigni, come gli dei vanitosi e litigiosi in cui
credevano: perché mai avrebbero dovuto celebrare queste divinità con stili slavati e privi di colore?
Tutte le considerazioni sono rielaborate e sintetizzate da Dario D’Antoni.
Le citazioni sono liberamente tratte dai testi
Ernst H. Gombrich
Breve storia del mondo (Firenze 1997)
Ernst H. Gombrich
Il mondo dell’arte (Verona 1952)
Storia universale dell’arte (Bari 1982)
Ernesto De Miro La Valle dei Templi di Agrigento (Milano 1983)
F. Coarelli – M. Torelli Sicilia (Bari 1987)
Susan Woodford Grecia e Roma (Milano 1989)
H. Hounor/J. Fleming