Siti e miti Come non dare importanza alle coincidenze significative? I positivisti che storcono il naso quando sentono parlare dei Maya e del loro “Conto lungo”, la cronologia che fissa l’inizio dell’era attuale al 12 agosto dell’anno 3114 a.C. e ne prevede la fine al 21 dicembre dell’anno in corso, dovrebbero annotare, per dovere, se non altro di cronaca, altre date altrettanto significative nel noKurukshetra vero delle scadenze millenaristico-profetiche. Ad esempio, la storia ci dice che nel 3150 a.C. terminava in Egitto l’epoca nebbiosa e indistinta predinastica e iniziava il periodo tinita, con sovrani ben identificati. Sempre nell’anno 3000 a.C. si riuní nella città di Uruk dei Sumeri (odierna Warka) il primo parlamento cosí come noi moderni lo intendiamo, con una Assemblea degli Anziani, il Senato, e l’Assemblea del Popolo, la Camera. E per non smentire lo spirito per cui i parlamenti vanno deprecati, quello di Uruk si riuniva per decidere la guerra contro la città di Kish che ne insidiava la supremazia nella regione. Di uguale tenore negativo la scadenza con cui l’induismo assegna all’anno 3102 a.C. l’inizio del Kaliyuga, l’età del ferro. In un giorno di quell’anno un cacciatore, scambiandolo per una gazzella, colpí a morte Krishna con una freccia. Krishna, il dio blu, era l’ottavo avatar di Vishnu, e ultima delle tre incarnazioni guerriere della divinità conservatrice della Trimurti indú, le altre due essendo Brahma, il creatore, e Shiva, il distruttore. Krishna concludeva il ciclo ‘armato’ delle incarnazioni di Vishnu, dopo la sesta di Parasurama, Rama con l’ascia, e la settima di Rama, il protagonista dell’epopea del Ramayana, il complesso e animato poema epico composto da Valmiki. Al momento del suo mortale ferimento per mano del distratto cacciatore che lo aveva scambiato per una selvaggina, Krishna era reduce delle vicende altrettanto epiche narrate in un altro dei grandi poemi indú, il Mahabharata , che aveva vissuto il suo climax nella battaglia di Kurukshetra, nella quale le forze dei Pandavas e quelle dei Kauravas si erano scontrate per risolvere una volta per tutte la contesa tra due dinastie umane rivali, ma in realtà tra le coorti dei deva, i divini esseri immortali, il Bene cosmico, e il Male assoluto, rappresentato dalle schiere dei Rakshasa e degli Asura, i demoni che avevano dato filo da torcere a Rama nel Ramayana, e ad Arjuna e Krishna nel tonitruante Mahabharata. Il luogo era, ed è tuttora, una pianura a Nord di Delhi. Lí è stata combattuta la battaglia, durata ben diciotto giorni, nel “campo di Kuru”, il Kurukshetra. Lí sono avvenute tutte le battaglie campali per il possesso dell’India. Ma si trattò allora solo di uno dei tanti episodi di epos militare, o Kurukshetra è altro? Nello scontro tra eroi umani e semidei, tra santi illuminati e demoni, non è forse ravvisabile un’Iliade omerica in cui gli dèi combattono a fianco degli umani, degli uomini-dei come Achille ed Enea, e dei semplici mortali come Aiace ed Ettore? O ancora, non è Kurukshetra l’ecatombe del Walhalla, in cui l’ecpyrosis finale distrugge sia gli dèi corrosi dalle passioni e dalla brama, sia gli eroi come Sigfrido, vittima di congiure e ambizioni sovrumane, sia di entità elementari e magiche prese nel vortice di sentimenti piú che umani, sovrumani, e quindi accomunati nella finale catarsi che distrugge il mondo e le creature eteree e carnali, nell’esaurirsi di un ciclo epocale per il nuovo? Il Mahabharata si chiude con la morte di tutti i personaggi del dramma, cosmogonico piú che terreno. Pandavas e Kauravas, demoni e dèi, eroi e traditori, tutti assimilati dal nulla cosmico. Prima di morire per la ferita, Krishna avvisò gli abitanti di Dwarka, gli Yadavas, che grandi e terribili prodigi sarebbero accaduti, che l’oceano avrebbe inghiottito la loro e altre città e Paesi. Una grande pira accolse il suo corpo, quello di Balarama e delle loro mogli. Infine anche il re Ugrasena si gettò nel fuoco divoratore. Tutte le allegorie umane venivano cosí consumate dalla fiamma che purifica. Kurukshetra, il Walhalla, Troia, sono i punti focali da cui si diramano le linee della storia dell’uomo che, abbandonata la comunanza e lo scambio con le forze sopra- e sub-naturali, staccatosi con forti lacerazioni dall’ossequio dei decaloghi, si è incamminato da quel lontano Terzo Millennio a.C. per approdare alla misericordia del Buddha, alla sapienza di Zarathustra, all’Amore assoluto del Cristo. Ora quell’uomo è solo nel campo di Kurukshetra. Intorno a lui turbinano le orde degli Asura che tentano di divorargli l’Io. Schiere di Angeli però si muovono, calano silenziose, guidate da Arcangeli che hanno spade di luce. E le profezie oscure vengono tramutate nella primigenia promessa di salvazione. Esaltante e liberatoria prospettiva per i credenti, ma iattura millenaristica per atei e speculatori, che vedono nell’instaurarsi della legge cristica universale la fine dei loro materici intrighi. Ovidio Tufelli 60 L’Archetipo – Novembre 2012