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S
in alute
La cintura di fuoco
Il cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio” è una malattia nota fin dall’antichità ma ancora poco conosciuta dal grande pubblico,
che ne considera solo le manifestazioni più vistose, cioè le lesioni cutanee e il dolore. In realtà si tratta di un disturbo piuttosto
serio che colpisce alcuni tronchi nervosi e che va diagnosticato il più precocemente possibile, sia per attenuare la sofferenza
acuta del paziente sia per prevenire la grave complicanza che consiste nella cronicizzazione del dolore e che comporta quindi
una seria compromissione della qualità di vita.
N
elle rappresentazioni pittoriche di
Sant’Antonio Abate sono quasi sempre presenti, insieme ad altri simboli,
alcune lingue di fuoco ai piedi
dell’eremita dalla lunga barba bianca.
Ciò alluderebbe al fatto che, secondo i biografi, il
santo fu tormentato dal diavolo anche con il fuoco, ma che c’entra questo con l’herpes zoster (detto anche “zona”), la malattia che provoca le tipiche lesioni cutanee ed è comunemente conosciuta come “fuoco di Sant’Antonio”? Secondo alcuni
il rapporto consiste nella caratteristica sensazione
di bruciore doloroso che i malati accusano nelle
parti del corpo colpite dall’herpes; altri invece
fanno riferimento alle guarigioni miracolose da
gravi malattie della pelle che si sarebbero verificate in Francia quando, nell’XI secolo, vi furono trasferite le reliquie del santo. Ma passiamo ai dati
clinici su questa patologia che, stranamente, è
ben poco conosciuta pur essendo piuttosto diffusa: secondo le statistiche una persona su dieci,
più spesso dopo i 50 anni, avrà l’herpes zoster nel
corso della sua vita, ma da una ricerca condotta
in diversi Paesi è emerso che il 91% della popolazione ignora la causa del disturbo e non sa se è a
rischio di ammalarsene. La malattia è provocata
dallo stesso virus responsabile della varicella:
quando questa guarisce, il virus diventa inattivo
ma anziché scomparire dall’organismo si localiz-
PERCHÉ SI CHIAMA COSI?
In greco classico le parole “zoster” e “zonè” indicavano, rispettivamente, la cinghia che chiudeva l’armatura dei guerrieri e la cintura con
cui le donne ornavano gli abiti.
Le denominazioni “zoster” e “zona” della malattia derivano appunto dal fatto che nella maggior
parte dei casi le manifestazioni cutanee sono
distribuite sul tronco come una mezza cintura,
perché il virus colpisce di preferenza i gangli intercostali.
HERPES ZOSTER
za in modo subdolo nel midollo spinale, più precisamente nei gruppi di cellule da cui hanno origine alcuni nervi (soprattutto i nervi intercostali,
quelli del plesso brachiale, del trigemino e dello
sciatico). Quando, per qualche motivo, si abbassano le difese immunitarie, il virus può riattivarsi e
danneggiare i fasci nervosi corrispondenti ai gangli midollari in cui si era “annidato”: ecco perché
le manifestazioni cutanee, che consistono in
“grappoli” di bollicine contenenti un liquido dapprima limpido e poi purulento, sono distribuite
sulla pelle lungo il decorso di specifici nervi. Preceduta spesso da disturbi generici come cefalea,
ingrossamento di alcune ghiandole linfatiche, febbre, malessere generale, l’eruzione cutanea si accompagna a formicolio, intorpidimento, e soprattutto dolore bruciante nella zona colpita. Il dolore
(che non di rado, specie nelle persone anziane,
può comparire prima delle lesioni cutanee) è a
volte così intenso che anche soltanto lo sfioramento della parte interessata risulta intollerabile.
Dopo 6-7 giorni le bollicine si rompono e si trasformano in croste, ma occorrono da 2 a 4 settimane perché si verifichi la guarigione della malattia e la scomparsa del dolore.
Benché la maggior parte dei pazienti guarisca
completamente, in alcuni casi (dal 10 al 30% a
seconda delle diverse statistiche) il dolore diventa
cronico: questa temibile evenienza, definita “nevralgia post-erpetica” può compromettere seriamente la qualità di vita perché il dolore diventa
lancinante (i malati lo paragonano spesso a un
colpo di pugnale o di arma da fuoco), spesso si
presenta di notte ed è aggravato da movimenti anche minimi, da sfioramenti, sbalzi di temperatura,
e perfino da rumori improvvisi o stress emotivi.
Per prevenire la nevralgia post-erpetica è essenziale diagnosticare precocemente l’herpes zoster
in modo da poter somministrare subito i farmaci
antivirali, che si dimostrano efficaci se vengono
assunti entro 48 ore dalla comparsa dei sintomi.
LE LOCALIZZAZIONI PERICOLOSE
Qualunque nervo può essere colpito dal virus, anche quelli dell’occhio o dell’udito.
Questi casi sono i più delicati: le lesioni dell’occhio possono infatti facilmente infettarsi causando gravi conseguenze visive; per quanto riguarda
la localizzazione nei nervi cranici dell’udito (conosciuta come “sindrome di Ramsay-Hunt”) non sono infrequenti i danni, a volte importanti e irreversibili, a carico della funzione uditiva.
Questi farmaci consentono anche di attenuare il
dolore nella fase acuta della malattia e di accelerare la guarigione. La terapia si avvale anche di
unguenti e lozioni da applicare sulla cute e di
analgesici come i FANS (antinfiammatori non steroidei), mentre gli antibiotici sono da riservare solo ai casi in cui le lesioni cutanee vadano incontro ad infezione. Più impegnativa è la cura della
nevralgia post-erpetica, per la quale si ricorre agli
oppioidi, agli anticonvulsivanti e ad alcuni antidepressivi; ma può rendersi necessario anche
inattivare con farmaci o per via chirurgica i tronchi nervosi interessati. Generalmente la malattia
si contrae una volta sola, ma in un 5% dei casi
possono verificarsi delle recidive nel corso della
vita. Infine, è da tener presente che il contatto con
il malato non può trasmettere l’herpes zoster ma
solo la varicella a chi non l’abbia già avuta. Nessun timore invece per chi di varicella è già stato
ammalato e quindi ha sviluppato un’immunità
permanente: non prenderà né la varicella né l’herpes zoster.
AUT. N. 2/96 DEL 8/2/96
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specialista in malattie infettive dell’Università di Pavia
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Sofia Zafiretti