Riflessioni di Gödel sul suo teorema di completezza Al congresso internazionale dei matematici di Bologna del 19281 , il problema della completezza delle regole logiche era stato presentato da David Hilbert nel seguente modo: In questo dominio di formule2 sono contraddistinte quelle che non sono refutabili mediante alcuna determinazione specifica dei predicati che possono venir scelti. Queste formule rappresentano i teoremi logici universalmente validi. Sorge ora la questione se tutte queste formule sono dimostrabili a partire dalle regole del ragionamento logico con l’aggiunta degli assiomi dell’identità citati, o, in altre parole, se il sistema delle usuali regole logiche è completo. Finora, mediante tentativi e prove, abbiamo raggiunto la convinzione che tali regole sono sufficienti. Una reale dimostrazione è disponibile soltanto nell’ambito della pura logica degli enunciati [e dei predicati monadici].3 Il problema era apparso lo stesso anno anche nel testo di logica di Hilbert e Ackermann4 , ma preferiamo riferirci alla presentazione di Bologna, che è più chiara; nel manuale si discutono diversi sensi di completezza di un sistema di logica: uno è quello per cui tutte le formule vere in un dominio caratterizzato dal contenuto5 possono essere derivate nel sistema logico; l’altro è quello per cui se si aggiunge una formula non derivabile il sistema diventa contraddittorio. 1 D. Hilbert, “Probleme der Grundlegung der Mathematik”, in Atti Congresso internazionale dei matematici, Bologna, 3-10 ottobre 1928 , Zanichelli, Bologna, 1929, vol. I; pp. 135-41, con aggiunte e correzioni in Mathematische Annalen, 102 (1929), pp. 1-9; trad. it. “Problemi della fondazione della matematica”, in Ricerche sui fondamenti della matematica, a cura di M. V. Abrusci, Bibliopolis, Napoli, 1978, pp. 292-300. 2 [Hilbert aveva presentato prima il problema della completezza dell’aritmetica. Dalle formule aritmetiche passava a quelle logiche sostituendo variabili predicative ai predicati aritmetici.] 3 “Probleme der Grundlegung der Mathematik”, in Ricerche, cit., pp. 298-9. 4 D. Hilbert e W. Ackermann, Grundzüge der theoretischen Logik , Springer, Berlin, 1928, p. 65. 5 Con Hilbert c’è sempre il problema di come tradurre Inhalt e inalthlich. L’esempio che dà di una soluzione positiva è quello della logica proposizionale, dove il dominio è evidentemente quello delle tautologie. 38 Questo secondo senso di “completezza” è quello che si è chiamato in seguito “completezza deduttiva” di una teoria, e che Hilbert allora era convinto che si potesse dimostrare per l’aritmetica. Per il calcolo dei predicati ristretto presentato nel volume, cioè per la logica del primo ordine, Hilbert osserva che ovviamente non vale la completezza in tale senso, con il controesempio ∃xA → ∀xA. Si chiede allora se sia dimostrabile l’altro senso della completezza, cioè che tutte le formule universalmente valide, cioè valide in ogni dominio di individui con qualsiasi scelta dei predicati6 possono essere dedotte nel sistema. I due problemi della completezza della logica e della completezza deduttiva delle teorie non sono ancora stati distinti in modo chiaro, a testimonianza di un periodo nel quale sono stati confusi, tra loro e con altri, come quello della categoricità. Nella tesi7 , Gödel dimostrava prima il teorema di completezza per il calcolo funzionale ristretto per linguaggi senza uguaglianza; quindi lo estendeva alla logica con uguaglianza, caratterizzata dall’aggiunta degli assiomi8 x=x e x = y → [F (x) → F (y)], correggendo l’enunciato sulla esistenza del modello in “finito o numerabile”, e alla fine considerava il caso di una infinità numerabile di formule; nella versione a stampa9 era anche aggiunto esplicitamente il teorema di compattezza, per insiemi numerabili di formule. In apertura della versione a stampa della tesi, Gödel osservava che una volta assiomatizzata la logica come hanno fatto Whitehead e Russell, ponendo all’inizio alcune “proposizioni evidenti” come assiomi, con l’intento di derivare i teoremi di logica e matematica mediante regole precisamente 6 Nella prima edizione si presenta un’ulteriore complicazione che la dizione “valide” è usata anche in qualche passo per le formule derivabili. 7 “Über die Vollständigkeit des Logikkalküls” (1929) (trad. inglese in Complete Works, Oxford Univ. Press, New York, 1986, vol. I, pp. 61-101, con introduzione di B. Dreben e J. van Heijenoort, pp. 45-59; trad. it. in Opere, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, vol. 1, pp. 63-82, introduzione di D. Dreben e J. van Heijnenoort ivi, pp. 47-62. 8 Hilbert e Ackermann definivano l’uguaglianza nel calcolo del secondo ordine; nel calcolo ristretto gli assiomi dell’uguaglianza erano considerati assiomi specifici delle teorie, più che logici. 9 “Über die Vollständigkeit der Axiome des logischen Funktionenkalküls”, Monatshefte für Mathematik und Physik , 37 (1930), pp. 349-60; trad. inglese in J. van Heijenoort, From Frege to Gödel , Harvard Univ. Press., Cambridge MA, 1967, pp. 582-91, e in Collected Works, vol. I, pp. 103-23; trad. it. in Opere, vol. 1, pp. 83-93. 39 formulate “in un modo puramente formale (cioè senza fare ulteriore uso del significato dei simboli)”, quando si segue questa strada sorge subito la questione se il sistema di assiomi e principi di inferenza postulato all’inizio sia completo, cioè sia di fatto sufficiente per la derivazione di qualsiasi proposizione logico-matematica, ovvero se, magari, sia concepibile che esistano proposizioni vere (che possono eventualmente essere dimostrate per mezzo di altri principi) che non possono essere derivate nel sistema in considerazione. A Russell e Whitehead la questione non si era affatto posta, data la loro concezione della logica come un sistema chiuso e onnicomprensivo. Gödel ricordava il risultato positivo per la logica proposizionale10 , e annunciava subito l’estensione alla logica dei predicati con l’enunciato del teorema: Teorema I Ogni formula valida del calcolo funzionale ristretto è dimostrabile.11 Una nota appesa a “valida” precisava che dovremmo dire “valida in ogni dominio di individui”, seguendo Hilbert, e aggiungeva che, in base a teoremi ben noti, la definizione significava lo stesso che “valida nel dominio numerabile degli individui”. L’introduzione alla tesi era invece più ricca di riflessioni12 . L’enunciato del teorema di completezza era subito dichiarato equivalente alla affermazione che “Ogni sistema di assiomi non contraddittorio formato da sole Zählaussagen ha una realizzazione”, dove era precisato che widerspruchlos significa che non può essere derivata una contraddizione per mezzo di un numero finito di inferenze formali13 . 10 Ottenuto da Paul Bernays e da Emil Post, non ancora riconosciuto. “Calcolo funzionale ristretto” era il calcolo predicativo ristretto, ossia la logica del primo ordine. Il termine “funzionale” viene certamente dalla terminologia russelliana delle funzioni proposizionali. Nel manuale di Hilbert e Ackerman è considerato anche il calcolo funzionale esteso, ossia del secondo ordine. 12 Per lo stralcio dell’introduzione dalla versione a stampa, qualcuno ipotizza l’influenza del suo relatore Hans Hahn, che gli avrebbe consigliato prudenza nel pronunciarsi sui massimi sistemi (leggi: Hilbert). 13 Nella tradizione precedente, algebra della logica, Löwenheim, Skolem, aveva un significato semantico. Le Zählaussagen erano le formule del primo ordine. 11 40 Quest’ultima formulazione sembra avere un certo interesse anche in sé, perché la soluzione di questo problema rappresenta in un certo senso un completamento teoretico del metodo usuale per dimostrare la non contraddittorietà (solo, naturalmente, per lo speciale tipo di sistemi di assiomi qui considerato); infatti ci darebbe la garanzia che in ogni caso questo metodo porta al suo risultato, vale a dire che si deve essere in grado o di produrre una contraddizione o di dimostrare la non contraddittorietà per mezzo di un modello. Dopo aver precisato che l’alternativa non si poteva dimostrare “nel senso intuizionistico (cioè con una procedura di decisione)”, Gödel citava proprio Brouwer come sostenitore dell’impossibilità costruire direttamente un modello dalla non contraddittorietà di un sistema di assiomi. Brouwer aveva parlato del problema in due conferenze tenute a Vienna nel 1928 su iniziativa di Karl Menger (1902-1985)14 . Gödel tuttavia continuava osservando che “se si pensa che l’esistenza di concetti introdotti per mezzo di un sistema di assiomi debba essere concepita come coincidente con la non contraddittorietà degli assiomi”, allora non c’è bisogno di dimostrare ulteriormente l’esistenza. In questo modo forse voleva prendere le distanze dalla disputa FregeHilbert dell’inizio del secolo. Infatti il tema della esistenza del sistema di enti garantita dalla sola non contraddittorietà degli assiomi era tipicamente hilbertiano. Frege aveva affermato Attribuisco il nome di assiomi a enunciati che sono veri, ma che non vengono dimostrati perché la loro conoscenza scaturisce da una fonte conoscitiva di natura extra-logica, che possiamo chiamare intuizione spaziale. Il fatto che gli assiomi siano veri ci assicura di per sé che essi non si contraddicono tra loro, e ciò non abbisogna di alcuna ulteriore dimostrazione15 . Hilbert aveva risposto: 14 Non pare che Gödel fosse stato presente, ma dati i suoi rapporti con Menger egli era quasi certamente a conoscenza del contenuto di quelle conferenze. 15 Lettera di Frege a Hilbert del 27 dicembre 1899. La corrispondenza di Frege con Hilbert, e con altri contemporanei, è in G. Frege, Wissenschaftlicher Briefwechsel , Felix Meiner, Hamburg, 1976; trad. it. Alle origini della nuova logica, Boringhieri, Torino 1983. 41 Mi ha molto interessato leggere nella Sua lettera proprio questa frase, poiché io, da quando ho cominciato a riflettere, scrivere e tenere conferenze su questo argomento, ho sempre detto esattamente il contrario: se assiomi arbitrariamente stabiliti non sono in contraddizione, con tutte le loro conseguenze, allora essi sono veri, allora esistono gli enti definiti per mezzo di quegli assiomi. Questo è per me il criterio della verità e dell’esistenza16 . Se uno è convinto che l’esistenza coincide con la non contraddittorietà, non ha bisogno di interessarsi dell’esistenza, come osserva Gödel; ma se uno non è convinto di questo, il teorema di completezza lo fa riflettere sulla possibilità che la tesi abbia un fondamento. Tuttavia Gödel appariva preoccupato, o perplesso, per un’altra possibile conseguenza. Questa definizione [di esistenza] (almeno se imponiamo il ragionevole requisito che essa obbedisca alle stesse regole operative della nozione elementare), presuppone tuttavia palesemente l’assioma che ogni problema matematico sia risolvibile. O, più precisamente, presuppone che non si possa dimostrare l’insolubilità di alcun problema. La risolubilità di ogni problema matematico era un assioma attribuito a Hilbert, risalendo alla presentazione dei problemi matematici del 1900. Hilbert si era detto convinto che per ogni problema o si sarebbe trovata una soluzione o si sarebbe dimostrato che la soluzione non si poteva trovare con i mezzi supposti disponibili. Lo aveva ripetuto più volte anche negli anni venti. Nella versione popolare, e talvolta in Hilbert stesso, e anche in quella accennata da Gödel, la risolubilità di ogni problema era invece intesa nel senso di una decisione positiva o negativa per qualsiasi problema, in ciascun dominio matematico, quindi nel senso che ogni dominio avesse una teoria completa. Spiegava infatti Gödel la sua perplessità: Infatti se l’insolubilità di un problema (nel dominio dei numeri reali, poniamo) fosse dimostrata, allora dalla definizione di sopra seguirebbe l’esistenza di due realizzazioni non isomorfe del 16 Lettera di Hilbert a Frege del 29 dicembre 1899. 42 sistema di assiomi per i numeri reali, mentre d’altra parte si può dimostrare l’isomorfismo di due realizzazioni qualsiasi. L’isomorfismo era stato dimostrato da Hilbert per il sistema di assiomi da lui presentato nel 1900 con il suo assioma di completezza, o continuità (che postulava non estendibilità del dominio). Invitando a non trarre conclusioni affrettate sulla possibile dimostrazione della insolubilità di un problema, la risposta che Gödel si dava da solo era che quello che è in gioco qui è solo l’insolubilità per mezzo di certi metodi di inferenza formali e precisamente fissati . La dichiarazione è ambigua. La risposta che si dà ora è che il teorema di isomorfismo si dimostra nella logica del secondo ordine piena, mentre il teorema di completezza vale per la logica del primo ordine17 . Gödel si limitava a notare che concetti come quelli di dimostrabilità e non contraddittorietà “hanno un significato preciso solo dopo che siano stati delimitati in modo preciso i mezzi di inferenza che sono ammessi”. Non diceva nulla su come si possa dare la dimostrazione di isomorfismo, e se sia possibile avere risultati in contrasto tra loro con due diverse precisazioni dei metodi di inferenza ammessi. Pare tuttavia possibile supporre che egli avesse intuito l’impossibilità di dare una simile precisazione per la logica del secondo ordine o, come si dice, la sua non assiomatizzabilità effettiva. Infatti nella conferenza “Vortrag über Vollständigkeit des Funktionenkalküls” tenuta a Königsberg il 6 settembre 1930 alla Conferenza sulla epistemologia delle scienze esatte18 , alla fine discuteva i rapporti tra i due concetti di Entscheidungsdefinitheit (completezza deduttiva) e Monomorphie (categoricità) con le seguenti considerazioni. Come è ben noto, un sistema di assiomi è detto entscheidungsdefinit se qualunque proposizione nel linguaggio sottostante è decidibile sulla base degli assiomi, cioè o essa o la sua negazione sono derivabili in in numero finito di passi. D’altra parte, il sistema di assiomi è detto monomorfo se due qualunque sue 17 Anche per la logica del secondo ordine se tuttavia si ammettono modelli non pieni in un senso che vanifica le dimostrazioni di isomorfismo (per i reali come per i naturali). 18 Pubblicata in tedesco e in inglese in Collected Works, vol. III, pp. 16-29, e in italiano in Opere, vol. 3, pp. xxx 43 realizzazioni sono isomorfe. Si intuisce che esista una stretta connessione tra questi due concetti, tuttavia fino ad ora tale connessione non è stata formulata in maniera generale. Si conoscono in effetti diversi sistemi di assiomi monomorfi – la geometria euclidea19 ” per esempio – per i quali non si ha alcuna idea se siano decidibili. Alla luce degli sviluppi qui presentati si può ora mostrare che, per una classe speciale di sistemi di assiomi, quelli i cui assiomi possono essere espressi nel calcolo funzionale ristretto, la Entscheidungsdefinitheit segue sempre dalla monomorfia (più esattamente la Entscheidungsdefinitheit per le proposizioni del linguaggio soggiacente che possono essere espresse nel calcolo funzionale ristretto) [. . . ] Se il teorema di completezza potesse essere dimostrato per le parti superiori della logica (il calcolo funzionale esteso) allora si potrebbe dimostrare nella più completa generalità che l’Entscheidungsdefinitheit segue dalla monomorfia; e siccome sappiamo, per esempio, che il sistema di assiomi di Peano è monomorfo, seguirebbe la risolubilità di ogni problema dell’aritmetica e dell’analisi esprimibile nei Principia matheatica. Una tale estensione del teorema di completezza è tuttavia impossibile, come ho recentemente dimostrato; vale a dire, esistono problemi matematici che. benché possano essere espressi nei Principia mathematica, non possono essere risolti con gli strumenti logici dei Principia mathematica. Queste considerazioni chiariscono l’osservazione della introduzione della tesi, che è considerata fuorviante da alcuni20 . Nella tesi Gödel non era orientato ad accettare l’assioma della risolubilità di tutti i problemi, o la non esistenza di un problema dimostrabilmente insolubile, era solo perplesso, intuendo e indicando una connessione con la questione della Entscheidungsdefinitheit delle teorie. La terminologia di queste considerazioni della conferenza del 1930 chiarisce anche come Gödel nelle sue riflessioni avesse due riferimenti, oltre a Hilbert anche Rudolf Carnap (1891-1970)21 . 19 Per la geometria euclidea Gödel pensava forse alla assiomatizzazione di Hilbert, dove era incluso l’assioma di completezza analogo a quello per i numeri reali. 20 Dreben e van Heijenoort nella Nota introduttiva citata sopra. 21 Si veda W. Golldfarb, “On Gödel’s way in: the influence of Rudolf Carnap”, The Bulletin of Symbolic Logic, 11 (2005), n. 2, pp. 185-93. 44 Una conferma viene dall’interpretazione della frase che segue le precedenti citate dall’introduzione alla tesi. Se sostituiamo il concetto di conseguenza logica (cioè dell’essere formalmente dimostrabile in un numero finito di passi) con l’implicazione nel senso di Russell, più precisamente dall’implicazione formale, dove le variabili [funzionali] sono i concetti primitivi del sistema di assiomi in questione, allora l’esistenza di un modello per un insieme non contraddittorio di assiomi (ora inteso nel senso che non implica alcuna contraddizione, segue dal fatto che una proposizione falsa ne implica un’altra qualsiasi, quindi anche ogni contraddizione (dal che l’asserzione segue subito con un argomento diretto)22 . Per capire il passo un po’ criptico bisogna esaminare la trattazione che Carnap faceva di questi concetti. Gödel aveva seguito le lezioni che Carnap aveva tenuto nel 1928, basandosi su un testo intitolato Untersuchungen zur allgemeinen Axiomatik , testo che sarà poi abbandonato (e pubblicato solo nel 2000). Il sottotitolo del primo dei due volumi era Metalogik , che è un po’ ironico, perché tutto c’era fuorché una considerazione metamatematica della logica. Lo stile era quello dei Principia, tutto interno al sistema. Carnap discuteva in particolare i concetti di Entscheidungsdefinitheit e di Monomorphie. Carnap considerava solo sistemi di assiomi finiti, quindi riducibili per congiunzione a una formula F . Indicava con F (R) il risultato del rimpiazzamento dei simboli extralogici con variabili, di tipo appropriato (predicative, funzionali). L’affermazione che gli assiomi F hanno un modello era espressa, nel sistema logico, da (∃R)F (R). La relazione di conseguenza era intesa ne senso della implicazione formale di Russell (nella terminologia dei Principles of Mathematics): G segue dagli assiomi F se F (R) implica formalmente G(R), o (∀R)(F (R) ⊃ G(R)). 22 Questo sembra essere stato notato per la prima volta da R. Carnap in un lavoro non ancora pubblicato, che egli è stato cosı̀ gentile da mettere a mia disposizione in forma manoscritta. [Nota di Gödel.] 45 Un insieme di assiomi F è non contraddittorio se (∃G)(∀R)(F (R) ⊃ G(R). ∼ G(R)). L’affermazione che se gli assiomi sono non contraddittori hanno un modello diventava banalmente derivabile: se F non ha un modello, allora (∀R) ∼ F (R), quindi (∀R)(F (R) ⊃ H) per ogni H e quindi F è contraddittorio, Gödel nella citazione di sopra con il riferimento alla legge ex falso quodlibet sembra avere in mente questo argomento. L’osservazione che se si sostituisce la nozione di conseguenza logica con l’implicazione formale di Russell il risultato si banalizza sembra proprio ripetere i passaggi sopra indicati. Non è forse il caso che nella tesi sia subito spiegato chiaramente a quale nozione di conseguenza si fa riferimento, con la derivazione mediante una successione finita di inferenze formali, e a quale nozione di non contraddittorietà. Anche per quanto riguarda la Entscheidungsdefinitheit, Carnap la definiva come (∀G)((∀R)(F (R) ⊃ G(R)) ∨ (∀R)(F (R) ⊃∼ G(R))) mentre la monomorfia come (∀R)(∀R0 )(F (R).F (R0 ) ⊃ R ∼ = R0 ). L’equivalenza è facilmente dimostrata da Carnap: se F non è mono, esistono R e R0 non isomorfi che soddisfano F . Immaginiamoli fissati. Sia G la proprietà di essere isomorfo a R0 , cioè X ∼ = R0 . Per G si vede subito che fallisce la Entscheidungsdefinitheit: non è vero che ogni R per cui F (R) è isomorfa a R, e non è vero che ogni R per cui F (R) non è isomorfa a R0 . Viceversa se per qualche G né G né ∼ G sono conseguenze di F , allora un R1 per cui F (R1 ).G(R1 ) e un R2 per cui F (R2 ). ∼ G(R2 ) non possono essere isomorfi. Le osservazioni di Gödel sull’isomorfismo appaiono ora un commento e un rifiuto di questa impostazione carnapiana: con sistemi di assiomi monomorfi non si può concludere che tutti i problemi sono formalmente decidibili dagli assiomi, soprattutto se non si precisano i mezzi di dimostrazione; l’identificazione di non contraddittorietà ed esistenza non può essere fatta per le 46 logiche in cui si dimostra che certi assiomi sono categorici, altrimenti non si può mostrare che alcuna questione è indecidibile. Nella tesi del 1929 non aveva raggiunto la consapevolezza che nel 1930 avrà dopo aver dimostrato l’incompletezza dell’aritmetica. Invece di indicare un eventuale difetto dei metodi meno ristretti spostava l’attenzione sui metodi ristretti (rispetto a quelli che danno l’isomorfismo) per cui vale il teorema di completezza; restava quasi l’impressione che volesse ridimensionasse il teorema stesso. Sul momento, a proposito dei metodi di prova usati nella sua dimostrazione, continuava dichiarando che non aveva posto alcuna restrizione. Il riferimento era all’intuizionismo, in quanto Gödel precisava di aver fatto uso del principio del terzo escluso per insiemi infiniti. Gödel ricordava che per gli intuizionisti il principio del terzo escluso aveva il significato dell’assunzione della risolubilità di ogni problema23 , ma in riferimento alla totalità dei metodi dimostrativi accettabili, un significato quindi non rilevante rispetto alla alternativa dimostrata nella tesi (una formula è soddisfacibile oppure è refutabile mediante regole di inferenza “completamente specificate e concretamente enumerate”). Peraltro secondo Gödel il problema della completezza nell’ottica intuizionistica richiedeva in via preliminare una riformulazione della nozione di soddisfacibilità, e comunque una dimostrazione di completezza intuizionisticamente accettabile avrebbe comportato la decidibilità della logica, problema che non aveva affrontato. Quindi Gödel spiegava perché non si era ritenuto vincolato a una restrizione dei metodi dimostrativi (in senso finitistico, anche se non lo dice24 ). Dobbiamo anche considerare che il problema qui trattato non è stato portato in primo piano dalle controversie sui fondamenti della matematica (come è stato invece, per esempio, nel caso del problema della non contraddittorietà); anche se non fosse mai stato messo in dubbio che la matematica “naif” sia corretta nel suo contenuto, questo problema sarebbe potuto essere posto in modo significativo nell’ambito di questa matematica naif (a differenza, per esempio, del problema della non contraddittorietà), ed è questo il motivo per cui una restrizione dei metodi di dimostrazione 23 Era stato Brouwer negli anni venti nel corso delle sue polemiche con Hilbert a insistere su questa interpretazione. 24 I riferimenti al programma di Hilbert sono continui e trasparenti, ma mai espliciti. 47 non sembra necessario qui più che in qualunque altro problema matematico. Da una parte l’inciso sul problema della non contraddittorietà sembra indicare che al momento Gödel non ritenesse irragionevole la richiesta che la non contraddittorietà fosse dimostrata con metodi ristretti, e quindi ammissibile il programma di Hilbert almeno come ipotesi di ricerca. D’altra parte il riferimento agli strumenti metamatematici usati nella dimostrazione richiama osservazioni più tarde di Gödel a proposito di Skolem25 . Negli anni sessanta Goödel avrebbe ammesso26 che Il teorema di completezza, dal punto di vista matematico, è in effetti una conseguenza quasi banale di Skolem 1922. Tuttavia è un fatto che a quel tempo nessuno (incluso Skolem) trasse questa conclusione (né da Skolem 1922 né da considerazioni proprie simili, come feci io). A conferma, citava il fatto che il problema era considerato ancora aperto da Hilbert e Ackermann nel 1928. Anche in una lettera a Jean van Heijenoort del 16 agosto 1964 Gödel osservava: Per quanto riguarda Skolem, quello che egli potrebbe giustamente rivendicare, ma a quanto pare non lo fa, è che nel suo lavoro per il Congresso dei matematici scandinavi de 1922 egli implicitamente aveva dimostrato: ‘o A è dimostrabile o A è soddisfacibile’ (‘ dimostrabile’ preso in senso informale). Tuttavia siccome egli non formulò chiaramente questo risultato (né a quanto pare lo aveva chiaro lui stesso), esso sembra essere rimasto del tutto sconosciuto, come risulta dal fatto che Hilbert-Ackermann nel 1928 non lo citano in relazione al loro problema della completezza. 25 I commenti al teorema di Löwenehim-Skolem e al teorema di completezza, e in particolare al contributo di Skolem si trovano in lettere di risposta a richieste di chiarimenti di Dreben e van Heijenoort, al momento della pubblicazione dell’antologia From Frege to Gödel nel 1967, e di Hao Wang nello stesso anno, nel corso della preparazione della introduzione alla raccolta delle opere di Skolem. In entrambi i casi i curatori ricorsero alla testimonianza e al parere di Gödel. Le lettere si trovano nel quinto volume delle Collected Works, 2003; trad. it. Opere, vol. 5, 2009. 26 Lettera a Hao Wang del 7 dicembre 1967. 48 Nella lettera a Wang del 7 dicembre 1967, dopo aver riconosciuto che Skolem nel 1922 aveva dimostrato il lemma fondamentale, e osservato che “quando nel lavoro del 1928 [sul teorema di Löwenheim-Skolem] egli enunciò un teorema di completezza per la refutabilità” non usò quel lemma ma un argomento “inconcludente”27 , Gödel continuava con una non velata presa di distanza dal programma di Hilbert. Questa cecità (o pregiudizio, o come lo vuole chiamare) dei logici è davvero sorprendente. Ma io penso che la spiegazione non sia difficile da trovare. Essa consiste nella diffusa mancanza, in quel periodo, della necessaria attitudine epistemologica nei confronti della metamatematica e del ragionamento non finitario. Il ragionamento non finitario in matematica era largamente considerato significativo solo nella misura in cui poteva essere “interpretato” o “giustificato” in termini della metamatematica finitaria. Questo modo di vedere porta, in modo quasi inevitabile, alla esclusione del ragionamento non finitario dalla metamatematica. Per essere ammissibile, tale tipo di ragionamento richiederebbe una metametamatematica finitaria. Ma questa sembra una duplicazione non necessaria e una fonte di confusione. Inoltre, ammettere elementi transfiniti “senza significato” nella metamatematica è incompatibile con l’idea di questa disciplina prevalente a quel tempo. Infatti secondo tale idea, la metamatematica è la parte dotata di senso della matematica, quella attraverso la quale i simboli matematici (in sé privi di significato) acquisiscono una specie di sostituto dei significato, vale a dire regole di uso. Naturalmente l’essenza di questo punto di vista è un rifiuto di ogni genere di oggetti astratti o infiniti, di cui sono esempi gli apparenti significati dei simboli matematici. Vale a dire, il significato è attribuito solo a proposizioni che parlino di oggetti concreti e finiti come le combinazioni di simboli28 . 27 In effetti Skolem, al momento di osservare che se il procedimento di sostituzione di termini chiusi nella matrice, e valutazione di tipo proposizionale degli enunciati cosı̀ ottenuti sfocia in una contraddizione allora anche la formula iniziale è contraddittoria, fa riferimenti imprecisi a processi di deduzione, che invece aveva escluso all’inizio (invece Gödel dimostrò che la formula è refutabile nel calcolo dei predicati ristretto. 28 [Senza menzionarlo, Gödel sta citando Hilbert alla lettera.] 49 Ma ora la facile inferenza sopra menzionata da Skolem 1922 è decisamente non finitaria, e cosı̀ lo è in ogni altra dimostrazione di completezza per il calcolo dei predicati. Perciò queste cose sfuggirono all’attenzione o furono trascurate. Estendeva quindi la sua osservazione alle difficoltà di costruzione di modelli per la teoria degli insiemi. In una lettera del 7 marzo 1968 ad Hao Wang Gödel ribadiva che Sono ancora perfettamente convinto che la riluttanza29 a usare concetti e argomenti non finitari nella metamatematica è stata la ragione principale del fatto che la dimostrazione di completezza non è stata data da Skolem né da altri prima del mio lavoro. Gödel precisava poi che il “punto di vista formalistico” non rendeva impossibile dimostrazioni di non contraddittorietà per mezzo di modelli transfiniti, solo li rendeva molto più difficili da scoprire; per quel che riguarda l’ipotesi del continuo era “praticamente impossibile” per i costruttivisti scoprire le sue dimostrazioni di non contraddittorietà30 . Tornava quindi a Skolem e insisteva: Può essere vero che Skolem aveva poco interesse alla formalizzazione della logica; ma questo non spiega per nulla perché egli non abbia dato una dimostrazione corretta di quella completezza che egli aveva implicitamente enunciato, cioè che esiste una contraddizione a qualche livello n se esiste una refutazione informale della formula. Sulla base del suo lemmma del 1922 questo sarebbe stato molto facile, dal momento che evidentamente una refutazione corretta informale implica la non esistenza di un modello. A Gödel sembrava che l’argomento formulato in quel modo da Skolem avesse precisamente lo scopo di eliminare il ragionamento transfinito dalla metamatematica. 29 Anche Herbrand è un ottimo esempio di tale riluttanza. [Nota di Gödel]. Gödel nelle sue rimembranze sosteneva di essere stato immune dal pregiudizio dei tempi per avere avuto sin dal 1925 una concezione realista della matematica; in verità i suoi ricordi possono non essere stati del tutto precisi; si veda G. Lolli, Sotto il segno di Gödel , il Mulino, Bologna, 2007, cap. VI, “La filosofia della matematica”, in particolare pp. 114-21. 30 50 In effetti Skolem era orientato a usare metodi effettivi e possibilmente computazionali, ma non faceva parte del circolo di Hilbert e non era interessato al suo progetto metamatematico (a differenza di Herbrand, che è un esempio più calzante per le considerazioni di Gödel); anzi il suo tentativo di dimostrare Löwenheim-Skolem nella forma che sembra il teorema di completezza era il tentativo di fornire un metodo effettivo di decisione o semidecisione che fosse combinatorio e diretto ed evitasse il macchinario delle derivazioni formali. 51