Fenomenologia Della comunicazione in rete

annuncio pubblicitario
Fenomenologia
Della comunicazione in rete
di Tommaso A. Venturini
Indice.
Premessa teorica: Comunicazione, gruppi, rappresentazioni, rituale.
Introduzione: Una classificazione dei tipi di CMC.
Capitolo primo: Text-based − l’assenza dei linguaggi non verbali.
Capitolo secondo: L’identità plastica.
Capitolo terzo: L’eccesso di informazione.
Capitolo quarto: La stratificazione nei gruppi virtuali.
Bibliografia.
Premessa teorica: Comunicazione, gruppi, rappresentazioni, rituale.
Questa ricerca ha come obbiettivo di analizzare empiricamente la CMC (computer mediated
communication). Oggetto della ricerca sono in particolare le interazioni comunicative micro (che
coinvolgono un numero piuttosto ristretto di persone ed hanno una durata relativamente limitata).
Esse saranno analizzate cercando di astrarre le caratteristiche comuni a tutte le occorrenze di
questo tipo di comunicazione. La trattazione farà riferimento alle nozioni di gruppi sociali, di
rappresentazioni sociali e di rituale. Conviene dunque chiarire in quale accezione siano usati tali
termini.
Il concetto di gruppo sociale sarà utilizzato in senso molto lato, per riferirsi a qualsiasi
insieme di persone di qualsiasi tipo che, in qualsiasi modo, interagiscono comunicativamente tra
loro. Si prescinderà dalla stabilità, dalle dimensioni, dalla definitezza dei confini, dalla intensità e
dalla natura della comunicazione e da qualsivoglia altra caratteristica. Due persone che si guardano
da due lati opposti della strada sono considerati gruppo sociale in questa accezione.
La mia ipotesi è che la natura di tale gruppo non sia diversa da quella di una comunità chiusa ad
alta densità sociale (compresenza reciproca dei membri), né da quella della società nel suo
insieme. Le caratteristiche e le dinamiche che si attribuiscono ad una comunità forte o alla società
in generale, non differiscono qualitativamente da quelle di qualsiasi altro tipo di gruppo sociale.
C’è naturalmente un dislivello significativo dal punto di vista quantitativo. Ciononostante, il
modello esplicativo−descrittivo elaborato per le comunità forti può essere applicato con profitto
anche ai gruppi sociali costruiti da interazioni deboli: che riguardano poche persone, per poco
tempo e che mettono in gioco piccole cariche emotive ed intellettuali, con minime conseguenze
sociologiche e psicologiche.
Il concetto di rappresentazione è molto più complesso e più discusso sia in sociologia che in
psicologia. Durkheim parla di ‘rappresentazioni collettive’ riferendosi ad un insieme di strutture
culturali molto stabili e universalmente condivise dai membri di una società. “ Le rappresentazioni
collettive sono il prodotto di un’immensa cooperazione…nella loro costruzione molteplici spiriti
diversi hanno associato, mescolato, combinato le loro idee e i loro sentimenti… un’intellettualità
molto particolare più ricca e complessa di quella dell’individuo è concentrata in esse” (Durkheim,
1971, p. 18).
Moscovici e la scuola delle rappresentazioni sociali hanno cercato di rendere più elastico tale
modello: “Durkheim ha una concezione piuttosto statica di queste rappresentazioni… anche se ciò
non è completamente falso ciò che risulta più singolare per l’osservatore contemporaneo è il
carattere mobile e circolante delle rappresentazioni, la loro plasticità… è per porre enfasi su tale
distinzione che io uso il termine ‹‹sociale›› invece del termine ‹‹collettivo››” (Moscovici, 1984, pp.
39-41,). Le rappresentazioni sociali appartengono non all’intera società, ma a gruppi sociali più
ristretti.
Ci sono poi le rappresentazioni mentali di cui parla la psicologia cognitiva. Tali rappresentazioni
operano ad un livello individuale e sono estremamente elastiche e mutevoli.
Queste diverse prospettive non sono inevitabilmente in contraddizione (cfr. Doise, 1984). Ancora
una volta si tratta di differenze quantitative (circa la stabilità e il grado di diffusione), piuttosto che
qualitative: le rappresentazioni sono, in ogni caso, oggetti mentali, costruiti a partire da stimoli
esterni, affinché servano come fondamenta cognitive del pensiero e dell’azione. Le differenze
dipendono soltanto dal livello dell’analisi. La società possiede rappresentazioni molto solide
perché essa stessa è molto solida. I gruppi sociali, che possiedono una stabilità variabile e
2
riguardano meno persone, costruiscono rappresentazioni più elastiche e meno diffuse. Infine le
rappresentazioni individuali sono estremamente plastiche perché tale è la natura dell’individuo,
almeno nelle società come la nostra a bassa densità ed alta diversità sociale.
La nozione di rituale cui si farà riferimento è quella durkheimiana (cfr. Durkheim, 1912).
Tale nozione si articola in una struttura analitica costituita da sei elementi necessari e sufficienti
per l’esistenza del rituale. 1) La compresenza fisica di alcune persone. Tanto è maggiore tanto
maggiori saranno gli effetti. 2) Un focus cognitivo comune: l'attenzione di tutti deve essere
concentrata su una stessa cosa. 3) Un focus emotivo comune: una emozione condivisa,
assolutamente arbitraria quanto a contenuto. 4) Oggetti sacri che possano diventare simboli del
rituale e del gruppo. Questi quattro elementi ne producono altri due. 5) Una fortissima carica
emozionale che investe sia il gruppo che i singoli individui. A livello di gruppo si tratta di un
intenso sentimento di identificazione, di appartenenza. A livello individuale il rituale aumenta le
energie emotive dei partecipanti, che si sentono più forti, più sicuri di sé, più felici e più motivati.
6) Giusta e legittima rabbia nei confronti di chi mostra di non rispettare la sacralità del rituale.
Verso costoro si scatena l'ira del gruppo sotto la forma di sanzioni simboliche estremamente
violente. Il modello di Durkheim si riferiva esclusivamente a gruppi e rituali macro, ma esso è
stato esteso da Goffman (cfr. Goffman, 1967) che ha mostrato come esso possa essere
proficuamente applicato anche alle forme d’interazione micro.
Le nozioni di comunicazione, gruppo sociale, di rappresentazione e di rituale sono
generalmente considerate distinte. Tuttavia è possibile riferire queste quattro nozioni ad un
medesimo oggetto visto da punti di vista differenti. Ognuna di questa nozioni è infatti condizione
necessaria e sufficiente per la definizione delle altre.
Per la definizione data di gruppo sociale, appare evidente che alcune persone che comunicano
costituiscono inevitabilmente un gruppo sociale. Allo stesso tempo non può esistere un gruppo
sociale in cui sia nulla la comunicazione tra i suoi membri. Quindi si può assumere che
comunicazione = gruppo sociale.
Moscovici ha mostrato come la comunicazione, richiedendo uno spazio condiviso tra due
individui, si fondi sulle rappresentazioni sociali intese come magazzino di significati e sensi
comuni a tutti gli appartenenti ad un gruppo comunicante: “qualunque interazione umana…
presuppone tali rappresentazioni, e di fatto è questo che le caratterizza” (p. 33, Moscovici 1984).
D’altro lato egli ha sostenuto che le “rappresentazioni sono create nel corso delle conversazioni
come modi elementari di mettersi in relazione e comunicare” (p. 76, Moscovici 1984). Ne segue
che comunicazione = rappresentazioni.
Goffman ha rilevato che ogni forma di comunicazione ha solide fondamenta rituali (cfr. Goffman,
1967) e può essere descritta usando il modello analitico in sei punti esposto sopra. D’altra parte il
rituale, muovendosi su un piano fortemente simbolico e presupponendo la compresenza dei
partecipanti ed un focus emotivo ed intellettivo condiviso, costituisce sempre un’interazione
comunicativa. Dunque, comunicazione = rituale.
I gruppi sociali si distinguono per le caratteristiche della sottocultura che producono e da cui sono
sorretti. Dal momento che la cultura di un gruppo non è che l’insieme delle rappresentazioni
condivise dai suoi membri, si può affermare che gruppi sociale = rappresentazioni: “pensare
diventa una rumorosa attività pubblica che conserva e consolida il gruppo” (p. 42, Moscovici,
1984).
Durkheim (cfr. Durkheim, 1912) ha ampiamente dimostrato come il rituale sia la fonte della
‘solidarietà precontrattuale’, che tiene insieme i gruppi sociali, creando vincoli emotivi e
3
intellettivi tra i loro membri. Allo stesso tempo è impossibile immaginare un rituale che si svolga
al di fuori di un gruppo sociale. Dunque, gruppi sociali = rituale.
Infine il rituale attraverso la produzione di oggetti simbolici condivisi costruisce le
rappresentazioni collettive. Queste rappresentazioni, a loro volta, costituendo un terreno comune
per i membri di una società, rendono possibile la costruzione del rituale. Ne deriva che
rappresentazioni = rituale
In sintesi comunicazione = gruppo sociale = rappresentazioni sociali = rituale. Questi uguali
non hanno ovviamente il significato di equivalenza. Essi indicano piuttosto l’esistenza di legami
profondamente strutturali tra queste quattro nozioni.
Se in rete avviene una qualche forma di comunicazione (oggetto specifico di questa ricerca), allora
in rete esisteranno dei gruppi sociali, con le loro rappresentazioni specifiche (diverse, almeno in
parte, da quelle dei gruppi al di fuori dalla rete) e i loro rituali particolari. La ricerca potrebbe
partire da uno qualsiasi di questi elementi e, dall’analisi di questo, trarre informazioni anche su gli
altri. Ho scelto di concentrarmi sulla comunicazione non perché questo elemento sia più
importante, ma soltanto perché è quello che mi è più familiare.
4
Introduzione: Una classificazione dei tipi di CMC.
Per CMC si intende computer mediated communication (comunicazione mediata dal
computer) e ci si riferisce a tutte quelle forme di interazione comunicativa tra esseri umani che
soddisfano il solo requisito di avere il computer come canale. Lo schema di Shannon e Weaver
(riferimento bibliografico) può essere utile per visualizzare questa definizione:
emittente
trasmettitore
(computer)
messaggio
ricevitore
(computer)
segnale
ricevente
messaggio
Si tratta ovviamente di una nozione piuttosto vaga in cui rientrano molti e diversi tipi di
interazioni comunicative, sarà quindi opportuno tracciare alcune distinzioni.
La più importante è sicuramente quella tra forme di comunicazione text−based e forme di
comunicazione audio−video. Le forme text−based implicano che il messaggio sia codificato
attraverso la tastiera e quindi si basano quasi esclusivamente sulla parola scritta (anche se
pesantemente modificata, come si vedrà nel primo capitolo). Le forme audio−video invece
utilizzano, oltre alla tastiera, anche il microfono e la telecamera. La differenza può essere illustrata
complicando un poco lo schema proposto prima:
tastiera
schermo
emittente
microfono
videocamera
trasmettitore
(computer)
ricevitore
(computer)
ricevente
diffusori
schermo
Questa ricerca si occuperà esclusivamente del primo tipo dal momento che esso è stato, ed è
tuttora, notevolmente più diffuso del secondo (anche se, nel futuro, è possibile e probabile che il
progresso tecnico inverta tale situazione). La comunicazione audio−video infatti richiede di
elaborare e trasmettere una quantità di dati molto maggiore di quella text−based, di conseguenza
essa è tecnicamente molto più problematica. Da questo momento in poi quando si parlerà di CMC
si deve assumere che ci si stia riferendo alla sua versione text−based.
Un’altra distinzione essenziale è tra le forme di comunicazione asincrone (quando non è
necessario che emittente e ricevente siano compresenti nel tempo) e quelle sincrone (quando è
emittente e ricevente devono assumere questi ruoli contemporaneamente). L’importanza e la
diffusione di questi due tipi è sostanzialmente la medesima. Ancora una volta uno schema può
essere d’aiuto:
emittente
trasmettitore
(computer)
ricevitore
(computer)
ricevente
gap temporale
In questa ricerca saranno presi in considerazione entrambi i tipi anche perché, pur essendo
formalmente diversi, sono empiricamente piuttosto simili.
La terza e ultima distinzione riguarda il numero degli emittenti e dei riceventi. Nella CMC
può esserci a) un solo emittente ed un solo ricevente (con ruoli invertibili); b) un solo emittente e
5
molti riceventi (con ruoli non invertibili); c) oppure ancora molti emittenti e molti riceventi (con
ruoli invertibili):
a)
emittente
ricevente
ricevente
emittente
b)
emittente
c)
em./ric.
em./ric.
ric. ric. ric. ric.
em./ric.
em./ric.
Il tipo c) è il più interessante non perché sia il più diffuso o il più caratteristico, ma perché
non trova alcuna controparte nelle forme di comunicazione tradizionali mediatiche e non. Si tratta
infatti di una comunicazione orizzontale piuttosto che verticale. Più simile a quella telefonica o
quella faccia a faccia che non a quella stampata o televisiva, ma, in analogia a queste ultime, si
tratta di una comunicazione di massa, che riguarda un numero molto (talvolta moltissimo) elevato
di emittenti e di riceventi (cfr. Levy, 1995). Gli eventi comunicativi che più si avvicinano a questo
tipo di CMC sono i dibattiti, i seminari e le tavole rotonde, ma essi coinvolgono un numero di
persone molto inferiore.
Ecco una tabella riassuntiva che classifica i diversi tipi di comunicazione text-based
Asincrone
Sincrone
Uno a uno (invertibili)
E-mail
Chat o mud privato
Uno
a
molti
(non
Ejournal, sito
Tele−lezione
invertibili)
Molti a molti (invertibili)
Mailing list, newsgroup
Chat, mud
E-mail. La lettera elettronica è probabilmente la forma di comunicazione più usata. Consiste
in un insieme di informazioni (che può comprendere parole, suoni, immagini, filmati, files) che
viene inviato da un computer ad un altro.
Ejournal. I giornali elettronici sono periodici di varia natura che vengono automaticamente
spediti alle caselle di posta elettronica di chi ha sottoscritto un abbonamento ad essi.
Sito. I siti sono luoghi in cui viene conservato un certo insieme di informazioni di vario
genere, che può essere consultata spesso liberamente, talvolta a pagamento.
Tele−lezione. Si tratta di un tipo di comunicazione poco diffuso in rete. Consiste in una
lezione o conferenza scritta, oppure filmata che viene trasmessa in tempo reale a quanti sono
interessati ad assistervi.
Mailing list. Le mailing list sono liste di indirizzi di posta elettronica. Di solito queste liste
raccolgono un insieme di persone interessate ad uno stesso argomento. Gli iscritti possono inviare
i propri interventi a tutti gli indirizzi della lista e ricevono gli interventi spediti dagli altri.
Newsgroup. Un newsgroup è molto simile ad una mailing list, l’unica differenza è che gli
interventi vengono spediti tutti ad un computer centrale che li rende poi disponibili a quanti siano
interessati a leggerli.
Chat. Le chat sono luoghi in cui è possibile comunicare (usando esclusivamente la tastiera)
con tutti quelli che sono collegati in quel momento. Gli scambi sono di solito pubblici e vengono
visualizzati contemporaneamente sugli schermi di tutti i partecipanti. Tuttavia due o più individui
possono scegliere di dialogare in una ‘stanza’ privata.
Mud. I mud (multi usage dungeons/dimentions) sono abbastanza simili alle chat, ma hanno
la particolarità di ambientare le conversazioni in una dimensione virtuale, costruita (in parte dai
partecipanti, in parte dai programmatori del mud) esclusivamente attraverso descrizioni scritte.
6
Capitolo primo: Text-based − l’assenza dei linguaggi non verbali.
La CMC è text-based: ogni contenuto comunicato deve necessariamente essere tradotto in
una sequenza di simboli scelti tra quelli che si trovano su una tastiera standard. In una
conversazione FTF (face to face) informale ordinaria, molti linguaggi concorrono alla costruzione
del contenuto: oltre alla componente verbale trascrivibile, entrano in gioco componenti di tipo
auditivo (tono, intonazione, pause, ritmo) e visivo (espressione del volto, gioco degli sguardi,
gestualità, posizione). Nella CMC queste componenti non sono esprimibili, i contenuti sono
interamente veicolati dalla parola scritta.
Si tratta di una differenza essenziale. Nella conversazione FTF i linguaggi non verbali
svolgono una funzione fondamentale: ad essi è affidata la metacomunicazione, la comunicazione
sulla comunicazione. Al dominio della metacomunicazione appartengono contenuti quali i rapporti
di gerarchia e i ruoli dei partecipanti, la negoziazione del footing, del frame, del tipo di attività in
corso, la lotta per il dominio della conversazione, la definizione della situazione e delle identità.
Goffman sostiene che “in ogni situazione la comprensione è legata ad alcuni elementi non
necessariamente diretti alle comunicazioni verbali… esiste quindi un simbolismo del corpo, un
idioma dell’aspetto e dei gesti individuali, che tende a richiamare in chi agisce ciò che richiama
negli altri… mentre questi segni, al contrario del linguaggio, sembrano inadatti a messaggi
discorsivi estesi, paiono perfettamente adeguati a fornire informazioni sugli attributi sociali di chi
agisce, sul suo concetto di sé, degli altri e della situazione” (Goffman, 1963, pp. 35−37).
Nella CMC la trasmissione di questo genere d’informazione è problematica come
dimostrano tre evidenze. A) La netiquette (etichetta della rete, cfr. il capitolo terzo) suggerisce di
evitare tutte le forme di comunicazione obliqua (ironia, sarcasmo, iperbole) e in generale ogni
forma di sottigliezza comunicativa, dal momento che, in assenza di segnali non verbali, vengono
spesso fraintese. B) Non è possibile far pesare sulla CMC gli indizi della propria posizione nella
stratificazione sociale (genere, razza, modo di vestire). C) E’ molto difficile attuare quella serie di
meccanismi comunicativi (interruzioni, tono di voce sicuro, ironia) volti a conquistarsi una
posizione di forza “posizione up” nella conversazione (cfr. Mizzau, 1997).
I punti B e C possono servire anche a spiegare perché molti avvertano la CMC come
sostanzialmente paritaria e perché essa sia molto apprezzata soprattutto dalle persone timide e da
coloro che ricoprono posizioni sociali svantaggiate (donne, giovani, disabili, persone brutte,
appartenenti a gruppi marginali).
Naturalmente anche nella CMC esistono tecniche per squalificare la parola dell’interlocutore e chi
appartiene alle classi superiori trova comunque il modo di far pesare la sua posizione: “high status
individuals of either gender tended to send more message than low status ones.. when the group
gave participants a choice of anonymous posting, the same people tended to post, although a few
more low status participants sent in question and comments” (We, 1997). Tuttavia questa
sopraffazione comunicativa è fortemente ostacolata e, dovendo passare attraverso il linguaggio
verbale, la sua realizzazione è in qualche modo più manifesta e dunque più facile da combattere.
La metacomunicazione è una componente così necessaria alla costruzione di una interazione
che, una volta negate agli interlocutori le vie tradizionali dei linguaggi corporali non verbali, essi
hanno prontamente sviluppato nuove forme di espressione per i medesimi contenuti: “unable to
rely on physical cues as channel of meaning, users have developed ways of substituting for or
by−passing them, resulting in novel methods of textualising the non−verbal” (Reid, 1994) Da un
7
lato il linguaggio verbale, nella sua elasticità è stato in grado di assorbire gran parte di questa
informazione; dall’altro è stato inventato un nuovo sistema di segni: quello degli emoticons.
La lingua franca della CMC è sicuramente l’inglese, ma si tratta di un inglese pesantemente
modificato dal contesto della rete. Il lessico è stato notevolmente ampliato dall’introduzione di
nuovi termini, la grammatica ricalca più la scioltezza del parlato che la correttezza della lingua
scritta, proliferano le espressioni gergali e sono frequentissimi gli acronimi (cfr. il terzo capitolo).
Si tratta di una lingua molto diversa dall’inglese standard, di così difficile comprensione da
limitare fortemente l’accesso alla CMC dei newbie (i principianti della rete) facilmente
identificabili proprio per il loro modo di scrivere.
In rete è accessibile un dizionario “Cylex” di questa lingua, esso è stato compilato con l’intento
dichiarato di garantire a tutti pari accesso all’informazione e pari possibilità d’espressione: “since
slang is such a vital aspect of cyberspace life, anyone who couldn’t master it is effectively
excluded from large parts of the net. Moreover, the speed with which net slang evolves serves to
bar anyone who isn’t a net regular” (Electronic Frontier Foundation, 1998).
Questo dizionario viene aggiornato ogni sei−otto settimane, eppure gli autori ammettono che
questa periodicità non è sufficiente: milioni di persone che usano un linguaggio in milioni di
interazioni esercitano una pressione molto forte verso il cambiamento. Inoltre molti gruppi di
discussione e comunità virtuali costruiscono un proprio particolarissimo slang, che i membri
sentono come fortemente distintivo della propria identità di gruppo.
Un fenomeno molto interessante è quello degli emoticons (detti anche smiley). Massari
scrive della comunicazione elettronica che essa “non esprime, nelle inflessioni vocali tipiche del
parlare, i mutamenti d’umore; né rende la emozioni che, su una lettera tradizionale, si traggono
dalla forza e dalla intensità del tratto… il mezzo con il quale si tenta di ovviare a tutto ciò è lo
smiley” (Massari, 1996, p. 7). Gli emoticons sono un insieme di ‘faccine’ disegnate con i caratteri
della tastiera. I più famosi e diffusi sono i seguenti (per vederli occorre guardarli di lato,
appoggiando la testa sulla spalla sinistra) :− )
:− (
;− )
:− o che rappresentano
rispettivamente una faccia sorridente, una triste, una che strizza l’occhio e una con la bocca
spalancata.
Si tratta di un vero e proprio sistema semiotico. I più recenti censimenti affermano che esistono più
di novecento emoticons diversi e che costantemente ne vengono inventati di nuovi. I significati che
questi simboli assumono sono molto diversi a seconda dei contesti: possono servire a mostrare lo
stato d’animo dell’emittente (funzione tradizionalmente assegnata allo sguardo e all’espressione
del viso); a disegnare un ritratto sommario degli interlocutori (ad esempio questo emoticon 8− )
può essere usato per significare che si portano gli occhiali); a mostrare la propria disposizione
verso alcuni interlocutori in particolare (ad esempio strizzando l’occhio a qualcuno). Sono inoltre
il segnale convenzionale, prescritto dalla netiquette, per l’ironia, il sarcasmo e le altre forme di
comunicazione obliqua. Esistono moltissimi siti che propongono dizionari degli emoticons, ma
spesso essi hanno un significato ambiguo, contestuale e idiosincratico.
Esistono anche modi per rendere graficamente il tono di voce o l’intonazione: scrivere in
caratteri maiuscoli viene interpretato come urlare (AD ESEMPIO IN QUESTO MODO) e gli
asterischi servono a segnalare un’enfasi particolare su una parola (ad esempio in questo *modo*).
In rete sono frequenti le discussioni sull’opportunità di abolire o diffondere queste due
consuetudini, a dimostrazione che si tratta di un problema molto sentito. La netiquette (cfr. il
capitolo terzo) è tuttavia molto rigida rispetto a queste convenzioni apparentemente secondarie, la
loro importanza deriva dal fatto di essere gli unici, anche se insufficienti, sostituti dell’intonazione.
8
Capitolo secondo: L’identità plastica.
In quasi tutti i luoghi del mondo virtuale è garantito l’anonimato. Non si tratta
semplicemente della possibilità (quasi ovunque concessa) di non rivelare il proprio nome e
cognome, l’anonimato di cui si gode in rete va molto al di là di questo. Il fatto che la CMC sia
text−based rende gli interlocutori liberi di auto−attribuirsi, non solo qualsiasi nome li aggrada, ma
anche qualsiasi genere, età, nazionalità, appartenenza sociale, aspetto fisico. L’identità in rete è
una questione di scelta. Una scelta che non è sufficiente compiere una volta per tutte, ma che va
affrontata ad ogni nuova interazione comunicativa, che può essere ripetuta oppure stravolta con la
medesima facilità. In questo contesto l’Io assume una plasticità eccezionale rispetto al mondo
sensuale.
Il fenomeno dell’identità multipla è diffusissimo in rete. Non solo molte persone assumono
nel mondo virtuale un’identità molto diversa da quella che hanno nel mondo sensuale, ma spesso
alcune persone hanno molte e diverse identità in rete. Chi sia in grado di scrivere ad una velocità
media può gestire contemporaneamente almeno quattro chat private, in ognuna è possibile
mostrare una identità diversa e quindi assumere contemporaneamente quattro facce diverse. Ad un
gruppo di discussione si possono inviare interventi coerenti e firmati con lo stesso nome, ma nulla
vieta (almeno nella maggioranza dei newsgroup), di usare nomi diversi, stili diversi, di sostenere
idee opposte. L’unicità e la coerenza dell’Io non sono garantite in rete, è possibile, se si vuole,
mantenerle, ma non c’è niente che impedisca di fare il contrario.
Howard Rheingold, uno dei primi studiosi ad analizzare le comunità virtuali sostiene a proposito:
“we deliberately experiment with fracturing traditional notions of identity by living as multiple
simultaneous personae in different virtual neighborhoods… the way we use these words, the
stories (true and false) we tell about ourselves is what determines our identities in cyberspace…
and all this takes place on both public and private levels… front stage role−playing and backstage
behavior” (Rheingold, 1992).
Mondo sensuale e mondo virtuale non sono, per la maggior parte degli utenti della rete,
rigidamente separati: “the interviews revealed users’ needs for personal contact. Many of these
interview have shown that CMC is mostly some kind of beginning which is followed by normal
contacts in the sensual word” (Weinreich, 1997). Moltissimi usano la CMC come mezzo per
mantenere amicizie con persone conosciute in interazioni FTF, oppure per conoscere persone al
fine di incontrarle nel mondo sensuale. Il bisogno di alternare contatti virtuali e sensuali sembra
essere vivamente sentito dalla maggioranza del popolo della rete.
Tuttavia questa fusione dei due mondi non è obbligatoria, essa è molto più una questione di scelta.
Molti avvertono anche il bisogno opposto di tenere rigidamente separati alcuni ambiti della propria
vita in rete dal mondo sensuale. La possibilità (che l’anonimato rende facilmente accessibile) di
ridurre a zero le conseguenze nel mondo sensuale degli atti nel mondo virtuale è molto allettante,
perché permette una libertà di fare e soprattutto di dire che nella vita quotidiana è decisamente
negata.
Questa plasticità dell’Io e questa separazione tra identità virtuali e sensuali è spesso avvertita
come un elemento di protezione: “this may come for the sense of safety and empowerment they
feel… talking with people that they know can’t deck them if they say the wrong thing” (Coate,
1992). Il fatto che la comunicazione avvenga in un contesto in cui non è in discussione la propria
identità quotidiana, ma un’identità temporanea, che si può smettere in qualsiasi momento
9
semplicemente spegnendo il computer, consente di non prestare, alle conseguenze delle nostre
azioni, l’attenzione che richiederebbero nel mondo sensuale. Si avverte, in particolare, una certa
rilassatezza nelle norme di deferenza e di contegno, ciò produce due fenomeni molto tipici della
cultura del cyberspazio: l’intimità e i flames.
Il primo fenomeno è apparentemente paradossale, in un contesto comunicativo caratterizzato
da un’artificialità estrema della personalità e da una impossibilità di conoscere chi e quanti siano i
riceventi del messaggio, è straordinariamente facile trovare persone che comunicano cose
intensamente intime e personali. L’equivalente nel mondo sensuale potrebbe essere mettersi a
urlare in una piazza affollata i propri sentimenti ed emozioni. Un comportamento che nella
comunicazione sensuale potrebbe essere interpretato come sintomo di squilibrio mentale, nella
CMC appare invece appropriato e normale. Ciò avviene proprio perché nella CMC gli individui
sono più protetti dalla responsabilità di quello che dicono e possono quindi permettersi sfoghi
molto personali. Il fenomeno è così diffuso che la netiquette lo contempla, mettendo però in
guardia da un’eccessiva apertura: “ricorda che è sempre possibile che qualcuno che ti conosce nel
mondo sensuale venga a conoscenza di quello hai scritto” (Rinaldi, 1998).
Per quanto riguarda i flames essi sono uno dei rituali più importanti e più sentiti della cultura
virtuale. Un flame è un insulto. I flames sono frequentissimi nella CMC, spesso ad un flame ne
segue un altro e repentinamente si scatena una ‘flame war’, una vera e propria guerra di insulti che
può coinvolgere centinaia di persone e protrarsi per lungo tempo (se dura più di un anno viene
considerata ‘holy war’). Le caratteristiche dell’insulto virtuale sono insite già nel nome stesso
‘fiammata’ che rende bene l’idea della rappresentazione sociale associata a questo fenomeno
comunicativo: si tratta di un insulto improvviso, che esplode senza dare alcun segno
d’avvertimento e che si distingue per la sua estrema pesantezza e spesso per la sua originalità.
Nella maggior parte dei casi si tratta di insulti che nessuno pronuncerebbe mai nel mondo
sensuale, nel quale apparirebbero eccessivi: “la caratteristica dell’insulto rituale rispetto a quello
personale è che il primo appare eccessivo, iperbolico, quindi può essere meno lesivo di altre forme
di offesa” (Mizzau, 1997, p. 39).
La ragione di queste caratteristiche va cercata nelle modifiche che la nozione goffmaniana di
‘faccia’ incontra nel mondo virtuale. In rete le identità sono così passeggere che le persone non ci
sono affezionate. Un insulto in una chat non è rivolto ad una persona, ma ad una maschera che
questa si è posta temporaneamente e che è libera di togliersi quando vuole. Inoltre l’insulto, in
questo contesto, è libero dalle responsabilità e delle conseguenze che di solito lo seguono e quindi
può essere espresso con più leggerezza.
Questa somma di fattori rende l’attività di flame molto divertente e molto amata dal popolo della
rete. La stessa netiquette assume una posizione ambigua di fronte a questa attività: da un lato la
condanna severamente (perché, come vedremo nel prossimo capitolo, essa accresce il rumore), ma
dall’altro non si rassegna a metterla assieme agli altri disturbi della comunicazione. Non si tratta
infatti di un disturbo, ma di una liberatoria infrazione delle onnipervasive (nel mondo sensuale)
norme di deferenza e contegno. Un’infrazione che, fra l’altro, non ha conseguenze gravi per chi la
compie, né per chi ne è l’oggetto.
Il fenomeno delle firme virtuali (firme che molte persone includono sempre nei loro
messaggi) è particolarmente interessante, perché collega le considerazioni sulla identità alle
considerazioni, svolte nel primo capitolo, circa la mancanza di linguaggi non verbali. L’identità e
la personalità rientrano sicuramente tra quei contenuti che, nella conversazione FTF, sono espressi
solitamente tramite i linguaggi non verbali. Nella CMC la personalità trova spesso espressione
10
nella firma virtuale. Nel mondo sensuale la firma include il nome, il cognome, qualche svolazzo,
talvolta la qualifica professionale e raramente (per i più eccentrici) un minuscolo disegno. Le firme
virtuali sono molto più elaborate. Si estendono spesso su molte righe (dalle tre alle dieci e anche
più), possono comprendere oltre al nome e al cognome, anche l’indirizzo, o gli indirizzi, di posta
elettronica, la qualifica estesa e l’organizzazione a cui si appartiene. Non è raro che vi siano
complicati disegni di codici ASCII e/o brevi aforismi o citazioni. Qualcuno vi include anche
qualche link a siti che considera interessanti o significativi.
L’identità in rete è così effimera che si potrebbe credere che essa non abbia alcun valore.
Non è affatto così. In qualsiasi tipo di CMC (e soprattutto nelle forme sincrone) non è affatto
inusuale che gli interlocutori chiedano di specificare l’età, il genere, il lavoro, gli interesse e così
via, anche se è evidente che le risposte sono del tutto inattendibili. Nonostante nella maggioranza
dei casi le risposte siano false rispetto al mondo sensuale esse vengono assunte per vere (come
prescrive la netiquette). Mettere in dubbio l’identità virtuale di qualcuno è considerato molto
scortese: ognuno è libero di essere chi vuole e nessuno ha il diritto di contestare le sue scelte.
Questo genere di considerazioni mostra quanto sia indispensabile per la comunicazione una
qualche, anche convenzionale, definizione dell’identità degli interlocutori. Ciò non dovrebbe
sorprendere, se si pensa che l’enfasi posta sull’individuo è probabilmente la caratteristica più
distintiva della società occidentale moderna. Il mondo virtuale non sfugge al culto moderno
dell’Io, anzi ne è quanto mai influenzato. In rete, la stessa essenza dell’identità è considerata
dominio del libero arbitrio dell’individuo.
Un caso particolare, ma significativo, è quello dei mud. In questo contesto si è forzati ad
assumere una identità che si adatti all’ambientazione del sistema (nella grande maggioranza dei
casi si tratta di ambientazioni fantastiche). Se in un mud si comunica con un personaggio che
impersona un orco, bisogna dare per scontato che abbia le caratteristiche fisiche e psicologiche
dell’orco, anche se è grandemente probabile che, nel mondo sensuale, egli non lo sia realmente. La
rete è eccezionalmente adatta a questo genere di giochi di ruolo e questo spiega la grandissima
diffusione che in essa hanno i mud.
Nonostante quanto detto fino ad adesso circa la plasticità delle identità virtuali, si deve
rilevare che molte persone tendono ad adottare identità relativamente stabili, almeno per i contesti
comunicativi e relazionali che considerano più importanti. Chi scrive periodicamente ad un
newsgroup di solito utilizza sempre lo stesso nome, chi frequenta abitualmente una chat o un mud
tende a mantenere fissa la propria identità e il proprio pseudonimo. Senza una certa continuità dei
partecipanti (almeno di alcuni), non sarebbe possibile costruire una comunità. Senza la possibilità
di riconoscersi, non sarebbe possibile utilizzare il patrimonio delle interazioni passate, ogni
interazione sarebbe la prima, nella completa impossibilità di qualsiasi costruzione cumulativa. I
rituali passati possono svolgere la loro funzione unificante e costituire la base per i rituali futuri,
solo se chi vi ha partecipato è in grado di riconoscersi.
Il fatto che molte, moltissime persone rinuncino ai vantaggi e alla libertà di una identità fluttuante,
dimostra che in rete esiste il bisogno forte di creare comunità stabili, con confini netti. Nella
grande maggioranza dei casi queste comunità sono aperte a tutti, ma solamente quelli che vi
partecipano da abbastanza tempo, vengono riconosciuti come membri a tutti gli effetti. Solo nei
loro confronti il gruppo esprime forte solidarietà, garantisce sostegno e partecipazione emotiva,
concede credibilità e prestigio.
11
Capitolo terzo: L’eccesso d’informazione.
Goody e Watt (cfr Goody e Watt, 1963) mostrano come una delle principali conseguenze
prodotte dalla diffusione dell’alfabetizzazione sia una crescita straordinaria della quantità di
informazione. In una società basata sulla oralità le dimensioni del capitale culturale devono
necessariamente mantenersi all’interno dei limiti della capacità della memoria collettiva. E’ in atto
una sorta di processo omeostatico: ogni trasmissione orale, in quanto necessariamente associata ad
una interpretazione, altera, più o meno pesantemente, l’informazione trasmessa. Ad ogni
generazione molte informazioni vengono modificate e molte altre vengono dimenticate, in modo
da adattare la cultura alle variazioni del gruppo: “la memoria individuale medierà l’eredità
culturale in modo che i nuovi elementi di quest’ultima si adattino ai vecchi attraverso un processo
d’interpretazione… la funzione sociale della memoria − e dell’oblio − può così essere considerata
lo stadio finale di ciò che possiamo chiamare l’organizzazione omeostatica della tradizione nelle
società analfabete” (Goody e Watt, 1963, p. 364−365).
Con il passaggio ad una cultura scritta il messaggio assume una maggiore permanenza, rendendosi
indipendente sia dalla memoria che dalla trasmissione orale: “in assenza delle risorse di
adattamento e omissione inconscia… il repertorio culturale può soltanto crescere… questa
proliferazione senza limiti caratterizza la tradizione scritta in generale; le mere dimensioni del
repertorio letterario significano che la percentuale conosciutane dai singoli individui è
infinitesimale” (Goody e Watt, 1963, p. 387).
Eisenstein (cfr. Eisenstein, 1983) fa però giustamente notare che, fino all’invenzione della
stampa, permanenza ed indipendenza del messaggio vengono alquanto limitate dalla trasmissione
manoscritta, che impone restrizioni circa la quantità di copie di un libro, la quantità di libri copiati
e l’accuratezza della copia. La stampa a caratteri mobili produce una rivoluzione eccezionale
aumentando vertiginosamente la quantità di informazione scritta in circolazione:
“un’accumulazione continua di stampati presenta alcuni rischi (In passato si temeva l’appetito
vorace di Crono, oggi una capacità mostruosa di produrre pone più di una minaccia)” (Eisentein,
1983, p. 284).
Secondo la prospettiva di questi studiosi, due innovazioni tecnologiche della comunicazione
(la scrittura e la stampa) sono alla base del passaggio dalla preistoria alla storia e dalla storia alla
modernità. Se tale prospettiva è esatta, bisogna aspettarsi che la nuova innovazione tecnologica
della comunicazione, la rete, produca un cambiamento altrettanto epocale. La rete infatti
rivoluziona completamente le condizioni di trasmissione della informazione. In rete il messaggio è
potenzialmente eterno e può raggiungere un numero di persone straordinariamente grande.
La CMC elimina alle fondamenta il problema della duplicazione materiale. Per essere
diffuso il messaggio non ha più bisogno di essere duplicato, l’originale stesso è consultabile e alla
portata di tutti. Eliminata la necessità di duplicazione, il costo materiale della diffusione si riduce a
poco più di zero ed è un costo costante: che il messaggio sia ricevuto da una decina o da un
milione di persone non cambia le modalità né della produzione, né della diffusione. Inoltre il
messaggio è potenzialmente eterno perché la sua conservazione costa molto poco e non pone
nemmeno problemi di spazio. La rete è la più grande biblioteca esistente e nel futuro non potrà che
ampliarsi sempre di più con l’accumulo successivo delle informazioni.
A questo incredibile aumento della potenza e della permanenza del messaggio si aggiunge
un altrettanto incredibile aumento del numero di emittenti. Nel mondo dell’editoria stampata e
12
della televisione la produzione del messaggio è riservata ad una élite ristretta di professionisti. I
mezzi di comunicazione di massa classici hanno una natura fortemente verticale. L’essere ‘di
massa’ riguarda soltanto il lato della ricezione non quello della emissione. Invece la CMC è
naturalmente orizzontale: non solo la ricezione, ma anche l’emissione è ‘di massa’. La
pubblicazione in rete è molto più semplice e meno costosa della pubblicazione stampata, chiunque
(o quasi) può farsi editore di se stesso e rendere il suo messaggio disponibile a un numero di
persone molto maggiore di quello che potrebbe raggiungere la distribuzione di una casa editrice
tradizionale.
Goody e Watt rilevano che il passaggio ad una trasmissione scritta non riguarda tutti i tipi di
messaggio, molta parte della cultura continua a passare attraverso le interazioni orali FTF:
“dobbiamo tenere conto del fatto che nella nostra civiltà la scrittura è chiaramente una aggiunta,
non una alternativa alla trasmissione orale” (Goody e Watt, 1963, p. 398). La rete promette di
cambiare anche questo, nella misura in cui, in essa, qualsiasi interazione comunicativa avviene in
forma scritta e può pertanto essere conservata.
Sia Goody e Watt sia la Eisenstein mostrano quali e quante siano le conseguenze positive di
un aumento della potenza del messaggio, ma non nascondono che tale aumento ha anche un
risvolto problematico: l’eccesso di informazione. Per quanto riguarda la CMC la questione si fa
ancora più grave. Fino all’invenzione della rete la minaccia maggiore alla comunicazione era
costituita dal rumore (qualsiasi forma di disturbo nella trasmissione): se il rapporto rumore /
informazione era troppo alto la comunicazione falliva. Oggi la più grande minaccia alla
comunicazione è l’informazione stessa.
In rete c’è troppa informazione e troppo pochi modi per filtrare, selezionare, individuare
quale informazione ci interessa. Non è un caso che i programmi più essenziali per la navigazione
in rete siano i motori di ricerca (programmi che individuano tutti i siti in cui sono presenti alcune
parole specificate dall’utente), ma i motori di ricerca sono insufficienti. Un mezzo di ricerca molto
più efficace può essere costituito dai newsgroup, che spesso sono creati proprio per questo scopo:
un certo numero di persone, che condivide un certo interesse per un certo tipo di informazioni, si
accorda affinché chi le recupera le metta a disposizione del gruppo (preferibilmente riassunte
quanto più possibile). Tuttavia anche questa soluzione, che poteva andare bene per i primi anni
della rete, diventa sempre meno capace di confrontarsi con l’espansione crescente del cyberspazio.
L’eccesso di informazione è un problema fortemente sentito come può mostrare un’analisi
anche superficiale delle rappresentazioni sociali collegate alla rete. La rappresentazione più diffusa
tra il popolo della rete (ma anche nel mondo sensuale) è quella del ‘mare’ o dell’ ‘oceano’.
Un’immensa distesa di informazioni in cui ‘pescare’ l’informazione che ci serve. La ricerca delle
informazioni diventa una sorta di ‘navigazione’ in cui è facile ‘smarrirsi’, ‘perdere la bussola’ o
addirittura ‘naufragare’. Il mare è anche un nozione a cui si associa l’ ‘avventura’. Legata a tale
dimensione avventurosa è la rappresentazione della rete come zona di ‘frontiera’, con specifico
riferimento alla frontiera americana e quindi al ‘far west’ e alla ‘prateria’. Tuttavia la
rappresentazione che meglio descrive l’eccesso di informazione è quella della ‘torre di Babele’.
Sicuramente meno frequente, ma altrettanto significativa è la rappresentazione del ‘labirinto’. La
situazione dell’individuo rispetto a questa situazione è spesso rappresentata come una
‘indigestione’ di informazioni che rende necessaria una rigida ‘dieta’.
13
L’eccesso di informazioni è un problema centrale nell’esperienza del popolo della rete. La
netiquette è nata per risolvere, o almeno per attenuare, tale problema. La netiquette è un fenomeno
molto interessante. Essa è l’etichetta, il galateo, della CMC: un complesso insieme di regole che il
popolo della rete ha sviluppato spontaneamente, per ordinare e strutturare i propri rituali
comunicativi. L’incredibile vastità e omogeneità della diffusione di tali norme dimostra l’esistenza
e la compattezza di una cultura della rete. Trasgredire tali norme vuol dire caratterizzarsi
immediatamente come ‘esterno’, come ‘straniero’, e comporta spesso dure sanzioni comunicative.
La ‘golden rule’, ovviamente inespressa, che sta alla base della netiquette è ‘non fornire
informazioni inutili, pensa due volte prima di scrivere qualcosa’ o più in generale ‘non parlare
troppo’. Da questa derivano tutte le altre regole, non solo quelle capitali (‘sii conciso’, ‘rimani in
tema, non divagare’, ‘se riporti qualcosa, riassumi’, ‘non ripetere’) ma anche quelle particolari
riguardanti specifiche questioni di stile (‘usa frasi brevi’, ‘dai agli interventi che spedisci ad un
newsgroup un titolo significativo, così che chi legge possa sapere se quello che scrivi gli interessa
o no anche senza leggere tutto l’articolo’, ‘la tua firma digitale non superi le quattro righe’ [si
ricordi quale valore ha per l’identità virtuale tale firma], ‘mantieni le flame war ad un livello
gestibile’).
Sono soprattutto due gli errori da evitare nella CMC: spedire ‘chain letters’ e ‘spammare’.
Queste due azioni rappresentano i due più orrendi misfatti, che si possano compiere in rete. Chi se
ne macchia si procurerà facilmente la più pesante delle sanzioni della rete, l’esilio dal mondo
virtuale, l’espulsione da ogni gruppo sociale telematico.
Le ‘chain letters’ o lettere a catena sono un fenomeno non limitato al solo mondo virtuale: si
tratta di lettere che chiedono a chi le riceve di essere copiate e rispedite a dieci persone diverse che
a loro volta dovranno decuplicare la catena. Se questo genere di lettera ha conseguenze gravi, ma
controllabili nel mondo della posta fisica, quando si associa alla facilità della posta elettronica,
diventa assolutamente distruttivo.
‘To spam’ in inglese o ‘spammare’ è un verbo creato ‘ad hoc’ per un fenomeno esclusivo
della rete. ‘Spam’ è la marca di un tipo di carne in scatola e il verbo si riferisce all’effetto che si
ottiene versando tale vitello in gelatina in un ventilatore in azione. Non è un caso che la
rappresentazione sia così orribile, l’azione di ‘spammare’ in rete lo è considerata altrettanto.
‘Spammare’ vuol dire distribuire pubblicità non richiesta, inviandola per posta elettronica. Un
computer medio impiega meno di dieci secondi a spedire una lettera. Una azienda con una decina
di computer potrebbe, in brevissimo tempo, inviare pubblicità a tutti i milioni di utenti di cui
conosce l’indirizzo (trovare liste di indirizzi non è difficile). E’ comprensibile che la cosa non sia
apprezzata.
La necessità di mantenere entro limiti accettabili il flusso d’informazione è così pressante da
provocare un allentamento delle regole di deferenza e contegno del mondo sensuale (già allentate,
come detto nel capitolo secondo, dalla plasticità delle identità virtuali) soprattutto riguardo
aperture e chiusure. I saluti che, nel mondo sensuale, sono un elemento fondamentale per aprire
una conversazione e mostrare deferenza, sono invece avvertiti come inutili e quindi spesso omessi
nel mondo virtuale. Chi entra in una chat saluterà genericamente e brevemente tutti, è cattiva
netiquette rispondergli. Se si vuole fare un saluto ad una persona in particolare bisogna farlo
‘chattando in privato’, chi esce da una chat saluterà ancora genericamente, ma non è necessario
farlo. In un newsgroup o in una mailing−list si deve invece evitare ogni tipo di saluto.
14
Le aperture, nel mondo sensuale, sono particolarmente problematiche perché devono essere, quasi
in ogni caso accettate: “la partecipazione ad un impegno faccia−a−faccia può essere segno di
vicinanza sociale; quando questa opportunità viene offerta non dovrebbe mai essere rifiutata”
(Goffman, 1963, p. 106). In rete invece le aperture possono essere rifiutate, senza bisogno di
alcuna giustificazione, e le chiusure possono essere anche molto brusche, ciò non viene
considerato particolarmente scortese.
L’incredibile ampliamento, reso possibile dalla rete, dell’informazione disponibile ha avuto
due conseguenze opposte sulla questione della diversità sociale (diversificazione dei contatti). Da
un lato molte persone sono entrate in contatto con sottoculture molto diverse dalla propria,
stimolando, in rete, un clima di cosmopolitismo e di tolleranza (una regola fondamentale della
netiquette recita ‘sii aperto, ricorda che stai comunicando con il mondo’). D’altro lato la CMC
permette a molte persone di chiudersi entro gli angusti confini del proprio gruppo di interesse,
spesso concentrato su un tema ristrettissimo.
Un’altra minaccia all’estensione della diversità sociale proviene da alcune tendenze
monopolistiche fortemente presenti nel mercato dei computer. Mi riferisco particolarmente alla
Microsoft (e agli altri marchi ad essa associati) il cui monopolio nel campo dell’informatica è
soffocante. Recentemente la Microsoft è stata messa sotto accusa, proprio nel campo del software
per la navigazione in rete, per il suo ultimo scorretto tentativo di cancellare la concorrenza:
regalare il suo browser (programma di navigazione) ‘Explorer’ per schiacciare le altre case
produttrici di browser. La questione non è ancora stata risolta legalmente, tuttavia sono evidenti i
rischi che si corrono lasciando il controllo del mezzo di comunicazione del prossimo futuro nelle
mani di una sola azienda.
15
Capitolo quarto: La stratificazione nei gruppi virtuali.
Il popolo della rete è attraversato da due principali linee di stratificazione: la stratificazione
in base al potere e la stratificazione in base al prestigio. La prima è nettissima anche se è
difficilmente individuabile. Il potere è nelle mani di chi possiede l’hardware. Navigando nel
mondo virtuale, è facile dimenticare che esso si fonda su un supporto materiale, che esiste nel
mondo sensuale (ed è costituito dall’insieme dei computer che contengono e fanno circolare le
informazioni e dai collegamenti tra di essi). Tale supporto non è incluso nella rappresentazione
sociale della rete, tuttavia senza di esso la rete non esisterebbe.
L’accesso alla rete non è libero e non è diretto. E’ necessario passare attraverso un ‘server’,
ovvero un computer di servizio che funzione da tramite tra il terminale e la rete. Chi possiede il
server possiede molti poteri sulle persone che si connettono attraverso quel server: può controllare
le informazioni che questi consultano; i siti che visitano; le lettere che scrivono e che ricevono;
concedere o revocare l’accesso di un utente.
Un potere simile è attribuito a chi possiede i computer che contengono gli interventi di un
newsgroup, di un mud o di una chat (diverso è invece il caso delle mailing-list in cui non esiste un
computer centrale). I ‘system manager’ possono leggere anche gli scambi privati; tagliare o
modificare gli interventi o addirittura decidere di non pubblicarli; possono decidere chi può
intervenire e chi no e quali argomenti possono essere trattati. Alcuni gruppi hanno
istituzionalizzato la figura del ‘moderatore’, con la funzione di leggere per primo tutti gli interventi
e pubblicare solo quello che ritiene adeguato. Il moderatore, che potrebbe apparire come un inutile
censore, è invece indispensabile, in alcuni gruppi, al fine di limitare l’eccesso di informazione di
cui detto al capitolo terzo.
In rete c’è molta discussione circa le limitazioni che dovrebbero essere poste a questi poteri,
anche perché la legislazione in materia è ancora insufficiente e confusa. In generale però, sia i
proprietari dei server che i ‘system manager’ si rendono conto che l’utilizzo dei poteri di cui
dispongono avrebbe un effetto distruttivo e si astengono dall’usarli, seguendo una netiquette
specifica, tesa a minimizzare l’influenza di questi poteri: “as a manager of an online environment
you have a lot of clout, should you choose to weild it, so you need to be almost reassuring to
people that you aren’t interested in such heavy−handed control practices” (Coate, 1992)
La stratificazione in base al prestigio è molto più evidente. La distribuzione del prestigio è
una questione complicata per la natura stessa della rete. Per spiegarla bisogna prima chiarire cosa
significa avere una presenza in rete. Per essere presenti in rete non basta essere fisicamente
collegati a qualche nodo d’ingresso. La presenza è una questione sociale, nel mondo virtuale,
molto più che in quello sensuale. Per poter affermare di essere presenti in un luogo è necessario
che la cosa sia riconosciuta anche da qualcun altro, bisogna essere notati. Questo è vero sia nel
mondo virtuale che in quello sensuale, ma è tanto più rilevante per il primo nella misura in cui, in
esso, è possibile, anzi è estremamente facile essere invisibili.
Nove decimi (se non più) dell’utenza della rete è costituita da ‘lurkers’. Vengono definiti
‘lurkers’ (guardoni) quelli che partecipano alla CMC sempre solo come riceventi e mai anche
come emittenti: “most people who uses online services don’t post any comments. They lurk. In the
world of online services theory the lurker/poster ratio is one of the indicators. Ten or more lurkers
for every poster is common” (Coate, 1992). I ‘lurkers’, pur costituendo la schiacciante
maggioranza dei connessi, non fanno parte del popolo della rete, né di alcuna comunità virtuale.
16
Nei confronti dei ‘lurkers’ gli altri utenti hanno un atteggiamento ambivalente: da un lato li
disprezzano, perché essi non danno nessun contributo alla crescita della cultura virtuale; dall’altro
li accettano di buon grado, perché essi non incrementano il flusso di informazioni (non è un caso
che non esista alcuna regola della netiquette che sconsigli di essere ‘lurker’).
Queste considerazioni sulla presenza in rete possono essere dimostrate una breve analisi
delle sanzioni che possono essere comminate in una comunità virtuale. La sanzione più leggera
(per i motivi spiegati nel capitolo due) è il flame. La successiva sanzione è l’essere ignorati. Segue
la perdita del diritto di parola: se il gruppo ritiene che gli interventi di una persona siano
informazione inutile o rumore non si farà scrupoli a revocare a quella persona la possibilità di
scrivere. L’ultima e definitiva sanzione è l’espulsione dalla comunità, la perdita del diritto di
parlare e di ascoltare. Si tratta di una sanzione molto grave che viene usata raramente. In casi
eccezionalmente estremi per violazioni molto gravi (‘spam’, ‘chain letters’, attività illegali) è
anche possibile perdere l’accesso alla rete.
Il prestigio è ovviamente cosa diversa dalla presenza. Essere notati non basta, bisogna essere
notati molto, da molti e per molto tempo: bisogna avere una ‘presenza stabile’. Avere una presenza
stabile, in uno o più luoghi della rete, significa condurre e aver condotto un numero molto alto di
interazioni comunicative e quindi essere riconoscibile per molte persone: “I don’t acquire a net
presence if they go looking for evidence of me on the net, or simply send them a long series of net
messages. Rather I acquire my presence by evidence of me appearing on their screens in a
remark−worthy variety of different connections” (Agre, 1994).
E’ evidente che, per guadagnare prestigio virtuale, è necessario usare una identità stabile (cfr.
quanto detto nel secondo capitolo) e soprattutto un nome stabile. Il prestigio si sviluppa
naturalmente all’interno delle comunità virtuali (mud, chat, newsgroup, mailing−list). I membri di
più vecchia data, quelli che hanno condotto il maggior numero di comunicazioni riuscite, hanno
guadagnato una posizione di forza.
Il prestigio è una risorsa molto importante nel mondo virtuale per due motivi: 1) in rete è
difficile far sentire la propria voce a causa della vastità del flusso d’informazioni; 2) nella CMC
per la mancanza di linguaggi non verbali è molto difficile far valere la propria posizione sociale,
per garantirsi una posizione forte nella conversazione. Chi ha prestigio in una comunità è sicuro
che quello che scriverà sarà letto da molti; che il livello d’aspettativa nei suoi confronti è molto
alto; che le valutazioni del suo intervento saranno positive; che il suo punto di vista sarà tenuto in
grande considerazione. Il prestigio è una moneta che si può spendere per avere la meglio in una
conversazione o per far valere le proprie opinioni in un dibattito o in una scelta di gruppo.
A questa categoria di privilegiati si oppone quella dei ‘newbies’ (principianti). Con il
termine ‘newbie’, il più delle volte usato in accezione dispregiativa, ci si riferisce ai nuovi arrivati
del popolo della rete. Costoro sono facilmente riconoscibili per gli errori che commettono e per la
loro ignoranza delle norme della rete, del suo stile, delle sue usanze, del suo lessico, dei suoi
processi. L’atteggiamento nei confronti dei ‘newbies’ è spesso spietato. Con i loro errori da
principianti essi rischiano di inceppare il meccanismo della CMC e questa è una colpa che
raramente viene perdonata. Invano la netiquette invita ad essere tolleranti e ad insegnare ai
‘newbies’ come comportarsi. Chi comincia a vivere in rete deve prepararsi ad una durissima fase
di addestramento.
17
E’ molto interessante notare come questo tipo di stratificazione sia stata istituzionalizzata nei
mud. In genere nei mud esistono quattro categorie di giocatori: a) i ‘guests’ (visitatori); b) i
personaggi; c) i ‘wizards’ (maghi) e d) i ‘gods’ (dei).
I ‘guests’ sono coloro che ancora non sono entrati stabilmente a far parte del mud, ma che lo
esplorano, prima di decidere se sottoscriversi o no. Molto spesso possono visitare soltanto alcuni
luoghi e compiere poche azioni, talvolta non hanno nemmeno un nome e una descrizione che li
identifichi.
Il gradino successivo è divenire personaggi acquisendo un nome ed una descrizione stabile. I
personaggi costituiscono la gran parte della popolazione di un mud e hanno poteri che variano di
mud in mud.
Un gradino più in alto ci sono i ‘wizards’, l’aristocrazia di un mud, che possiede molto più
prestigio e molto più potere dei personaggi (i maghi possono ad esempio modificare l’ambiente in
cui si svolge l’azione anche molto pesantemente). In alcuni mud per diventare ‘wizard’ bisogna
essere investiti da un ‘god’, sulla base del proprio comportamento, in altri bisogna totalizzare un
certo (di solito piuttosto alto) numero di punti, in entrambi i casi bisogna raggiungere un certo
grado di prestigio.
Infine, il vertice della piramide del potere è occupato dai ‘gods’, i creatori e gli operatori del
sistema (corrispondenti ai system manager di cui detto all’inizio di questo capitolo) che godono di
poteri illimitati o quasi sul mondo in cui si svolge l’azione e sulla popolazione del mud (cfr. Reid,
1994).
18
Bibliografia
AGREE, P.
1994 “Net presence”. All'indirizzo http://www.december.com
BANAUDI, G.
1994
La bibbia del modem. Padova: Franco Muzio Editore.
BODEI, R.
1996
“La comunicazione nel V secolo dell’era globale”. All'indirizzo
http://www.mediamente.rai.it
COATE, J.
1992
“Cyberspace innkeping: bulding online comunity”. All'indirizzo http://www.eff.org
DAMER, B.
1996
“Sherwood City”. All'indirizzo http://www.mediamente.rai.it
DOISE, W.
1984
“Rappresentazioni sociali, esperimenti intergruppi e livelli di analisi”. In R. M. Farr e S.
Moscovici (a cura di), Social representations. Cambridge: Cambridge University Press.
(Trad. it. Rappresentazioni sociali. Bologna: Il Mulino, 1989).
DURKHEIM, E.
1912
Les formes élémentaires de la vie religieuse. Parigi: F. Alcan. (Trad. it. Le forme
elementari della vita religiosa. Milano: Comunità. 1963).
EISESTEIN.
1983
The printing revolution in the early modern Europe. Cambridge: Cambridge University
Press. (trad. it. Le rivoluzione del libro. Bologna: Il Mulino, 1995).
ELECTRONIC FRONTIER FOUNDATION.
1998
“Cylex”. All'indirizzo http://www.eff.org
FERRI, P.
1997
“La comunità virtuale”. All'indirizzo http://www.mediamente.rai.it
GOFFMAN, E.
1963
Behavior in public places. Glencoe: The Free Press. (Trad. it. Il comportamento in
pubblico. Torino: Einaudi, 1971).
GOFFMAN, E.
1967
Interaction ritual. New York: Doubleday. (Trad it. Il rituale dell’interazione. Bologna: Il
Mulino, 1988)
GOODY, J e WATT, I.
1963
“The consequence of Literacy”. In Comparative studies in society and history, V,
pp.304−345.
LEVANDER, M.
1994 “A cyberspace gang fans the flames of the internet”. All'indirizzo http://www.eff.org
LEVY, P.
1995
“L’intelligenza collettiva”. All'indirizzo http://www.mediamente.rai.it
19
LIVINGOOD, J.
1995 “Revenge of the introverts”. All'indirizzo http://www.december.com
MASSARI, G. (a cura di)
1996
Smiley. Viterbo: Millelire Stampa Alternativa.
MCADAMS, M.
1996
“Gender without bodies”. All'indirizzo http://www.december.com
MIZZAU, M.
1997
“Strategie comunicative. Tra consenso e conflitto”. Bologna: dispensa del corso di
psicologia della comunicazione.
MOSCOVICI, S.
1984 “Il fenomeno delle rappresentazioni sociali”. In R. M. Farr e S. Moscovici (a cura di),
Social representations. Cambridge: Cambridge University Press. (Trad. it.
Rappresentazioni sociali. Bologna: Il Mulino, 1989).
REID, E.
1994
“Cultural formations in text−based virtual realities”. All'indirizzo http://www.eff.org
RHEINGOLD, H.
1992
“A slice of my life in my virtual community”. All'indirizzo http://www.eff.org
RINALDI, A. (a cura di)
1998
“The net: user guidelines and netiquette”. All'indirizzo
http://www.fau.edu/rinaldi/netiquette.html
ROSNAY, J.
1995 “Il cybionte”. All'indirizzo http://www.mediamente.rai.it
SHANNON e WEAVER
SHEA, V. (a cura di)
1998
“Netiquette home page”. All'indirizzo http://www.albion.com/netiquette
SILKER, C.
1995 “Examinig community in cyberspace”. All'indirizzo http://www.december.com
TRENTIN, G. (a cura di)
1996
Didattica in rete. Roma: Garamond.
WE, G.
1997
“Cross−gender communication in cyberspace”. All'indirizzo http://www.eff.org
WEINREICH, F.
1997 “Estabilishing a point of view toward virtual communities”. All'indirizzo
http://www.december.com
WRIGHT, R.
1993
“Overhearing the internet”. All'indirizzo http://www.eff.org
20
Scarica