La Via Simbolica - Associazione Italiana Psicologi

Bernardo Nante
Guida alla lettura del Libro Rosso di C. G. Jung
Bollati Boringhieri, Torino 2012 - pagg. 29-31
La Via Simbolica
[…]
E noto che, almeno agli inizi delle proprie formulazioni teoriche, Jung
considera il mito dell'eroe una delle espressioni simboliche universali più
adatte a chiarire il processo di individuazione.7 Di fatto, l'eroe si abbandona a un'avventura affascinante e terribile, si addentra nei recessi più
oscuri delle proprie insicurezze, affronta potenze numinose con cui combatte e si riconcilia, creando così una personalità più ampia. Dapprima
l'eroe può contare solo su se stesso, sulla debole coscienza individuale,
ma via via che l'avventura prosegue si manifesta in modo sempre più evidente la presenza di una guida, uno «spirito superiore», un daimòn, che
costituisce una coscienza più alta, una coscienza capace di imporsi sulla
contingenza degli avvenimenti e cogliere il senso latente costellato in un
determinato momento. Già in Libido. Simboli e trasformazioni (1912)
Jung sottolinea che gli eroi, per esempio Gilgamesh, Dioniso, Eracle,
Mitra ecc, sono viaggiatori o, per meglio dire, «erranti», in quanto l'errante è un simbolo del desiderio che non trova mai dove saziarsi, poiché
non è in grado di liberarsi dalla nostalgia della madre perduta, ovvero
dall'inconscio, dall'indifferenziato.8 La storia della coscienza descrive,
in certo modo, l'arduo cammino eroico di separazione dall'inconscio, ma
Jung sottolinea che con l'eroe o il daimòn la libido lascia la sfera dell'impersonalità e adotta una forma umana:
la figura dell'essere che passa dal dolore alla gioia e dalla gioia al dolore e che, pari al
sole, ora sta allo zenit, ora è immerso nelle tenebre della notte, donde risorge a novello
splendore.9
Jung alimenta il proprio studio con le opere di Otto Rank, il quale già
nel 1909 dava un'interpretazione psicoanalitica del mito dell'eroe, e soprattutto gli studi di Leo Frobenius, antropologo diffusionista, che in un
volume del 1904 vedeva nell'eroe il protagonista di un mito solare.10 Nel
corso dei suoi numerosi viaggi Frobenius aveva raccolto e sintetizzato
un'enorme quantità di esempi che condividevano la stessa struttura: l'eroe viene ingoiato a ovest da un mostro marino, che va con lui verso est;
7Sul mito dell'eroe cfr. Hugo Francisco Bauzà, Elmito del heroe. Morfologia y semantica de la
figura heroica, Fondo de Cultura Economica, Buenos Aires 1998.
8 Compare qui l'idea dell'errante: «Das Wanders ist ein Bild der Sehnsucht». Cfr. Libido
(1912), Pp. 186-87: «II viaggiare è un'immagine della nostalgia», che corrisponde a Simboli della
trasformazione (1952), O] 5, p. 206: «L'andare errando è immagine dell'anelito incoercibile [...], del
desiderio senza sosta che mai trova il suo oggetto, della ricerca della madre perduta».
9
Simboli della trasformazione (1952), OJ 5, p. 173; cfr. Libido (1912), p. 158. Cfr. Erich
Neumann, Storia delle origini della coscienza (1949), trad. it., Astrolabio, Roma 1978.
10 Cfr. Otto Rank, limito della nascita dell'eroe. Un'interpretazione psicologica del mito
(1909), tfad. it., SugarCo, Milano 1987; Leo Frobenius, Das Zeitalterdes Sonnengottes, Reimer, Berlin
1904.
l'eroe accende un fuoco nel ventre dell'animale e si ciba di un pezzo del
suo cuore; giunti sulla costa, inizia a squarciare l'animale dall'interno; ne
sguscia fuori e, a volte, libera anche tutti coloro che erano stati inghiottiti
in precedenza.11 Il carattere solare dell'eroe, che corrisponde alla tensione
della libido verso la coscienza, sarebbe indicato dallo sprofondamento nel
ventre materno e dall'incubazione che qui ha luogo per poi raggiungere
l'Oriente, la luce. Ora, sia nell'opus teorico di Jung sia nel Liber novus
l'impresa è squisitamente interiore. Pertanto il modello che meglio descrive il processo di individuazione è quello dell'iniziazione, l'impresa
eroica che causa un mutamento ontologico. In questo senso l'eroe deve
superare uno dei peccati più gravi - forse l'unico - ovvero l'ignoranza:
Una più profonda conoscenza psicologica indica addirittura che non si può assolutamente
vivere senza peccare «cogitatione, verbo et opere» [in pensieri, parole e opere]. Solo
un uomo estremamente ingenuo e ignaro può credere di potersi sottrarre al peccato. La
psicologia non può più concedersi illusioni infantili come questa, ma deve obbedire alla
verità e anzi constatare che l'ignoranza non solo non è una giustificazione, ma addirittura
costituisce uno dei peccati più gravi.12
L'eroe è costretto dalla sua stella, il suo daimòn, a compiere un viaggio
destinato a rimanere un mero vagabondare senza meta se egli non comprenderà che, di fatto, si tratta di un pellegrinaggio. Tuttavia, a causa
delle interpretazioni banalizzanti cui è stato sottoposto il mito dell'eroe,
è fondamentale anticipare qui la natura peculiare assunta dalla questione
all'interno del Liber novus. In altre parole, se si vuole parlare di mito
dell'eroe o di pellegrinaggio nel Liber novus, bisogna precisare almeno i
due concetti seguenti.
1. Per quanto nel tradizionale mito dell'eroe siano individuabili de
terminate tappe e strutture, l'essenza del mito e dei suoi simboli non
ammette alcuna schematizzazione. La New Age ha fatto una parodia
del mito e del simbolo in generale, in modo tale che, per esempio, l'eroe
compie gesta prevedibili, è sottoposto a prove trite e la sua redenzione è
un misero simulacro, poiché si limita a una soddisfazione illusoria per un
Io mediocre. Del resto la decadenza spirituale postmoderna non è priva
di precedenti e lo stesso Liber novus attesta la degradazione moderna del
simbolo, tipica di un razionalismo disincantato o di una devozione superficiale. Così, per esempio, nel capitolo XVII del Liber secundus i
personaggi inscenano una parodia di un momento del Parsifal. Qui
l'archetipo è declassato a stereotipo e il simbolo a mero simulacro.
2. Il Liber novus rappresenta una variante, o forse un approfondimento,
del mito tradizionale dell'eroe, e in quanto tale ne permette l'attualizza11
12
Simboli della trasformazione (1952), OJ 5, p. 211; cfr. Libido (1912), p. 192.
Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo (1958/1959), OJ 10/2, p. 209.
zione. L'eroe è chiamato a «uccidere l'eroe», ad abbandonarsi alle tenebre, all'«assurdo», ma non in qualità di «antieroe», bensì come un'incombenza necessaria per proseguire il cammino senza appoggi. Se si vuole,
questo eroe del «senso superiore» (Ubersinn) è una sintesi peculiare di eroe
(«senso», Sinn) e antieroe («assurdo», Widersinn). E se ciò può essere visto,
fino a un certo punto, come una variante alchemica del mito dell'eroe (il
drago è l'eroe, l'eroe è il drago), la meta stessa dell'impresa eroica non è
predeterminata, poiché il protagonista, questo strano eroe che è l'Io, deve
abbandonarsi a situazioni inaspettate e in modo altrettanto inaspettato farsene carico. In questo senso il pellegrino è, per paradosso, un vagabondo,
poiché si attiene a ciò che si presenta inaspettatamente sulla sua strada, che
è tentazione, prova, guida e, infine, meta. A ogni passo questo strano eroe
accoglie parte di ciò che gli appare e al tempo stesso se ne differenzia. Se,
per esempio, ad apparirgli è il «Diavolo» in una delle sue forme, e gli reca la
gioia della danza e l'istintività, egli ne accoglie una parte senza identificarsi
con essa, integrandola - per così dire - nella propria «serietà». E, giacché la
sfida è continua e il metodo di risoluzione imprevedibile, l'immaginazione
non ammette restrizioni, ma dispiega la propria creatività con una potenza
travolgente e insondabile.
In L'Io e l'inconscio (1928) Jung annota:
La via della funzione trascendente è un destino individuale. Neppure bisogna credere che
una simile via sia identica a un'anacoresi psichica, a un'evasione dalla vita e dal mondo.13
Si tratta, cioè, di accettare tutto quanto si da nella psiche e nel mondo
come espressione di una vita che necessita della coscienza per essere
completa. D'altra parte il testo stesso avverte che non si tratta di una
via per lo scansafatiche, e che la conoscenza apportata dal processo rimane inaccessibile a chi imbocca la strada che lo riconduce alla Chiesa
e, parimenti, a chi ripone le proprie speranze nel mondo della Scienza.
L'abbandonarsi a un destino unico, che va accettato in un modo unico,
è espresso magnificamente nel Liber novus:
L'astro della tua nascita è una stella errante e mutevole.
Son questi, o figlio dell'avvenire, ì miracoli che testimonieranno che sei un vero Dio. 14
Il messaggio fondamentale del Liber novus consiste, dunque, nell'affermare che questo Dio si rinnova in modo unico e irripetibile in ciascun
individuo. Il rischio, per l'uomo contemporaneo, è che si intenda tale carattere unico, tale singolarità, come un richiudersi nell'Io, quando in realtà
a essere «unico» è l'abbandono dell'Io a una personalità più grande, il Sé.
13
14
L'Io e l'inconscio (1928), OJ 7, p. 221.
LP, cap. vili, il concepimento del Dio, p. 243.