I (1) momenti salienti dell’Epitafio pericleo Thuc. II 35-46 - 1 ’ ’ ’ ’ I (2) momenti salienti dell’Epitafio pericleo Thuc. II 35-46 - 2 ’ I (3) momenti salienti dell’Epitafio pericleo Thuc. II 35-46 - 3 ’ ’ I (1)bis momenti salienti dell’Epitafio pericleo Tucidide, II 35-46 - 1 Da quale prassi siamo arrivati a queste imprese militari, e con quale costituzione, e da quali modi di vita risultarono grandi cose, dopo aver chiarito innanzitutto questo procederò Ci serviamo infatti di una costituzione che non imita le leggi dei vicini, ma siamo noi modello ad alcuni, più di quanto non imitiamo gli altri. Quanto al nome si chiama demokratía, per il fatto di non reggersi a pochi (es olígous), ma a maggioranza (es pleíonas); di fronte alle leggi, però, tutti hanno parte uguale in ordine alle divergenze private; e, secondo la valutazione che si riceve (katà dè tèn axíosin), se qualcuno in qualcosa eccelle, non viene scelto per le funzioni pubbliche in base alla sua parte di ricchezze, più che in base alle sue qualità, né, d’altro canto, viene ostacolato dall’oscurità del suo rango sociale, se è in grado di rendere qualche buon servizio alla città E invero anche con l’intelligenza abbiamo trovato moltissime occasioni di riposo dalle fatiche, usando farlo con gli agoni e con i sacrifici religiosi che si tengono durante tutto l’anno, e anche con le belle abitazioni private, il cui godimento quotidiamo scaccia il dolore . I (2)bis momenti salienti dell’Epitafio pericleo Tucidide, II 35-46 - 2 (39, 1) Ci distinguiamo poi anche nelle pratiche militari dei nemici in queste cose. Da un lato infatto offriamo la città da condividere, dall’altro non si verifica che con espulsioni di stranieri impediamo a qualcuno un’informazione o la vista di qualcosa che se non rimanesse nascosta potrebbe portare vantaggio a uno dei nemici che l’avesse vista, dato che abbiamo fiducia non nelle installazioni o negli inganni più di quel che invece fidiamo nella nostra forza d’animo rispetto alle azioni militari; nell’educazione, gli altri subito fin da fanciulli cercano con un esercizio faticoso (epíponos áskesis) di raggiungere un carattere virile, mentre noi, pur vivendo rilassatamente, nondimeno affrontiamo pericoli dello stesso peso. (…) (4) Eppure, se noi siamo disposti ad affrontare pericoli più col prendere le cose con spensieratezza (rhathymía) che con un esercizi faticosi, e non vogliamo affrontare questi rischi in base a leggi costrittive più che con innate qualità di valore, da questo fatto ci deriva il vantaggio di non affaticarci prima del tempo in relazione ai dolori che stanno per sopravvenire, e di non apparire, quando li affrontiamo, meno audaci di coloro che stanno sempre a soffrire, (…). I (3)bis momenti salienti dell’Epitafio pericleo Tucidide II 35-46 - 3 Amiamo il bello senza sprechi, e ci dedichiamo alla cultura, senza che questo comporti mollezza: della ricchezza ci serviamo più per occasione di lavoro che non per vanteria di discorso, e il riconoscere di esser povero non è vergognoso per alcuno, quello che è vergognoso è di non sfuggire alla povertà con il lavoro. (2) Nelle stesse persone c’è la cura al medesimo tempo delle faccende private e di quelle politiche, agli altri che sono volti soprattutto al lavoro è consentito che conoscano le cose politiche in maniera soddisfacente: noi siamo i soli a considerare colui che non ha parte alcuna a queste cose come un uomo non tranquillo, ma inutile. Le medesime persone hanno cura sia delle cose private sia di quelle pubbliche, e pure è possibile, per altri vòlti agli érga [=attività produttive], ciascuno ad érga diversi, conoscere non difettosamente le cose politiche. Noi Ateniesi siamo i soli a considerare colui che non ha parte alcuna a queste cose come un uomo non tranquillo, ma inutile, e decidiamo quanto meno, o ponderiamo, le questioni [pubbliche], ritenendo che non le [pubbliche] discussioni siano un danno per l'azione, ma semmai il non essere istruiti dal dibattito prima di affrontare i nostri compiti. 41 (1) Dirò, in breve, che la città nostra è, nel suo complesso, una viva scuola per la Grecia. Non solo, ma in particolare mi sembra che ogni cittadino, educato alla nostra scuola, acquisti una personalità completa, agile all'esercizio degli impegni più diversi, con elegante disinvoltura. Non è questo puro splendore di parole, degno dell'occasione attuale, ma effettiva realtà. Lo mostra la potenza della nostra città, acquisto di tali metodi di vita. II (1) Thuc. I 107 II (2) Thuc. I 107 IIbis Tucidide, I 107 In questo periodo gli Ateniesi cominciarono a costruire le lunghe mura che conducevano al mare, rispettivamente in direzione del Falero e del Pireo. (2) Poiché i Focesi avevano fatto una spedizione contro la Doride, che è la madrepatria dei Dori, e precisamente contro Boion, Citinio e Erineo, e avevano catturato uno di questi piccoli centri, i Lacedemoni accorsero in aiuto dei Dori con millecinquecento opliti dei loro e diecimila degli alleati, al comando di Nicomede, figlio di Cleombroto, che sostituiva il re Plestianatte, figlio di Pausania, che era ancora giovane: costrinsero i Focesi a restituire la città sulla base di un accordo e si apprestavano a ritornare. (3) Quanto a una ritirata per mare, se avessero voluto compiere la traversata del golfo di Crisa, gli Ateniesi, che con delle navi avevano compiuto il periplo del Peloponneso, li avrebbero impediti; d’altra parte, il passaggio attraverso le alture di Gerania non sembrava loro sicuro, dal momento che gli Ateniesi occupavano Megara e Pege: la zona di Gerania, infatti, era difficilmente praticabile ed era sorvegliata in permanenza dagli Ateniesi, i quali- essi se ne rendevano conto- in quella occasione avrebbero bloccato anche questa via. (4) Decisero, pertanto, di restare in Beozia e di vedere in quale modo avrebbero potuto passare con la massima sicurezza. Inoltre, li invitavano di nascosto in questo senso anche alcuni Ateniesi, che speravano di mettere fine al regime democratico e alla costruzione delle lunghe mura. (5) Ma gli Ateniesi accorsero in massa contro di loro insieme a mille Argivi e a vari contingenti degli altri alleati: complessivamente erano quattordicimila. (6) Fecero questa spedizione contro di loro perché ritenevano che essi non sapessero da quale parte passare e un po’ anche per il sospetto che si volesse abbattere il regime democratico. III (1) Plut. Cim. 4, 4-10 FGrHist 107 F 4 fr III (2) Plut. Cim. 4, 4-10 PLG IIIbis Plutarco, Vita di Cimone, 4, 4-10 (…) Dunque, Milziade fu condannato a una multa di cinquanta talenti e incarcerato fino al pieno pagamento del debito, morendo così in prigione. Cimone, rimasto orfano mentre era ancora proprio un ragazzo, con la sorella ancor giovane e nubile, nei primi tempi era screditato agli occhi della città e aveva la brutta fama di dissoluto e beone, non diverso d’indole dal nonno Cimone, che per la sua dabbenaggine dicono fosse soprannominato Coalemo. (5) Stesimbroto di Taso, all’incirca coevo di Cimone, dice che non apprese la musica, anzi non imparò nessuna delle arti liberali e tipiche dei Greci; che mancava completamente dell’abilità e della scorrevolezza di parola proprie degli Attici; che il suo temperamento era molto nobile e franco, e la disposizione del suo spirito piuttosto peloponnesiaca, semplice, spoglio, bravo in ciò che importa, Al modo dell’Eracle euripideo: possiamo fare quest’aggiunta a ciò che ha scritto Stesimbroto. (6) Da giovane fu accusato di avere rapporti con la sorella; e invero Elpinice ha fama di essere stata una donna dissoluta, fra l’altro mantenendo una relazione disonesta anche col pittore Polignoto: ed è per questo, dicono, che nel dipingere le donne troiane nel portico, che allora si chiamava Pisianatteo, ed ora Pecile, Polignoto modellò il volto di Laodice su quello di Elpinice. (…) (8) C’è chi dice che Elpinice non convisse con Cimone in modo occulto, ma pubblicamente, da lui sposata, nell’impossibilità di avere, per la sua povertà, uno sposo degno della nobile stirpe. Quando però Callia, ricco ateniese, s’innamorò di lei e si fece avanti dicendosi pronto a versare all’erario la multa del padre, essa ne fu persuasa e Cimone accasò Elpinice con Callia. (9) Comunque, in generale, risulta chiara la propensione di Cimone all’amore per le donne. Asteria, una originaria di Salamina, e una non meglio nota Mnestra sono menzionate come oggetto delle sue brame dal poeta Melanzio in un’elegia scherzosa dedicata a Cimone; (10) ed è chiaro che Cimone fu più che innamorato della sua legittima moglie Isodice, figlia di Eurittolemo e nipote di Megacle, e che fu straziato dalla sua morte, se si deve dar credito alle elegie scritte per lui a sollievo di tanto lutto. IV Nep. Cim. 1 Huius coniugii cupidus Callias quidam, non tam generosus quam pecuniosus, qui magnas pecunias ex metallis fecerat, egit cum Cimone, ut eam sibi uxorem daret: id si impetrasset, se pro illo pecuniam soluturum. Is cum talem condicionem aspernaretur, Elpinice negavit se passuram Miltiadis progeniem in vinclis publicis interire, quoniam prohibere possit, seque Calliae nupturam, si ea, quae polliceretur, praestitisset. IVbis Cornelio Nepote, Vita di Cimone, 1 Un certo Callia, uomo non tanto nobile, quanto ricco, che aveva fatto molti soldi con le miniere, desideroso di sposare costei, trattò con Cimone per averla in moglie: se l’avesse ottenuta, avrebbe pagato lui la multa al suo posto. Cimone non ne voleva sapere di un tale patteggiamento, ma Elpinice disse che non avrebbe permesso che la stirpe di Milziade si estinguesse in un carcere dello stato, dato che poteva impedirlo e che avrebbe sposato Callia se avesse dato quello che prometteva. V (1) Arist. Ath. Pol. 26 (I) . V (2) Arist. Ath. Pol. 26(II) Vbis Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 26 (1) Questo fu dunque il modo in cui il Consiglio dell’Areopago perse le sue funzioni di governo. Accadde poi che la politica subisse un rilassamento maggiore per le passioni sfrenate dei demagoghi. A quei tempi infatti le persone dabbene non avevano neppure una guida, perché alla loro testa c’era Cimone figlio di Milziade, troppo inesperto [neóteron/notrhóteron/eneóteron?] e arrivato tardi alla politica; inoltre la maggior parte di loro erano morti in guerra. Allora infatti il servizio militare si faceva secondo l’elenco degli opliti e venivano eletti strateghi uomini inesperti di guerra ma onorati per la gloria dei loro antenati; perciò ogni volta che partivano, morivano in due o tremila, sicché le persone dabbene fra il popolo e fra i ricchi venivano sprecate. (2) Si amministrava ogni cosa senza più tenere conto delle leggi come prima; tuttavia non venne toccata l’elezione dei nove arconti. Ma cinque anni dopo la morte di Efialte decisero di prendere anche dagli zeugiti i candidati al sorteggio dei nove arconti, e il primo di loro ad entrare in carica fu Mnesitide. Tutti i suoi predecessori provenivano dai pentecosiomedimni, mentre gli zeugiti esercitavano le funzioni ordinarie, tranne in casi di inadempienza alle leggi. (3) Quattro anni dopo, sotto l’arcontato di Lisicrate, furono ristabiliti i trenta giudici dei demi. (4) E due anni più tardi, sotto Antidoto, a causa del grande numero di cittadini, su proposta di Pericle decisero di negare i diritti politici a chi non fosse nato da entrambi i genitori cittadini. (trad. G. Lozza) ( ( ( ) ) VI. Plut. Per. 37, 2-6 VIbis Plutarco, Vita di Pericle, 37, 2-6 Dopo avergli espresso il proprio rammarico per l’ingratitudine mostratagli, il popolo gli affidò di nuovo la direzione dello stato e lo elesse stratego. Pericle allora chiese che venisse abrogata la legge sui figli illegittimi, che egli stesso in passato aveva proposto, affinché il suo nome e la sua stirpe non si spegnessero per mancanza di discendenza. (3) Riguardo a questa legge la situazione era la seguente: molti anni prima, quando Pericle era al culmine della sua carriera politica e aveva, come si è detto, dei figli legittimi, aveva fatto votare una legge in base alla quale dovevano essere considerati cittadini solo i figli nati da padre e da madre ateniesi. (4) E quando il re d’Egitto mandò in dono al popolo di Atene quarantamila medimni di grano e si dovette distribuirli ai cittadini, molti processi furono intentati in forza di quella legge nei confronti di illegittimi, dei quali, sino ad allora, o non si era saputo nulla o non ci si era occupati. E molti furono perseguiti ad opera di delatori. In seguito a tale selezione poco meno di cinquemila persone vennero discriminate, mentre quelli che conservarono la piena cittadinanza e furono considerati Ateniesi puri risultarono complessivamente quattordicimila quaranta. (5) Pur essendo cosa difficile che una legge, così severamente applicata ai danni di tante persone, venisse abrogata proprio da colui che l’aveva proposta, tuttavia le sciagure che avevano allora colpito Pericle negli affetti familiari furono giudicate punizione sufficiente della sua antica superbia e sicurezza e volsero a compassione l’animo degli Ateniesi, i quali ritennero che Pericle, già equamente punito dagli dèi, meritasse l’aiuto degli uomini. Gli concessero perciò di iscrivere nelle fratrie il figlio bastardo e di dargli il suo nome. Questi, più tardi, dopo la battaglia navale delle Arginuse contro i Peloponnesiaci, fu condannato a morte dal popolo, insieme con gli altri strateghi. (trad. Anna Santoni) VII. Aristoph. Av. 1649-1670 ; ; ; ; « » ; ; VII bis Aristofane, Gli Uccelli, 1649-1670 PI. (…) Dell'eredità di tuo padre, per legge a te non tocca assolutamente nulla: sei un bastardo, non un suo figlio legittimo. ER. Un bastardo? Che dici? PI. Sì, lo sei, per Zeus, dal momento che sei nato da una straniera. O come pensi che Atena, sua figlia, potrebbe essere sua ereditiera se avesse fratelli legittimi? ER. E se mio padre, alla sua morte, mi lascia il suo patrimonio come legato, a beneficio del figlio bastardo? PI. La legge non glielo consente. Questo Posidone, che ora ti sta sobillando, sarà il primo a contestarti l'eredità paterna, dicendo che è lui il fratello legittimo. Ma voglio recitarti anche la legge di Solone: "Un bastardo non ha diritto all'eredità se ci sono figli legittimi. E se non ci sono figli legittimi, il patrimonio spetta ai parenti più stretti". ER. Dunque, a me non spetta nulla del patrimonio di mio padre? PI. Assolutamente nulla, per Zeus. Ma dimmi: tuo padre ti ha mai presentato ai membri della fratria? ER. No, non l'ha mai fatto. È da tempo che me ne stupivo. VIII. Schol. Aeschin. 1.39 = Eumelos, FGrHist 77 F2 . VIIIbis F2 Scolio a Aeschin. 1.39 = Eumelo, FGrHist 77 Eumelo il peripatetico nel terzo libro sulla commedia antica dice che un certo Nicomene fece varare un decreto secondo cui nessuno di quelli dopo l'arcontato di Euclide partecipassero della cittadinanza, se non avesse dimostrato che entrambi i suoi genitori erano cittadini, mentre quelli prima di Euclide fossero lasciati senza verifica. IX. Athen. XIII 38, 577b-c IXbis Ateneo, Deipnosofisti XIII 38, 577b-c L'oratore Aristofonte poi, colui che aveva introdotto la legge durante l'arcontato di Euclide per cui chi non fosse nato da una cittadina fosse uno spurio, di lui stesso fu svelato dal commediografo Calliade che aveva avuto figli dall'etera Coregide, come narra lo stesso Caristio nel terzo libro degli Hypomnemata. X. Arist. Ath. Pol. 42, 1 X bis Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 42, 1 L'organizzazione attuale della costituzione è la seguente. Partecipano al governo coloro che sono nati da entrambi i genitori con pieni diritti di cittadinanza, e a 18 anni vengono iscritti nelle liste dei demoti. (trad. Giuseppe Lozza) XI. Ael. var. hist. 6, 10 XI bis Eliano, Storia Varia, 6, 10 Pericle, che era stratego, propose agli Ateniesi una legge per cui se uno per caso non si trovasse ad essere di provenienza da due entrambi cittadini, per costui non ci fosse parte della cittadinanza. Ma certamente lo perseguì la la vendetta della legge. Infatti i due figli che lui aveva, Paralo e Santippo, morirono per via della malattia generale; lui invece fu lasciato solo potendo contare solo sui bastardi, i quali dunque non avevano parte alla cittadinanza sulla base della legge paterna. XII. Ael. var. hist. 13, 24 XII bis Eliano, Storia Varia, 13, 24 E Pericle propose che non fosse ateniese colui che non fosse nato da due entrambi cittadini. In seguito, avendo perso i figli, fu lasciato solo, a contare solo sul figlio bastardo Pericle. È chiaro che anche Pericle voleva delle cose ma gliene capitarono altre. XIII. (…) Plut. Per. 10, 3-5 XIIIbis Plutarco, Vita di Pericle, 10, 3-5 (…) e gli Ateniesi furono presi da un terribile rimorso e da un grande rimpianto di Cimone, tanto più che non solo erano stati sconfitti sui confini dell'Attica, ma si aspettavano una dura guerra per la primavera seguente. Resosi conto di questo, Pericle non esitò a conciliarsi l'animo della moltitudine, e, firmato egli stesso il decreto, richiamò Cimone ad Atene; questi, tornato dall'esilio, ristabilì la pace tra le due città. Gli Spartani infatti erano ben disposti verso di lui, tanto quanto erano ostili a Pericle e agli altri della fazione democratica. (4) Alcuni dicono però che Pericle non firmò il decreto di richiamo di Cimone se non dopo aver stipulato con lui un accordo segreto tramite Elpinice, sorella di Cimone; in base a tale accordo Cimone sarebbe partito con 200 navi e avrebbe assunto il comando delle operazioni fuori dalla Grecia per sottomettere i paesi soggetti al re di Persia, mentre Pericle avrebbe mantenuto il governo della città. (trad. Anna Santoni) XIV. Plut. Per. 11, 1-4 XIVbis Plutarco, Vita di Pericle 11, 1-4 Cimone morì alla testa dell’esercito a Cipro. Gli aristocratici, che già da tempo vedevano che Pericle era il più autorevole dei cittadini, volendo che ci fosse in città qualcuno che gli si contrapponesse limitandone l’influenza, perché non ci fosse un potere completamente personale, gli sollecitarono contro Tucidide di Alopece, un uomo equilibrato, parente di Cimone, che di Cimone era meno dotato per la guerra, ma era più politico, e più abile come oratore: rimanendo in città e polemizzando con Pericle dalla tribuna, presto ristabilì equilibrio nell’azione politica. (2) Non permise infatti che i cosiddetti ottimati si mescolassero e si confondessero, come prima, con il popolo, e che perciò la loro dignità si sminuisse nella massa, ma li separò dagli altri e fatto un sol fascio del loro consistente potere, li rese l’elemento di equilibrio, come in una bilancia. (3) Nella società c’era fin da principio una specie di frattura nascosta, come avviene nel ferro ove sia una bolla d’aria, che segnava la differenza tra il partito aristocratico e quello democratico, ma la contesa e l’ambizione di quei due, operando una spaccatura molto profonda in città, fece sì che una parte si chiamasse “popolo” e l’altra “i pochi”. (4) In quel momento Pericle governava soprattutto con la ricerca del favore popolare, e lasciava la briglia al popolo, organizzando continuamente in città una cerimonia o un banchetto pubblico o una processione, divertendo la gente con spettacoli non volgari; ogni anno mandava fuori sessanta triremi sulla quali per otto mesi prestavano servizio, retribuiti, molti cittadini, che così esercitavano l’arte della marineria e vi si impratichivano. (trad. D. Magnino, lievem. modific.) XV. Theop. FGrHist 115 F 88 « ». XVbis Teopompo, FGrHist 115 F 88 Teopompo nel decimo libro delle Storie filippiche, riguardo a Cimone dice: “quando ancora non erano trascorsi cinque anni (dal momento dell’ostracismo), avvenendo una guerra conto i Lacedemonii, il dêmos fece chiamare Cimone ritenendo che a causa della sua prossenia nel modo più veloce quello avrebbe realizzato la pace, e quello giunto in città mise fine alla guerra”. XVI. Diod. XI 86 XVIbis Diodoro, XI 86 Sotto l'arconte Aristone ad Atene i Romani nominarono consoli Quinto Fabio Vibuliano e Lucio Cornelio Quiritino. Sotto questi, ci fu una tregua tra gli Ateniesi e gli Spartani di cinque anni, avendola composta, questa tregua, l’ateniese Cimone. XVII Plut. Cim. 14, 3-5 XVIIbis Plutarco, Vita di Cimone, 14, 3-5 • Poiché, a quanto si pensava, di là avrebbe potuto facilmente assalire la Macedonia e ritagliarne una bella fetta, ma non volle farlo, venne accusato di essersi lasciato subornare con doni dal re Alessandro, e fu processato, con i suoi nemici coalizzati contro di lui. (...) (5) Stesimbroto ricorda, di questo famoso processo, che Elpinice andò a supplicare per Cimone alla porta di Pericle, il più accanito dei suoi Accusatori, il quale le disse sorridendo: «Sei vecchia, troppo vecchia, Elpinice, per portare a buon fine queste missioni»; però in tribunale fu molto benevolo verso Cimone e si alzò una volta sola per accusarlo, come puro scarico di coscienza. • (trad. Carlo Carena) XVIII. Plut. Per. 28, 4-7 ‘ fr D XVIIIbis Plutarco, Vita di Pericle, 28, 4-7 • Pericle, sottomessa Samo, tornò ad Atene, celebrò solenni onoranze funebri per i cittadini caduti in guerra e pronunciò, come è costume, un discorso sulle loro tombe, suscitando la generale ammirazione. (5) Ma quando scese dalla tribuna, mentre le altre donne gli stringevano la mano e gli cingevano il capo di corone e di nastri, come ad un atleta vittorioso, Elpinice si accostò a lui e gli disse: (6) «Bella la tua impresa, Pericle, e degna di corone! Hai fatto morire tanti nostri valorosi cittadini non in una guerra contro i Fenici o contro i Medi, come mio fratello Cimone, ma per sconfiggere una città confederata, e per di più affine alla nostra stessa stirpe». (7) A queste parole si dice che Pericle abbia risposto citando, con un tranquillo sorriso, il verso di Archiloco: Vecchia come sei, non dovresti profumarti di unguenti. XIX. Crater. FGrHist 342 F4 (Harpocr. s. v. (...) « » ) XIXbis Cratero, FGrHist 342 F4 (Arpocrazione, s. v. ) (...) I nautodíkai erano una magistratura ateniese. Dunque, Cratero nel quarto libro de I decreti dice: «Qualora un individuo nato da genitori entrambi stranieri tenti di iscriversi ad una fratria, sia lecito perseguirlo in giudizio a chiunque fra gli Ateniesi aventi diritto lo desideri; quindi venga processato l'ultimo giorno del mese di fronte ai nautodíkai ». XX. Plut. Coniugalia praecepta 33, Mor. 142e . XXbis Plutarco, Precetti coniugali 33, Moralia 142e I ricchi e i re che onorano i filosofi conferiscono credito a se stessi e a quelli; i filosofi che invece che si mettono al servizio dei ricchi non li rendono gloriosi, ma piuttosto rendono se stessi ingloriosi. Questo avviene anche riguardo alle donne. Se si sottomettono ai loro mariti, infatti, vengono lodate; ma se vogliono comandare, disonorano se stesse ancor più di quelli che si lasciano comandare. L’uomo deve comandare sulla donna, non come padrone su possesso, bensì come anima su corpo, in sintonia d’affetti e connaturato in una disposizione benevola. Come dunque è possibile prendersi cura del corpo senza essere schiavo dei piaceri e dei desideri, così è possibile comandare su una donna con disposizione . Le Lunghe Mura e il Pireo Antela e Delfi . Smirne Lebedo Micale Miunte . ..