I (1)
momenti salienti dell’Epitafio pericleo
Thuc. II 35-46 - 1
’
’
’
’
I (2)
momenti salienti dell’Epitafio pericleo
Thuc. II 35-46 - 2
’
I (3)
momenti salienti dell’Epitafio pericleo
Thuc. II 35-46 - 3
’
’
I (1)bis
momenti salienti dell’Epitafio pericleo
Tucidide, II 35-46 - 1
Da quale prassi siamo arrivati a queste imprese militari, e con quale
costituzione, e da quali modi di vita risultarono grandi cose, dopo aver
chiarito innanzitutto questo procederò
Ci serviamo infatti di una costituzione che non imita le leggi dei vicini, ma
siamo noi modello ad alcuni, più di quanto non imitiamo gli altri. Quanto al
nome si chiama demokratía, per il fatto di non reggersi a pochi (es olígous), ma
a maggioranza (es pleíonas); di fronte alle leggi, però, tutti hanno parte uguale
in ordine alle divergenze private; e, secondo la valutazione che si riceve (katà
dè tèn axíosin), se qualcuno in qualcosa eccelle, non viene scelto per le funzioni
pubbliche in base alla sua parte di ricchezze, più che in base alle sue qualità,
né, d’altro canto, viene ostacolato dall’oscurità del suo rango sociale, se è in
grado di rendere qualche buon servizio alla città
E invero anche con l’intelligenza abbiamo trovato moltissime
occasioni di riposo dalle fatiche, usando farlo con gli agoni e con i sacrifici
religiosi che si tengono durante tutto l’anno, e anche con le belle abitazioni
private, il cui godimento quotidiamo scaccia il dolore
.
I (2)bis
momenti salienti dell’Epitafio pericleo
Tucidide, II 35-46 - 2
(39, 1) Ci distinguiamo poi anche nelle pratiche militari dei nemici in queste
cose. Da un lato infatto offriamo la città da condividere, dall’altro non si
verifica che con espulsioni di stranieri impediamo a qualcuno
un’informazione o la vista di qualcosa che se non rimanesse nascosta
potrebbe portare vantaggio a uno dei nemici che l’avesse vista, dato che
abbiamo fiducia non nelle installazioni o negli inganni più di quel che invece
fidiamo nella nostra forza d’animo rispetto alle azioni militari;
nell’educazione, gli altri subito fin da fanciulli cercano con un esercizio
faticoso (epíponos áskesis) di raggiungere un carattere virile, mentre noi, pur
vivendo rilassatamente, nondimeno affrontiamo pericoli dello stesso peso. (…)
(4) Eppure, se noi siamo disposti ad affrontare pericoli più col prendere le
cose con spensieratezza (rhathymía) che con un esercizi faticosi, e non
vogliamo affrontare questi rischi in base a leggi costrittive più che con innate
qualità di valore, da questo fatto ci deriva il vantaggio di non affaticarci
prima del tempo in relazione ai dolori che stanno per sopravvenire, e di non
apparire, quando li affrontiamo, meno audaci di coloro che stanno sempre a
soffrire, (…).
I (3)bis
momenti salienti dell’Epitafio pericleo
Tucidide II 35-46 - 3
Amiamo il bello senza sprechi, e ci dedichiamo alla cultura, senza che questo
comporti mollezza: della ricchezza ci serviamo più per occasione di lavoro che non per
vanteria di discorso, e il riconoscere di esser povero non è vergognoso per alcuno, quello
che è vergognoso è di non sfuggire alla povertà con il lavoro. (2) Nelle stesse persone c’è
la cura al medesimo tempo delle faccende private e di quelle politiche, agli altri che sono
volti soprattutto al lavoro è consentito che conoscano le cose politiche in maniera
soddisfacente: noi siamo i soli a considerare colui che non ha parte alcuna a queste cose
come un uomo non tranquillo, ma inutile. Le medesime persone hanno cura sia delle
cose private sia di quelle pubbliche, e pure è possibile, per altri vòlti agli érga [=attività
produttive], ciascuno ad érga diversi, conoscere non difettosamente le cose politiche. Noi
Ateniesi siamo i soli a considerare colui che non ha parte alcuna a queste cose come un
uomo non tranquillo, ma inutile, e decidiamo quanto meno, o ponderiamo, le questioni
[pubbliche], ritenendo che non le [pubbliche] discussioni siano un danno per l'azione,
ma semmai il non essere istruiti dal dibattito prima di affrontare i nostri compiti.
41 (1) Dirò, in breve, che la città nostra è, nel suo complesso, una viva scuola per la
Grecia. Non solo, ma in particolare mi sembra che ogni cittadino, educato alla nostra
scuola, acquisti una personalità completa, agile all'esercizio degli impegni più diversi,
con elegante disinvoltura. Non è questo puro splendore di parole, degno dell'occasione
attuale, ma effettiva realtà. Lo mostra la potenza della nostra città, acquisto di tali
metodi di vita.
II (1)
Thuc. I 107
II (2)
Thuc. I 107
IIbis
Tucidide, I 107
In questo periodo gli Ateniesi cominciarono a costruire le lunghe mura che
conducevano al mare, rispettivamente in direzione del Falero e del Pireo. (2) Poiché i
Focesi avevano fatto una spedizione contro la Doride, che è la madrepatria dei Dori,
e precisamente contro Boion, Citinio e Erineo, e avevano catturato uno di questi
piccoli centri, i Lacedemoni accorsero in aiuto dei Dori con millecinquecento opliti dei
loro e diecimila degli alleati, al comando di Nicomede, figlio di Cleombroto, che
sostituiva il re Plestianatte, figlio di Pausania, che era ancora giovane: costrinsero i
Focesi a restituire la città sulla base di un accordo e si apprestavano a ritornare. (3)
Quanto a una ritirata per mare, se avessero voluto compiere la traversata del golfo di
Crisa, gli Ateniesi, che con delle navi avevano compiuto il periplo del Peloponneso, li
avrebbero impediti; d’altra parte, il passaggio attraverso le alture di Gerania non
sembrava loro sicuro, dal momento che gli Ateniesi occupavano Megara e Pege: la
zona di Gerania, infatti, era difficilmente praticabile ed era sorvegliata in permanenza
dagli Ateniesi, i quali- essi se ne rendevano conto- in quella occasione avrebbero
bloccato anche questa via. (4) Decisero, pertanto, di restare in Beozia e di vedere in
quale modo avrebbero potuto passare con la massima sicurezza. Inoltre, li
invitavano di nascosto in questo senso anche alcuni Ateniesi, che speravano di
mettere fine al regime democratico e alla costruzione delle lunghe mura. (5) Ma gli
Ateniesi accorsero in massa contro di loro insieme a mille Argivi e a vari contingenti
degli altri alleati: complessivamente erano quattordicimila. (6) Fecero questa
spedizione contro di loro perché ritenevano che essi non sapessero da quale parte
passare e un po’ anche per il sospetto che si volesse abbattere il regime
democratico.
III (1)
Plut. Cim. 4, 4-10
FGrHist 107 F
4
fr
III (2)
Plut. Cim. 4, 4-10
PLG
IIIbis
Plutarco, Vita di Cimone, 4, 4-10
(…) Dunque, Milziade fu condannato a una multa di cinquanta talenti e incarcerato fino al pieno
pagamento del debito, morendo così in prigione. Cimone, rimasto orfano mentre era ancora proprio
un ragazzo, con la sorella ancor giovane e nubile, nei primi tempi era screditato agli occhi della città
e aveva la brutta fama di dissoluto e beone, non diverso d’indole dal nonno Cimone, che per la sua
dabbenaggine dicono fosse soprannominato Coalemo. (5) Stesimbroto di Taso, all’incirca coevo di
Cimone, dice che non apprese la musica, anzi non imparò nessuna delle arti liberali e tipiche dei
Greci; che mancava completamente dell’abilità e della scorrevolezza di parola proprie degli Attici;
che il suo temperamento era molto nobile e franco, e la disposizione del suo spirito piuttosto
peloponnesiaca,
semplice, spoglio, bravo in ciò che importa,
Al modo dell’Eracle euripideo: possiamo fare quest’aggiunta a ciò che ha scritto Stesimbroto.
(6) Da giovane fu accusato di avere rapporti con la sorella; e invero Elpinice ha fama di essere
stata una donna dissoluta, fra l’altro mantenendo una relazione disonesta anche col pittore
Polignoto: ed è per questo, dicono, che nel dipingere le donne troiane nel portico, che allora si
chiamava Pisianatteo, ed ora Pecile, Polignoto modellò il volto di Laodice su quello di Elpinice. (…)
(8) C’è chi dice che Elpinice non convisse con Cimone in modo occulto, ma pubblicamente, da lui
sposata, nell’impossibilità di avere, per la sua povertà, uno sposo degno della nobile stirpe. Quando
però Callia, ricco ateniese, s’innamorò di lei e si fece avanti dicendosi pronto a versare all’erario la
multa del padre, essa ne fu persuasa e Cimone accasò Elpinice con Callia. (9) Comunque, in
generale, risulta chiara la propensione di Cimone all’amore per le donne. Asteria, una originaria di
Salamina, e una non meglio nota Mnestra sono menzionate come oggetto delle sue brame dal
poeta Melanzio in un’elegia scherzosa dedicata a Cimone; (10) ed è chiaro che Cimone fu più che
innamorato della sua legittima moglie Isodice, figlia di Eurittolemo e nipote di Megacle, e che fu
straziato dalla sua morte, se si deve dar credito alle elegie scritte per lui a sollievo di tanto lutto.
IV
Nep. Cim. 1
Huius coniugii cupidus Callias quidam, non
tam generosus quam pecuniosus, qui
magnas pecunias ex metallis fecerat, egit
cum Cimone, ut eam sibi uxorem daret: id
si impetrasset, se pro illo pecuniam
soluturum. Is cum talem condicionem
aspernaretur,
Elpinice
negavit
se
passuram Miltiadis progeniem in vinclis
publicis interire, quoniam prohibere possit,
seque Calliae nupturam, si ea, quae
polliceretur, praestitisset.
IVbis Cornelio Nepote, Vita di Cimone, 1
Un certo Callia, uomo non tanto nobile, quanto
ricco, che aveva fatto molti soldi con le miniere,
desideroso di sposare costei, trattò con Cimone
per averla in moglie: se l’avesse ottenuta,
avrebbe pagato lui la multa al suo posto.
Cimone non ne voleva sapere di un tale
patteggiamento, ma Elpinice disse che non
avrebbe permesso che la stirpe di Milziade si
estinguesse in un carcere dello stato, dato che
poteva impedirlo e che avrebbe sposato Callia
se avesse dato quello che prometteva.
V (1)
Arist. Ath. Pol. 26 (I)
.
V (2)
Arist. Ath. Pol. 26(II)
Vbis
Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 26
(1) Questo fu dunque il modo in cui il Consiglio dell’Areopago perse le sue funzioni di
governo. Accadde poi che la politica subisse un rilassamento maggiore per le
passioni sfrenate dei demagoghi. A quei tempi infatti le persone dabbene non
avevano neppure una guida, perché alla loro testa c’era Cimone figlio di Milziade,
troppo inesperto [neóteron/notrhóteron/eneóteron?] e arrivato tardi alla politica;
inoltre la maggior parte di loro erano morti in guerra. Allora infatti il servizio
militare si faceva secondo l’elenco degli opliti e venivano eletti strateghi uomini
inesperti di guerra ma onorati per la gloria dei loro antenati; perciò ogni volta che
partivano, morivano in due o tremila, sicché le persone dabbene fra il popolo e fra i
ricchi venivano sprecate. (2) Si amministrava ogni cosa senza più tenere conto
delle leggi come prima; tuttavia non venne toccata l’elezione dei nove arconti. Ma
cinque anni dopo la morte di Efialte decisero di prendere anche dagli zeugiti i
candidati al sorteggio dei nove arconti, e il primo di loro ad entrare in carica fu
Mnesitide. Tutti i suoi predecessori provenivano dai pentecosiomedimni, mentre gli
zeugiti esercitavano le funzioni ordinarie, tranne in casi di inadempienza alle leggi.
(3) Quattro anni dopo, sotto l’arcontato di Lisicrate, furono ristabiliti i trenta
giudici dei demi. (4) E due anni più tardi, sotto Antidoto, a causa del grande
numero di cittadini, su proposta di Pericle decisero di negare i diritti politici a chi
non fosse nato da entrambi i genitori cittadini.
(trad. G. Lozza)
(
(
(
)
)
VI.
Plut. Per. 37, 2-6
VIbis
Plutarco, Vita di Pericle, 37, 2-6
Dopo avergli espresso il proprio rammarico per l’ingratitudine mostratagli, il popolo gli affidò di
nuovo la direzione dello stato e lo elesse stratego. Pericle allora chiese che venisse abrogata la
legge sui figli illegittimi, che egli stesso in passato aveva proposto, affinché il suo nome e la sua
stirpe non si spegnessero per mancanza di discendenza. (3) Riguardo a questa legge la situazione
era la seguente: molti anni prima, quando Pericle era al culmine della sua carriera politica e
aveva, come si è detto, dei figli legittimi, aveva fatto votare una legge in base alla quale
dovevano essere considerati cittadini solo i figli nati da padre e da madre ateniesi. (4) E quando
il re d’Egitto mandò in dono al popolo di Atene quarantamila medimni di grano e si dovette
distribuirli ai cittadini, molti processi furono intentati in forza di quella legge nei confronti di
illegittimi, dei quali, sino ad allora, o non si era saputo nulla o non ci si era occupati. E molti
furono perseguiti ad opera di delatori. In seguito a tale selezione poco meno di cinquemila
persone vennero discriminate, mentre quelli che conservarono la piena cittadinanza e furono
considerati Ateniesi puri risultarono complessivamente quattordicimila quaranta. (5) Pur
essendo cosa difficile che una legge, così severamente applicata ai danni di tante persone, venisse
abrogata proprio da colui che l’aveva proposta, tuttavia le sciagure che avevano allora colpito
Pericle negli affetti familiari furono giudicate punizione sufficiente della sua antica superbia e
sicurezza e volsero a compassione l’animo degli Ateniesi, i quali ritennero che Pericle, già
equamente punito dagli dèi, meritasse l’aiuto degli uomini. Gli concessero perciò di iscrivere
nelle fratrie il figlio bastardo e di dargli il suo nome. Questi, più tardi, dopo la battaglia navale
delle Arginuse contro i Peloponnesiaci, fu condannato a morte dal popolo, insieme con gli altri
strateghi.
(trad. Anna Santoni)
VII.
Aristoph. Av. 1649-1670
;
;
;
;
«
»
;
;
VII bis
Aristofane, Gli Uccelli, 1649-1670
PI.
(…) Dell'eredità di tuo padre, per legge a te non tocca assolutamente
nulla: sei un bastardo, non un suo figlio legittimo.
ER.
Un bastardo? Che dici?
PI.
Sì, lo sei, per Zeus, dal momento che sei nato da una straniera. O
come pensi che Atena, sua figlia, potrebbe essere sua ereditiera se avesse fratelli
legittimi?
ER.
E se mio padre, alla sua morte, mi lascia il suo patrimonio come
legato, a beneficio del figlio bastardo?
PI.
La legge non glielo consente. Questo Posidone, che ora ti sta
sobillando, sarà il primo a contestarti l'eredità paterna, dicendo che è lui il fratello
legittimo. Ma voglio recitarti anche la legge di Solone: "Un bastardo non ha diritto
all'eredità se ci sono figli legittimi. E se non ci sono figli legittimi, il patrimonio spetta
ai parenti più stretti".
ER.
Dunque, a me non spetta nulla del patrimonio di mio padre?
PI.
Assolutamente nulla, per Zeus. Ma dimmi: tuo padre ti ha mai
presentato ai membri della fratria?
ER.
No, non l'ha mai fatto. È da tempo che me ne stupivo.
VIII.
Schol. Aeschin. 1.39 = Eumelos, FGrHist 77 F2
.
VIIIbis
F2
Scolio a Aeschin. 1.39 = Eumelo, FGrHist 77
Eumelo il peripatetico nel terzo libro sulla commedia antica dice che un
certo Nicomene fece varare un decreto secondo cui nessuno di quelli
dopo l'arcontato di Euclide partecipassero della cittadinanza, se non
avesse dimostrato che entrambi i suoi genitori erano cittadini, mentre
quelli prima di Euclide fossero lasciati senza verifica.
IX.
Athen. XIII 38, 577b-c
IXbis
Ateneo, Deipnosofisti XIII 38, 577b-c
L'oratore Aristofonte poi, colui che aveva introdotto la legge durante
l'arcontato di Euclide per cui chi non fosse nato da una cittadina fosse
uno spurio, di lui stesso fu svelato dal commediografo Calliade che
aveva avuto figli dall'etera Coregide, come narra lo stesso Caristio nel
terzo libro degli Hypomnemata.
X.
Arist. Ath. Pol. 42, 1
X bis
Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 42, 1
L'organizzazione attuale della costituzione è la seguente. Partecipano al
governo coloro che sono nati da entrambi i genitori con pieni diritti di
cittadinanza, e a 18 anni vengono iscritti nelle liste dei demoti.
(trad. Giuseppe Lozza)
XI.
Ael. var. hist. 6, 10
XI bis
Eliano, Storia Varia, 6, 10
Pericle, che era stratego, propose agli Ateniesi una legge per cui se uno
per caso non si trovasse ad essere di provenienza da due entrambi
cittadini, per costui non ci fosse parte della cittadinanza.
Ma certamente lo perseguì la la vendetta della legge. Infatti i due figli
che lui aveva, Paralo e Santippo, morirono per via della malattia
generale; lui invece fu lasciato solo potendo contare solo sui bastardi, i
quali dunque non avevano parte alla cittadinanza sulla base della legge
paterna.
XII.
Ael. var. hist. 13, 24
XII bis
Eliano, Storia Varia, 13, 24
E Pericle propose che non fosse ateniese colui che non fosse nato da due
entrambi cittadini. In seguito, avendo perso i figli, fu lasciato solo, a
contare solo sul figlio bastardo Pericle. È chiaro che anche Pericle voleva
delle cose ma gliene capitarono altre.
XIII.
(…)
Plut. Per. 10, 3-5
XIIIbis
Plutarco, Vita di Pericle, 10, 3-5
(…) e gli Ateniesi furono presi da un terribile rimorso e da un grande rimpianto di
Cimone, tanto più che non solo erano stati sconfitti sui confini dell'Attica, ma si
aspettavano una dura guerra per la primavera seguente. Resosi conto di questo, Pericle
non esitò a conciliarsi l'animo della moltitudine, e, firmato egli stesso il decreto,
richiamò Cimone ad Atene; questi, tornato dall'esilio, ristabilì la pace tra le due città.
Gli Spartani infatti erano ben disposti verso di lui, tanto quanto erano ostili a Pericle e
agli altri della fazione democratica. (4) Alcuni dicono però che Pericle non firmò il
decreto di richiamo di Cimone se non dopo aver stipulato con lui un accordo segreto
tramite Elpinice, sorella di Cimone; in base a tale accordo Cimone sarebbe partito con
200 navi e avrebbe assunto il comando delle operazioni fuori dalla Grecia per
sottomettere i paesi soggetti al re di Persia, mentre Pericle avrebbe mantenuto il
governo della città.
(trad. Anna Santoni)
XIV.
Plut. Per. 11, 1-4
XIVbis Plutarco, Vita di Pericle 11, 1-4
Cimone morì alla testa dell’esercito a Cipro. Gli aristocratici, che già da tempo vedevano
che Pericle era il più autorevole dei cittadini, volendo che ci fosse in città qualcuno che
gli si contrapponesse limitandone l’influenza, perché non ci fosse un potere
completamente personale, gli sollecitarono contro Tucidide di Alopece, un uomo
equilibrato, parente di Cimone, che di Cimone era meno dotato per la guerra, ma era più
politico, e più abile come oratore: rimanendo in città e polemizzando con Pericle dalla
tribuna, presto ristabilì equilibrio nell’azione politica. (2) Non permise infatti che i
cosiddetti ottimati si mescolassero e si confondessero, come prima, con il popolo, e che
perciò la loro dignità si sminuisse nella massa, ma li separò dagli altri e fatto un sol
fascio del loro consistente potere, li rese l’elemento di equilibrio, come in una bilancia.
(3) Nella società c’era fin da principio una specie di frattura nascosta, come avviene nel
ferro ove sia una bolla d’aria, che segnava la differenza tra il partito aristocratico e quello
democratico, ma la contesa e l’ambizione di quei due, operando una spaccatura molto
profonda in città, fece sì che una parte si chiamasse “popolo” e l’altra “i pochi”. (4) In
quel momento Pericle governava soprattutto con la ricerca del favore popolare, e
lasciava la briglia al popolo, organizzando continuamente in città una cerimonia o un
banchetto pubblico o una processione, divertendo la gente con spettacoli non volgari;
ogni anno mandava fuori sessanta triremi sulla quali per otto mesi prestavano servizio,
retribuiti, molti cittadini, che così esercitavano l’arte della marineria e vi si
impratichivano.
(trad. D. Magnino, lievem. modific.)
XV.
Theop. FGrHist 115 F 88
«
».
XVbis
Teopompo, FGrHist 115 F 88
Teopompo nel decimo libro delle Storie filippiche, riguardo a Cimone
dice: “quando ancora non erano trascorsi cinque anni (dal momento
dell’ostracismo), avvenendo una guerra conto i Lacedemonii, il dêmos
fece chiamare Cimone ritenendo che a causa della sua prossenia nel
modo più veloce quello avrebbe realizzato la pace, e quello giunto in
città mise fine alla guerra”.
XVI. Diod. XI 86
XVIbis
Diodoro, XI 86
Sotto l'arconte Aristone ad Atene i Romani nominarono consoli Quinto
Fabio Vibuliano e Lucio Cornelio Quiritino. Sotto questi, ci fu una
tregua tra gli Ateniesi e gli Spartani di cinque anni, avendola composta,
questa tregua, l’ateniese Cimone.
XVII
Plut. Cim. 14, 3-5
XVIIbis
Plutarco, Vita di Cimone, 14, 3-5
• Poiché, a quanto si pensava, di là avrebbe potuto facilmente
assalire la Macedonia e ritagliarne una bella fetta, ma non
volle farlo, venne accusato di essersi lasciato subornare con
doni dal re Alessandro, e fu processato, con i suoi nemici
coalizzati contro di lui. (...) (5) Stesimbroto ricorda, di
questo famoso processo, che Elpinice andò a supplicare per
Cimone alla porta di Pericle, il più accanito dei suoi
Accusatori, il quale le disse sorridendo: «Sei vecchia,
troppo vecchia, Elpinice, per portare a buon fine queste
missioni»; però in tribunale fu molto benevolo verso
Cimone e si alzò una volta sola per accusarlo, come puro
scarico di coscienza.
•
(trad. Carlo Carena)
XVIII.
Plut. Per. 28, 4-7
‘
fr
D
XVIIIbis
Plutarco, Vita di Pericle, 28, 4-7
• Pericle, sottomessa Samo, tornò ad Atene, celebrò solenni onoranze
funebri per i cittadini caduti in guerra e pronunciò, come è costume,
un discorso sulle loro tombe, suscitando la generale ammirazione. (5)
Ma quando scese dalla tribuna, mentre le altre donne gli stringevano
la mano e gli cingevano il capo di corone e di nastri, come ad un atleta
vittorioso, Elpinice si accostò a lui e gli disse: (6) «Bella la tua
impresa, Pericle, e degna di corone! Hai fatto morire tanti nostri
valorosi cittadini non in una guerra contro i Fenici o contro i Medi,
come mio fratello Cimone, ma per sconfiggere una città confederata, e
per di più affine alla nostra stessa stirpe». (7) A queste parole si dice
che Pericle abbia risposto citando, con un tranquillo sorriso, il verso di
Archiloco:
Vecchia come sei, non dovresti profumarti di unguenti.
XIX.
Crater. FGrHist 342 F4 (Harpocr. s. v.
(...)
«
»
)
XIXbis
Cratero, FGrHist 342 F4 (Arpocrazione, s. v.
)
(...) I nautodíkai erano una magistratura ateniese. Dunque, Cratero nel
quarto libro de I decreti dice: «Qualora un individuo nato da genitori
entrambi stranieri tenti di iscriversi ad una fratria, sia lecito perseguirlo
in giudizio a chiunque fra gli Ateniesi aventi diritto lo desideri; quindi
venga processato l'ultimo giorno del mese di fronte ai nautodíkai ».
XX. Plut. Coniugalia praecepta 33, Mor. 142e
.
XXbis Plutarco, Precetti coniugali 33, Moralia 142e
I ricchi e i re che onorano i filosofi conferiscono credito
a se stessi e a quelli; i filosofi che invece che si
mettono al servizio dei ricchi non li rendono gloriosi,
ma piuttosto rendono se stessi ingloriosi. Questo
avviene anche riguardo alle donne. Se si sottomettono
ai loro mariti, infatti, vengono lodate; ma se vogliono
comandare, disonorano se stesse ancor più di quelli
che si lasciano comandare. L’uomo deve comandare
sulla donna, non come padrone su possesso, bensì
come anima su corpo, in sintonia d’affetti e
connaturato in una disposizione benevola. Come
dunque è possibile prendersi cura del corpo senza
essere schiavo dei piaceri e dei desideri, così è
possibile comandare su una donna con disposizione
.
Le Lunghe Mura e il Pireo
Antela e Delfi
.
Smirne
Lebedo
Micale
Miunte
.
..