Perché è difficile prevedere i terremoti?

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L a s c i e n z a d e ll e p r e v i s i o n i
➠
geofisica
Perché è difficile
prevedere
56 Le Scienze
Ciro Fusco/epa/Corbis
i terremoti?
Dopo decenni di ricerche
in laboratorio e sul campo ancora
non è possibile prevedere
con esattezza un evento sismico.
E forse non lo sarà mai
538 giugno 2013
di Claudio Chiarabba
Effetto devastante. Onna, il paese in provincia dell’Aquila
praticamente raso al suolo dalla scossa sismica del 6 aprile 2009.
www.lescienze.it
In breve
Gli studi sulla previsione dei terremoti seguiti in tutto il mondo dalla
comunità scientifica si dividono in due approcci: uno probabilistico e uno
deterministico.
Nell’ambito probabilistico sono condotti studi basati sulla definizione
delle probabilità che un evento sismico avvenga in una certa finestra
temporale, stimando il tempo di ritorno dell’evento calcolabile dalla sua
frequenza di accadimento.
L’ambito deterministico è basato su ricerche che permettano di
riconoscere e registrare segnali precursori che precedono un evento
sismico in un certo intervallo di tempo. Quindi anche in questo caso c’è
uno scenario probabilistico con cui fare i conti.
Attualmente, nessuno dei due approcci ha portato al risultato
desiderato. Anzi, oggi la comunità sismologica internazionale è molto
scettica riguardo alla reale possibilità di prevedere i terremoti.
Le Scienze 57
Approccio probabilistico
Le ricerche effettuate in questo ambito si basano sulla definizione della probabilità che il fenomeno avvenga in una finestra
temporale, in base essenzialmente alla stima di un tempo di ritorno dell’evento calcolabile dalla sua frequenza di accadimento.
Sfortunatamente non conosciamo bene la frequenza con cui un
terremoto avviene sulle faglie che si trovano nel nostro territorio
e questo rende difficile definire la probabilità in termini certi. In
genere si fa una serie di approssimazioni e relazioni con leggi empiriche per arrivare a risultati operativi.
58 Le Scienze
s e g n a l i n o n ( A n c o r a ) a f f i da b i l i
Claudio Chiarabba è dirigente di ricerca dell’Istituto
nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) presso il
Centro nazionale terremoti e professore a contratto
alla «Sapienza» Università di Roma.
I principali precursori di terremoti
• Cambiamenti idrologici o idrogeochimici
(variazioni livello di falda, chimismo)
• Segnali elettromagnetici (correnti anomale)
• Variazioni delle proprietà fisiche (rapporto velocità onde P e S, dilatanza)
Occhi sui tremori. La sala controllo dell’INGV a Roma, dove sono
monitorati i terremoti che avvengono in Italia e nel mondo.
• Variazioni di sismicità (foreshock, cioè terremoti che precedono eventi
maggiori, sciami, accelerated moment release, pattern recognition)
• Deformazione anomala della crosta
• Rilascio anomalo di gas (radon) o calore
prima del sisma
L’Aquila in versione GPS
6,5
14
6,0
13
5,5
12
5,0
11
4,5
10
3,5
Ml4.0
30/03
0
Spostamento
verticale (mm)
4,0
Foreshocks
9
20
40
60
Magnitudo
log 10
(Energia comulata, joule)
L’illustrazione qui sotto mostra l’esempio del terremoto dell’Aquila del
2009. Sono rappresentati (dall’alto al basso):
• l’energia accumulata rilasciata a partire da gennaio 2009;
• la deformazione verticale a una stazione GPS posizionata a L’Aquila;
• una sezione che mostra i terremoti avvenuti lungo l’asse dell’Appennino per un tratto di +/– 50 chilometri centrato sull’Aquila.
Dall’illustrazione si evince che non c’è un’accelerazione del processo
nei tre mesi precedenti la scossa vista dai dati GPS, né del rilascio sismico. Inoltre è difficile immaginare uno scenario sismico come quello che si manifesta lungo una faglia lunga circa 20 chilometri dal solo
sciame nella zona ristretta vicina all’epicentro.
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0
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Uno dei prodotti classici nella previsione a medio-lungo termine è la carta probabilistica di pericolosità sismica. Questa carta
esprime la probabilità di eccedenza di un certo valore di accelerazione del movimento del suolo in una data finestra temporale.
In questo caso la finestra temporale di accadimento è ampia (per
esempio cinquant’anni) e dimensionata in modo da poter predisporre azioni utili alla mitigazione del rischio, ovvero a una riduzione della vulnerabilità e dell’esposizione.
L’incertezza sul tempo di ritorno di un terremoto è colmata
da una serie di calcoli e procedure. Le finestre temporali di rappresentazione e calcolo, e i valori di probabilità da rappresentare
sulle mappe, sono un compromesso che ha lo scopo di spronare
la società a compiere azioni di mitigazione e adottare standard costruttivi per le abitazioni. Leggere la mappa di pericolosità sismica
(per l’Italia legge dello Stato pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale)
in termini di quanto è probabile un terremoto in una data zona è
scientificamente non corretto.
Di recente in Italia è stata sviluppata una mappa di pericolosità
538 giugno 2013
sismica a dieci anni (cioè a medio-breve termine) per tentare di
definire le aree in cui nei prossimi anni è più probabile superare
determinate soglie di accelerazione.
Infine, nell’ambito dell’approccio probabilistico si sta facendo
strada una procedura di calcolo della pericolosità sismica a breve
termine, chiamata Operational Earthquake Forecast (OEF). Questa
procedura si basa sulla concentrazione di eventi sismici che, secondo alcune ricerche, è in grado di variare le probabilità di accadimento di eventi maggiori. Tecniche inizialmente sviluppate per
descrivere la probabilità di accadimento di repliche dopo eventi
maggiori (i cosidetti modelli ETAS, da Epidemic-Type Aftershock
Sequence) sono state ottimizzate per calcolare variazioni di probabilità alla scala dei giorni e delle settimane. Queste procedure,
attualmente in fase di test e sperimentazione in alcuni centri di ricerca, tra cui l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, sfruttano la concentrazione di eventi sismici in sequenze raggruppate
per definire variazioni di probabilità rispetto a un valore di fondo
dato dalla pericolosità a lungo termine.
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-80
AQUI UP
-50
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Norcia
S130
Amatrice
-30
Distanza lungo l’Appennino
(chilometri)
er introdurre il tema della previsione dei terremoti è attuale e profetica la frase con cui
l’arcivescovo e storico Anton Ludovico Antinori descrisse il clima che si respirava nel
1703 dopo il violento sisma che aveva colpito L’Aquila e dintorni: «Niuno presagì prima,
quello che dopo l’avvenimento di poter naturalmente presagire dicevano quasi tutti». In effetti, in molti casi la
prevedibilità di un evento è stata annunciata soltanto dopo che
l’evento stesso era accaduto.
Attualmente la comunità sismologica internazionale è fortemente scettica riguardo alla reale possibilità di prevedere i terremoti. Questo scetticismo è maturato dopo anni di studi, spesso
frustranti, di speranze, di frenate e di ripartenze. Per capire questo
aspetto bisogna chiarire brevemente che cosa è un terremoto. Forse il motivo di tanto scetticismo è anche nell’essere, o almeno nel
ritenere di essere, arrivati vicino a capire che cosa è un terremoto
dal punto di vista fisico.
Può sembrare paradossale, ma una definizione fisica del terremoto non è semplice. Il terremoto è un movimento della Terra che
produce effetti sulla superficie in seguito all’energia liberata che
si propaga all’interno del pianeta. Inoltre, il fatto che questi effetti
siano devastanti per la nostra società rende completa la definizione di terremoto.
La liberazione di energia avviene in seguito alla rottura di una
faglia, ovvero a una variazione dello stato dinamico (di sforzo)
oppure dello stato cinematico (dello spostamento), oppure della
combinazione delle due, lungo una faglia. Questa variazione deve
verificarsi e propagarsi con una velocità, o accelerazione, che sia
in grado di generare onde elastiche. Se la velocità del processo
è insufficiente a generare onde elastiche (nel caso dei cosiddetti
terremoti lenti), allora si verifica lo spostamento sulla faglia ma
l’energia non viene sprigionata, e gli effetti dovuti alla sua propagazione scompaiono. L’entità dello spostamento e la dimensione
della faglia sono proporzionali alla grandezza del terremoto. A
complicare il tutto c’è il fatto che il grado di devastazione dipende
da numerosi fattori, naturali e non. Questi fattori non sono necessariamente insiti nel meccanismo che produce il terremoto, una
premessa importante che affronteremo più avanti.
Tornando invece alla previsione dei terremoti, lo studio in
questo campo si articola in due diversi approcci: probabilistico e
deterministico. Va comunque premesso che per previsione dei terremoti (come di qualsiasi altro evento fisico) si intende un’affermazione sul futuro che sia di tipo probabilistico e che includa una
nozione di un intervallo temporale all’interno del quale l’evento
è predetto. Anche nel caso deterministico bisogna quindi riferire
l’eventuale osservazione di precursori all’interno di uno schema
probabilistico.
Danilo Sossi
P
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Mario De Renzis/ANSA/DRN
L a s c i e n z a d e ll e p r e v i s i o n i
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Foreshocks
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Sulmona
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Giorni dal 1° gennaio 2009
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registrare un terremoto forte
Mentre diversi scienziati iniziavano a occuparsi del riconoscimento di segnali precursori, in una gara tra ricercatori statunitensi, sovietici e cinesi, nel 1975 dalla Cina arrivò l’annuncio di
un terremoto previsto con successo: il terremoto di Haicheng di
magnitudo 7,3. Oggi, come ben riassunto da Susan Hough, sismologa dello United States Geological Survey, nel libro Prevedere
l’imprevedibile, possiamo dire che effettivamente prima dell’evento sismico un funzionario, non uno scienziato, fece evacuare la
Provincia che amministrava.
Grazie a quella decisione, al momento della forte scossa molte
persone erano già fuori dagli edifici. Al centro della valutazione
del funzionario c’era stata una serie di terremoti di magnitudo 5,
quindi di forza moderata, molto vicini nel tempo e prossimi all’evento forte. Purtroppo il terremoto di magnitudo 7,6 di Tangshan,
L’esperimento di Parkfield
Parlare di previsione dei terremoti non può prescindere dal riassumere l’esperimento di Parkfield, condotto da scienziati statunitensi su una porzione della faglia di San Andreas, in California. Parkfield è ancora oggi l’unico
esperimento progettato per registrare un forte terremoto. C’è una vasta letteratura in merito. In base alla stima dei tempi di ritorno, era atteso un terremoto di magnitudo circa 6 a metà degli anni novanta, mentre quello precedente era avvenuto nel 1966, agli albori della sismologia quantitativa.
Nel 2004 finalmente il terremoto avvenne, muovendo la stessa porzione
di faglia del 1966, con la stessa magnitudo, ma con direzione opposta (da
sud verso nord). Può sembrare un dettaglio, ma spesso la direzione di rottura di una faglia ha un ruolo importante nel condizionare gli effetti sulla
superficie nella zona epicentrale e direzioni diverse possono produrre danni differenti agli insediamenti urbani.
Contrariamente a quanto accaduto per i terremoti precedenti, non c’è stato nessun foreshock nella settimana precedente. Inoltre non è stata misurata nessuna variazione di deformazione prima del terremoto di entità apprezzabile e usabile, né di altri parametri. L’esperienza di Parkfield indica che i
terremoti non sono necessariamente preceduti da fenomeni apprezzabili.
Approccio deterministico
60 Le Scienze
Laboratorio naturale.
Una porzione della faglia di San Andreas, in California,
dove è in atto l’unico esperimento al mondo progettato per
registrare un forte terremoto, l’esperimento di Parkfield.
tà di intercettare la deformazione immediatamente presismica.
Durante la fase di accelerazione del processo dovrebbero avvenire variazioni repentine nelle proprietà del volume roccioso, con
sviluppo di fratture che nel tempo aumentano e si concentrano
lungo la rottura principale, con complicate relazioni con i fluidi
presenti nella crosta. Queste variazioni delle proprietà fisiche sarebbero identificabili da variazioni delle proprietà di trasmissione
delle onde sismiche (velocità, attenuazione, anisotropia sismica).
In effetti, i primi studi furono effettuati sul rapporto di velocità
delle onde P e S.
I principali segnali precursori individuati nel tempo (si veda il
box in alto a p. 59) sono tutti associati al rilascio, poco prima di
un evento, di una serie di segnali che spaziano dall’ambito geologico, a quello geofisico e geochimico. Fino a oggi nessuno di
questi indicatori ha superato test di affidabilità, ovvero un buon
rapporto tra eventi realmente identificati prima di un terremoto
rispetto ai falsi allarmi.
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Roger Ressmeyer/Corbis
La previsione deterministica si basa sul riconoscere e registrare qualcosa di caratteristico, che chiamiamo segnale precursore,
un certo tempo prima di un terremoto. Questo segnale precursore, legato all’avvicinarsi del terremoto, potrebbe anche non essere
collegato in modo chiaro a un processo fisico. Secondo alcuni,
«l’importante è che funzioni e che si riesca a prevedere con successo il fenomeno».
Un terremoto avviene quando il carico tettonico, che è legato ai
movimenti relativi delle placche e si accumula continuamente ma
con tassi molti bassi lungo una faglia, supera un valore non più
sostenibile dalle rocce. Dato che questo carico tettonico è molto
lento – in Italia dell’ordine dei millimetri per anno, in California o
in Giappone dell’ordine dei centimetri per anno – una faglia può
arrivare a rottura (ovvero superare un valore massimo di carico)
in un intervallo temporale molto ampio. Da questo punto di vista,
il fatto che un terremoto si verifichi oggi o fra cinquant’anni in
una zona dell’Appennino è sostanzialmente equivalente. In questo
intervallo di tempo, breve rispetto alla scala del processo di accumulo, avremmo solo un piccolo carico in più sulla faglia. Per questo motivo, anche considerando la frequenza di accadimento degli
eventi calcolabile per un faglia molto attiva con un buon record
storico, l’incertezza sui tempi di ritorno è sempre molto grande, e
di fatto rende difficile o impossibile una previsione probabilistica
a breve termine, se non in termini di variazioni di probabilità legate alla concentrazione di eventi.
Per assurdo i terremoti sono difficilmente prevedibili perché
accadono troppo raramente. A causa della bassa frequenza con
cui si verificano i terremoti, non riusciamo a individuare i tempi
di ricorrenza con un’incertezza ragionevole e utile per eventuali
rimedi nel breve termine. In un paragone un po’ azzardato, prevedere un terremoto è come prevedere in che istante inizia a piovere
da un cielo in cui iniziano ad addensarsi le nuvole.
Il presupposto fisico su cui si basa l’approccio deterministico è
che, nonostante il carico sia lento e costante, poco prima di un
terremoto la deformazione accelera, generando una serie di segnali
precursori che siamo in grado di osservare, registrare e quantificare. Inoltre la dimensione o l’area in cui sono generati questi segnali dovrebbe essere in qualche modo collegata alle dimensioni
del terremoto incombente, quindi è possibile contemporaneamente
predire sia il tempo di accadimento sia la magnitudo.
Negli anni settanta furono effettuati diversi studi con grande
slancio e speranza, dopo la formalizzazione di modelli fisici che
descrivevano il fenomeno terremoto e teorizzavano la possibili-
avvenuto sempre in Cina l’anno dopo, non fu previsto, e causò
oltre 250.000 vittime. Il sisma di Tangshan iniziò a far pensare che
la «previsione» del sisma di Haicheng fosse un caso isolato, in cui
era stato cruciale il verificarsi di forti scosse nei giorni immediatamente precedenti l’evento maggiore.
Ma questa accelerazione della deformazione prima di un forte
terremoto avviene o no? Siamo stati in grado di misurarla o no?
Che cosa ci dicono i dati geodetici? Oggi le stazioni GPS forniscono il movimento del suolo ogni secondo per molte zone sismiche
del pianeta. Nei casi in cui sono disponibili serie di dati da GPS (si
veda il box in basso a p. 59) non sono state osservate accelerazioni prima del terremoto. Il movimento lungo una faglia avviene
istantanea­mente in quello che è definito «intervallo cosismico»,
durante il quale sono generate le onde sismiche.
Negli anni novanta sono stati condotti studi sull’accelerazione
della deformazione sismica da dati sismologici e, dopo aver conquistato la ribalta, ne sono stati individuati i limiti. In particolare
www.lescienze.it
è stato dimostrato che prima di un forte terremoto, scegliendo in
maniera diversa alcuni parametri, può essere riprodotto il verificarsi sia di un’accelerazione sia di una decelerazione della deformazione in zone con differenti dimensioni attorno all’epicentro.
Come possibile precursore, alcuni gruppi di ricerca hanno indicato
ovviamente a posteriori l’assenza di terremoti un certo tempo prima di una forte scossa. Altri invece hanno usato una tecnica che
è basata sulla concentrazione di eventi e che sfrutta le variazioni
degli andamenti spazio-temporali della sismicità in una regione
ampia attorno all’epicentro. I risultati sono difficilmente valutabili
e la finestra temporale in cui è atteso il terremoto (diversi anni) è
in genere molto grande.
Altri termini del dibattito
A questo punto vorrei fare due osservazioni che contribuiscono
in maniera opposta a vivacizzare il dibattito sul tema della previsione. Secondo alcuni scienziati, la grandezza di un terremoto
non è definita fin dal suo inizio, poiché la dinamica della rottura
è complessa. Come i popcorn che scoppiano in una padella, guardando il chicco non si sa quanto grande diventerà il popcorn. Se
la dimensione di un terremoto si determina soltanto durante la
sua evoluzione dinamica, come possono esistere fenomeni precursori in grado di indicarci in precedenza quanto sarà grande il
terremoto? Altra osservazione: esperimenti di laboratorio iniziano
a mostrare processi interessanti, tipo l’accelerazione della deformazione, lo sviluppo di microfratture prima di un evento maggiore. Forse il mancato riconoscimento di questa accelerazione è un
problema di strumenti osservativi, di ordini di grandezza dei processi o forse, dato che i terremoti non sono tutti uguali, potremmo
avere a volte dei segnali e a volte no.
Per finire, voglio fare un paragone con un ambito contiguo:
la previsione delle eruzioni vulcaniche. In questo caso un’accelerazione del processo, descrivibile con un modello di rottura del
materiale per lo sforzo generato dal magma in risalita, è documentato in diversi casi, come anche una serie di variazioni dello stato fisico-chimico associato all’approssimarsi dell’eruzione.
Questa serie di segnali ha permesso di definire protocolli in cui
sono indicate azioni da effettuare e collegate a diversi livelli di
allerta progressiva.
Anche nel sistema terremoti si cerca di introdurre questo, almeno in parte. Ma è più complicato individuare quali elementi considerare, facendo riferimento ancora esclusivamente ai terremoti che
sono già avvenuti. Fra i diversi precursori c’è sempre la sismicità,
con la possibile ma non necessaria né sufficiente presenza di scosse «premonitrici». Cerchiamo di riconoscere eventuali variazioni
spazio-temporali, come se i terremoti avvenuti indicassero un disegno più grande, come gli uccelli in un volo divinatorio.
n
per approfondire
Prevedere l’imprevedibile. Hough S., Springer Verlag, Milano, 2012.
Seismicity-based earthquake forecasting techniques: Ten years of progress.
Tiampo K.F. e Shcherbakov R., in «Tectonophysics», Vol. 89, n. 121, pp. 522-523,
2012.
Implications for Prediction and Hazard Assessment from the 2004 Parkfield
Earthquake. Bakun W.H., Aagaard B., Waldhauser F. e altri, in «Nature» Vol. 437, n.
7061, pp. 969-974, 2005.
Earthquake Prediction: a Critical Review. Geller R.J., in «Geophysical Journal
International», Vol. 131, pp. 425-450, 1997.
Dibattito sulla previsone dei terremoti sul sito web di «Nature»: http://www.nature.
com/nature/debates/earthquake.
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