Introduzione generale 1 INTRODUZIONE GENERALE Le nucleosidi difosfato chinasi (NDPK) costituiscono una famiglia di enzimi oligomerici che svolgono un ruolo rilevante nel mantenimento del pool intracellulare dei nucleosidi trifosfato. Questi enzimi catalizzano la sintesi di nucleosidi trifosfato a partire dai corrispondenti nucleosidi difosfato, usando ATP come donatore di un gruppo fosfato (1), ed in base a questa funzione possono essere considerati un collegamento importante fra la fosforilazione ossidativa e funzioni come la biosintesi degli acidi nucleici, degli zuccheri e dei grassi, la sintesi proteica e la trasduzione del segnale. Questa funzione, evidenziata in diversi compartimenti cellulari (membrana, citoplasma, mitocondri, nucleo), e’ stata ampiamente esaminata ed e’ noto che la struttura esamerica e’ essenziale per lo svolgimento dell’attivita’ catalitica della NDPK. Ci e’ sembrato pero’ interessante approfondire lo studio del ruolo della struttura oligomerica della proteina e la prima parte di questa ricerca si e’ quindi rivolta ad analizzare la stabilita’ della struttura esamerica della NDPK ricombinante da Dictyostelium discoideum wild-type (wt) e di un suo mutante in funzione del pH. Oltre alla nota attivita’ catalitica, studi piu’ recenti hanno evidenziato una nuova funzione per la NDPK: sembra infatti che a livello nucleare la NDPK sia implicata nella proliferazione e nel differenziamento cellulare, nell’ apoptosi e nel processo di metastasi tumorale (2, 3, 4). Da quest’ultima funzione deriva il nome del suo gene nei mammiferi, nm23 (nm sta per nometastasis). In particolare, le NDPK umane A e B, codificate rispettivamente 2 Introduzione generale dai geni nm23 H1 ed nm23 H2, sono coinvolte nel processo della cancerogenesi (5, 6). Nel 1993, mediante screening di una banca dati di cellule HeLa, la NDPK B e’ stata identificata, in vitro, come il fattore trascrizionale PUF (purine binding factor) dell’oncogene c-myc (7), mentre studi di transfezione cellulare condotti sia su linee cellulari di tumore del seno che di melanoma di topo hanno dimostrato un coinvolgimento della NDPK A nel processo di soppressione delle metastasi (8, 9). Nonostante la scoperta di un ruolo nei processi tumorali abbia suscitato un notevole interesse per la NDPK, ancora poco conosciuti sono sia il meccanismo che la struttura quaternaria alla base di questa funzione. Ci è sembrato così interessante, nella seconda parte di questa ricerca, studiare, in vivo, partendo da cellule tumorali umane, il diretto legame tra la NDPK ed il DNA, esaminando poi in particolare la sua eventuale interazione con alcuni oncogeni e geni oncosoppressori. Parte prima 3 PARTE PRIMA STUDI STRUTTURALI 1. INTRODUZIONE 1.1 LA STRUTTURA TERZIARIA DELLA NDPK Tutte le NDPK hanno subunita’ di circa 150 residui. La struttura cristallina della NDPK e’ stata determinata in molti organismi, sia procarioti che eucarioti. Da questi studi e’ emerso che tutte le subunita’, indipendentemente dall’organismo di provenienza, hanno la stessa struttura terziaria. Il centro di ogni subunita’ forma un dominio α/β di circa 90 residui costituito da quattro filamenti antiparalleli di topologia β4 β1 β3 β2 e due α eliche di connessione. Le due eliche α1 ed α3 collegano rispettivamente il filamento β1 al β2 ed il β3 al β4. Il foglietto β e le due α eliche di connessione costituiscono un motivo strutturale molto comune che e’ stato chiamato α/β sandwich o cavita’ della ferrodossina, perche’ fu osservato per la prima volta nella ferrodossina di Pseudomonas aeruginosa. 4 Introduzione La subunita’ della NDPK presenta anche altre due caratteristiche, il Kpn-loop ed il segmento C-terminale. Il Kpn-loop e’ una piccola struttura compatta, ubicata tra α3 e β4, che comprende i residui dal 94 al 114, e che risulta implicata sia nel legame con i substrati nucleotidici sia nella stabilizzazione della struttura quaternaria della NDPK. La regione carbossiterminale si estende dal residuo 130 al 151, ed e’ anch’essa coinvolta nella struttura quaternaria. 1.2 LA STRUTTURA QUATERNARIA DELLA NDPK La NDPK esiste in due diverse strutture quaternarie. Nelle cellule eucariotiche si trova sotto forma di esamero, costituito dall’associazione di tre dimeri o due trimeri (10,11). In alcuni procarioti, per esempio il Myxococcus xanthus, e’ presente come tetramero, costituito da due dimeri. La struttura quaternaria esamerica della NDPK da Dictyostelium discoideum e’ un trimero di dimeri, possiede circa 70 Å di spessore, ed ha un asse di simmetria di ordine 3. I legami che stabilizzano la struttura sono di carattere essenzialmente apolare. In questi legami risultano coinvolti ben cinque residui del Kpn-loop: Pro 101, Gly 102, Ile 110, Gln 11 e Arg 114. Inoltre le anse dei Kpn-loop dei monomeri sono rivolte verso l’interno, delimitando cosi’ una cavita’ centrale nell’esamero. Parte prima 5 In Fig. 1 e’ mostrata la struttura tridimensionale dell’esamero della NDPK. Nel mutante P105G da Dictyostelium discoideum, l’aminoacido modificato è posizionato su un’ansa importante per il contatto fra le subunità monomeriche. La struttura cristallina del mutante P105G è esamerica, ed è molto simile a quella del wild-type. L’unica differenza rispetto alla proteina wild type consiste nell’assenza della catena laterale della prolina, che comporta un movimento di 0.6Å dell’ossigeno carbonilico della glicina 106. Una molecola d’acqua sostituisce il Cγ della prolina mancante. Fig. 1 Struttura tridimensionale dell’esamero della NDPK. 6 Introduzione 1.3 MECCANISMO CATALITICO E SITO ATTIVO DELLA NDPK La NDPK catalizza il trasferimento reversibile di un gruppo γ-fosfato da un nucleoside 5’- trifosfato ad un nucleoside 5’-difosfato secondo la reazione: XTP + YDP XDP + YTP Il meccanismo catalitico di tutte le NDPK e’ del tipo “ping-pong bi-bi”: il gruppo γ-fosfato del nucleoside trifosfato viene trasferito prima ad un residuo di istidina del sito attivo, dando origine ad una forma fosforilata ed intermedia dell’enzima, successivamente il gruppo fosfato viene trasferito sul nucleoside difosfato (1). I siti attivi delle NDPK sono identici sia in un tetramero che in un esamero. Lo studio delle strutture dei complessi NDPK-ADP (12) ed NDPK-TDP (13), e di complessi nei quali era presente o un mutante inattivo dell’enzima, o un substrato analogo non idrolizzabile, ha permesso di comprendere meglio la conformazione del sito catalitico e il legame tra questo ed il substrato. Il nucleotide si fissa tra l’ansa del Kpn-loop, il foglietto β4, l’elica α2 e la Lis 16. Il gruppo fosfato s’incunea in una cavita’ ricca di cariche positive dove si trova anche il residuo di His 122, che partecipa all’attivita’ catalitica. I gruppi ossidrilici 2’ e 3’ del ribosio formano legami idrogeno con il gruppo amminico della Lis 16 e con il gruppo amidico dell’Asn 119, mentre la base azotata del nucleotide forma contatti idrofobici con la Phe 64 dell’elica α 2 e la Val 116 del Kpn-loop. In Fig. 2 è illustrato il sito attivo della NDPK da Dictyostelium discoideum. Parte prima Fig. 2 Struttura del sito attivo della NDPK da Dictyostelium discoideum. 7 8 Scopo della ricerca 2. SCOPO DELLA RICERCA Le NDPK eucariotiche sono tutte esameriche e di molte di esse sono note non solo la struttura primaria, secondaria e terziaria, ma anche la struttura tridimensionale in assenza o in presenza di substrato. L’analisi della stabilità conformazionale delle proteine multimeriche puo’ dare importanti informazioni circa il contributo relativo delle varie forze che stabilizzano la struttura oligomerica. In questa ricerca è stata esaminata la stabilità della NDPK ricombinante da Dictyostelium discoideum wild-type e del suo mutante P105G in funzione del pH. Il processo di denaturazione è stato studiato mediante esperimenti di calorimetria differenziale a scansione, fluorimetria, cromatografia di esclusione e dicroismo circolare. E’ stato scelto di lavorare sull’enzima esamerico da Dictyostelium discoideum perche’ presenta una grande somiglianza con quello umano. L’enzima da Dictyostelium discoideum inoltre non possiede gruppi tiolici liberi e contiene un solo residuo di triptofano. Queste caratteristiche sono vantaggiose sia per gli studi di denaturazione termica che per gli esperimenti di fluorescenza. Il mutante P105G e’ stato invece costruito con lo scopo di studiare il ruolo di alcuni aminoacidi nella stabilita’ della proteina. Parte prima 9 3. MATERIALI E METODI 3.1) Proteine e tamponi La NDPK ricombinante da Dictyostelium discoideum e il mutante P105G sono stati espressi in E. coli, purificati per cromatografia di assorbimento negativa su colonna di Q-Sepharose e conservati a 4° C come precipitato in soluzioni di solfato d’ammonio al 90% di saturazione, o a -20°C in glicerolo al 50% La concentrazione della proteina e’ stata determinata spettrofotometricamente. In tutti gli esperimenti la concentrazione di tampone usata e’ stata 0.05 M. I tamponi usati sono stati glicina-HCl (pH 3), acetato (pH 4-5), MES (2-(N-morpholino) ethane sulfonic acid) (pH 5.5-6.5), sodio fosfato (pH 6.5-7.5), HEPES (N-(2-hydroxy-ethyl) piperazine-N-(2- ethanesulfonicacid) (pH 6.5-7.5), trietanolamina-HCl (pH 8.5-9.0), TRIS (Tris(hydroxymethyl)aminomethane) sodio borato (pH 9.3), glicina-NaOH (pH 10.0), e CAPS (3-cyclohexylamino) -1-propanesulfonicacid) (pH 9.511.0). 3.2) Saggio di attivita’ dell’enzima Il saggio dell’attivita’ enzimatica della NDPK si basa sull’uso delle seguenti reazioni accoppiate: NDPK 1) ATP + 8-Br-IDP ADP + 8-Br-ITP 10 Materiali e Metodi PK 2) ADP + fosfoenolpiruvato ATP + piruvato LDH 3) piruvato +NADH + H ac. lattico + NAD+ Per calcolare l’attivita’ dell’ enzima si sfrutta l’assorbimento del cofattore enzimatico NADH a 340 nm. Poiche’ la forma ossidata NAD+ non assorbe a questa lunghezza d’onda, dalla variazione di densita’ ottica al minuto si puo’ ricavare l’attivita’ enzimatica espressa come U/mg (U= μmoli di substrato trasformate al minuto). Il saggio dell’attivita’ dell’enzima e’ eseguito con una miscela contenente in 1 ml: 1. 200 μl tampone 250 mM Tris-HCl (pH 7.4), 25 mM MgCl2 , 375 mM KCl, 5 mg/ml BSA 2. 10 μl di NADH 10 mM 3. 10 μl di ATP 100 mM 4. 10 μl di PEP 10 mM 5. 0.5 μl di una soluzione di lattico deidrogenasi (LDH) 10 mg/ml 6. 0.5 μl di una sospensione di piruvato chinasi (PK) 10 mg/ml Questa miscela e’ stabile per alcune ore a temperatura ambiente. Parte prima 11 Da questa miscela sono stati poi prelevati 0.98 ml ed e’ stata misurata allo spettrofotometro la densita’ottica D.O. a 340 nm. Sono stati aggiunti 10 μl della soluzione enzimatica ed e’ stata seguita la variazione di D.O. per due minuti. Il valore osservato sara’ dovuto all’attivita’ ATPasica della miscela. Sono stati aggiunti 10 μl della soluzione di 8-Br-IDP ed e’ stata seguita la variazione di densità ottica per altri due minuti. Al valore ottenuto e’ stata sottratta una prova di bianco effettuata sulla miscela completa ma senza NDPK. L’attività enzimatica, espressa come variazione di D. O. al minuto, e’ stata convertita in U/mg, applicando la seguente relazione: U/mg = D.O./min x volume della soluzione (1 ml) 6.29 x volume enzima aggiunto (0.01 ml) x [proteina] (mg/ml) Il dato ottenuto e’ stato confrontato con il valore noto per la proteina considerata. In queste condizioni l’attività della NDPK nativa da Dictyostelium discoideum e’ pari a 2000 U/mg. 12 Materiali e Metodi 3.3) Calorimetria differenziale a scansione La calorimetria differenziale a scansione (DSC) è una tecnica fisica che misura i parametri termodinamici associati con le transizioni di fase indotte termicamente. In un esperimento DSC, il campione ed il tampone in cui è stato dializzato il campione sono riscaldati contemporaneamente. Poichè quantità uguali di calore sono applicate ad entrambe le celle, le temperature sia del campione che della soluzione di riferimento aumentano linearmente nel tempo, cosi’ che la loro differenza di temperatura si mantiene a zero. Se il campione subisce una transizione di fase indotta dalla temperatura, una quantità del calore fornito alla cella campione viene assorbito o liberato dal campione stesso, e si svilupperà una differenza di temperatura tra la cella campione e la soluzione di riferimento. Il sistema strumentale di controllo rileva questa differenza di temperatura e fornisce più o meno calore alla cella campione in modo da annullare la differenza di temperatura. L’energia necessaria per neutralizzare questo squilibrio viene direttamente monitorata come variazione di corrente in funzione della temperatura. Il segnale elettrico registrato viene poi trasformato nella variazione di capacità termica apparente del campione (calore specifico parziale apparente a pressione costante cost, Cpapp) in funzione della temperatura. Si ottiene così un termogramma che in ascissa riporta l’intervallo di temperatura della scansione ed in ordinata la capacità termica del campione. I valori direttamente ricavabili dal termogramma sono la Tm, il ΔCp ed il ΔHcal. Parte prima 13 La Tm e’ la temperatura alla quale il calore specifico raggiunge un massimo e spesso nel caso di un’unica transizione rappresenta la temperatura di semitransizione (T ½). Il ΔCp rappresenta la differenza di calore specifico tra l’inizio e la fine della transizione. Nel caso di una denaturazione puo’ essere definito come: ΔCpden = CpD (T) – Cp N (T). Questo valore e’ positivo in quanto la proteina denaturata ha una capacita’ termica maggiore della proteina nativa. Cio’ e’ dovuto principalmente agli effetti di idratazione dei gruppi apolari, i quali vengono esposti al solvente acquoso dopo la distruzione della struttura ripiegata. Il ΔHcal e’ la variazione di entalpia associata alla reazione, ed e’ rappresentato dall’area sottostante la curva di transizione alla quale va sottratta una linea di base chimica, estrapolata dalla temperatura di inizio alla temperatura finale della transizione stessa. Lo strumento utilizzato nei nostri esperimenti è stato il VP-DSC (Microcal inc. Northampton, MA, USA), costituito da due celle in tantalio del volume di 0.5 ml. Il campione e’ stato disciolto in un piccolo volume del tampone prescelto e dializzato contro lo stesso tampone a 4°C. La concentrazione finale della proteina usata è stata circa 0.3mg/ml. La soluzione campione e la soluzione di riferimento, rappresentata dalla stesso tampone in cui il campione e’ stato dializzato, sono state degassate per 8 minuti, caricate nelle celle e sottoposte ad una pressione di 30 p.s.i. Le due celle sono protette da una camera adiabatica e sono mantenute a pressione costante per tutta la 14 Materiali e Metodi durata della scansione. Dopo una fase di equilibrazione inizia la scansione termica alla velocità prescelta (1°C/min). 3.4) Fluorescenza La NDPK da Dictyostelium discoideum possiede un solo residuo di triptofano. La fluorescenza intrinseca del triptofano è stata oggetto di vari esperimenti. Sono state infatti effettuate prove fluorimetriche a diversi valori di pH sia in presenza di urea che di bis-ANS. L’ANS (8-anilino-1-naftalene sulfonato) è una molecola idrofobica che ha la capacità di legarsi alla proteina se questa si trova in una conformazione parzialmente ripiegata (tipo molten globule ed altri intermedi di denaturazione), e non allo stato nativo o totalmente denaturato. Lo spettro di emissione di fluorescenza di questa molecola, possiede un massimo a 480 nm quando è legato ad un sito idrofobico di una proteina. Lo strumento utilizzato nei nostri esperimenti è stato lo spettrofotometro a fluorescenza Perkin-Elmer LS 50 B. La NDPK (10μg/ml) è stata equilibrata in tamponi 50 mM a vari pH sia per gli esperimenti con urea che per quelli con il bis-ANS. Il legame del bis-ANS (1 M finale) è stato determinato misurando l’aumento di fluorescenza a 480 nm (exc = 295 nm). L’energia viene trasferita dal triptofano alla molecola di bis-ANS. Parte prima 15 La fluorescenza intrinseca del triptofano negli esperimenti con urea è stata misurata a 340 nm (exc = 295 nm) dopo un’incubazione per 16 ore a 25 C con una concentrazione di urea 0-8 M. 3.5) Cromatografia di esclusione molecolare Sono stati iniettati 100 μl di proteine 0.1mg/mg su una colonna Superdex 75, precedentemente equilibrata con NaCl 100 mM. La corsa è stata condotta con una velocità di flusso di 0.5ml/min a 25 ˚C ed è stata registrata l’assorbanza a 254 nm. 3.6) Dicroismo circolare Gli spettri CD sono stati eseguiti con uno spettropolarimetro JASCO J810 a 25˚C, usando cuvette di quarzo di 10 e 1 mm per l’UV vicino e l’UV lontano. La proteina è stata usata ad una concentrazione di 0.2mg/ml in tampone 50 mM. 16 Risultati 4 RISULTATI 4.1) Attivita’ enzimatica Come mostrato in Fig. 3, la proteina wt ricombinante risulta essere pienamente attiva a valori di pH superiori a 5, mentre il mutante P105G e’ attivo solo nell’intervallo di pH 6-9. Studi condotti precedentemente hanno dimostrato che l’attivita’ enzimatica e’ associata con la struttura esamerica (14), mentre i monomeri ripiegati possiedono 1%-3% di attivita’ degli esameri. Questo porta a considerare la piena attivita’ enzimatica come indice di una struttura quaternaria corretta. 100 %attivita' 80 60 40 20 0 2 4 6 pH 8 10 12 Fig. 3 Attivita’ enzimatica della NDPK wt (linea continua) e del mutante P105G (linea tratteggiata). Gli enzimi sono stati incubati ai vari pH per 2 ore, ad una concentrazione di proteina di 10μg/ml. Parte prima 17 4.2) Esperimenti calorimetrici La denaturazione termica in funzione del pH dell’enzima wt e’ mostrata in Fig. 4. Nell’intervallo di pH 6-9, i termogrammi mostrano una singola transizione endotermica seguita da aggregazione e precipitazione, e pertanto irreversibile. Questo porta a concludere che l’enzima wt è presente come esamero che viene direttamente trasformato in monomeri denaturati. 500 9.7 o kcal/mole C 400 7.2 300 200 6.0 100 5.0 0 4.0 20 30 40 50 60 70 80 Temperatura Fig. 4 Profili calorimetrici della NDPK wt da Dictyostelium discoideum 18 Risultati Per quanto riguarda il mutante P105G (Fig. 5), nell’intervallo di pH 7-9, i profili calorimetrici mostrano sempre due picchi ben distinti. Il primo corrisponde alla dissociazione dell’esamero in monomeri ed e’ reversibile, mentre il secondo corrisponde alla denaturazione dei monomeri ed e’ irreversibile (15) A pH 9.9 viene osservato un solo picco, con una Tm molto simile alla temperatura di denaturazione osservata ai pH più bassi. Questo suggerisce che la proteina si trovi gia’ dissociata nei singoli monomeri e quindi il picco rappresenti la denaturazione di questi. Confrontando i risultati ottenuti appare evidente che, diversamente dalla proteina wt, nel mutante la dissociazione precede sempre la denaturazione. Percio’ le piccole differenze nella struttura cristallografica dell’esamero del mutante risultano in interazioni piu’ deboli fra le subunita’. Infine, sia per l’enzima wt che per il mutante, a pH acidi e’presente una singola transizione con valori di Tm e ΔH molto bassi. Questo fenomeno potrebbe indicare che la transizione non e’ relativa ad una denaturazione completa della proteina, ma solo parziale; si puo’ quindi ipotizzare che in queste condizioni di pH la proteina si trovi sotto forma di un intermedio gia’ parzialmente denaturato. Infine, un dato interessante e’ che la somma dei ΔH di dissociazione e di denaturazione, come i valori di Tm, nei termogrammi del mutante P105G risultano sempre inferiori a quelli della proteina wt (Tab. 1 e 2). Questo lascia ipotizzare che la diminuzione della stabilita’ della struttura quaternaria sia dovuta ad una diminuzione della superficie di contatto fra monomeri. Parte prima 19 250 9.9 o kcal/mole C 200 8.5 150 7.0 100 6.0 50 5.0 0 10 20 30 40 Temperatura Fig. 5 Profili calorimetrici del mutante P105G 50 60 70 20 Risultati Tab. 1 Dati calorimetrici della denaturazione termica della NDPK wt da Dictyostelium discoideum pH tampone Tm ˚ C ΔHtot Kcal/mol 3.0 glicina 28.8 77 4.0 acetato 37.7 248 5.0 acetato 54.4 597 6.0 MES 59.9 672 7.2 HEPES 61.2 693 8.8 TEA 59.1 596 9.7 CAPS 53.7 648 10.0 glicina 52.9 529 10.5 CAPS 49.0 560 11 CAPS 48.3 532 Parte prima 21 Tab. 2 Dati calorimetrici della denaturazione termica del mutante P105G da Dictyostelium discoideum pH Tm Htot Tm 1 C Tm 2 H 1 C H 2 Tampone °C kcal/mol 5 32.4 215 32.2 219 39.1 355 39.1 363 39.0 309 39.1 44.1 271 50 36.5 376 36.3 45.7 203 168 46.3 387 38.6 46.4 178 208 48.3 561 36.5 48.2 222 327 46.8 396 38.6 46.7 178 212 46.2 462 34.8 45.9 241 315 46.5 260 kcal/mol kcal/mol Acetato 6 Mes 6.5 Fosfato 7 Hepes 7 Fosfato 7.5 Hepes 7.5 Fosfato 8.5 Tea 9.9 Caps 46.1 259 22 Risultati 4.3) Denaturazione indotta da urea e sua reversibilità Gli esperimenti sono stati condotti nell’intervallo di pH 4-9 in presenza di urea 0-8 M. Come mostrato in Fig. 6, l’intensità della fluorescenza intrinseca del triptofano nell’enzima wt a 340 nm, diminuisce notevolmente aumentando la concentrazione di urea. Questo è dovuto ad uno spostamento dello spettro di emissione del residuo di triptofano che, aumentando la denaturazione della proteina, diventa sempre più esposto al solvente. A concentrazioni di urea 5-6 M, in tutto l’intervallo di pH considerato, la NDPK wt è completamente denaturata. Il processo di rinaturazione avviene attraverso un meccanismo diverso e mostra isteresi. Questo potrebbe essere spiegato considerando che la NDPK wt, esamerica, denatura senza dissociazione nei singoli monomeri (14), mentre la curva di rinaturazione descrive la transizione della proteina denaturata a monomeri folded. I monomeri non riescono ad associarsi per formare esameri nel tempo di durata dell’esperimento alla concentrazione proteica utilizzata. A pH inferiori a 5, la NDPK wt non si trova nella sua conformazione nativa, come mostrato dall’intensita’ di fluorescenza molto bassa anche in assenza di urea. In questo caso, la denaturazione è completamente reversibile, e le curve rappresentano l’equilibrio tra i monomeri denaturati e un intermedio parzialmente denaturato. Gli stessi esperimenti, eseguiti sul mutante P105G, hanno mostrato che nell’intervallo di pH 4-9 la reazione di denaturazione/rinaturazione e’ reversibile, confermando che l’esamero dissocia in monomeri folded (14,15). A pH<6 il mutante e’ gia’ dissociato anche in assenza di urea, come mostrato dai valori di fluorescenza molto bassi. Parte prima 23 Fluorescence intensity (arbitrary units) 400 300 200 100 0 400 300 200 100 0 400 300 200 100 0 0 1 2 3 4 5 6 0 1 2 3 4 5 6 Urea, M Fig. 6 Denaturazione (simboli pieni) con urea e successiva rinaturazione (simboli vuoti) misurati seguendo la fluorescenza intrinseca della NDPK wt (quadrati) e del mutante P105G (rombi) a vari pH. Colonna di sinistra: pH 4.0, 5.0, 6.0 dall’alto verso il basso Colonna di destra: pH 7.0, 8.0, 9.0 dall’alto verso il basso 24 Risultati 4.4) Legame con bis-ANS Gli spettri di fluorescenza sono stati registrati ad una lunghezza d’onda di eccitazione di 295 nm. Il legame del bis-ANS è stato determinato misurando l’aumento di fluorescenza a 480 nm. Per quanto riguarda la NDPK wt, come mostrato in Fig. 7A, nell’intervallo di pH 5-9, la fluorescenza del bis-ANS non e’ rilevabile, mentre c’e’ un picco significativo in condizioni piu’ acide, suggerendo il legame della molecola ad una conformazione proteica simile ad un molten globule. Risultati molto simili sono stati ottenuti per il mutante P105G (Fig. 7B), che mostra pero’ proprieta’ caratteristiche di molten globule gia’ a pH 6. Il lieve incremento di legame della proteina alla molecola di bis-ANS a pH>6 e’ dovuto ad una piccola frazione dell’enzima mutante parzialmente denaturato presente nel campione. Parte prima 25 Fluorescence intensity (arbitrary units) 1000 A B 800 600 400 200 0 2 4 6 8 pH 10 2 4 6 8 pH 10 12 Fig. 7 Legame del bis-ANS alla NDPK wt (A) e al mutante P105G (B). L’emissione e’ a 340 nm in assenza di bis-ANS (cerchi pieni) e in presenza di 1μM bis-ANS (cerchi vuoti) o a 480 nm (triangoli) 26 Risultati 4.5) Cromatografia di esclusione molecolare Gli esperimenti sono stati condotti su una colonna Superdex 75 a 25°C. In base ai diversi volumi di eluizione raccolti è stato possibile identificare l’eventuale presenza dell’esamero, del monomero nativo e di altri intermedi di denaturazione a vari valori di pH sia per la NDPK wt che per il mutante P105G. Come mostrato in Fig. 8A, per l’enzima wt, a pH≥7 e’ presente solo l’esamero, mentre a valori di pH inferiori sono stati osservati alcuni intermedi di denaturazione; i monomeri nativi invece non sono stati osservati in nessuna condizione. Per il mutante P105G (Fig. 8B) l’aspetto piu’ caratteristico e’ la scomparsa della forma esamerica a pH 10 e la comparsa di una specie che, in accordo con i risultati calorimetrici, sembra essere il monomero nativo. A valori di pH piu’ acidi, sia la NDPK wt che la proteina mutante non sono state eluite, probabilmente a causa di un assorbimento irreversibile sul gel. Parte prima 27 Absorbance at 254 nm A 0.004 0.003 0.002 0.001 B Absorbance at 254 nm 0.008 0.007 0.006 0.005 0.004 M H 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Elution volume (ml) Fig. 8 Profili di eluizione della cromatografia di esclusione a vari valori di pH. A: NDPK wt. pH 9.8, 8.2 ,7.1, 6.0, 5.0 dall’alto verso il basso B: mutante P105G. pH 9.8, 8.2 ,7.1, 5.8 dall’alto verso il basso M: monomero H: esamero. 4.6) Dicroismo circolare Come si puo’ osservare dalle Fig. 9 e 10, in tutto l’intervallo di pH considerato (3-8), gli spettri CD dell’enzima wt e del mutante P105G sono quasi identici nell’UV lontano, mentre sono molto diversi nell’UV vicino. A pH 5, gli spettri caratteristici della struttura terziaria dell’enzima wt sono molto ridotti, suggerendo un intermedio con una struttura terziaria meno compatta di quella nativa ma con un’identica struttura secondaria. Queste 28 Risultati caratteristiche lasciano ipotizzare che ci si trovi in presenza di uno stato di molten globule. 4000 2 Ellipticity (deg cm /dmol) 2000 0 -2000 -4000 -6000 -8000 -1 10 4 -1.2 10 4 200 210 220 230 240 250 Wavelenght (nm) Fig. 9 Struttura secondaria della NDPK wt e del mutante P105G in funzione del pH. Gli spettri dell’UV lontano sono stati registrati a pH 8.0 (cerchi), 5.0 (quadrati), 3.0 (triangoli) per la NDPK wt (simboli pieni) e per il mutante (simboli vuoti). E’ inoltre mostrato lo spettro del mutante P105G denaturato in 6 M guanidina-HCl (croci) Parte prima 29 0 2 Ellipticity (degrees cm /dmol) 20 -20 -40 -60 -80 -100 250 260 270 280 Wavelength (nm) 290 300 Fig. 10 Struttura terziaria della NDPK wt e del mutante P105G in funzione del pH. Gli spettri dell’UV vicino sono stati registrati a pH 8.0 (linea continua), 5.0 (linea punteggiata), e 3.0 (linea tratteggiata) per la NDPK nativa (simboli pieni) e per il mutante (simboli vuoti) 30 Discussione 5 DISCUSSIONE Preliminari studi calorimetrici condotti in precedenza nel nostro laboratorio hanno mostrato che la somiglianza strutturale fra la NDPK da Dictyostelium discoideum wt e il mutante P105G e’ solo apparente perche’ queste due proteine si comportano in maniera molto diversa a pH 7.5 (15). I risultati ottenuti in questa ricerca mostrano che in tutto l’intervallo di pH 69 la NDPK wt denatura direttamente senza dissociazione nei monomeri nativi. Nel mutante P105G invece la dissociazione in monomeri nativi precede sempre la loro denaturazione. A pH inferiori a 6, la NDPK wt perde la struttura quaternaria e terziaria, ma come mostrato dagli esperimenti di dicroismo circolare, mantiene la struttura secondaria. L’intermedio che si forma e’ in grado di legare il bis-ANS e denatura in maniera reversibile ad una concentrazione di denaturante piu’ bassa e ad una temperatura inferiore. Queste caratteristiche hanno portato ad identificare l’intermedio formato come uno stato di molten globule. Risultati simili sono stati ottenuti per il mutante P105G, ma in questo caso il molten globule e’ stato osservato gia’ a pH 6. Questo porta a concludere che la piccola diminuzione di contatti fra le subunita’ nel mutante comporta minore stabilita’ e una piu’ facile formazione di intermedi di denaturazione (p.es. molten globule) privi di attivita’ catalitica. Parte seconda 31 PARTE SECONDA STUDI FUNZIONALI 1. INTRODUZIONE 1.1 LA NDPK UMANA Negli esseri umani sono stati documentati otto geni che codificano per la NDPK, e sono stati denominati nm23 H1, H2, H3, H4, H5, H6, H7, H8. Il primo gene nm23 fu isolato grazie ad uno screening di una biblioteca di fibroblasti umani e chiamato nm23 H1. Un secondo gene umano, l’nm23 H2, e’ stato identificato grazie alla sua alta omologia con l’nm23 H1 (16). Il gene nm23 H3 e’ stato identificato in base ad uno screening di una biblioteca di DNA ottenuta da cellule di leucemia cronica mieloide (17). I restanti cinque membri della famiglia dei geni nm23 sono stati individuati cercando sequenze omologhe nei database di sequenze note (18) (19). Questi geni sono stati denominati nm23 H4-H8, sulla base della loro omologia con i precedenti geni anche se non sembra influenzino il potenziale metastatico. La famiglia dei geni nm23 puo’ essere considerata divisa in due gruppi distinti. 32 Introduzione Il primo gruppo di geni codifica per proteine che generalmente possiedono controparti altamente omologhe in altre specie di vertebrati e che hanno la classica attivita’ catalitica di una NDPK. Questo gruppo include le NDPK A, B, C, D (nm23 H1, H2, H3, H4), che condividono dal 58% all’88% di identita’. Il secondo gruppo di geni (nm23 H5, H6, H7, H8) è piu’ divergente poiche’ le sequenze condividono solo dal 25 al 45% di identita’ sia fra di loro sia rispetto al primo gruppo. Inoltre solo un prodotto del secondo gruppo di geni (nm23 H6) ha dimostrato di possedere attivita’ catalitica. Le NDPK A e B, le piu’ abbondanti isoforme umane, sono state purificate da eritrociti umani e sequenziate, e sono risultate identiche ai prodotti dei geni nm23 H1 ed H2, senza nessuna modificazione post-traduzionale (20). Esse presentano due punti isoelettrici diversi: la NDPK A e’ una proteina acida, (pI=6.4) mentre la NDPK B e’ basica (pI=8.7). In Tab. 3 sono mostrate le diverse isoforme di NDPK con i loro pI e le rispettive localizzazioni cellulari. Parte seconda 33 Tab. 3 Localizzazione e attivita’ delle varie isoforme della NDPK umana. isoforma n° massa pI localizzazione attivita’ aa (Da) cellulare catalitica 17149 6.41 citoplasma, si Nm23-H1 152 (NDPK nucleo A) Nm23-H2 152 17298 8.72 (NDPK B) Nm23-H3 168 si nucleo 18903 6.91 (NDPK C) Nm23-H4 187 citoplasma, citoplasma, si membrane 20659 10.3 mitocondri si Nm23-H5 212 24236 5.89 ? no Nm23-H6 186 21142 8.51 mitocondri, si (NDPK D) citoplasma Nm23-H7 376 42492 6.03 ? ? Nm23-H8 588 67270 4.9 ? ? 34 Introduzione 1.2. LA NDPK UMANA REGOLA L’ESPRESSIONE GENICA TRAMITE LEGAME AD ELEMENTI REGOLATORI DELLA TRASCRIZIONE- Nel 1993 venne scoperto che l’isoforma B della NDPK umana (NDPK B) mostrava, in vitro, un’attivita’ trascrizionale nei confronti dell’oncogene cmyc. Questa fu la prima scoperta di una funzione di regolazione genica per una proteina appartenente alla famiglia nm23 e suggeri’ che almeno alcune delle sue proprieta’ potessero essere mediate dalla capacita’ di legare il DNA. In questa interazione la NDPK agirebbe come un’endonucleasi. (21). Numerosi studi hanno dimostrato un coinvolgimento della NDPK anche nel differenziamento cellulare, e nel processo di metastasi tumorale (22,3,4) Da quest’ultima funzione deriva il nome del suo gene nei mammiferi, nm23 (nm sta per no-metastasis). Parte seconda 35 Fig. 11 Modello di oligonucleotide legato alla NDPK B umana. Il sito di legame della NDPK sul gene c-myc presenta una tipica forma nonB, denominata da Watson e Crick come struttura paranemica. Questa struttura, detta G-quadruplex, e caratterizzata dalla sequenza palindromica GGGGTGGG, e’ coinvolta nell’attivazione e nella repressione della trascrizione genica (23). Infatti questo particolare filamento ricco di guanine formerebbe, in vitro, una struttura ripiegata con un nucleo di tetradi di guanine impilate, che coordina ioni potassio ( 24). Le tetradi deriverebbero dall’associazione di quattro guanine in un complesso ciclico di legami idrogeno che coinvolge l’N1, l’N2, l’N7 e l’O6 di ogni guanina (Fig. 12). Questo determinerebbe poi la successiva apertura del filamento complementare del DNA a doppia elica ricco in citosine. 36 Introduzione Fig.12 Modello schematico della struttura assunta dall’oligonucleotide PU27, con sequenza identica al filamento ricco in purine del gene c-myc. In rosso sono mostrati i tre piani di tetradi di guanine. Alcuni Autori (25) hanno ipotizzato che la NDPK B possa favorire la formazione della struttura G-quadruplex, determinando l’accesso di specifiche proteine, tra cui la hnRNPK (heterogeneous nuclear ribonucleoprotein K), la hnRNPA1 (heterogeneous nuclear ribonuclear protein A1) e la CNBP (cellular nucleic acid binding protein), implicate direttamente nell’inizio della trascrizione del gene (26, 27,28). Molto recentemente (23) e’ stato invece scoperto che nel 30% di tumori colorettali sono presenti mutazioni che destabilizzano (introduzione di una G al posto di una A) (Fig.13) la struttura a quadruplex, da cui consegue un aumento di espressione del gene c-myc. E’ stato inoltre dimostrato che i livelli di nm23 H2 risultano essere minori nei tessuti tumorali e nelle linee cellulari che portano queste mutazioni. Questo porterebbe ad ipotizzare Parte seconda 37 quindi che, in relazione al tipo di linea cellulare e al tipo di tumore, la struttura a quadruplex possa agire come una forma regolatoria repressiva o promotrice della trascrizione, e che la NDPK B, in base alla sua capacita’ di legare e tagliare il DNA, possa modificare l’equilibrio della quadruplex favorendo o meno l’accesso a specifici fattori implicati nel processo di trascrizione genica. Fig. 13 Modello per l’attivazione e la repressione della trascrizione genica. Ruolo della NDPK B nella conversione di strutture secondarie parenemiche (gene off) in tratti di DNA ricchi in purine e pirimidine a singolo filamento. 38 Introduzione Lo stesso motivo caratteristico ricco di GC del c-myc risulta essere presente in altre regioni di DNA, alcune delle quali gia’ note (29), che potrebbero rappresentare ulteriori ipotetici siti di legame per la NDPK. (Tab.4) Queste sequenze di DNA sono state trovate all’interno dei promotori di numerosi oncogeni ed oncosoppressori. (Tab.5). Tab. 4 Sequenze ricche di guanine presenti nei promotori di alcuni geni tendenti a formare strutture G-quadruplex. Sequenza Gene -1416 AGACGTGGGGAGGGGGCCTGC -1396 PDGF-A 5’SHS -72 GGGGCGGGGGCGGGGGCGGGG -52 promotore PDGF-A NHE -115 ATGGGGAGGGTGGGGAGGGTG -135 promotore c-myc -38 TAAGCGGGGGTGGGGTGAGGT -58 promotore MPO -529 GGGGTTGGGGTGGGATAGGGG -509 promotore CCR5 -126 GGAGGAAGGGTGGGCAGGTCC -106 promotore CD11b -234 ATATGAAGGGTGGAAGGAAG -254 promotore p53 -376 GTTTGGAGGGAGGGGCAGGTA -396 promotore WT1 -617 GCAGGAAGGGGAGGGCCGGGG -637 promotore bcr-abl -2014 ATCCCAAGGGGTGGGCTAAAA -1994 promotore ING1 -410 AGCTTCTGGGAGGGATGGGA -430 promotore nm23-H1 -445 GCACGACGGGGAGGGAGAGCC -425 promotore nm23-H2 Parte seconda 39 Tab. 5 Oncogeni ed oncosoppressori al cui interno e’ stata trovata la regione ricca in GC. Oncogeni Geni oncosoppressori Fattori di crescita e loro recettori Fattori di trascrizione, 1. PDGF regolazione, apoptosi 2. CCR5 1. p53 2. WT1 Trasduttori di segnale Crescita cellulare 1. bcr-abl 1. ING1 Protoncogeni nucleari Invasione e metastasi 1. c-myc 1. nm23-H1 Invasione e metastasi 1. Cd11b Fattori inibenti la differenziazione 1. nm23-H2 40 Introduzione 1.3 ONCOGENI E GENI ONCOSOPPRESSORI CONTENENTI SEQUENZE RICCHE IN GUANINE 1.3.1 IL GENE C-MYC Il protoncogene c-myc svolge un ruolo critico nella genesi dei tumori dei linfociti B sia negli uccelli che nei mammiferi. Esso risulta espresso sia nel melanoma (30) che in vari tipi di leucemie. In particolare, e’ un agente chiave nell’eziologia del linfoma di Burkitt umano (31) Questo oncogene codifica per una fosfoproteina, la proteina c-Myc, che, a sua volta, attiva geni implicati nell’amplificazione della crescita cellulare. Il gene c-myc, (c sta per “cellular” e myc sta per myelocytomatosis) e’ stato scoperto nel 1982 (32) come la controparte cellulare dell’oncogene virale myc (myelocitomatosis virus 29 o MC 29), identificandolo come il gene responsabile delle trasformazioni neoplastiche indotte dall’avian leukosis virus (ALV). Esso e’ formato da tre esoni: un primo esone, lungo, non tradotto, (esone I), e due esoni che comprendono le sequenze codificanti (esoni II e III). La trascrizione inizia soprattuttto a livello dei promotori P1 e P2 (33, 34), che nel gene umano sono localizzati ad una distanza l’uno dall’altro di 174 nucleotidi nell’esone I: entrambi i promotori contengono una TATA box. Parte seconda 41 Esiste una regione molto importante ai fini del processo di regolazione trascrizionale ed e’ localizzata fra –160 e –101 coppie di basi a monte del promotore P1. Essa e’ formata da cinque sequenze ripetute, contenenti il motivo consenso CCCTCCCC. La regione contenente gli elementi CT e’ stata denominata NHE, a causa della presenza di numerosi siti ipersensibili alla nucleasi S1, e, in particolare, di un sito ipersensibile alla DNasi I, localizzato a –125 coppie di basi a monte del P1: questo sito viene denominato NHEIII1. Esperimenti condotti in vitro hanno rivelato che l’elemento NHEIII1e’ in equilibrio fra una struttura a doppia elica tradizionale e la struttura a quadruplex (35). (Fig.12) 1.3.2 IL GENE PDGF Il fattore di accrescimento di derivazione piastrinica (PDGF) e’ un potente mitogeno e chemoattrattore per cellule di origine mesenchimale, come i fibroblasti, le cellule del muscolo liscio, e le cellule gliali (36). La famiglia PDGF e’ composta da glicoproteine cationiche formate da due catene, A e B, legate tramite ponti disolfuro: esistono tre diverse isoforme, la AA, la BB, e l’eterodimero AB. La catena A e’ espressa nelle cellule normali endoteliali, epiteliali, del muscolo liscio, neuronali e gliali, suggerendo varie funzioni nella differenziazione cellulare e nell’embriogenesi. 42 Introduzione La trascrizione del gene della catena PDGF-A puo’ essere stimolata o inibita da vari fattori di crescita e citochine. I meccanismi trascrizionali che mediano questi effetti non sono del tutto chiari. Sembra comunque che la regolazione trascrizionale del gene della catena A sia governata da un’interazione complessa di elementi enhancer e silencer ricchi di tratti polipurinici/pirimidinici e che possiedono un’alta percentuale di struttura di DNA a singolo filamento e sono caratterizzate da una conformazione non-B. Questi elementi contengono molti siti di legame per fattori regolatori della trascrizione, fra cui la famiglia Sp (specifity protein) ed il prodotto del gene oncosoppressore WT1 (37). Sono state in particolare individuate due regioni presenti nella zona promotrice del gene: la prima e’ localizzata tra –82 e –40 coppie di basi a monte del promotore, e’ stata chiamata PDGF-A NHE (nucleasehypersensitive element) e contribuisce all’attivita’ trascrizionale del gene (38, 39) La seconda invece, denominata 5’SHS (5’S1-nuclease-hypersensitive sequence), è situata tra -1418 e -1388 coppie di basi a monte del promotore, e reprime la trascrizione della catena A del promotore in un’ampia gamma di linee cellulari normali e trasformate (40). Esperimenti di transfezione transiente effettuati su cellule HepG2 (41) hanno dimostrato che un’overespressione della NDPK inibisce l’attivita’ trascrizionale dell’elemento NHE. Studi successivi hanno inoltre dimostrato che l’elemento 5’SHS inibisce la trascrizione nelle cellule HeLa in conseguenza del legame con la NDPK A o B. (42). Parte seconda 43 1.3.3 IL GENE DELLA MIELOPEROSSIDASI La mieloperossidasi (MPO) e’ un enzima lisosomiale che svolge un ruolo importante nell’azione antimicrobica dei granulociti e dei monociti (43) Questa proteina e’ un marker importante della linea mieloide, usata nella diagnosi e nella classificazione della leucemia acuta. L’analisi dell’ mRNA della MPO umana ha indicato l’esistenza di un solo sito d’inizio della trascrizione per il gene umano della MPO. Il gene umano e’ stato clonato e caratterizzato ma gli elementi che regolano la sua espressione sono ancora sconosciuti (44). 1.3.4 IL GENE CCR5 Il prodotto del gene umano CCR5 e’ un recettore per le chemochine espresso dalle cellule linfoidi ed e’ importante anche nell’uptake dell’HIV-1. Il gene e’ organizzato in quattro esoni e due introni. La trascrizione inizia a partire da due promotori distinti: un promotore a monte dell’esone 1 (PU) ed un promotore a valle (PD) (45). 44 Introduzione 1.3.5 GENE CD11b La famiglia CD11/CD18 (molecole di adesione leucocitaria) e’ una famiglia di tre glicoproteine di superficie di membrana. Queste glicoproteine sono membri di una piu’ ampia famiglia di recettori eterodimerici (integrine), che mediano interazioni specifiche cellula-cellula e cellula-matrice. La famiglia CD11/CD18 media importanti funzioni leucocitarie (chemotassi, fagocitosi, aggegazione, adesione endoteliale e migrazione trans-endoteliale). In particolare, CD11b/CD18 rappresenta il recettore per il complemento (tipo 3): il gene che codifica per la subunita’ CD11b risulta espresso solo nelle cellule mielomonocitiche in relazione allo stadio di differenziazione. Numerose evidenze sperimentali (46) portano ad ipotizzare che una regolazione anormale di questi geni potrebbe contribuire ad una trasformazione maligna. 1.3.6 Il GENE p53 Il gene p53 codifica per una fosfoproteina nucleare che, in condizioni normali, provoca l’arresto del ciclo cellulare in fase G1 e l’apoptosi in risposta ad alcune forme di danno al DNA (47, 48) Il gene p53 e’ inoltre il gene piu’ frequentemente mutato nel cancro umano (49). Alcuni Autori (50) hanno individuato un’associazione fra i livelli di p53 e l’espressione di nm23 H1: in base al tipo cellulare la proteina p53 e’ in grado di aumentare o Parte seconda 45 diminuire l’espressione di H1, modulando quindi in maniera diversa la capacita’ delle cellule tumorali di metastatizzare. 1.3.7 IL GENE ING1 Il gene ING1 possiede tre esoni distinti: 1, 1b e 2 e codifica per 3 diversi mRNA, ING1a, b e c (51). La proteina piu’ largamente espressa risulta essere la p33 ING1b e studi funzionali hanno dimostrato che e’ coinvolta nel controllo della crescita e della proliferazione cellulare, nell’apoptosi, nella modulazione del ciclo cellulare. Studi di coimmunprecipitazione condotti su cellule umane hanno indicato che la proteina p33ING1b e’ in grado di interagire con il prodotto del gene oncosoppressore p53. 1.3.8 IL GENE WT1 WT1 e’ un gene oncosoppressore che codifica per una proteina coinvolta nello sviluppo dei reni e delle gonadi e che svolge un ruolo nella genesi del tumore di Wilms. Numerosi studi hanno individuato un’attivita’ di repressione trascrizionale svolta da WT1 nei confronti di geni contenenti, all’interno dei loro promtori, sequenze ricche in GC, fra cui il WT1 stesso, il c-myc ed il PDGF-A (52). 46 Introduzione 1.3.9 IL GENE bcr-abl Il bcr-abl e’ un oncogene chimerico che codifica per una proteina di 210 kDa (p210) che svolge un ruolo chiave nella genesi delle leucemie (53). La proteina p210 mostra un’attivita’ tirosinochinasica piu’ alta rispetto a quella della normale proteina ABL, e la sua struttura permette interazioni multiple proteina-proteina, che legano la p210 a processo mitogenici, tra cui la via di segnale ras, un importante meccanismo implicato nella proliferazione delle cellule leucemiche (54). E’ stato inoltre evidenziato che la proteina bcr/abl previene l’apoptosi mediante l’attivazione del gene bcl-2 (53). Parte seconda 47 2 SCOPO DELLA RICERCA La scoperta di un coinvolgimento delle nucleosidi difosfato chinasi A e B nei meccanismi di regolazione cellulare e nel processo della cancerogenesi ha suscitato un notevole interesse per questa proteina. Particolarmente importanti sono stati gli studi in vitro sull’interazione fra la NDPK con i geni c-myc e PDGF-A, e, mediante tecniche fluorimetriche, è stata verificata la presenza dell’enzima nel nucleo (55). La NDPK e’ implicata nella soppressione delle metastasi, ma l’esatto meccanismo biochimico attraverso cui regola il processo di inibizione metastatica non e’ ancora chiaro. Si pensa che questo meccanismo includa interazioni proteina-proteina, la funzione di regolazione delle proteine che legano il GTP, l’attivita’ fosfotransferasica e l’interazione con il DNA. In relazione a quest’ultima funzione ci sono alcune evidenze che indicano che NDPK attiva o inibisce alcuni geni implicati nei processi di soppressione metastatica, in particolare geni associati con la motilita’ e l’adesione cellulare e geni oncosoppressori (56). Tuttavia, gli studi d’interazione fra la NDPK ed il DNA sono stati condotti in vitro, senza alcuna prova di un effettivo legame della NDPK al DNA in vivo. Infatti, essendo la NDPK B una proteina a carattere basico, la sua interazione con il DNA in vitro potrebbe essere dovuta ad interazioni ioniche e potrebbe non corrispondere a cio’ che avviene nell’ambiente nucleare. I nostri studi si sono rivolti quindi a cercare di dimostrare in vivo l’esistenza di un legame diretto tra NDPK e DNA e ad individuare gli eventuali frammenti genici con cui l’enzima interagisce. 48 Scopo della ricerca A tal fine, nella prima parte di questo studio abbiamo utilizzato metodi di cross-linking e di immunoprecipitazione (ChiP) con anticorpi policlonali anti-NDPK per isolare il complesso NDPK-DNA. L’accoppiamento di queste tecniche permette di studiare l’interazione DNA-proteine in un contesto di vitalita’ cellulare che piu’ si avvicina all’ambiente naturale. Gli esperimenti sono stati condotti su due linee cellulari tumorali umane: le cellule eritroleucemiche umane K562 e le cellule di melanoma umano M14. Per individuare il miglior agente di cross-linking sono state inizialmente effettuate prove sulle cellule K562 con due reattivi diversi: la formaldeide e il cis-diclorodiamminoplatino II (cis-DDP). Quest’ultimo ha evidenziato alcune caratteristiche vantaggiose (p. es. la mancanza di legame con gli istoni), che lo hanno portato ad essere scelto come l’agente piu’ efficace. La seconda parte della nostra ricerca e’ stata diretta alla verifica, nei frammenti di DNA ottenuti mediante immunoprecipitazione provenienti da cellule eritroleucemiche umane K562 e da cellule di melanoma umano M14, della presenza dei geni indicati in letteratura come probabili siti di legame e di geni la cui interazione con la NDPK e’ sconosciuta. Le sequenze analizzate, caratterizzate da un particolare motivo ricco in guanine, (Tab. 4) sono presenti nei promotori di geni implicati nei processi tumorali come oncogeni o come oncosoppressori (Tab. 5) Molti di questi geni inoltre risultano overespressi sia nella leucemia che nel melanoma (Tab. 6). Questo studio e’ stato condotto per chiarire il meccanismo della funzione antimetastatica della NDPK e per identificare nuovi geni come potenziale target per lo sviluppo di nuovi farmaci implicati nel meccanismo di soppressione metastatica nm23-mediata. Parte seconda 49 Tab. 6. Espressione dei geni analizzati nella leucemia e nel melanoma. Tumore Leucemia Geni Geni overespressi espressi poco Bibliografia PDGF-A Tsai et al 1994 c-myc Spencer et al. 1991 p53 Chang et al. 1993 WT1 Huang et al. 2002 bcr-abl Rapozzi e tal. 2002 MPO Lin et al. 2002 CD11b Hickstein et al. 1992 Melanoma ING1 Ohmori 1999 PDGF-A Westphal et al. 2000 c-myc Chana et al. 2002 CCR5 Payne et al. 2002 p53 Zhang et al. 2002 ING1 Campos 2002 et al. 50 Materiali e metodi 3. MATERIALI E METODI Le NDPK A e B ricombinanti, usate come standard, sono state purificate tramite adsorbimento su colonne di Q-Sepharose, precipitate e poi conservate in soluzioni sature di solfato d’ammonio. Gli oligonucleotidi necessari per le reazioni di ibridizzazione sono stati sintetizzati dalla Sigma-Genosys. (Tab. 7). Tab. 7. Oligonucleotidi usati per le reazioni di ibridizzazione. Geni Oligonucleotidi 5’SHS PDGF-A 5’-AGAGACGTGGGGAGGGGGCCTGCAGGTGTGT-3’ NHE PDGF-A 5’-AGAGGGGGCGGGGGCGGGGGCGGGGGGAGT-3’ c-myc 5’-ATGGGGAGGGTGGGGAGGGGTGGGGAAGGTG-3’ MPO 5’-TCCTCTAGCGGGGGTGGGGTGAGGTAGAGG-3’ CCR5 5’-GTGTGGGGGTTGGGGTGGGATAGGGGATACG-3’ CD11b 5’-GCTGGGGAGGAAGGGTGGGCAGGCTGTGGG-3’ p53 5’-GCTTTCTTCCTTCCACCCTTCATATTTGAC-3’ WT1 5’-GAGCCTACCTGCCCCTCCCTCCAAACCACT-3’ bcr-abl 5’-CCTCCCCCCGGCCCTCCCCTTCCTGCGGCG-3’ ING1 5’-TTTTATCCCAAGGGGTGGGCTAAAAGTTTT-3’ nm23-H1 5’-CCTATACTCCCATCCCTCCCAGAAGCTCCA-3’ nm23-H2 5’-GGTGCACGACGGGGAGGGAGAGCCAAGTCA-3’ Parte seconda 51 I primers necessari per le reazioni di PCR sono stati sintetizzati dalla Eurogentec (Germany) ( Tab. 8) Tab. 8. Primers usati per le reazioni di PCR Gene 5’SHS PDGF-A Primers Product (bp) F: 5’-ACCAGAGGGCATGCTTGACC-3’ 160 R: 5’-CCTTCCCCCAAATATTTGGG-3’ NHE PDGF-A F: 5’-GGGGCTTTGATGGATTTAGC-3’ 287 R: 5’-GAGGAGGAGGAGGAGTAGGC-3’ c-myc F: 5’-AGGCGCGCGTAGTTAATTCA-3’ 214 R: 5’-TCGCATTATAAAGGGCCGGT-3’ MPO F: 5’-TGTGTGTACCTTCCAACCCA-3’ 174 R: 5’-GTCATCCAGCTTCCAAGGAC-3’ CCR5 F: 5’-CCCGTGAGCCCATAGTTAAA-3’ 170 R: 5’-TAGAGGGGGATCCTGGACTT-3’ CD11b F: 5’-ACCCAAGAAACAAGTGGGTG-3’ 145 R: 5’-TCAGTGAGCACATAGCCCTG-3’ p53 F: 5’-GGATCCAGCTGAGAGCAAAC-3’ 160 R: 5’-CGACCTGGTGCCGTAGATA-3’ WT1 F: 5’-AGCAAGAGCCAGACTCAAGG-3’ 159 R: 5’-TGGGAGTAGAGATGGGGTTG-3’ bcr-abl F: 5’-GCTGTTGTTAGGGCCTCAGT-3’ 247 R: 5’-GCCTCCTCGGACGCTAAG-3’ ING1 F: 5’-ACGCCACAGGAAACAAAACT-3’ 241 R: 5’-GTGCGCTGGGGATACAGTAG-3’ nm23-H1 F: 5’-TCTGGCCTTTTCTTCACAGC-3’ 214 R: 5’-GCTCCCGCTTTGTGTTTATT-3’ nm23-H2 F: 5’-CTTAACCAGGGCTCAAGCAG-3’ 184 R: 5’-ACAGAACCTGCTCCTGTGCT-3’ 52 Materiali e metodi Gli anticorpi policlonali anti-NDPK AB sono stati ottenuti da DAVIDS (Regensburg, Germany) immunizzando conigli con NDPK B e sono stati purificati tramite cromatografia di affinita’ usando colonne HiTrap NHS (Amersham–Pharmacia). Gli anticorpi anti-NDPK A specifici e anti-NDPK B specifici sono stati ottenuti per ulteriore cromatografia di affinita’ su NDPK A ricombinante immobilizzata (per ottenere gli anticorpi anti-B) o B (per ottenere gli anticorpi anti-A). 3.1) Preparazione delle cellule Le cellule leucemiche umane K562 sono state messe in coltura nel terreno RPMI 1640 a cui e’ stato aggiunto siero fetale di vitello (inattivato al calore) al 10%, 5 mM glutamina, 100U/ml penicillina e 100mg/ml streptomicina in atmosfera umidificata contenente il 5% di CO2. Le cellule sono state raccolte mediante centrifugazione e lavate per due volte con tampone A (10 mM Na2HPO4, 137 mM NaCl, 2.7 mM KCl, 1 mM CaCl2, 1 mM MgCl2 pH 7.5). Le cellule di melanoma umano M14 sono state messe in coltura nel terreno RPMI 1640 e trattate allo stesso modo con l’aggiunta di piruvato 1 mM. Le cellule adese sono state poi staccate e lavate per una volta con tampone A. Parte seconda 53 3.2) Cross-linking in vivo con cis-diclorodiammino platino II (cis-DDP) Le cellule K562 e le cellule M14 sono state lavate per due volte con tampone B (10 mM Na2HPO4, 1.76 mM KH2PO4 pH 7.5, 3 mM MgSO4, 135 mM CH3COONa), e risospese nello stesso tampone contenente 1 mM cis-DDP (Sigma), 1 mM PMSF. Le cellule K562 sono state incubate per 2 h a 37 ºC (57), mentre le cellule M14 sempre a 37ºC ma a per 1 h. Per verificare l’integrità delle cellule, è stato effettuato il saggio del Trypan blue, prelevando a vari tempi piccole aliquote ed osservando al microscopio la colorazione delle cellule(58). La reazione e’ stata fermata aggiungendo alla sospensione 5mM tiourea. Dopo centrifugazione il precipitato e’ stato lavato con tampone B contenente 5 mM tiourea ed 1 mM PMSF. 3.3) Cross-linking in vivo con formaldeide Le cellule K562 sono state risospese nel tampone A, e dopo aggiunta di 1% formaldeide, sono state incubate per 1 ora a 4ºC (59). Anche in questo caso è stata controllata l’integrità delle cellule a vari tempi d’incubazione con il saggio del Trypan Blue (58). Dopo la reazione di cross-linking le cellule sono state lavate per due volte con tampone A. 54 Materiali e metodi 3.4) Separazione dei nuclei I nuclei delle cellule K562 e delle cellule M14 sono stati isolati secondo la seguente procedura: (60): le cellule sono state riprese in cinque volumi di tampone nuclei (10 mM Hepes pH 8, 10 mM KCl, 1.5 mM MgCl2, 1 mM PMSF) e tenute in bagno di ghiaccio per 10’. Dopo centrifugazione a 300 x g per 10’ il precipitato e’ stato ripreso in due volumi di tampone nuclei, e le cellule sono state rotte mediante passaggio attraverso ago. Dopo centrifugazione a 1500 x g per 10’ ed eliminazione del sopranatante, il precipitato ottenuto dalle cellule K562 e’ stato ripreso in due volumi di tampone nuclei a cui e’ stato aggiunto 0.2% v/v Nonidet P-40 mentre il precipitato ottenuto dalle cellule M14 e’ stato ripreso in due volumi di tampone nuclei a cui e’ stato aggiunto 0.05% Triton X100. Questo trattamento serve ad eliminare le membrane. Dopo centrifugazione a 1500 x g per 10’, il precipitato e’ stato lavato con tampone nuclei fino ad ottenere un sopranatante limpido. Il precipitato, costituito dai nuclei intatti, e’ stato ripreso in due volumi di tampone nuclei. La concentrazione dei nuclei e’ stata determinata spettrofotometricamente in 3 M NaCl a 260 nm (E260 mg/ml=20). I nuclei sono stati conservati a -20C in 20% glicerolo. Parte seconda 55 3.5) Purificazione delle proteine legate al DNA tramite la reazione di crosslinking I nuclei delle cellule K562 sono stati rotti in tampone 1 mM fosfato di sodio, 5 M urea, 2 M guanidina-HCl, 2 M NaCl pH 7.5, mescolati con idrossiapatite ed incubati per 16 ore a 4ºC (57). Dopo centrifugazione a 10000 x g per 10’ l’idrossiapatite è stata lavata con tampone 200 mM sodio fosfato, 2 M NaCl pH 7.5, 5 M urea, 2 M guanidina-HCl per eliminare le proteine non legate al DNA mediante cross-linking. Le proteine nucleari legate al DNA con il cisDDP sono state rilasciate mediante incubazione per 16 ore a 37ºC con 1.5 M tiourea in tampone C (150 mM sodio fosfato, 1 M NaCl pH 7.5, 1 M guanidina-HCl). Le proteine nucleari legate al DNA tramite formaldeide sono state invece rilasciate tramite incubazione di 6 ore a 65ºC nel tampone C. Le proteine rilasciate sono state poi analizzate tramite Western blotting con anticorpi policlonali anti-NDPK purificati mediante cromatografia di affinità. 3.6) Preparazione dei complessi DNA-proteine I nuclei delle cellule K562 e delle cellule M14, preparati come descritto al paragrafo 3.4, sono stati rotti per trattamento con 10 mM Tris-HCl pH 8, 1 mM EDTA, 0.5% SDS, e sottoposti a sonicazione per frammentare il DNA effettuando 8 cicli di 10 sec. a 10 in un Soniprep 150. Il materiale insolubile eventualmente presente e’ stato eliminato mediante centrifugazione. Il materiale solubile e’ stato sottoposto ad una cromatografia 56 Materiali e metodi su Sephacryl HR-400 (Pharmacia) (61) ed eluito con tampone 10 mM TrisHCl pH 8, 1 mM EDTA, 0.5% SDS. Questa cromatografia permette di separare il DNA libero ed i complessi DNA-proteine dalle proteine libere, che vengono trattenute dalla resina. Le frazioni contenenti il DNA libero e i complessi DNA-proteine sono state raccolte e precipitate con 3 volumi di etanolo al 96% (v/v) in presenza di 0.2 M finale NaCl. 3.7) Immunoprecipitazione dei complessi DNA-proteine (ChiP) Le frazioni contenenti i complessi DNA-proteine delle cellule K562 e delle cellule M14 sono state riprese in tampone RIPA (1% (v/v) Triton X-100, 0.1% (w/v) Na-deossicolato, 0.1% (w/v) SDS, 140 mM NaCl e sottoposte per due volte ad immunoprecipitazione (59) con alcune modificazioni (62) con anticorpi policlonali anti-NDPK (1 mg anticorpo/10 mg complessi DNAproteine). I complessi immunoprecipitati sono stati purificati su Protein-A Sepharose CL (Pharmacia) ed eluiti con 1% SDS in Tris-HCl 10 mM pH 8. Una frazione dei complessi DNA-NDPK e’ stata digerita con endonucleasi Benzonasi (1 unita’/g DNA) e le proteine sono state analizzate mediante Western blotting. Un’altra frazione e’ stata invece trattata con 50 g/ml di RNasi priva di DNasi (Roche) per 30’ a 37 ºC e con 500 g/ml di Proteinasi K (Sigma) per 16 h a 37 ºC . Il DNA e’ stato quindi precipitato con 3 volumi di etanolo in presenza di 200 g/ml di glicogeno. Contemporaneamente e’ stato effettuato un esperimento di controllo in cui i complessi DNA-proteine sono stati trattati come descritto ad eccezione dell’aggiunta dell’anticorpo anti-NDPK. Parte seconda 57 3.8) Amplificazione del DNA immunoprecipitato tramite PCR (Polymerase Chain Reaction) Allo scopo di analizzare il DNA immunoprecipitato ottenuto dalle due linee cellulari K562 ed M14 sono stati realizzati esperimenti di PCR con coppie di primers fiancheggianti le sequenze scelte (Tab. 4). La PCR e’ stata condotta in un volume di 50 μl in presenza di 10 mM Tris-HCl pH 8.3, 50 mM KCl, 1.5 mM MgCl2 1 μM primer, 250 μM dNTP, 1.5 unita’ di Taq polymerase e 5 ng di DNA immunoprecipitato. Il programma di cicli e’ stato impostato sul Perkin Elmer GeneAmp PCR System 2400. Un’aliquota della miscela di reazione e’ stata sottoposta ad elettroforesi su gel di agarosio al 2% e i frammenti sono stati evidenziati mediante colorazione con bromuro di etidio. L’identita’ dei frammenti ottenuti e’ stata confermata tramite Southern blotting ed ibridizzazione con gli oligonucleotidi corrispondenti alle sequenze scelte marcati con [γ-33P]ATP. 3.9) Elettroforesi monodimensionale su gel di poliacrilamide in sodio dodecilsolfato L’elettroforesi e’ stata eseguita secondo il metodo di Laemmli (63). Il gel e’ bifasico, essendo costituito da un gel concentratore (stacking gel) e da un gel separatore (running gel). Entrambi i gel sono stati preparati facendo polimerizzare monomeri di acrilamide in presenza di metilen bisacrilamide, che forma legami crociati. Il processo di polimerizzazione e’ catalizzato dalla 58 Materiali e metodi presenza di 10% persolfato d’ammonio (APS) e tetrametilendiammina (TEMED). E’ stato inoltre aggiunto 10% SDS. Diversi sono pero’ sia la concentrazione di acrilamide/bisacrilamide (4% nello stacking, 15% nel running), che i tamponi usati: per il running gel e’ stato impiegato un tampone Tris 1.5 M pH 8.8, mentre per lo stacking e’ stato impiegato un tampone Tris 0.5 M pH 6.8. I campioni, preparati in tampone 0.0625 M Tris pH 8, 5 mM ditiotreitolo (DTT), 2% SDS, 10% glicerolo, sono stati fatti correre per 45’ a 200 volts costanti in tampone 0.025 M Tris pH 8, 0.192 M glicina, 0.1% SDS. A fine corsa, il gel e’ stato trasferito su membrana tramite Western blotting. 3.10) Western blotting La tecnica del Western blotting e’ stata eseguita in tre fasi: 1) Attivazione della membrana: la membrana IMMOBILION TM-P e’ stata attivata in metanolo e successivamente in tampone 10 mM CAPS pH 11, 20% metanolo, NaOH 1 N. 2) Trasferimento delle proteine: le proteine sono state trasferite dal gel alla membrana secondo la tecnica del Semidry . Il trasferimento e’ stato effettuato per 45’ a 80 mA nell’apparecchio HOEFER SEMIPHOR semi-dry transfer unit. Parte seconda 59 3) Colorazione della membrana: Dopo incubazione in ECL blocking Agent (Amersham), la membrana e’ stata messa a contatto per 1 h con l’anticorpo primario anti NDPK AB da coniglio in tampone TBS 1X (Tris-HCl 0.5 M pH 7.5, NaCl 1.5 M). Dopo tre lavaggi in TBS 1X, la membrana e’ stata incubata per 1 h con l’anticorpo secondario (Ig monoclonale anti-coniglio coniugata con fosfatasi alcalina). Dopo altri tre lavaggi in TBS 1X, la membrana e’ stata messa a contatto con la soluzione di sviluppo (0.1 M Tris, 0.1 M NaCl, 0.05 M MgCl2 pH 9.5) contenente i substrati 5-bromo-4-cloro-3-idolilfosfato (BCIP) e nitro blu di tetrazolio (NBT) fino a colorazione. 3.11) Southern blotting La tecnica del Southern blotting e’ stata eseguita in tre fasi: 1) Denaturazione del DNA: Il gel e’ stato messo a contatto per 30’ a temperatura ambiente nel tampone denaturante (0.5 M NaOH, 1.5 M NaCl), successivamente per 30’ nel tampone neutralizzante (0.5 M Tris-HCl pH 7, 1.5 M NaCl) ed infine per altri 30’ nel tampone di trasferimento (3 M NaCl, 0.3 M Na citrato pH 7). 2) Trasferimento per capillarita’: La membrana, attivata nel tampone di trasferimento, ed il gel sono stati assemblati nell’apparecchio TurboblotterTM (Schleicher and Schuell). Il trasferimento e’ stato condotto per 16 ore a temperatura ambiente. 60 Materiali e metodi 3) Immobilizzazione: Il DNA e’ stato fissato sulla membrana per 2 h a 80C. 3.12) Marcatura degli oligonucleotidi Gli oligonucleotidi corrispondenti alle sequenze analizzate mediante PCR sono stati marcati tramite il kit Ready-To GoTM T4 Polynucleotide Kinase (Amersham). Gli oligonucleotidi marcati sono stati separati dal [-33P]ATP non incorporato mediante cromatografia su colonne Sephadex G-50 (Pharmacia). 3.13) Ibridizzazione delle sequenze amplificate dopo PCR Dopo il Southern blotting, le membrane, su cui sono state fissate le sequenze amplificate mediante PCR, sono state sottoposte prima ad una fase di preibridizzazione in 5X SSC (0.15 M NaCl, 0.015 M Na citrato pH 7), 0.2% SDS, Denhardt’s 5X, 50 mM Na fosfato, pH 6.5, DNA E. coli denaturato 100 mg/ml e successivamente ad ibridizzazione per 16 h a 45C con 10 ng/ml degli oligonucleotidi corrispondenti marcati con [-33P] ATP. Le membrane sono state messe a contatto con una lastra per autoradiografia BIOMAX MS film (Kodak) ed infine sviluppate. Parte seconda 61 4. RISULTATI 4.1) INTERAZIONE TRA NDPK E DNA IN VIVO 4.1.1) Cross-linking in vivo su cellule K562 Per studiare quale fosse l’agente di cross-linking migliore, sono state effettuate inizialmente prove sulle cellule K562 con due reattivi diversi: il cis-DDP e la formaldeide. 4.1.2) Cross-linking con cis-DDP Le cellule K562 sono state incubate con cis-DDP e le proteine presenti nel nucleo legate covalentemente al DNA sono state purificate tramite immobilizzazione su idrossiapatite. Le proteine legate mediante cross-linking sono state staccate dal DNA con 1.5 M tiourea, eluite ed analizzate tramite Western blotting con anticorpi policlonali purificati per affinità (A-specifici, B-specifici e AB-specifici). Come si può osservare dalla Fig. 14 è possibile evidenziare, nelle frazioni di proteine che hanno subito il cross-linking, la presenza di due bande a 19 e 16 kDa. Il confronto con standard di NDPK A e B ricombinanti, presenti rispettivamente in due diverse quantità (10 e 20 ng), ha permesso di identificare in queste due bande la NDPK A e la NDPK B. Il Western blotting e la colorazione con Blu Comassie hanno rivelato che non 62 Risultati sono state eluite né NDPK né altre proteine dopo trattamento con tiourea in un esperimento di controllo in cui le cellule sono state trattate senza l’aggiunta di cis-DDP. La reazione degli anticorpi anti-AB con gli standard di NDPK ricombinante e’ stata confrontata con la reazione degli anticorpi antiA specifici e anti-B specifici. Dalla Fig. 14 si puo’ osservare che, in condizioni identiche, i migliori risultati sono stati ottenuti con gli anticorpi anti-AB e che la sensibilita’ degli anticorpi e’ maggiore per la NDPK A. Poiche’ le NDPK A e B si associano in vivo a formare esameri, negli esperimenti successivi sono stati quindi sempre usati gli anticorpi anti-AB, che permettono la rivelazione di entrambe le isoforme dell’enzima. Tuttavia, poiche’ la sensibilita’ degli anticorpi anti-AB e’ sempre maggiore per la NDPK A, l’intensità delle bande osservate non riflette la loro effettiva e relativa concentrazione. E’ stata quindi effettuata, tramite Image Master 2D software (Pharmacia), una valutazione densitometrica di un Western blot contenente diverse quantità di NDPK ricombinanti. I risultati hanno indicato che la NDPK A e la NDPK B sono presenti nella frazione di proteine legate al DNA nel rapporto di 1:10. Con lo scopo di confermare la specificità dell’immunocolorazione, sono state effettuate altre due prove. Da una parte, la frazione delle proteine legata al DNA è stata trattata solo con l’anticorpo secondario, e dall’altra con l’anticorpo anti-NDPK saturato con 20 mM di NDPK A e con 50 mM di NDPK B. I Western blotting di entrambi i controlli hanno mostrato l’assenza di bande nella frazione delle proteine che hanno subito il cross-linking. Parte seconda 63 Fig. 14 Western blotting dopo cross-linking con cis-DDP. C.L.: proteine che hanno subito cross-linking rilasciate mediante 1.5 M tiourea. Gli standard di NDPK A e B sono presenti rispettivamente nella quantita’ di 10 e 20 ng. 4.1.3) Cross-linking con formaldeide In Fig.15 è mostrata l’analisi tramite Western blotting con anticorpi policlonali anti-NDPK AB delle proteine legate al DNA nelle cellule K562 mediante formaldeide. Anche in questo caso, nella frazione delle proteine che 64 Risultati hanno subito il cross-linking, è stato possibile rilevare la presenza di due bande corrispondenti alle NDPK A e B. Uno svantaggio nell’uso della formaldeide per la reazione di cross-linking è il legame degli istoni al DNA: la banda presente a 15 kDa è infatti dovuta ad una reazione aspecifica dell’anticorpo con gli istoni, che sono stati legati al DNA durante il cross-linking. Fig. 15 Western blotting dopo cross-linking con formaldeide. CL: proteine che hanno subito cross-linking rilasciate mediante trattamento termico. Gli standard di NDPK A e B sono presenti rispettivamente nelle quantità di 1 e 10 ng. E’ inoltre mostrato il Western blotting ottenuto dopo elettroforesi di una frazione di istoni totali. Parte seconda 4.1.4) Identificazione in vivo dei 65 complessi NDPK-DNA dopo immunoprecipitazione I nuclei ottenuti dalle cellule K562 e dalle cellule M14 sono stati isolati e i complessi DNA-proteine sono stati immunoprecipitati con anticorpi antiNDPK per isolare i complessi NDPK-DNA. Dopo la reazione di immunoprecipitazione, per verificare la presenza della NDPK negli immunocomplessi, questi sono stati digeriti con DNasi Benzonasi, e le proteine sono state analizzate tramite SDS-PAGE e successivo Western blotting. Come mostrato in Fig 16 si puo’ rilevare, mediante confronto con standard di NDPK A e B ricombinante, presenti rispettivamente nella quantita’ di 10 e 20 ng, la presenza nei complessi immunoprecipitati delle bande corrispondenti alle due isoforme dell’enzima per entrambe le linee cellulari. Nessun segnale e’ stato invece rilevato nei complessi trattati senza l’aggiunta di anticorpo (non mostrato). Fig. 16 Western blotting con anticorpi policlonali immunoprecipitazione. 1) Complessi DNA-NDPK ottenuti dalle cellule di melanoma M14 2) Complessi DNA-NDPK ottenuti dalle cellule leucemiche K562 3) Standard di NDPK A (10 ng) 4) Standard di NDPK B (20 ng) anti-AB dopo 66 Risultati 4.2) IDENTIFICAZIONE IN VIVO DELLE SEQUENZE LEGATE ALLA NDPK 4.2.1) Analisi del DNA immunoprecipitato mediante PCR Il DNA proveniente dagli immunocomplessi ottenuti dalle cellule K562 ed M14 e’ stato sottoposto ad amplificazione mediante PCR usando coppie di primers fiancheggianti le sequenze scelte. L’identita’ dei prodotti amplificati ottenuti e’ stata confermata mediante Southern blotting ed ibridizzazione con le rispettive sequenze geniche marcate con [γ-33P] ATP . Come illustrato in Fig. 17 sono stati ottenuti risultati diversi a seconda della linea cellulare. Parte seconda 67 Fig. 17 Analisi del DNA immunoprecipitato dopo amplificazione mediante PCR. I prodotti da PCR provenienti dall’esperimento di controllo (C) e dal campione immunoprecipitato (IP) sono stati esaminati tramite elettroforesi su gel di agarosio al 2% e colorati con bromuro di etidio. 68 Risultati Con lo scopo di quantificare l’arricchimento delle sequenze analizzate nel DNA immunoprecipitato, e’ stata effettuata un’analisi densitometrica dei segnali ottenuti per ogni frammento di DNA in ciascuna linea cellulare (Fig. 18). 2.5 K562 M14 2 1.5 1 0.5 WT1 p53 CD11b CCR5 MPO c-myc PDGF-A NHE -0.5 PDGF-A SHS 0 Fig. 18 Analisi densitometrica dei dati di PCR. I gel mostrati in Fig. 19 sono stati sottoposti ad analisi densitometrica tramite UNSCAN-IT (Silk scientific Corporation) software. I risultati sono riportati come log10 del rapporto fra DNA immunoprecipitato (IP) e DNA dell’esperimento di controllo (C). Parte seconda 69 I risultati sono espressi come rapporto tra DNA immunoprecipitato (IP) e DNA dell’esperimento di controllo (C). Nella linea celllulare K562 è possibile rilevare un significativo arricchimento nella frazione di DNA immunoprecipitato per la sequenza corrispondente all’elemento 5’ SHS PDGF-A e per la regione GC-rich presente all’interno del promotore della mieloperossidasi. Il legame della NDPK risulta inoltre evidente per gli elementi presenti nei promotori dei geni c-myc, CCR5 e p53, che presentano un segnale anche nell’esperimento di controllo, ma d’intensità inferiore. L’analisi del gene CD11b non ha invece rilevato un significativo arricchimento nella frazione immunoprecipitata rispetto all’esperimento di controllo. Gli esperimenti di PCR non hanno prodotto nessun amplificato sia nella frazione di DNA immunoprecipitato che nella frazione di controllo per le regioni GC-rich presenti nei promotori dei geni WT1, e per la sequenza NHE del gene PDGF-A. Nella linea cellulare M14 si sono ottenuti risultati positivi per le sequenze corrispondenti agli elementi NHE del gene c-myc, e per le sequenze GC-rich presenti all’interno dei promotori dei geni CCR5 e CD11b. Dall’analisi del gene PDGF-A è invece possibile rilevare l’interazione sia con l’elemento NHE che con il 5’SHS, anche se quest’ultimo presenta un arricchimento della frazione immunoprecipitata inferiore rispetto a quello ottenuto nella linea K562. Nessun amplificato è stato rilevato per la sequenza corrispondente al promotore del gene della mieloperossidasi, mentre non è stato possibile rilevare nessun arricchimento significativo per le sequenze geniche corrispondenti ai promotori dei geni p53 e WT1. 70 Risultati L’amplificazione delle sequenze corrispondenti ai promotori dei geni corrispondenti ai promotori dei geni nm23 H1, H2, ING1 e bcr-abl non hanno mostrato nessun segnale in entrambe le linee cellulari, e quindi non sono state mostrate in figura. Parte seconda 71 5 DISCUSSIONE La presenza della NDPK nel nucleo e’ stata dimostrata da esperimenti di immunofuorescenza (55) ed e’ stato dimostrato che l’enzima si lega in vitro al DNA. In particolare e’ stato dimostrato, in vitro, il legame della NDPK con alcuni geni, tra cui i geni c-myc e PDGF-A (7, 41). I nostri studi si sono rivolti inizialmente a dimostrare il legame in vivo tra NDPK e DNA in due linee cellulari tumorali umane: le cellule eritroleucemiche K562 e le cellule di melanoma umano M14. Dai risultati ottenuti su entrambe le linee cellulari e’ emerso che le NDPK A e B si legano in maniera diretta al DNA in vivo. Il DNA ottenuto dai complessi immunoprecipitati e’ stato successivamente analizzato mediante amplificazione di frammenti genici contenenti nei loro promotori una particolare sequenza ricca in GC (Tab. 4), alcuni dei quali precedentemente descritti in vitro come siti di legame per la NDPK. I risultati ottenuti sulle due linee cellulari mostrano un’interazione della NDPK con circa la metà delle sequenze analizzate. La mancanza di reazione con le altre sequenze geniche potrebbe essere dovuta ad un’assenza d’interazione o ad un’impossibilità per la NDPK di raggiungere il sito di legame. Inoltre, il legame della proteina al DNA differisce qualitativamente e quantitativamente nelle due linee cellulari. Questo rivela l’importanza del contesto cellulare e dell’interazione con altre proteine nucleari locali, che possono favorire o inibire le azioni della NDPK stessa nel determinare i processi di attivazione e repressione trascrizionale 72 Discussione genica. D’altra parte, la presenza della particolare sequenza ricca in GC nei promotori dei geni analizzati e la sua capacita’ di assumere conformazioni non-B (G-quadruplex), sembra essere una caratteristica importante ma non un motivo consenso di legame alla NDPK. Conclusioni 73 CONCLUSIONI La NDPK è stata inizialmente studiata per la sua attività catalitica, che consiste nella sintesi di nucleosidi trifosfato a partire da ATP e da nucleosidi difosfato (1). Successivamente però è stato evidenziato per questa proteina anche un coinvolgimento, a livello nucleare, nei processi tumorali (2, 3, 4). L’attività catalitica è stata esaminata in maniera dettagliata nel corso degli anni ed è ormai noto che questa funzione è strettamente correlata alla struttura esamerica della proteina (14). La prima parte di questa ricerca si è rivolta ad approfondire l’analisi della struttura oligomerica della NDPK, andando a studiare la stabilità della proteina da Dictyostelium discoideum e del mutante P105G in un ampio intervallo di pH. I risultati ottenuti hanno evidenziato che i monomeri sono intrinsecamente instabili e che la struttura quaternaria stabilizza la molecola. Le interazioni presenti nella proteina wild-type sono essenziali per stabilizzare la struttura esamerica e quindi per garantire la conservazione dell’attività enzimatica. Difatti, il mutante P105G, in cui l’aminoacido modificato è posizionato su un’ansa importante per il contatto fra le subunità monomeriche, risulta meno stabile e forma più facilmente intermedi di denaturazione (p. es. molten globule) privi di attività catalitica. 74 Conclusioni Il ruolo svolto dalla NDPK nei processi tumorali appare invece meno chiaro, poiché non sono noti né il meccanismo né la struttura quaternaria attraverso cui la proteina svolge questa funzione. La seconda parte di questa ricerca ha avuto così lo scopo di verificare in vivo, su due linee cellulari tumorali umane, le K562 e le M14, il suo legame con il DNA. I risultati ottenuti dopo le reazioni di cross-linking ed immunoprecipitazione hanno mostrato la presenza di entrambe le isoforme della NDPK legate al DNA in entrambe le linee. Abbiamo inoltre evidenziato un’interazione fra la NDPK ed alcune sequenze localizzate all’interno dei promotori di alcuni oncogeni e geni oncosoppressori. Tuttavia questo legame sembra variare in base al tipo cellulare esaminato, e questo potrebbe essere dovuto alla presenza di altre proteine locali, in grado di favorire o bloccare l’accesso della NDPK ai siti di legame. Resta comunque molto da chiarire su quale possa essere l’effettivo ruolo della NDPK nei processi tumorali, che appare tuttora contrastante (7, 8, 9). Molto interessante potrebbe essere l’analisi del legame fra la NDPK ed il DNA in linee cellulari con un diverso grado di differenziazione e ad un diverso potenziale metastatico. Infatti gli studi preliminari che abbiamo condotto nel nostro laboratorio hanno individuato la presenza in vivo della NDPK nei complessi ottenuti dopo immunoprecipitazione con anticorpi policlonali anti-NDPK AB da cellule K562 differenziate, ma non e’ stata evidenziata alcuna interazione con le sequenze ricche in GC analizzate. Conclusioni 75 Inoltre, sarà estremamente importante cercare di capire quale delle due isoforme della NDPK sia implicata nel legame con le diverse sequenze geniche studiate, e la struttura quaternaria alla base della sua interazione con il DNA. 76 Bibliografia BIBLIOGRAFIA 1) Parks R. E. J., and Agerwal R. P., 1973 The Enzymes 8, 307-334 2) Lacombe M. L., Wellet V., Troll H., and Veron M. 1990 J.Biol. Chem. 265, 10012-10018; 3) De La Rosa A., Williams R. L., and Steeg P. S., 1995 Bioessays 17, 5362 4) Dearolf C. R., Hersperger E., and Shearn A., 1988 Dev. Biol. 129, 159-168 5) Rosengard A. M., Krutsch. H. C., Shearn A., Biggs J. R., Baker E., Margulies I. 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