La modernità come esito della razionalizzazione in Weber e

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Francesca D'Ingianna
Dottoranda XXIII Ciclo
Paper teorico: "Analisi della modernità secondo il pensiero di un autore classico e di un
autore contemporaneo messi a confronto"
La modernità come esito della razionalizzazione in
Weber e Habermas:
gabbia d'acciaio o agire comunicativo?
Introduzione
La modernità e la sociologia
Il concetto di modernità è stato al centro della riflessione e della elaborazione sociologica
fin dalla nascita di questa disciplina, se non forse il motivo scatenante di questa nuova
attenzione verso l'uomo, il suo vivere in comunità e i risultati delle azioni sociali, che
richiedeva una scienza empirica nuova. Ancor più, la sociologia è nata come “teoria
sociale” della modernità e quindi come “scienza interpretativa dei mutamenti intercorsi nel
passaggio dalla società tradizionale a quella moderna” (Ghisleni 1998, 13). La modernità
sembrava compiersi fino alle estreme conseguenze di fronte agli occhi di coloro che sono
oggi considerati i padri fondatori della sociologia ed essi non potevano non
problematizzare il perché, il come, proprio qui in Occidente, era accaduto un tale
mutamento. Habermas afferma che la sociologia “si occupa soprattutto degli aspetti
anomici della disgregazione dei sistemi sociali tradizionali e della formazione di quelli
moderni” (Habermas, 1981, 57).
Modernità però è un termine dalla connotazione e denotazione molto vaste. La
complessità degli oggetti cui la modernità fa riferimento, comporta dunque che lo stesso
concetto si riferisca a periodi, modelli interpretativi e declinazioni diversi (almeno
parzialmente).
La modernità e i suoi esiti: il processo di razionalizzazione e il linguaggio
La concettualizzazione di modernità che ci sembra più interessante, l'aspetto che ci
sembra maggiormente pieno di spunti anche per l'elaborazione teorica sulla società in
generale,
è
quello
che
lega
indissolubilmente
la
modernità
al
processo
di
2
razionalizzazione, inteso come fase conclusiva del disincantamento del mondo e come
caratteristica universale dell'umanità che lentamente si è sviluppata sempre più verso una
differenziazione sociale, un allontanamento dalle credenze magiche e un'organizzazione
sociale basta su razionalità, sapere empirico e dunque scienza. Considerare le origini più
antiche dei fenomeni sociali del presente consente di evitare l'errore di fermarsi
unicamente ad aspetti materiali (tecnici od economici) per identificare una fase che risulta
tanto rivoluzionaria rispetto ai secoli precedenti da non poter essere limitata a un
progresso (tecnico-scientifico) o addirittura, nei suoi ultimi sviluppi, un regresso (moraledemocratico).
Dunque, aldilà delle precisazioni temporali su cosa si intenda per modernità,
modernizzazione e se e quando sia iniziata una post-modernità, ciò che ci sembra più
rilevante per capire la storia della società è mettere alla base dell'analisi gli aspetti culturali
che ne hanno segnato gli sviluppi e le loro conseguenze cognitive. Infatti, riprendendo una
celebre ed emblematica affermazione:
“Sono gli interessi (materiali ed ideali) e non le idee, a dominare immediatamente
l'attività dell'uomo. Ma le ‹‹concezioni del mondo›› create dalle ‹‹idee›› hanno
spesso determinato, come chi aziona uno scambio ferroviario, i binari lungo i quali
la dinamica degli interessi ha mosso tale attività.” (Weber, 1920)
In questa prospettiva, Weber è un autore imprescindibile; anzi è colui che per primo ha
posto in modo articolato e inserito in un disegno più ampio a livello storico e metodologico,
proprio questo modo di intendere la modernità e lo studio sociologico più in generale.
In anni più recenti, Habermas ha seguito un tragitto simile arrivando però a nuove
elaborazioni, che vanno ben oltre la sola interpretazione del lavoro weberiano, nella teoria
dell'agire comunicativo. Habermas infatti riprende l'impianto teorico di Weber ma lo amplia
dando un ruolo fondamentale al linguaggio, che possiamo in prima approssimazione
definire come lo strumento principale per formare la società.
Andare a fondo in questa analisi può essere fecondo anche da un punto di vista empirico
e non solo come argomentazione teorica di tipo unicamente normativo. La nostra ipotesi è
la seguente: se il lungo e lento processo di razionalizzazione ha segnato i mutamenti
sociali attivando processi di apprendimento cognitivo, e questi si trasmettono prima di tutto
per mezzo del linguaggio, allora ciò implica una nuova centralità (in sociologia) dei
processi di interazione, in quanto li collega alla strutturazione della società. In particolare,
ciò vale per la modernità come fase in cui la razionalizzazione si è esplicata sotto diverse
forme di agire e in cui la ragione (e il linguaggio tramite cui si esprime) ha raggiunto livelli
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di astrazione e universalismo di maggiore complessità. Dunque, studiare le interazioni,
l'uso del linguaggio e il suo potere ha un'importanza euristica che va ben oltre un semplice
interesse per l'ambito micro della società e che anzi permette di identificare processi tanto
basilari quanto macro dell'organizzazione sociale.
L'obiettivo di dare fondamento e conferma a questa ipotesi è il filo conduttore delle pagine
seguenti, che si propongono di essere una riflessione teorica di base per sviluppare in
seguito
l'ipotesi
linguistica.
Qui
vogliamo
dunque
ripercorrere
alcuni
passaggi
dell'elaborazione della teoria sociale di Weber e di Habermas. Non si tratta certamente
degli unici autori che possono essere considerati rilevanti per il tema che abbiamo messo
a fuoco. Moltissimi sono gli autori che hanno dato rilevanza al linguaggio e l'interazione
per gli studi sociologici. Di certo sono punti di partenza che ci sembrano basilari per un
tentativo teorico come quello che viene qui proposto proprio perché entrambi hanno una
prospettiva teorica generale e una visione più ampia sulla società; ma soprattutto queste
sono sostenute da un peso dato agli aspetti culturali e cognitivi. L'insieme complesso di
questi impianti teorici dà a nostro parere una solidità maggiore a qualsiasi eventuale
successiva ipotesi da porre a verifica empirica.
Il percorso di analisi deve necessariamente, per ragioni cronologiche partire da Weber.
Inoltre, dato che le proposte di Habermas partono proprio da spunti avuti dalla lettura di
Weber, esse non sarebbero presentabili senza aver esposto il primo autore, nonché parte
del dibattito sulle interpretazioni di questo. La nostra riflessione però non si potrà fermare
a Habermas, ma cercherà in un certo senso una forzatura della sua elaborazione di agire
comunicativo (e in particolare di potere comunicativo) dato che il concetto di intesa per noi
può essere applicato non solo all'ambito del diritto, ma a tutte quelle forme decisionali
basate sull'intesa, su cui sempre più si basa il funzionamento della complessa società
moderna.
Max Weber
Un autore, tante letture
Presentare l'elaborazione di Max Weber è opera difficile 1. Si tratta di un autore complesso,
che ha trattato moltissimi temi diversi, sia a livello di contenuto che di riflessione
1
Per utili e brevi riassunti o riferimenti a livello biografico e bibliografico su Max Weber si può far riferimento a diversi
testi Izzo (1991, vol. II, 37-38), Wallace, Wolf (1999, 83-89), nonché la prefazione già citata di Ferrara per Armando
editore o le prime pagine del saggio di Weiß (1981, 16-19).
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metodologica. La ricchezza di spunti che i suoi scritti contengono è testimoniata dalla
pluralità di interpretazioni e utilizzi di cui è stato oggetto (forse più di qualsiasi altro
classico della sociologia). Il dibattito si estende perfino rispetto al collocarlo a livello
disciplinare, se come filosofo o come sociologo2. La stessa vicenda delle sue pubblicazioni
(in vita e postume) ha dato adito ad enfatizzazioni diverse dei suoi lavori. Inoltre, molti
autori hanno evidenziato che si tratta di elaborazioni non prive di contraddizioni e contrasti,
in una ricerca senza fine verso una più precisa definizione del suo lavoro e della disciplina
sociologica stessa.
Treiber anzi sottolinea, nella prefazione alla sua antologia di testi sull'opera di Weber,
come “ogni volta sia possibile leggere Max Weber in modo diverso [...] un tema ricorrente
del dibattito su Weber: la teoria weberiana della razionalizzazione sociale e culturale, [...]
ha potuto mantenere la sua attualità fino ad oggi, grazie al fatto che chiunque se ne sia
occupato vi ha sempre scoperto numerosi riferimenti al proprio tempo” (Treiber 1993, 1,
corsivo dell'autore).
Per comprendere le ragioni della difficoltà nel definire univocamente l'approccio con cui
Weber problematizza il tema principe di Sociologia della religione (Weber, 2002 [1920]),
segnaliamo l'attenta analisi che Szakolczai (1998, 46-53) fa della “Premessa”
(Vorbemerkung), da quest'ultimo considerata un testo chiave dell'autore, e analizzata
prestando attenzione ai termini e alle definizioni dei concetti usati da Weber, all'ordine con
cui vengono presentati ed allo schema delle sue argomentazioni, nonché ai passaggi non
del tutto esplicitati e chiariti in esse. Questo stesso modo di esposizione ha dato adito alle
diverse interpretazioni su Weber che sono state formulate e rende problematico
specificare in che termini il fulcro del lavoro di questo padre della sociologia sia stato il
processo di razionalizzazione e la modernità. Questo porta Szakolczai a formulare delle
ipotesi parzialmente diverse da quelle dei due autori tedeschi che presenta come fautori
della nuova lettura di Weber, Tenbruck e Hennis. Anzi, egli sottolinea come la difficoltà
nell'arrivare a una definizione chiara dell'interesse centrale di Weber sta nel fatto che lo
stesso Weber usa argomenti circolari, chiarimenti e definizioni in negativo (cosa non è) o
affermazioni tra l'ironico e la (finta) modestia. Quindi, se il fulcro dell'attenzione di Weber
fosse “il processo di razionalizzazione delle condotte di vita” o le sue conseguenze di
“pietrificazione meccanizzata”, “spersonalizzazione” o la più famosa “gabbia d'acciaio”,
2
Un veloce excursus su questa diatriba si trova in Weiß (1981, 20-21), che sottolinea giustamente come il significato
filosofico di Weber stia “nell'idea e nella realizzazione stessa della scienza sociale weberiana.”.
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forse neanche lo stesso Weber lo ha mai chiaramente definito.
In modo similare anche Scluchter afferma che Weber utilizza alcuni concetti e in
particolare quelli di razionalismo, razionalità, razionalizzazione, in modo “niente affatto
univoco” (Schluchter, 1980, 154).
Pur condividendo queste considerazioni, crediamo che Weber abbia comunque dato
importanti intuizioni alla teoria della modernità e della razionalizzazione, fosse anche solo
per gli spunti interpretativi che ha provocato nella teoria sociale successiva.
Non potendo ignorare la presenza di tanta letteratura secondaria sulle interpretazioni del
lavoro di Weber, egli può diventare interessante per il nostro percorso sotto una duplice
veste: il Weber dei suoi testi e il “Weber interpretato”: entrambi possono darci elementi utili
per estrapolare l'essenza del concetto di razionalizzazione che stiamo cercando di
definire.
Pur escludendo la più vecchia scuola interpretativa che faceva capo a Winckelmann e che
non vedeva un filo unitario nelle opere di Weber, ma le considerava come un insieme di
contributi su temi diversi della sociologia, le letture più recenti (a partire dagli anni '60-'70)
hanno anch'esse delle differenze.
Ferrara (1995) spiega che se Bendix fu tra i primi a cercare un disegno organico nei lavori
di Weber, che identificava “nel rapporto tra religione, razionalizzazione e comportamento
economico”, dava però ancora il ruolo di opera principale a Economia e società. Fu
Tenbruck a dare il peso centrale invece a Sociologia della religione, e a sottolineare che
l'interesse di Weber non si limitava allo sviluppo dell'Occidente. Il suo famoso saggio
sull'unità dell'opera di Weber contiene inoltre un tentativo valido di chiarificazione di alcuni
termini. Il processo di razionalizzazione è il più complessivo processo che ha
caratterizzato la storia Occidentale (e universale), di cui il processo di disincantamento è la
prima fase di sviluppo che ha portato all'etica protestante, mentre con modernizzazione si
intende “l'intensificazione e prosecuzione del processo di razionalizzazione” (Tenbruck,
1975, 87). Tenbruck però compie anche un salto interpretativo: attribuire all'elaborazione di
Weber una caratterizzazione evoluzionista; la razionalizzazione è un processo “storicoevolutivo” che ha caratterizzato l'Occidente in quanto la logica delle idee religiose lì
sviluppatesi aveva un dinamismo interno che ha agito come forza coercitiva verso una
sempre maggiore razionalità. In questo modo compie quella che agli occhi di molti può
sembrare una forzatura dato che Weber “per tutta la vita ha insistito sul primato dell'unicità
della storia di fronte alle leggi del progresso” (Tenbruck, 1975, 115). Eppure egli nella
ricostruzione del processo di razionalizzazione religiosa intravede un percorso ad albero in
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cui la razionalità può realizzarsi verso diversi rami, alcuni dei quali però sono ciechi,
mentre altri “conducono a stadi successivi e per questo, dal punto di vista storicouniversale, erano gravidi di conseguenze e coronati dal successo” (Tenbruck, 1975, 126).
D'altronde anche Ferrara fa notare l'uso di Weber del termine “storico-evolutivo” nelle
Considerazioni intermedie, come se i due termini presi singolarmente non potessero dar
conto della complessità del processo che voleva spiegare. Il punto centrale resta
l'interpretazione secondo cui Weber voleva occuparsi della chiave di lettura della “storia
universale” in cui la spinta alla razionalità si è intrecciata con idee, eventi e condizioni
sociali che a loro volta hanno dato direzioni diverse alla razionalizzazione, e quella
Occidentale ha portato a sviluppi di razionalità più “significativi”.
Hennis invece enfatizza maggiormente la personalità, la qualità degli esseri umani, lo
“sviluppo dell'umanità” (Hennis, 1988, 203) come problema centrale dell'opera di Weber, e
la razionalità come il modo in cui questa domanda centrale è tematizzata; dunque
l'accento viene posto sulla razionalizzazione della (condotta di) vita quotidiana in virtù di
una “concatenazione di circostanze” e sulle sue conseguenze.
Secondo Weiß, la tesi centrale che Weber ha esposto in molte varianti è il “significato che
il progressivo imporsi della forma di conoscenza empirico-scientifica ha per la
comprensione umana del mondo e di sé” (Weiß, 1981, 22), che porta a una conoscenza
umana razionalizzata secondo cui l'uomo può “dominare tutte le cose attraverso il calcolo
razionale” (Weber, 1917, 21), un disincanto del mondo, che rinuncia alla possibilità di dare
senso ai fondamenti e scopi ultimi del mondo e dell'esistenza umana.
Un altro famoso contributo sull'interpretazione del lavoro di Weber è ad opera di
Schluchter (1980), che in particolare enfatizza come dall'elaborazione weberiana
scaturisca il paradosso che la razionalizzazione pone alla società: da un lato si ha il
completo disincantamento del mondo e la razionalizzazione della sua organizzazione, ma
dall'altro questa stessa società si trova priva di guida e di senso, in una ”gabbia d'acciaio”.
Riprendendo la ricostruzione di Weber su come si sia lentamente compiuto questo
disincantamento a partire dalle religioni stesse, le quali si sono spinte verso una sempre
maggiore razionalizzazione (sebbene seguendo e sviluppando strade diverse, a seconda
della teodicea formulata, più o meno coerente e razionale), egli sottolinea come allo
stesso tempo si sia compiuta un'incontrovertibile rottura dell'unità di senso che si aveva
nelle epoche primordiali guidate dalla magia. La ricostruzione storica degli eventi e delle
condizioni sociali, nonché della teodicea sviluppatasi prima nella religione ebraica e nel
Cristianesimo ma poi soprattutto nel Protestantesimo, mostra come questi eventi abbiano
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portato alla particolare forma del razionalismo Occidentale in cui tanto la razionalità quanto
i propri paradossi si compiono fino alle estreme conseguenze. Il mondo moderno viene ad
essere caratterizzato da sfere autonome e distinte che man mano sviluppano una propria
logica, indipendente e spesso contrastante con quella religiosa, mentre anzi quest'ultima
risulta come la sfera dell'irrazionale. Dal “razionalismo del dominio del mondo in nome di
Dio” si arriva al “razionalismo scientifico in nome dell'uomo”.
Un'interpretazione complessiva di Weber e un passo abduttivo
Ognuno dei contributi sopra menzionati, in realtà, dà delle letture che almeno
complessivamente possono ricomporre un quadro abbastanza coerente. Ognuno ha forse
enfatizzato maggiormente alcuni passaggi o testi rispetto alla produzione complessiva di
Weber, mentre i punti di maggiore discordanza si presentano più negli aspetti che risultano
non univoci negli stessi scritti del sociologo.
In particolare, è proprio sulla precisa definizione di processo di razionalizzazione,
sull'articolazione della razionalità e sulla universalità o meno di tali aspetti che Weber
stesso può essere declinato in vari modi, avendo sviluppato il tema a più riprese, in
diverse opere e considerando differenti campi di applicazione: sviluppi storici e religione,
modalità di agire, intellettualizzazione, condotta di vita, ecc. Si tratta di concetti che
“percorrono con altissima frequenza e pregnanza l'intera opera di Max Weber. Ma,
nonostante la loro comune matrice logica, non si lasciano ricomporre in una concezione
unitaria in modo univoco.” (Rusconi, 1981, 189).
Se risolvere la diatriba tra quale sia la migliore (o più fedele) interpretazione dell'opera di
Weber e in particolare del suo contributo sul concetto di razionalizzazione è opera
complessa che ha impegnato anni di ricerche di illustri sociologi e filosofi, certamente è
impossibile per noi dirimere tale diatriba. Quello che invece proponiamo è di scegliere
un'argomentazione, non tanto perché più valida in termini di aderenza alle intenzioni
originarie di Weber, quanto come appoggio utile a ulteriori elaborazioni, sfruttando la
ricchezza che solo un ragionamento abduttivo può avere per l'avanzamento della
conoscenza sociologica3. Dunque proponiamo una sospensione del giudizio rispetto alle
intenzioni originarie di Weber, ne prendiamo dei passaggi (e delle interpretazioni di essi)
3
L'abduzione, insieme a deduzione e induzione, è un tipo di ragionamento logico. Il semiotico e pragmatista Charles
Sanders Peirce ne ha esteso il significato rispetto all'originale aristotelico e considera l'abduzione come “il primo
passo del ragionamento scientifico”, è quello che permette di creare nuove idee, anche se ovviamente non contiene
in sé la sua validità logica e va poi confermata per via empirica. In italiano è tradotto anche col termine “spostamento”
proprio per indicare l'utilizzo di una teoria precedente applicandola a contesti diversi e riformularla spostata.
Un'interessante saggio su un esempio di utilizzo di tale ragionamento in sociologia è Richardson, R. e Kramer, E.H.
(2006).
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che ci sembrano interessanti. Secondo lo schema dell'abduzione, queste teorie saranno la
regola, il risultato (evidenza empirica) riguarderà la constatazione sul peso della
comunicazione e, abduttivamente, li considereremo come collegabili e collegati (caso) per
descrivere complessivamente i tratti fondamentali a livello culturale e cognitivo che
caratterizzano la modernità. L'abduzione dunque è un'interpretazione nuova e dunque
riformulata di una precedente teoria alla luce di constatazioni empiriche nuove.
In questo senso presentiamo qui di seguito l'interpretazione riassunta da
Ferrara e
Privitera e che è in linea con la lettura che lo stesso Habermas presenta di Weber. In
modo simile utilizzeremo poi la proposta originale dello stesso Habermas. Invece di
ricercare una interpretazione tra le righe di un autore, lo presentiamo prendendone alcuni
spunti (che saranno comunque parziali rispetto alla totalità della sua opera) e aggiungendo
nuovi elementi o anche solo nuove sfumature per formulare un'interpretazione personale
del tema in esame. Dunque l'idea che qui si propone non è quella di identificare la migliore
e più autentica lettura di Weber (il giudizio a riguardo è compito di altri specialisti del
campo), quanto una lettura che certamente è plausibile perché si basa sui testi stessi e,
soprattutto, sottolinea degli aspetti e li collega in modo tale da permetterci dei collegamenti
successivi.
Dunque, rispetto agli scopi dell'argomentazione che vogliamo qui portare avanti, la lettura
di Weber che ci sembra più utile e che corrisponde a quanto si può evincere dai testi di
Weber e dalla cronologia della loro realizzazione, è quella che viene riassunta da Ferrara
nella presentazione delle Considerazioni intermedie, pubblicate per Armando (Weber 1995
[1920], 7-40) e che riprende comunque aspetti già visti sopra ad opera di altri autori
tedeschi. Secondo questa posizione, il nucleo fondamentale dell'opera di Weber non è
appunto da cercare in Economia e Società, tra l'altro pubblicata postuma e probabilmente
non concepita come un'opera unitaria. Se c'è un filo conduttore negli scritti di Weber, esso
riguarda il processo di razionalizzazione, il suo rapporto con fattori storici-culturali e quindi
in primis con la religione, e le sue conseguenze sulla società e in particolare sull'economia
e sullo sviluppo del mondo occidentale moderno. Questo processo di razionalizzazione è
stato conflittuale e ha caratterizzato la storia dell'Occidente e che si sviluppa lungo due
strade: da una parte come lento processo di apprendimento nell'ambito religioso verso
forme
di
solidarietà
sempre
più
universalistiche,
dall'altra
come
processo
di
differenziazione delle sfere sociali verso un'autonomia una dalle altre e lo sviluppo di
proprie razionalità e norme (Privitera, 2001, 2-4). Questo processo ha come esito la
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perdita di senso e il pessimismo descritto nella famosa formula della “gabbia d'acciaio”
dovuti alla prevalenza delle logiche delle altre sfere, in particolare quella economica e
politica, in contrapposizione a quella religiosa: rispetto alla fratellanza universale religiosa
che si era sviluppata proprio a partire dal processo di razionalizzazione, ha avuto la meglio
la logica della dell'agire razionale rispetto allo scopo (di profitto e di potere in particolare),
anch'esso figlio della stessa razionalizzazione e differenziazione sociale.
Razionalità e agire
Il riferimento all'agire razionale è un collegamento fondamentale per comprendere come
Weber abbia dato spunti utili non solo rispetto al peso degli elementi culturali
nell'organizzazione della società, ma anche rispetto all'importanza degli aspetti cognitivi
che si esplicano nella sua elaborazione sui diversi modi di agire.
Si tratta a nostro parere di una componente importante dell'elaborazione di Weber. Infatti,
“i concetti di razionalità che stanno a fondamento delle tipologie dell'agire sociale danno
luogo a una precisa teoria sociologica” (Rusconi, 1981, 189). La razionalità può essere
definita come un modo di controllare la realtà dentro e fuori ed è quindi collegata a azioni
pratiche e, in quanto risposta alla mancanza di senso del mondo e produzione umana di
senso, è disincantamento del mondo. Il senso dunque è “un connotato interno all'agire
sociale: su di esso [...] si articola la razionalità dell'agire sociale” (Rusconi, 1981, 190-191).
La tipologia di Weber parte dal concetto più generale di agire sociale definito come “un
agire che sia riferito – secondo il suo senso, intenzionato dall'agente o dagli agenti –
all'atteggiamento di altri individui, orientato nel suo corso in base a questo. “ (Weber, 1922,
I, 4). Procede poi distinguendo quattro modalità diverse di agire sociale:
“1) in modo razionale rispetto allo scopo – da aspettative dell'atteggiamento di
oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impiegando tali aspettative come
‹‹condizioni›› o ‹‹mezzi›› per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualità di
conseguenza;
2) in modo razionale rispetto al valore – dalla credenza consapevole
nell'incondizionato valore in sé – etico, estetico, religioso, o altrimenti interpretabile
– di un determinato comportamento in quanto tale, prescindendo dalla sua
conseguenza;
3) affettivamente – da affetti e da stati attuali del sentire;
4) tradizionalmente – da un'abitudine acquisita. “ (Weber, 1922, I, 22).
Se il 3) è un'azione estemporanea ed emotiva, la 4) è legata ad abitudini che si
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cristallizzano nel tempo come routine. Ma sono solo i primi due tipi di agire ad avere il
connotato di razionalità: l'agire strumentale e la coerenza rispetto ai valori e dunque alle
prescrizioni etiche (Ghisleni, 1998, 95).
Il risvolto pessimistico sugli esiti dell'ultima fase della razionalizzazione e cioè della
modernità sta proprio nel dominio della razionalità economica e burocratica, in cui la
razionalità strumentale (rispetto allo scopo) ha schiacciato i valori (ormai molti e diversi) e
quegli aspetti della razionalizzazione legati alla sfera culturale, o comunque questi sono
rimasti legati a sfere secondarie rispetto al potere e all'organizzazione della società. “Con
la frantumazione del mondo in anonime sfere autonomizzate, viene così a perdersi quel
momento di unità che è alla radice sia delle relazioni di senso che della libertà dell'uomo”
(Privitera, 2001, 6). Weber, proprio nelle ultime pagine dell'Etica protestante (Weber, 1920,
185-186) prefigura una società in cui la razionalità conforme allo scopo crea appunto una
“gabbia d'acciaio” da cui non si profila una via d'uscita. Emblematiche sono le parole
ribadite in proposito nella conferenza su La scienza come professione:
“È il destino della nostra epoca, con la razionalizzazione e l'intellettualizzazione a
essa propria, e soprattutto col suo disincantamento del mondo, che proprio i valori
ultimi e più sublimi si siano ritirati dalla sfera pubblica per rifugiarsi nel regno
oltremondano di una vita mistica o nella fratellanza delle relazioni immediate tra gli
individui” (Weber, 1917, 46).
Questo complessivamente è il quadro che si ricava da stralci delle parole di Weber e dalle
interpretazioni complessive del suo pensiero, che lo stesso Habermas riprende per
elabora la sua teoria sociologica in Teoria dell'agire comunicativo.
Jürgen Habermas
Habermas, filosofo e sociologo tedesco, non sempre viene considerato pienamente nella
nostra disciplina, in parte per la difficoltà nel collocarlo nelle categorie di prassi usate in
sociologia, in parte forse per la difficile lettura ed interpretazione di molti suoi testi. Si tratta
certamente di un intellettuale complesso, ma la tesi di Habermas è utile ai nostri fini per il
suo contributo in termini abduttivi, di avanzamento di nuovi concetti e ipotesi, a partire
dalla lettura che egli compie di Weber e in quanto questi è il suo punto di riferimento
principale nel formulare la sua teoria sulla modernità.
Habermas infatti elabora un nuovo modello di razionalizzazione in quanto pensa che
quella di Weber sia “una lettura unilaterale del processo di razionalizzazione, dovuta ad
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una concezione della razionalità troppo ristretta” (Privitera, 2001, 6) che non include la
razionalità comunicativa.
In realtà il percorso di Habermas verso l'elaborazione della teoria dell'agire comunicativo è
stato lungo, passando non solo attraverso la lettura di Weber, ma soprattutto in una prima
fase attraverso l'influenza della Scuola di Francoforte in cui ha sviluppato i suoi primi
scritti. Il punto di partenza di Habermas può essere riassunto in due direttrici: la ricerca di
un nuovo modo di fare teoria critica e un'attenzione particolare verso il ruolo del linguaggio
e l'interazione nelle dinamiche sociali e politiche. Inoltre, la sua analisi molto spesso non
vuole essere solo teorica ma indicare anche una prassi (in senso marxista) da perseguire
per il superamento degli aspetti critici identificati. Si tratta di un background che va tenuto
presente, sebbene per i nostri scopi non prioritario.
Prima dell'agire comunicativo: modernità, interazione e sfera pubblica
Fin dal suo primo lavoro, Storia e critica dell'opinione pubblica (Habermas, 1962), è
evidente il peso dato alle interazioni e allo sviluppo di razionalità che si ha nel confronto
pubblico discorsivo delle idee. Dunque, in questo testo Habermas presenta delle intuizioni
a riguardo che poi svilupperà su diverse direttrici nella sua ampia elaborazione
successiva. La principale è il concetto stesso di sfera pubblica come “strumento di
razionalizzazione del dominio [...], di dissoluzione discorsiva del potere” (Privitera, 2001,
71). È tramite un uso pubblico della ragione che si possono maturare delle posizioni
consapevoli e fondate, e sviluppare un senso di appartenenza etico-morale che rende la
sfera pubblica come il nuovo “luogo” per l'integrazione sociale al posto della religione
(nelle società primitive). Se l'argomentazione è valida, lo è anche il suo presupposto: è il
linguaggio lo strumento fondamentale che crea la società, soprattutto quella moderna e
razionalizzata, dandole senso. E si tratta di un concetto che guiderà anche l'elaborazione
successiva di Habermas.
È altrettanto vero che nella sua ricostruzione storica, Habermas presenta un giudizio
ambivalente sulla modernità e la sfera pubblica. Pur identificando il tipo normativo di sfera
pubblica cui guardare come modello insuperato in quello che si sviluppò negli ambienti
letterari e culturali dell'Europa del XVIII secolo e ispirato dall'ideale illuminista, le
considerazioni di Habermas sulla condizione contemporanea della sfera pubblica sono
pessimiste in quanto guidate dall'approccio critico sul ruolo dei media e sullo sviluppo
ulteriore del capitalismo che influenzano l'indipendenza (di ragionamento) dell'individuo
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fino ad annientarla4.
Il punto centrale però rimane il collegamento tra modernità e uso pubblico della ragione
che la caratterizza in origine, e che permette ad Habermas di argomentare, pur nella
visione critica del presente, su una possibile (anche se ambiziosa) prassi per riprendere la
dissoluzione discorsiva del potere e arrivare a una democrazia la cui sovranità si basi su
un processo discorsivo razionale.
Verso l'agire comunicativo: lavoro e interazione
Nella sua elaborazione successiva, Habermas continua il percorso di analisi sulla
modernità, riprendendo le diagnosi compiute prima da Weber e poi dalla Scuola di
Francoforte. Egli concorda sul fatto che la “gabbia d'acciaio” sia dovuta alla colonizzazione
avvenuta nella società da parte dell'agire strumentale fino al punto che la scienza e la
tecnica da esso guidate sono diventate le nuove “ideologie”, da cui il titolo emblematico
del saggio “Tecnica e scienza come «ideologie»” (Habermas, 1971, 195-234). In esso, egli
presenta la teoria weberiana sulla razionalizzazione e l'interpretazione che di essa è stata
data da Marcuse. La razionalizzazione come “affermazione dell'agire razionale rispetto allo
scopo” è vista da Marcuse non come razionalità ma come “una forma di dominio politico
non dichiarato, in nome della razionalità”; la razionalità scientifica-tecnologica si è
totalmente sviluppata e istituzionalizzata, penetrando nei diversi ambiti sociali, dunque si è
compiuta una “istituzionalizzazione di un dominio” (ibidem, 196).
Per Habermas però questa analisi della modernità non è completa perché se l'agire può
essere razionale rispetto allo scopo o rispetto ai valori e se solo uno di questi si è
sviluppato, vuol dire che ci si trova di fronte a un processo di razionalizzazione incompiuto
e non ad esito irrazionale e di dominio della società. Egli dunque propone di riformulare la
teoria di Weber proponendo prima di tutto una distinzione categoriale tra “lavoro” e
“interazione” (ibidem, 205-206). Il “lavoro” o agire razionale rispetto allo scopo, è l'agire
strumentale o scelta razionale, il primo organizzato secondo regole tecniche basate su un
sapere empirico, la seconda secondo strategie basate su un sapere analitico; il lavoro
“realizza fini definiti in condizioni date” ed è dunque ciò con cui l'uomo trasforma la natura.
Invece
l'”interazione”
mediata
simbolicamente
o
agire
comunicativo
riguarda
l'interpretazione della natura; è organizzato su norme che “definiscono aspettative
reciproche” che devono essere comprese e riconosciute dai soggetti, dunque è basata
4
Un ulteriore approfondimento sulla sfera pubblica e in particolare sulle tesi portate avanti in questo primo lavoro di
Habermas esulano dagli scopi di questo lavoro. Un utile rassegna di riflessioni su di esso si trova in Calhoun, C.
(1992).
13
sull'intersoggettività. L'interazione può scaturire come categoria proprio perché Habermas
supera “l'approccio soggettivo” di Weber, includendo aspetti intersoggettivi.
Rispetto all'analisi della modernità come si presenta nei suoi più recenti sviluppi, essa è
per Habermas caratterizzata da un nuovo “livello di sviluppo delle forze produttive che
rende permanente l'estendersi dei sottosistemi di agire razionale rispetto allo scopo”
(ibidem, 209) e dalla loro “istituzionalizzazione” che distrugge le vecchie forme di
legittimazione delle società tradizionali, basate più sulla ”interazione”; le nuove
legittimazioni le hanno sostituite “presentandosi con la pretesa della scienza moderna e
giustificandosi come critica dell'ideologia”, ma così facendo divengono esse stesse delle
ideologie (ibidem, 212) e tendono a far svanire il “dualismo di lavoro e interazione”
(ibidem, 218).
Ma per Habermas questo “progresso tecnico-scientifico istituzionalizzato” è solo uno dei
due concetti di razionalizzazione che corrispondono alla diade lavoro vs. interazione.
L'altra, “la razionalizzazione sul piano del quadro istituzionale può compiersi soltanto nel
mezzo dell'interazione stessa mediata dal linguaggio, cioè tramite un venir meno dei limiti
alla
comunicazione.
La
discussione
pubblica,
illimitata
e
libera
dal
dominio,
sull'adeguatezza e desiderabilità di princìpi-guida dell'azione e di norme alla luce degli
effetti socioculturali di sottosistemi di agire razionale rispetto allo scopo in espansione [...]
è l'unico mezzo in cui è possibile qualcosa come una «razionalizzazione» del quadro
istituzionale.” (ibidem, 231).
Siamo però ancora su un livello in cui l'approccio filosofico-critico e la prassi hanno la
prevalenza. Il termine stesso “agire comunicativo” viene introdotto ma non in modo
articolato come invece accade successivamente.
Infatti, il percorso di Habermas continua su vari filoni in cui i temi principali sono la
possibilità e le modalità per l'individuo di porsi criticamente collegata allo sviluppo
dell'identità tramite la soggettività e ai modi di garantire autonomia e libertà agli individui
(Izzo, 2005, 140-145). i concetti-chiave tornano sempre ad essere quelli di “interazione”,
“comunicazioni linguistiche”, “contesto discorsivo”.
Senza però dilungarsi ulteriormente in un'esegesi dell'elaborazione di Habermas, copiosa
e complessa ben oltre gli scopi del presente lavoro, crediamo che, dal punto di vista
strettamente sociologico, sono l'analisi e il confronto con Weber5 che lo portano a una
5
Il richiamo a Weber molto più che a Marx è continuo ogni volta che Habermas si occupa a vario titolo di modernità,
così come evidenziato dalla manualistica sociologica (Wallace e Wolf, 1999, 187-198) e di cui sono esemplari alcuni
saggi contenuti in Habermas (1985) come “La coscienza temporale della modernità e la sua esigenza di rendersi
conto di se stessa” e “L'intrico di mito e illuminismo: Horkheimer e Adorno”.
14
teoria più complessiva e articolata e che si propone esplicitamente questa volta di
sistematizzare l'elaborazione su razionalizzazione, modernità e agire comunicativo.
“La teoria dell'agire comunicativo”
Come dichiara la stesso Habermas in un saggio in cui è chiamato a commentare il suo
testo sull'opinione pubblica e il suo percorso successivo, egli ammette che il primo lavoro
conteneva diverse lacune e debolezze e che era necessario proporre una teoria che si
ponesse a un livello diverso: “La teoria dell'agire comunicativo vuole portare allo scoperto
il potenziale razionale intrinseco nelle pratiche comunicative quotidiane. Inoltre, prepara
anche la strada per la scienza sociale che proceda ricostruttivamente, identifica l'intero
spectrum dei processi di razionalizzazione culturale e sociale, e li fa risalire aldilà della
soglia delle società moderne.” (Habermas in Calhoun, 1992, 442, traduzione mia).
Riprendendo quanto già esposto sulla razionalità, Habermas sostiene che la realtà sociale
non è riducibile a una logica unicamente strumentale, in quanto c'è anche l'agire
comunicativo, orientato alla reciproca comprensione. Inoltre, secondo la teoria dell'agire
comunicativo, il linguaggio è il tratto distintivo dell'uomo, ed è uno strumento di
emancipazione. È proprio in Teoria dell'agire comunicativo (Habermas, 1981) che egli
sistematizza la sua teoria della razionalizzazione, compiendo un passo abduttivo che,
partendo dalla teoria weberiana, vi aggiunge spunti dalle teorie linguistiche, per arrivare a
una nuova formulazione del concetto di razionalità. Lo scopo del suo lavoro è “una teoria
della società che si sforza di provare i propri criteri critici” (ibidem, 45) per arrivare a una
“concettualizzazione del nesso sociale della vita che sia ritagliata sui paradossi della
modernità” (ibidem, 46).
Confrontandosi e ponendosi esplicitamente all'interno della disciplina sociologica, egli
parte da un excursus sul concetto di razionalità 6, per poi concentrarsi in particolare
sull'elaborazione di Weber nel secondo capitolo. Sceglie Weber perché “è l'unico che ha
rotto con le premesse del pensiero legato alla filosofia della storia” pur concependo la
modernizzazione come “esito di un processo di razionalizzazione storico-universale”
(ibidem, 229). Habermas si propone di ricostruire il filo conduttore del lavoro
“frammentario” di Weber il quale, quando ha analizzato il disincantamento ha usato un
concetto di razionalità “complesso” e in parte non chiarito, mentre quando l'analisi passava
alla razionalizzazione sociale della modernità, ha usato una “idea limitata della razionalità
rispetto allo scopo”. Quella che segue è, a nostro parere, una bellissima sintesi del
6
Vedi capitolo primo “Introduzione: approcci alla problematica della razionalità” (Habermas, 1981, 45-227).
15
contributo di Weber:
“Da una parte egli si interessa alla razionalizzazione delle immagini del mondo; qui
deve chiarire gli aspetti strutturali del disincantamento e le condizioni nelle quali le
problematiche
cognitive,
normative
ed
espressive
possono
essere
sistematicamente disgiunte e sviluppate secondo la loro logica intrinseca. Dall'altra
Weber si interessa all'incarnazione istituzionale delle moderne strutture di
coscienza che si sono formate attraverso la razionalizzazione religiosa, vale a dire
alla trasformazione della razionalizzazione culturale in una razionalizzazione
sociale” (ibidem, 258, evidenziature dell'autore).
La discussione che Habermas compie sulla teoria di Weber è lunga e articolata e non può
essere esaurientemente riassunta in queste pagine. D'altronde, bisogna sottolineare come
i punti centrali del lavoro di Habermas siano le “considerazioni intermedie”, con un chiaro
richiamo anche al metodo espositivo di Weber, in cui sistematizza le sue proposte teoriche
principali. Nella “prima considerazione intermedia” egli parte dalla presentazioni di due
versioni della teoria weberiana dell'azione. La prima, quella “ufficiale” corrisponde allo
schema classico, così come presentato esplicitamente da Weber stesso e qui già esposto
sopra. La seconda, “non ufficiale”, può secondo Habermas essere ricavata da vari stralci
in cui Weber distingue tra “situazioni di interessi” e “consenso normativo” su cui si basano
le relazioni sociali (ibidem, 389-394); egli però ha lasciato in sospeso l'approfondimento di
questo “agire convenzionale” oltre la tradizione, quando si è occupato di razionalizzazione
sociale. Habermas invece vuole approfondire proprio questo punto, identificando un agire
razionale orientato all'intesa normativa, post-convenzionale: è l'agire comunicativo.
Da questo punto parte il passo abduttivo di Habermas sul ruolo del linguaggio nella
razionalizzazione e dunque nella società. Per spiegare ciò, Habermas parte prima di tutto
dalla “teoria della competenza comunicativa”. Riprende Searle e Austin7 e la teoria degli
atti linguistici, secondo cui non è possibile distinguere tra agire e parlare e che indica
come la validità di una proposizione dipenda dallo scopo che essa si pone a diversi livelli:
verità (rapporto col mondo esterno), giustezza (rapporti intersoggettivi) e veridicità
(rapporto col vissuto interiore).
Nelle società primitive si disponeva del linguaggio ma non si distinguevano le diverse
pretesa di validità e dunque non si potevano sfruttare tutte le potenzialità del linguaggio.
L'organizzazione di queste società e i loro rituali e il controllo che imponevano sul senso
erano delle “gabbie cognitive” che impedivano la critica. Con l'aumento della complessità e
7
In particolare si veda dal paragrafo 2 della “Prima considerazione intermedia” in Habermas (1981, 395 sgg.)
16
della differenziazione sociale così come descritta da Weber nelle sue “Considerazioni
intermedie”, inizia ad esserci una dimensione individuale e quindi anche cognitivamente si
può iniziare a distinguere tra diverse sfere di validità. Il linguaggio diventa strumento di
emancipazione, di critica, della stessa costituzione della società in quanto peculiarità degli
esseri umani.
In questo senso è evidente come Habermas rientri e sia influenzato da quella che è
solitamente indicata come “la svolta linguistica”, in base alla quale non si può più pensare
l'uomo nella società a partire da un modello solipsistico: l'individuo ( e dunque la società) è
il risultato di rapporti di interazione. Habermas compie questo passo fondamentale
riprendendo l'elaborazione di Mead8. Autore troppo spesso dimenticato, il pragmatista
statunitense aveva mostrato come l'identità dei soggetti si sviluppa nell'interazione e i
significati si producono nel contesto sociale di queste interazioni.
L'elaborazione di Habermas sull'agire comunicativo non si limita a questi soli punti, in
un'opera che va ben oltre i temi di queste pagine. Egli inoltre vede la concretizzazione
dell'agire comunicativo nelle istituzioni giuridiche convenzionali, nella produzione di leggi
che vengono da un'intesa intersoggettiva su quale sia il modo più “razionale” di regolare la
vita comune. Per i nostri scopi, tuttavia, aldilà dell'utilizzo che ne fa Habermas, quelli
descritti sopra sono i concetti chiave che ci sembra diano già una chiave di lettura
fruttuosa come base di un'analisi complessiva della società moderna razionalizzata. Inoltre
intendiamo compiere un ultimo passo abduttivo e tentare di collegare le teorie di Weber e
Habermas con possibili applicazioni empiriche su come sia possibile analizzare la realtà
empirica di una società moderna razionalizzata.
Conclusioni
Se per Weber le radici della razionalizzazione erano nella religione, per Habermas sono
nell'interazione: il senso infatti si genera nell'agire comunicativo e quindi non solo nelle
grandi religioni; dunque, si può avere una razionalizzazione non religiosa del mondo della
vita sociale9. Il linguaggio, strumento dell'agire comunicativo, compie anch'esso un
percorso di sempre maggiore capacità di astrazione e, caduta l'integrazione sociale
8
9
Vedi la prima parte del capitolo 5 di Teoria dell'agire comunicativo (1981, 548-603).
Habermas parla di “mondo vitale” contrapposto al sistema, richiamandosi all'approccio fenomenologico e per
esprimere il fatto che che la razionalità strumentale abbia avuto il sopravvento su quella finalizzata all'intesa, parla di
“colonizzazione del mondo vitale. Per quanto interessante nonché importante per la più complessiva teoria della
società, questo aspetto non può essere approfondito. Si veda la “seconda considerazione intermedia” a riguardo.
17
garantita nelle società tradizionali, diventa il medium che può dare senso e tenere insieme
la società. Abbiamo dunque due teorie che ci indicano come si è arrivati all'esito di una
società moderna e le sue caratteristiche. Agire strumentale e agire comunicativo sono due
tipi puri di come funziona culturalmente e cognitivamente l'agire umano e che, nello
sviluppo sociale verso una sempre maggiore differenziazione e complessità organizzativa,
rimangono tratti strutturanti e strutturati della modernità. Mettendo da parte (ma non
negando) gli aspetti più materiali e strategici dell'agire moderno, focalizziamoci sulle
interazioni. Le analisi, non solo sociologiche, sul mondo contemporaneo, sono piene di
esempi empirici sull'importanza del linguaggio nell'organizzarlo e governarlo: accordi
nazionali e internazionali, diffusione di discorsi e dibattiti sul futuro del mondo ed
enfatizzazione su forme di democrazia partecipativa. Si parla di “governamentalità 10” per
indicare una gestione del potere che è sempre più un “governare con le parole”, nel senso
che più si parla di un tema, più questo da una parte entra nella mentalità e dall'altra la
formulazione che man mano ne esce è frutto del contributo che i vari partecipanti alle “best
practices” hanno dato. L'esempio più noto di applicazione di questo concetto è il modo di
operare delle istituzioni europee, in particolare in ambiti su cui vige formalmente la
sussidiarietà nazionale.
Il nostro modesto passo abduttivo consiste dunque nell'unire le teorie dei due autori
analizzati in queste pagine con le constatazioni appena citate. Molta parte della politica e
dell'organizzazione sociale moderna dipende dalle, e si basa sulle, interazioni, sull'agire
comunicativo figlio di un processo di razionalizzazione che si è compiuto e si continua a
compiere senza che ci sia una filosofia della storia. Studiare a fondo le modalità empiriche
di uso e specializzazione dell'agire comunicativo, non vuol dire solo descrivere un ambito
micro, ma studiare come continua e si dispiega concretamente una delle caratteristiche di
fondanti dell'agire sociale e sulla cui base la razionalizzazione culturale e sociale della
società moderna prende certe strade piuttosto che altre.
Ecco perché abbiamo ripercorso la teoria di Weber e poi quella di Habermas sulla
razionalizzazione: esse sono collegabili tra loro e a loro volta possono dare appoggio al
passaggio abduttivo che proponiamo come teoria per lo studio della società: studiare le
interazioni e il dispiegarsi dell'agire comunicativo per studiare le strade che la
razionalizzazione prende plasmando la società. Lo scopo di queste pagine è stato dunque
ripercorrere le posizioni di questi due autori alla luce di questo ipotetico ulteriore
passaggio, qui solo accennato e usato come filo conduttore dell'excursus compiuto.
10
Foucault è stato il primo a usare tale termine e ci sono diversi studi sul tema, tra cui Dean, M. (1999)
18
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