Cartesio (31-3-1596, feb 1650)
1. il dubbio
Dopo aver messo al sicuro le norme del comportamento
morale, cartesio intraprende la sua pars destruens di
tutto il sapere tradizionale.
A) il problema
L’evidenza, con i suoi caratteri (chiarezza e
distinzione) è la prima regola del metodo di Cartesio.
Nella matematica l’evidenza è chiara, ma quale
conoscenza può essere evidente in maniera
assoluta?
Il problema non può essere soddisfatto dalle scienze
particolari, che si fondano su postulati.
Quando si troverà qualcosa su cui non è possibile
dubitare, si dovrà fare di questo un principio
saldissimo.
Questo principio giustificherà il metodo e sarà il
fondamento di tutte le scienze.
Il dubbio cartesiano si articola in due momenti:
1. teorico: il riconoscimento del carattere incerto su
cui vertono le conoscenze
2. pratico: decisione di sospendere l’assenso e
considerare falsa quella conoscenza.
NB: se l’epochè (sospensione dell’assenso) nega la
verità delle idee, non nega le idee stesse.
Se negare l’esistenza dell’ente non significa negarne
l’idea, occorre vedere se vi è un’idea che rivela
chiaramente una esistenza.
c) le finalità
Il problema cade nell’ambito della filosofia, dalla
metafisica, che non lascia nulla di presupposto e sa
ricominciare daccapo.
Cartesio dubita per arrivare alla scienza, una verità
assoluta
Il suo è un dubbio metodico.
B) le tappe
d) Dubitare di cosa?
Sarà necessario per una volta almeno per ogni scienza
comunemente accettata, dubitare di tutto, considerare
falsa ogni affermazione che non risponda all’evidenza.
Cartesio non vuole dubitare di tutte le sue cognizioni, e
afferma che è sufficiente criticare l’intelletto e i sensi
1. la prima origine delle nostre conoscenze
sono i sensi che non danno risposte certe.
Tuttavia talvolta essi sembrano essere
indubitabili, ma Cartesio obbietta che
potrebbero essere frutto di un sogno.
Quindi, la realtà del mondo esterno
percepita attraverso i sensi non è affidabile
perché tutto potrebbe essere un sogno.
sia un genio maligno, che impegna tutto il
suo potere per ingannarlo.
Il dubbio di cartesio ha raggiunto una
radicalità che mai si era vista prima nella
filosofia occidentale: Non da l’assenso a
nulla di ciò che è evidente.
3. cogito ergo sum
2. alcune conoscenze, sembrano tuttavia
risultare certissime: le qualità primarie
(grandezza, estensione, numeri, ecc..).
Queste sembrano tuttavia non derivano dai
sensi, bensì dall’intelletto. Le conoscenze
matematiche restano vere sia in sogno che
in veglia, ed è difficile dubitare di tali
verità.
proprio nel dubbio cartesio troverà il suo punto di
archimede, la sua certezza.
Si può ammettere di essere ingannati, dubitare di
tutto: ma per dubitare e per ammettere che tutto sia
fallace occorre pensare, e ci vuole una “cosa” che
pensa.
Cogito ergo sum, è la sola proposizione assolutamente
vera, confermata dal dubbio stesso.
Cartesio le sottopone tuttavia ad un dubbio
iperbolico.
Ogni dubbio, supposizione o inganno, presupporrà
sempre che io dubiti, supponga, quindi che io esista
È possibile che Dio non solo abbia dato
all’uomo la percezione che non corrisponda
alla realtà, ma che gli abbia anche fornito
un intelletto fallace. Cartesio mette in
dubbio la ragione stessa.
L’affermazione “io esisto”, sarà dunque vera ogni
volta che la pongo nel mio spirito: è questa
l’affermazione certissima che cartesio cercava, e si
presenta chiara e distinta nell’intelletto e, afferma
descartes, è necessariamente vera.
Questa ipotesi è tanto radicale che cartesio
la abbandona subito, a favore di quella
secondo cui al posto del dio ingannatore, vi
A cartesio sono state poste alcune critiche:
1. Huet
Il rapporto tra cogito ed evidenza è problematico: se il
principio del cogito viene accettato per l’evidenza,
l’evidenza è anteriore al pensiero stesso, e ne
fonderebbe la validità. La pretesa di giustificarla con il
fatto che “io penso”, fa cadere in una petitio principi.
Cartesio replica: non è necessario stabilire la priorità
dei due principi, Il cogito è l’evidenza, nel suo
fondamento metafisico, la trasparenza assoluta che
l’umanità possiede.
2. gassendi
il cogito è una intuizione o un sillogismo del tipo:
”tutto ciò che pensa esiste – io esisto – dunque sono”?
Nel caso del sillogismo, a. la premessa maggiore non
sarebbe sottoposta al dubbio b. in più il cogito non
sarebbe più un principio immediato.
Cartesio replica: se il cogito fosse la risultante di un
sillogismo, la critica avrebbe fondamento. In realtà il
cogito ha carattere immediato ed intuitivo: l’identità
tra evidenza e cogito, stabilisce anche l’identità tra
cogito ed intuito, che è l’atto dell’evidenza.
4. la res cogitans
come dobbiamo intendere la nostra certezza?
So che sono, ma cosa sono?
Non si possono attribuire i caratteri che si sono messi
in dubbio, perché potrebbero continuare ad ingannare.
So tuttavia che un attributo certo ce l’ho: il pensiero,
quindi sono una res cogitans, una cosa che pensa.
Una cosa che pensa è una cosa che dubita, afferma,
nega, vuole, immagina e sente.
All’obiezione “ma dormi”, Cartesio risponde che,
nonostante si dorma, si hanno sembianze di percezioni
e rielaborazioni mentali, che sono propriamente
pensiero.
In nessun caso si può dubitare di star pensando,
perché se si dubita, si pensa.
L’atto di pensare è una certezza assoluta ed è anche
la certezza dell’esistere come cosa pensante.
Cartesio qui attinge alla realtà sostanziale: nello
schema scolastico, ogni attributo (il pensiero), ha una
sua sostanza a cui si riferisce (res cogitans) come
causa dell’attributo stesso.
Non possiamo sapere tutti gli attributi della sostanza,
ma sappiamo che necessariamente siamo una sostanza
come soggetto del pensiero.
Tuttavia Cartesio si distacca in parte dalla dottrina
scolastica: il pensiero è inseparabile dalla sostanzacosa che pensa, ed è anche tanto essenziale da far
risaltare l’essenza stessa della sostanza: una
sostanza la cui essenza non è altro che il pensare.
La res cogitans acquista così tutti i tipi del pensiero
(io, mente, spirito, intelletto, ragione), meglio ancora,
il soggetto di tuttii i pensieri particolari.
A. critica di hobbes: “il cogito è indubitabile
soltanto quando si limita ad esprimere la
coscienza di pensare ed esistere. Quando si
procede oltre, affermando di essere una cosa
pensante si compie un atto arbitrario, una
scelta: non è detto che la sostanza
dell’individuo sia il pensiero.
B. Risposta di Cartesio: l’esempio della
passeggiata di hobbes (se io passeggio non è
detto che sia una passeggiata) non è corretto:
mentre la passeggiata è una azione che non
inerisce a colui che la compie, il pensiero
talvolta indica la facoltà di pensare, talvolta
l’azione, talvolta la cosa in cui risiede tale
facoltà. In definitiva, la cosa si identifica con
l’essenza della cosa.
Per ora si è certi di una esistenza come essere
pensante, ma questo essere ha le idee!
Idea= ogni oggetto del pensiero
Def di Cartesio: “forma di un pensiero, per l’immediata
percezione per la quale sono consapevole di questo
pensiero”
a. ogni idea ha una realtà come atto del
pensiero, soggettiva e mentale.
b. Ha anche la realtà obbiettiva, in quanto
rappresenta un oggetto: le idee sono
immagini delle cose.
Il cogito rende sicuro che le idee esistano nella nostra
mente come atti del pensiero, ma non mi dice se esse
corrispondano esattamente alla realtà.
Le nostre idee corrispondono o no ad oggetti che
esistono realmente nel mondo esterno?
3 categorie di idee:
5. dal cogito a Dio
Non è possibile che questa certezza rinchiuda l’io di un
individuo in se stesso senza alcuna possibilità di
relazione?
Si vedrà che il cogito è un principio di apertura.
a) idee innate idee nate con me, a cui
appartengono le essenze vere, es. l’idea di dio
b) idee avventizie venute dall’esterno
c) idee fattizie fatte o inventate da me stesso
tra queste idee non vi è nessuna differenza sul piano
dell’atto del pensiero, ma differiscono enormemente
per le cose che rappresentano.
Il contenuto delle idee deve dipendere una certa
causa, che contiene almeno tanta realtà quanto
l’effetto.
È quindi necessario scoprire se tra le mie idee ve ne è
una che ha una causa chiara e distinta diversa da me
stesso, oppure che tali idee non esistano, ed io sia solo
nel mondo.
a. idee avventizie: sembrano aver causa nel
mondo esterno, e non vi è nessun carattere di
chiarezza e distinzione che mi può affermare
con sicurezza l’esistenza degli oggetti.
b. Le idee fattizie: non c’è dubbio che hanno
l’essenza in me, in quanto io ne sono creatore.
c. Le idee innate: Cartesio dice di imbattersi
nell’idea di Dio, cioè di un essere infinito,
eterno, immutabile, onnipotente, onnisciente,
creatore
Posso essere io la causa di tale idea?
1) l’idea di Dio non può essere prodotta dall’uomo.
L‘uomo è infatti, per il suo stesso dubitare, finito ed
imperfetto… soltanto un essere che è perfetto ed infinito
può aver causato nell’uomo l’idea di infinito.
Questo essere è dio, e l’idea di Dio che porto in me è
come la marca dell’artigiano sulla sua opera.
In altri termini:
- io penso dunque sono
- l’ho scoperto grazie al dubbio
- il dubbio mi caratterizza come finito ed
imperfetto
- mi riconosco imperfetto grazie all’idea di
perfezione ed infinito che ho in me
- essa non può essere prodotta da me, viene da
Dio
- Dunque dio esiste
Questa prova dell’esistenza di Dio è a posteriori,
fondata sul principio di causalità, ma differisce da
quelle scolastiche perché non parte dalle cose sensibili,
ma parte dalla semplice idea di dio per risalire
immediatamente alla sua causa.
2)Cartesio fa seguire una seconda prova
dell’esistenza di dio a posteriori, fondata ancora una
volta sul principio di causalità.
se io, pur avendo l’idea di perfezione, non sono
perfetto, vuol dire che non mi sono creato, altrimenti
mi sarei attribuito tutte le perfezioni
Solo l’essere più perfetto, dio, può aver creato me, con
l’idea di perfetto (nella prima Dio è causa dell’idea di
perfetto, in questa, dio è causa dell’esistenza
dell’uomo).
In sintesi:
-
Non sono causa di me stesso
-
Se fossi tale, mi sarei creato secondo la mia idea
di perfezione
Non sono neppure in grado di conservarmi in
eterno
Dio, perfetto ed infinito, mi ha creato finito ed
imperfetto
Creazione e conservazione dell’essere comportano
una causa esterna all’io, che mi crea e che mi
conserva in ogni momento.
Tale causa non è nell’ordine naturale e deve essere
sostanza pensante (in quanto causa di un essere
pensante) e possedere tutte le perfezioni proprie
dell’ente divino
-
Quindi: l’essere assolutamente perfetto
necessariamente esiste
Sarebbe contraddittorio concepire un essere perfetto a
cui mancasse l’esistenza: il perfetto imperfetto è una
contraddizione.
Può esistere un solo essere perfetto, proprio perché è
perfetto.
Descartes collega la sua prova ontologica alla dottrina
di Dio come causa sui: l’esistenza è inclusa nell’essere
che è onnipotente e causa di sé stesso, perché
pensando all’infinita potenza di dio riconosciamo che
esiste grazie alla sua sola forza.
6. Dio garante di verità
Questa causa è per sé, è il principio positivo
dell’essere, è Dio
Dio quindi è causa sui, causatore per sua propria
forza in virtù della sua esistenza necessaria.
a. dio non mi inganna
Cartesio sottolinea il carattere attivo della divinità.
Dio, in quanto essere perfetto, non può ingannarmi:
le facoltà di giudizio che mi ha conferito non possono
essere tali da condurmi all’errore se uso la ragione
correttamente.
3) in più descartes propone una prova a priori
(argomento ontologico) dell’esistenza divina.
Con questa affermazione, Cartesio toglie ogni dubbio
su tutte le realtà che paiono evidenti.
-
-
L’idea di un essere assolutamente perfetto
comporta che in lui l’essenza non può essere
separata dall’esistenza
Cioè: l’esistenza appartiene necessariamente alla
sua essenza
Le verità eterne non sono indipendenti da Dio, lui ne è
creatore e in lui trovano fondamento.
Cade l’ipotesi del genio maligno: non ho più motivo di
dubitare della veridicità delle realtà che mi appaiono
chiare e distinte.
-
b. i limiti per l’ateo
Si afferma di essere certi che le idee
evidenti sono vere perché dio è leale ed
esiste.
Però siamo anche certi che Dio esiste
perché ne abbiamo una idea chiara e
distinta.
L’ateo è invece condannato al dubbio perenne.
Quanto meno potente riconosce il fondatore della sua
esistenza, tanto più potrà dubitare di ciò che gli
appare.
In breve: dimostriamo dio usando il canone
dell’evidenza e facciamo dio stesso garante di questo
canone.
Il fondamento primo della certezza è il cogito o dio?
L’ateo non potrà dunque raggiungere la scienza, cioè la
conoscenza certa, se non riconoscerà di essere stato
creato da un ente superiore.
c. il carattere di Dio di Cartesio
e. la risposta di Cartesio
Riafferma il valore primario del cogito e della regola
dell’evidenza.
Il dio di Cartesio è privo di ogni connotazione
religiosa.
La veracità del cogito è quindi indipendente
dall’esistenza di Dio
Pascal noterà che il Dio di renèe descartes non è il dio
delle religioni, ma solamente l’autore delle verità
geometriche, dell’ordine del mondo, e causa prima del
movimento cosmico.
La regola dell’evidenza vale ancor prima di
dimostrare l’esistenza dell’autore della stessa
evidenza.
f. considerazioni
d. le obbiezioni di filippe arnaud
Accusa Cartesio di Circolo vizioso.
Dal punto di vista metafisico l’evidenza del cogito non
è sufficiente a fondare una scienza:
questa vale soltanto per le verità che sono
immediatamente concepite, cioè presenti nel mio
spirito.
Nel caso del cogito non vi era il salto che vi è tra le
idee degli oggetti e le realtà esterne: mentre mi penso,
non posso pensarmi non esistente.
Ma la scienza non può fondarsi su verità attualmente
percepite, ma su un prima ed un attuale.
Mentre posso pensare anche cose che non esistono, mi
accorgo che c’è un distacco certo tra pensiero e realtà
esterna.
Il dubbio su una evidenza nel passato è sempre
possibile, perché non è più chiara attualmente: è
quindi necessario Dio che si fa garante delle nostre
facoltà di ragionamento e delle nostre percezioni.
La regola dell’evidenza, già giustificata consente di
eliminare il dubbio già avanzato sulle cose materiali.
-
Solo Dio ci garantisce che ciò che abbiamo concepito
in passato con evidenza è vero anche se non è più
attuale.
Il cogito costituisce il fondamento di una scienza
oggettivamente valida, mentre Dio costituisce il
fondamento di una scienza oggettivamente valida e
necessaria.
-
-
-
7. il mondo esterno
L’esistenza di Dio come garante delle verità permette a
Cartesio di riabilitare le percezioni sensoriali.
Permette di assicurare la corrispondenza tra le idee e gli
oggetti che esse rappresentano.
-
-
-
Non posso dubitare che in me c’è unA
facoltà passiva che mi consente di
ricevere le percezioni
A questa deve essere affiancata una
facoltà attiva che produce le idee nella
mia mente
Questa non può essere nell’io, perché
queste si producono indipendentemente
dalle mia volontà
Devono dunque appartenere ad una
realtà diversa che sarà o un corpo, o dio
stesso o qualche altra creatura più
nobile del corpo
È ovvio che Dio, non essendo maligno,
non mi invia direttamente le idee, né le
mette in un recipiente differente dal
corpo.
Dio ci ha dato una certa inclinazione a
credere che le cose vengano inviate da
cose corporee.
Non può avermi ingannato
-
Bisogna quindi riconoscere che c’è una
sostanza o realtà estesa.
Questa avrà caratteri differenti rispetto al pensiero.
È sostanza divisibile.
Come Galileo, differenzia tra qualità oggettive e qualità
soggettive.
La considerazione geometrica ci fa conoscere il mondo
fisico ed è il fondamento del meccanicismo
universale.
Cartesio, così sostienine la possibilità di costruire una
fisica a priori, deduttiva, Fondata sulle idee come
quella di Dio, sui principi matematici, sulle leggi
fisiche che discendono dall’idea di Dio.
8. la res cogitans e la res extensa
se devo ammettere la realtà dei corpi esterni devo
quindi ammettere che anche io ho un corpo senziente.
Le sensazioni del corpo dimostrano che sono
strettamente congiunto al mio corpo, sono anzi un
tutt’uno con esso.
Tuttavia Cartesio compie una distinzione reale tra
anima e corpo: posso pensare di esistere anche come
pura essenza spirituale (il pensiero è l’indice di
esistenza, il corpo è un attributo).
D’altro canto, il corpo presenta dei caratteri che la
sostanza spirituale rifiuta.
La sostanza estesa (res extensa) e la sostanza
spirituale res cogitans) si presentano come due
sostanze contrapposte:
- corpo esteso: tutto ciò che è divisibile
- spirito: tutto ciò che è indivisibile
Nasce il dualismo tra le due res, che diventerà uno dei
problemi cruciali del cartesianesimo.
Questo problema tratta la relazione tra le due res, che
sembra configurarsi come una unione tra anima e
corpo, che non può essere sostanziale perché sono
reciprocamente indipendenti.
Cartesio nel trattato “sull’uomo” aveva dato una
impronta meccanicistica ai moti del corpo umano:
come può un movimento meccanico alterare la res
cogitans? Come può una volontà del pensiero mettere in
moto il corpo?
Per Cartesio questa relazione è permessa dagli
Spiriti, particelle sottilissime di materia, veicoli di
movimento attraverso i nervi, che attraverso la
ghiandola pineale permettono all’anima di sentire gli
stimoli.
Sempre dalla ghiandola partirebbero altri spiriti che
producono i moti del corpo.
Non risolve il problema: il rapporto tra due realtà
incommensurabili non può essere meccanico.
moto meccanico degli spiriti nel
corpo.
La forza dell’anima consiste nel dominare le affezioni,
mentre la debolezza stà nell’abbandonarsi alle passioni
del corpo.
Cartesio non è tuttavia conscio del problema: per lui
l’unione tra anima e corpo è ciò che ci permette di
captare la quotidiana ed evidente esperienza.
Le affezioni sono spesso contraddittorie e
destabilizzano l’anima, ma non sono necessariamente
nocive.
-
-
Il concetto di sostanza: il termine sostanza,
secondo la tradizione tramandata da Aristotele,
significa una cosa che esiste in sé e per se.
Se così fosse, nella metafisica cartesiana,
sarebbe sostanza soltanto dio.
Il termine sostanza non può essere usato
univocamente: tra Dio e le creature vi è
predicazione di analogia, ovvero, in questo caso
si fa coincidere con il termine sostanza anche le
creature che per esistere hanno bisogno
dell’intervento ordinario di dio: la sostanza
pensante e la sostanza estesa.
Sono tutte rapportate al corpo, e spesso sono segnali
dell’istinto di autoconservazione, che portano a
preservare il corpo.
Tristezza e gioia sono passioni fondamentali.
La tristezza indica le cose da evitare, la gioia quelle da
amare per conservare e migliorare il corpo.
Tuttavia è importante liberarsi dallo stato di schiavitù
delle passioni: talvolta queste amplificano i bisogni.
L’uomo non deve farsi dunque guidare dalle passioni,
ma dalla ragione e dall’esperienza : questo controllo
sulle passioni costituisce la saggezza.
9. le passioni, l’errore, la libertà
a) Azioni e affezioni
Cartesio distingue nell’anima:
- Azioni: dipendenti dalla volontà
- Affezioni: involontarie (sentimenti
e percezioni), che dipendono dal
La saggezza consiste nel saper separare il pensiero
chiaro e distinto dai moti confusionari delle passioni
provenienti dalla res cogitans.
L’etica moderata di Cartesio si manifesta in questa
teoria sulle passioni.
b) Errore
Come si giustifica l’errore se l’uomo creato da Dio e
dotato di capacità che se usate adeguatamente
dovrebbero preservarlo?
L’uomo ha una certa idea positiva di dio, ed una certa
idea negativa del nulla (imperfezione assoluta).
Proprio in virtù della posizione intermedia tra essere
e non essere, tra perfezione ed imperfezione, l’uomo è
esposto ad una miriade di difetti, anche l’errore.
L’errore dipende da:
- Intelletto: permette all’uomo di concepire le idee
che può affermare o negare
- Volontà: libera, è l’atto di affermazione o
negazione.
Poiché la volontà è libera, può giudicare anche ciò che
l’intelletto non percepisce come chiaro e distinto.
Questa è la premessa dell’errore
Dal fatto che la volontà può esprimere giudizio
anche su ciò che non è chiaro, nasce l’errore.
Non dipende quindi da dio perché:
- Ha dato all’intelletto le massime capacità di
comprensione in relazione con la finitudine
umana
- Ha reso perfetta la volontà concedendole libero
arbitrio
Dipende quindi dal nostro cattivo uso del nostro
arbitrio, perché non ci asteniamo dal giudizio quando
una cosa non è chiara.
c) Libertà
La sospensione del giudizio (epochè) e l’errore sono
fondati sul libero arbitrio: che cosa è quest’ultimo?
Consiste nell’assenza di costrizione da parte di forze
esterne nel compiere un giudizio.
Ciò non vuol dire che si è ugualmente liberi se si
sceglie una cosa o l’altra: Si è liberi ancor di più
quando la scelta è evidente al nostro intelletto
L’unica costrizione, positiva, è quella che la ragione
deve agire sulle affezioni.
Quando non si è illuminati sulla scelta, ci si trova in
condizione di indifferenza: se l’uomo si astiene dal
giudizio è conforme alle regole della ragione.
Se decide, sarà stato sopraffatto da passioni interne e
sarà meno libero.
Rapporto tra libertà umana e preordinazione
divina: accordo tra le due è una verità evidente, nel
senso che dio prevede le azioni degli uomini senza
variarle.(problematica)
Concludiamo così:
“per me la filosofia è come un albero le cui radici sono
costituitee dalla metafisica, il tronco dalla fisica, i rami
dalla meccanica, dalla medicina e dalla morale”
Renée Descartes…