“Una geografia loca” (una geografia pazza) di Lionello Moranti “Una geografia loca” (una geografia pazza), si legge su un indovinato cartello pubblicitario all’interno dell’aeroporto di Punatas Arenas. Dal punto di vista geografico il Cile è infatti un Paese senz’altro unico al mondo. trattandosi di una striscia di terra larga appena 200 km, ma lunga ben 4300 km, chiusa dalla cordigliera delle Ande da un lato e dall’Oceano Pacifico dall’altro. Con una simile disposizione longitudinale gli ambienti climatici non possono essere che variegati e multiformi. Una grande regione desertica nel nord, vulcani, foreste e laghi a far da cornice nella fertile vallata centrale, fiordi e ghiacciai nel sud: così si può sommariamente sintetizzare il paesaggio cileno. Ma i motivi per un viaggio in Cile non sono da ricercare solamente nelle bellezze naturali, notevoli sono anche le testimonianze storico-culturali, che vanno dai reperti archeologici degli indios Araucani alla presenza della penetrazione coloniale spagnola, per arrivare al Cile di oggi, da poco riconsegnato alla società civile dopo un regime militare durato diciassette anni. Dall’Italia si può arrivare in Cile con un lungo volo diretto ma accedervi per via terrestre dai Paesi limitrofi costituisce di per sè un’esperienza entusiasmante visto l’eccezionale paesaggio d’alta montagna che s’attraversa. Così la strada che collega la città argentina di Mendoza con Santiago del Cile passa proprio ai piedi delle più alte cime andine, tra le quali l’Aconcagua, la più alta vetta d’America con i suoi 6959 metri regalando al viaggiatore visioni mozzafiato di massicci innevati e profonde scarpate. Superato il confine al passo de La Cumbre (a oltre 3800 metri d’altezza) inizia la lenta discesa verso Santiago del Cìle: lasciata alle spalle la stazione sciistica di Portillo lo scenario muta man mano che ci si abbassa di quota per incontrare dopo un paio d’ore la più esterna cintura periferica della città. Moderna metropoli di quattro milioni d’abitanti, Santiago è il centro politico, economico, culturale più importante di tutto il paese ospitando un terzo dei cileni e agendo continuamente da calamita per tanti altri. D’altronde non potrebbe essere diversamente vista la sua ottima collocazione geografica, al centro di una regione dal clima mediterraneo, che favorisce un’agricoltura opulenta. Santiago ha molto da offrire al turista che decide di trascorrervi qualche giornata prima d’avventurarsi al Nord o al Sud. Intanto qui non si è lontani nè dalle stazioni sciistiche andine nè dalle località balneari sul Pacifico e per buona parte dell’anno si può scegliere l’una o l’altra possibilità. Poi la città stessa non è da trascurare. Chi ama andare per musei ne ha due da non perdere assolutamente: il Museo Precolombiano, ricco di testimonianze delle varie civiltà precedenti l’arrivo degli Spagnoli e il museo di Santiago, degno di visita sia per la ricostruzione storica dello sviluppo della città sia per il bel palazzo coloniale che lo ospita, la Casa Colorada. Un’emozione particolare la riserva a Moneda, sede della presidenza della Repubblica. Tutti ne ricordano le immagini nei giorni del golpe del 1973, gli incendi e le distruzioni dei bombardamenti aerei,l’andirivieni dei carriarmati sulla piazza antistante, il presidente Allende con il mitra in mano davanti al portone d’ingresso poco prima della fine. Infine dopo aver frequentato musei, palazzi, chiese e piazze, è d’obbligo una salita al Cerro Santa Lucia, una collinetta che si erge nel centro di Santiago, dalla quale si può avere una bella panoramica della città con i picchi andini che si stagliano sullo sfondo. ll deserto di Atacama. Situato in altura in una regione vasta quasi quanto l’Italia, interamente desertica, praticamente spopolata nell’interno e con qualche città portuale sulla costa, è divenuto territorio cileno solo nel secolo scorso, dopo una sanguinosa guerra con Perù e Bolivia condotta, ufficialmente, per difendere i diritti della popolazione cilena in quella zona, in realtà per mettere le mani sulle enormi ricchezze del sottosuolo. Infatti sono disseminate un po’ dappertutto miniere d’argento, oro, ferro e soprattutto di rame, la grande ricchezza del paese, essendone il Cile il primo produttore mondiale. L’unica città dell’interno è Calama, qui sorta non per la presenza di un’oasi, come normalmente succede per le città del deserto, ma per la vicinanza alla più grande miniera a cielo aperto di rame del mondo, quella di Chuquicamata. Volendo è possibile partecipare al quotidiano tour guidato che la società organizza per turisti, condotti a visitare gli impianti e a seguire le varie fasi di estrazione e lavorazione del metallo. Calama è la base di partenza per un’escursione nel deserto: 120 km di pista battuta e si arriva all’oasi di San Pedro de Atacama. La zona circostante è veramente eccezionale. Da una parte i margini del “Salar de Atacama, una piatta distesa salata, grande quanto una media provincia italiana, che già ben si individua dall’aereo in arrivo a Calama. Dall’altra parte una teoria di vulcani, cinque o sei cime innevate di quasi 600 metri, il più vicino dei quali è il Licancabur, perfettamente conico, mentre l’ultimo che l’occhio riesce a cogliere all’orizzonte, il Lascar, marca la sua presenza con un filo di fumo. Se di giorno il paesaggio è straordinario, al momento del tramonto diventa una bellezza indescrivibile. Il posto giusto per vivere quest’esperienza è poco fuori San Pedro, nella cosiddetta Valle della Luna, così chiamata per le strane e fantasiose formazioni rocciose modellate dal vento. Il panorama che si osserva da una collinetta di sabbia al calare del sole è superbo: il Salar, la Valle della Luna, i vulcani, tutto in un vortice di colori continuamente cangianti prima di precipitare, nel giro di pochi minuti, nel buio della sera, con il silenzio più assoluto come “musica” di sottofondo. Qui però non si può rimanere a lungo e bisogna affrettare il rientro a San Pedro, perchè comincia a far freddo. Infatti vero che il Tropico del Capricorno passa proprio da queste parti, ma la stagione invernale e i quasi 2500 metri d’altezza si fanno sentire, quando manca il sole. Completata la visita della zona con le rovine di una fortezza indiana, con i geyser di El Tatio, con il villaggio di Tocanao, con la chiesetta, un paio di case coloniali ed il museo archeologico di San Pedro, si raggiunge, dopo un monotono viaggio di 600 km attraverso il deserto, la città di Arica, l’estremo nord cileno sulla costa pacifica. Qui, dove nel secolo scorso sanguinose battaglie vennero combattute per l’onore, il deserto e i minerali, si ritrovano oggi ricchi boliviani e indios peruviani, gli uni per le vacanze balneari e gli altri per i loro pittoreschi mercatini. Chiamata a ragione la città dell’eterna primavera per la costante temperatura a 20 gradi che si registra tutto l’anno, Arica ha però molto di più da offrire che non il sole e le spiagge. Intanto è tappa obbligata per ogni ulteriore avventura a sud lungo il Cile, a est in Bolivia e a nord in Perù. In secondo luogo ha un entroterra molto interessante come le valli di Arapa e di Lluta, i piccoli villaggi con le prime chiese costruite in Cile dai conquistatori spagnoli, ma soprattutto è qui che si trova il Parco Nazionale Lauca. Si tratta di una vasta area a ridosso del confine Boliviano, ad altitudini che vanno dai 3000 metri ai 6300 metri, che dà la possibilità di osservare senza difficoltà ogni tipo di animale andino: lama, vigogne, alpaca, guanachi e, con più fortuna, condor. Qualche problema lo crea invece l’altezza, visto che nel giro di poche ore di pulmino si passa dall’Oceano ai 4700 metri della zona del lago Chungara, presumibilmente il più alto lago del mondo, sovrastato dai più importanti coni vulcanici. Mal di testa e difficoltà di respirazione passano, sulla via del ritorno; man mano che ci si abbassa di quota e sono ormai spariti del tutto quando andiamo all’insediamento indio di Parinacota per acquistare maglioni e ponhos di alpaca. Al momento di lasciare il nord cileno, Arica si congeda da noi con un paio di scosse di terremoto, in Italia se ne parlerebbe una settimana di seguito, qui invece nessuno ci fa caso tanto poichè è una cosa normale da queste parti. Dall’estremo nord all’estremo sud, ero da Arica a Punta Arenas, corno 4500 km. Lo sbalzo è realmente notevole se si pensa che si passa (rendo nello stesso Stato!) da una zona tropicale ad una sub polare, ma il cambiamento non riguarda solo il clima, è anche umano. Oggi, con la scoperta dei petrolio nella regione e in vista del possibile sfruttamento economico dell’Antartide, Punta Arenas ha visto crescere la sua importanza e gode sempre di maggiori sovvenzioni da parte del governo cileno. Ma il turista, una volta arrivato da queste parti, cosa può fare? La città in sè non ha niente di particolare, ma, nel periodo estivo, diventa base di partenza per le esclusive crociere riservate ai turisti desiderosi di mettere piede sul continente antartico (1500 km più a sud). Tutto l’anno, per lo meno quando i rigori del tempo non lo impediscono, si può raggiungere e sorvolare con un aereo da turismo gli scogli del mitico Capo Horn oppure avventurarsi in una mini crociera tra i fiordi o ancora fare un’escursione sulla grande isola della Terra del Fuoco, politicamente divisa a metà tra Cile e Argentina, ma unita dallo stesso paesaggio dì desolazione o dì solitudine. Completato il soggiorno con la visita ad una colonia di pinguini, viene il momento di tornare a nord, ma dall’aereo che ti si sta portando a Puerto Moritt posso godere di una insospettata quanto, eccezionale visione della regione che sto lasciando. Così, complice una delle rare giornate di sole, posso ammirare sotto di me un susseguirsi di fiordi e ghiacci per poi emozionarti quando compaiono in successione prima le levigate pareti del Cerro Torre una delle più belle e proibite vette del mondo, e dopo le imponenti masse del famoso Perito Moreno, il ghiacciaio che confluisce direttamente nelle acque del lago argentino. Puerto Moritt è l’ultima tappa del mio viaggio in Cile. Di qui si dirama una via di attraversamento delle Ande che, in un viaggio di due giorni, porta fino alla località turistica argentina di Bariloche. Potrei far prima servendomi del collegamento aereo oppure praticando una via che passa più a nord, ma così facendo perderei una delle zone più belle di tutto il Cile: un’area incontaminata, ricca di laghi, foreste, vulcani, cascate, fiumi, che fa parte dell’ennesimo parco nazionale. Puerto Moritt vive soprattutto dell’intensa attività portuale che vi si svolge ed era il capolinea dell’asse stradale longitudinale (lungo 300 km) che la collega ad Arica; da qualche anno però si può arrivare per via terra fino a Punta Arenas, ma occorre per questo entrare e uscire dall’Argentina. La regione è stata colonizzata principalmente da emigranti tedeschi, si spiegano così i cognomi tedeschi che campeggiano frequentemente sulle insegne dei negozi e anche le ordinate casette della periferia, con i gerani sui balconi, insomma un angolo di Baviera in Sud America. Ho ancora una giornata di tempo prima di mettermi in viaggio per l’Argentina, la impiego in una sommaria escursione sulla vicina ChiIoè, un’isola vasta all’incirca quanto la Corsica, popolata praticamente solo da pescatori sulla costa ed agricoltori e allevatori all’interno. Sarà per le distese panoramiche prive di ogni traccia umana, sarà per i lunghi minuti che passano senza incrociare anima viva, fatto sta che l’impressione prevalente è quella di essere in un posto veramente fuori dal mondo. Giungo all’epilogo della mia esperienza cilena. Le ultime immagini che il Cile mi riserva sono quelle del lago Llanquihne, poi delle cascate di Petrohuè, del vulcano Osorno, dell’incredibile lago Todos los Santos: incastonato tra le montagne, è privo di strade ai bordi per cui l’unico modo per raggiungere Peulla, ultimo avamposto cileno prima del confine, è una traversata di due ore in battello. Qui un’ultima sorpresa. Non l’avevo trovata né in alta quota al nord né alle basse latitudini di Punta Arenas, qui, ad appena 1000 metri d’altezza mi lambisce le ginocchia:la neve.