124-130 Domani - Manfredi - Recenti Progressi in Medicina

Domani
Vol. 96, N. 3, Marzo 2005
Pagg. 124-130
Una nuova classe di farmaci antiretrovirali (gli inibitori di fusione)
nel trattamento dell’infezione da HIV in fase avanzata.
Esperienza preliminare con enfuvirtide
Roberto Manfredi, Leonardo Calza, Francesco Chiodo
Riassunto. Gli autori presentano uno studio preliminare in aperto riguardante la somministrazione del nuovo inibitore della fusione di HIV, a somministrazione parenterale, in un
ambito terapeutico di salvataggio, in una coorte di pazienti pesantemente pretrattati e resi
multiresistenti, e con malattia da HIV in fase avanzata. L’esperienza personale, condotta fino a 30 mesi consecutivi di terapia, viene presentata e discussa sulla base degli studi disponibili e di un aggiornamento delle evidenze di letteratura sull’argomento. In assenza di specifiche raccomandazioni e linee-guida d’impiego, vengono dibattute in particolare le notevoli aspettative e le problematiche relative all’uso di questo nuovo composto antiretrovirale
(appartenente ad un’innovativa classe farmacologica) nella pratica clinica quotidiana, tenendo conto delle recenti prove di un’efficacia significativamente più evidente e prolungata
quando l’enfuvirtide è somministrato in associazione ad almeno uno o due altri composti
antiretrovirali rimasti attivi nei confronti del virus HIV. La gestione delle frequentissime
reazioni al sito di iniezione rappresenta un problema supplementare nell’assistenza di questi pazienti pluri-problematici.
Parole chiave. Enfuvirtide, infezione da HIV multiresistente, inibitori della fusione,
terapia antiretrovirale.
Summary. The role of a novel antiretroviral class (fusion inhibitors) in the management
of advanced HIV infection. Preliminary experience with enfuvirtide.
A preliminary open-label study on the administration of the novel, parenteral HIV fusion inhibitor enfuvirtide as a part of a salvage antiretroviral treatment in a cohort of hardly pretreated and multiresistant patients with advanced HIV disease followed until 30 consecutive months of therapy is presented, and discussed on the ground of available experiences, and an update of literature evidences in this field. Expectations and concerns on the
use of this novel anti-HIV compound (belonging to an innovative pharmacological class) in
daily practice are debated, since no specific recommendations have been produced until
now, and enfuvirtide administration appears significantly more effective when made in
conjunction with at least one or two other active antiretroviral agents. The management
of the very frequent site injection reactions represents an adjunctive problem in the treatment of these multi-problematic patients.
Key words. Antiretroviral therapy, enfuvirtide, fusion inhibitors, multiresistant HIV
infection.
Introduzione
Nei pazienti con infezione da HIV pretrattata
da lungo tempo e con numerose pregresse linee terapeutiche, la tendenza intrinseca del virus a sviluppare mutanti resistenti si lega al circolo vizioso dell’emergere di fenomeni tossici a lungo termine, e alle difficoltà a mantenere a lungo
un’aderenza ottimale a trattamenti farmacologici
oggettivamente complessi (highly active antiretroviral therapy, o HAART). Al giorno d’oggi, lo sviluppo di multiresistenza da parte dei ceppi di HIV
è la principale causa di fallimento virologico ed immunologico della terapia antiretrovirale e della
conseguente progressione della malattia, sia nell’adulto sia nel bambino1-4.
Sezione di Malattie Infettive, Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale, Università degli
Studi di Bologna Alma Mater Studiorum, Azienda Ospedaliera di Bologna, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna.
Pervenuto il 24 gennaio 2005.
R. Manfredi, L. Calza, F. Chiodo: Enfuvirtide nella terapia di salvataggio dell’infezione HIV. Esperienza preliminare
Nonostante l’attuale disponibilità di ben 19 molecole appartenenti a quattro diverse classi farmacologiche (inibitori nucleosidici/nucleotidici della
trascriptasi inversa, inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inversa, inibitori delle proteasi, e
più recentemente inibitori della fusione), il problema delle linee-guida relative al trattamento da instaurare in fase di “salvataggio” in pazienti plurifalliti è ancora ampiamente discusso ed in via di
definizione2-4,5, anche se trova i suoi principali presupposti nel monitoraggio delle resistenze verso i
singoli farmaci (tramite test genotipici, fenotipici e
fenotipici virtuali), in un algoritmo di sequenziazione ottimizzato sulla base delle risorse farmacologiche disponibili. Il tutto individualizzato sul
precedente trattamento del paziente e su emergenti test di farmacocinetica, farmacodinamica e
farmacogenomica, nonché su irrinunciabili parametri di costo-efficacia. In via ipotetica, è l’impatto della terapia iniziale a condizionare il successivo sequenziamento terapeutico antiretrovirale4,
anche se nell’anno 2005 la frequenza della problematica è pressocché tutta a carico di pazienti pretrattati da anni con regimi spesso subottimali, che
hanno favorito l’emergere e talora l’“archiviazione” di resistenze divenute difficili da superare senza un significativo cambio di classe farmacologica.
Scopo del presente studio è analizzare la nostra
esperienza preliminare con l’enfuvirtide (T-20),
farmaco capostipite di una nuova generazione di
molecole (gli inibitori di fusione), in grado di agire nei confronti del virus HIV con un meccanismo completamente diverso da quelli finora noti, in uno studio-pilota effettuato in pazienti
multiresistenti ed in terapia di salvataggio.
Pazienti e metodi
Sette pazienti (5 maschi e due femmine), di età compresa tra 14 e 55 anni (media 39,8±7,2 anni), tra cui tre
omo-bisessuali maschi, due ex-tossicodipendenti per via
venosa, un eterosessuale ed un ragazzo soggetto a
trasmssione perinatale, con infezione da HIV nota da 614 anni (in cinque casi evoluta in AIDS conclamato per
pregresse patologie opportunistiche), sono stati sottoposti a terapia con enfuvirtide dopo aver raccolto il loro
consenso informato scritto (concesso dai tutori legali nel
caso del minore).
Il farmaco è stato somministrato al dosaggio standard (90 mg sottocute due volte al dì), e a dose dimezzata (45 mg due volte al giorno) nel ragazzo di peso corporeo pari a 37,5 kg. Dal giugno 2002 fino alla commercializzazione intervenuta nel corso dell’anno 2004, il
farmaco è stato gentilmente fornito da Roche Italia, sulla base di un programma di “expanded access” (uso compassionevole) attivo all’epoca in Italia.
Risultati
Sulla base dell’insoddisfacente controllo laboratoristico e clinico della malattia da HIV, tutti e 7 i pazienti
arruolati erano in condizione di attuare una terapia di
salvataggio, in quanto presentavano una viremia in aumento o fuori controllo (con valori estremi compresi tra
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38.000 e 440.000 copie di HIV-RNA/mL) ed una conta di
CD4+ in riduzione o a rischio di indurre o far recidivare
eventi opportunistici (range 9-100 cellule/µL), nonostante l’effettuazione di numerose, precedenti linee di
terapia antiretrovirale (da un minimo di 8 ad un massimo di 21), che hanno previsto l’impiego di tutte le classi
farmacologiche fino ad allora disponibili (analoghi nucleosidici/nucleotidici, inibitori non-nucleosidici della
trascriptasi inversa ed inibitori delle proteasi). L’ultimo
regime HAART praticato prima del passaggio a quello
contenente l’enfuvirtide conteneva da 3 a 6 differenti
farmaci e si basava su lopinavir/ritonavir in 5 casi, efavirenz in un paziente, e nevirapina nel restante caso;
concomitavano da due a tre diversi inibitori nucleosidici/nucleotidici.
Il test di genotipizzazione eseguito prima del passaggio al trattamento con enfuvirtide mostrava una
completa, assoluta resistenza a tutti i farmaci disponibili in due casi su 7, mentre si evidenziavano una sensibilità o una resistenza intermedia limitate a tenofovir e
lopinavir (5 casi ciascuno), amprenavir (3 casi), nelfinavir (2 casi), saquinavir, didanosina e stavudina (1 caso
ciascuno).
Il passaggio ad un regime contenente enfuvurtide è
stato quindi associato all’introduzione di tenofovir in
cinque casi, nelfinavir e didanosina in un caso ciascuno,
e da un doppio inibitore delle proteasi con richiamo mediante ritonavir in due pazienti (lopinavir-saquinavir-ritonavir). In due soli casi su 7 è stato possibile introdurre due farmaci ancora attivi sul virus HIV, mentre in tre
pazienti casi l’HAART è stata modificata con l’aggiunta
di un solo farmaco risultato efficace al test di genotipizzazione; e nei restanti due casi l’enfuvirtide è stato aggiunto in assenza di altri farmaci risultati efficaci nei
test in vitro.
Particolarmente interessante si è dimostrato il decorso di una paziente (riassunto nelle figure 1 e 2), che
nonostante un test genotipico iniziale particolarmente
sfavorevole e la successiva insorgenza di un nuovo fallimento terapeutico da ascrivere allo sviluppo di resistenza al nelfinavir, è riuscita – nell’arco di 30 mesi consecutivi di HAART comprendente enfuvirtide – a negativizzare la viremia (<50 copie/mL, test branched-DNA)
in due occasioni nel primo anno, e stabilmente nell’ultimo semestre, giovandosi di un insperato recupero immunologico, che ha visto la conta dei linfociti CD4+
salire da un valore di partenza estremamente ridotto
(9 cellule/µL), fino all’attuale livello di 552 cellule/µL
(figure 1 e 2 alla pagina seguente).
Valutata nel suo complesso, la risposta virologica è
stata rapida ed efficace in tutti e sette i pazienti trattati con enfuvirtide nel corso dei primi tre mesi (con un
declino compreso tra 0,4 e 1,2 Log 10 copie di HIVRNA/mL, consolidatosi nel secondo trimestre), mentre
già dal terzo trimestre si sono osservati casi di ripresa
della viremia, anche se con valori rimasti sempre inferiori a quelli rilevati al baseline (figura 3a). Oltre che
nel caso presentato sopra (figure 1 e 2), solo in un altro
paziente (in cui erano presenti ancora due farmaci attivi al momento della somministrazione dell’enfuvirtide)
si è raggiunta una completa soppressione virale. Sul
versante immunologico, ancora con l’eccezione della paziente sopra ricordata (figure 1 e 2), l’andamento generale è stato moderatamente soddisfacente nei primi 3-6
mesi, mentre si è assistito ad un lieve declino della competenza immunologica anche in pazienti che avevano
conseguito un qualche guadagno virologico (dissociazione della risposta viro-immunologica), nel corso dell’osservazione protratta oltre il sesto mese, con valori rimasti per lo più inferiori alla soglia delle 100 cellule
CD4+/µL (figura 3b).
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 3, 2005
Figura 1a. Test genotipico di resistenza agli antiretrovirali effettuato in una paziente ex-tossicodipedente di 41 anni nel giugno
2002, dopo 15 anni di terapia antiretrovirale condotta con 11 diverse linee terapeutiche, subito prima dell’introduzione in terapia dell’enfuvirtide.
Si notano mutazioni multiple dei geni della trascriptasi inversa
e della proteasi virale, con una multiresistenza che risparmia soltanto tenofovir, nelfinavir e lopinavir.
Figura 1b. Ripetizione del saggio di genotipizzazione a distanza di due anni (giugno 2004), a seguito del riscontro dell’innalzamento della viremia e di un moderato deterioramento immunologico in corso di terapia combinata contenente enfuvirtide. Rispetto al test precedente, si nota la comparsa di
resistenza al nelfinavir (mutazione al codon 30), associata alla
reversione di altre mutazioni. Su questa base è stato orientato
il cambiamento del regime terapeutico (introduzione di lopinavir/ritonavir al posto di nelfinavir).
Legenda: AZT = zidovudina; 3TC = lamivudina; ddI = didanosina; ddc = zaleitabina; d4T = stavudina; ABC = abacavir; TDF = tenoforin; NPV = nevirapina;
EFV = efavirenz; SQV = sequinavir; IDV = indinavir; RTV = ritonavir; NFV = nelfinavir; APV = amprenavir; LPV = lopinavir.
breve). Ciò si è reso possibile
nonostante le oggettive difficoltà di somministrazione del farmaco e le reazioni in sede di inoculo, che hanno interessato la
totalità della nostra casistica
(figura 4). Tali reazioni non
hanno risentito di alcun tipo di
trattamento topico (tentato con
prodotti a base di eparina, vasoprotettori, e/o con antiinfiammatori non-steroidei), nonché
del suggerimento a modificare
in modo sistematico la sede di
iniezione. La paziente presentata nelle figure 1 e 2 sta attuando da sei mesi una propria
strategia di “frazionamento”
della dose giornaliera in ben 6
diverse iniezioni (180 iniezioni
al mese!), da cui dichiara di
aver tratto profitto sul versante
della tollerabilità locale. Tra gli
altri eventi avversi segnalati,
sono stati osservati sporadicaFigura 2. Andamento dei parametri virologici ed immunologici della nostra paziente presenmente cefalea, astenia-faticabitata in figura 1 nei primi 30 mesi di terapia contenente enfuvirtide. Nonostante una situalità e dolori addominali in un
zione iniziale estremamente compromessa (conta dei linfociti CD4 pari a 9 cellule/µL, e virecaso ciascuno, la cui correlaziomia pari a 38.000 copie di HIV-RNA/mL), la soppressione virale viene raggiunta una prima
volta dopo sei mesi di trattamento, e dopo una fase di breakthrough virologico (da ascrivere
ne con la somministrazione delall’insorgenza di resistenza al nelfinavir: figura 1b), riconfermata dal 27° al 30° mese di tratl’enfuvirtide appare quanto metamento, dopo una modificazione della terapia improntata dalla sostituzione del nelfinavir con
no dubbia, e non ha dato mai
un altro inibitore delle proteasi (lopinavir/ritonavir), rimasto attivo su HIV.
luogo alla sospensione del trattamento. Quest’ultima si è resa
invece necessaria dopo sei mesi
in un paziente che ha manifestato nel frattempo l’esordio
La forte motivazione dei pazienti unita ad uno specified il progressivo aggravamento di AIDS-dementia complex,
co programma di counseling e ad uno stretto e costante
mentre in un solo caso su sette la terapia è stata interrotrapporto medico-paziente, hanno consentito di protrarre la
ta al sesto mese per volontà della paziente, esasperata da
somministrazione dell’enfuvirtide fino a 30 mesi in due papregressa intolleranza al lopinavir-ritonavir, e dai modesti
zienti, fino a 24 mesi in un terzo caso, e fino 21 mesi in alrisultati ottenuti, nonostante un trattamento con lamivutri due pazienti (mentre altri soggetti, che hanno iniziato la
dina, tenofovir, stavudina, saquinavir ed enfuvirtide.
terapia nei mesi successivi, presentano un follow-up più
R. Manfredi, L. Calza, F. Chiodo: Enfuvirtide nella terapia di salvataggio dell’infezione HIV. Esperienza preliminare
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Figura 3a. Andamento della risposta virologica nel tempo, in tutti i 7
i pazienti presentati (in due casi il
dato è disponibile fino a 30 mesi,
ed in un altro soggetto fino a 24
mesi). Si nota una rapida tendenza
iniziale alla caduta di livelli viremici, in partenza anche molto elevati (fino a 430.000 copie di HIVRNA/mL), ottenuta nei primi tre
mesi e consolidata fino al sesto mese di terapia. La tendenza risulta
molto variabile e non univoca in seguito, anche sulla base delle diverse terapie impiegate e del background di resistenze dimostrato caso per caso.
Figura 3b. Variazione della conta
assoluta dei linfociti CD4+ (cellule/µL) nell’ambito della nostra coorte in terapia di salvataggio contenente enfuvirtide. Anche in questo
caso, salvo l’eccezione della paziente presentata nelle figure 1 e 2 (che
ha completamente ricostituito il
proprio patrimonio immunitario, e
qui rappresentata come “paziente
2”), la partenza da valori estremamente compromessi (sempre inferiori a 100 cellule/µL) ha consentito
un iniziale recupero immunologico,
significativo nel corso dei primi 6
mesi di terapia con enfuvirtide. Da
sottolineare come un paziente mantenga la terapia con enfuvirtide da
24 mesi e come in due casi essa sia
finora continuata ininterrottamente da ben 30 mesi.
Sul piano dell’aderenza, sono da sottolineare l’attitudine e la volontà del ragazzo quattordicenne con infezione perinatale, che nonostante le critiche condizioni di
salute, ha preferito imparare a gestire da solo l’autosomministrazione del farmaco, per un periodo che si è
protratto finora per 8 mesi consecutivi.
Discussione
Figura 4. Esempio di reazioni multiple nelle sedi di iniezione
sottocutanea del farmaco (in questo caso a livello addominale),
che hanno coinvolto la totalità dei pazienti da noi seguiti, e che
tendono a persistere per diversi giorni, non rispondendo a terapie sintomatiche topiche.
L’enfuvurtide (inizialmente denominato T-20) è
una molecola polipeptidica che appartiene ad una
nuova classe di farmaci antiretrovirali. Essa basa
la sua azione anti-HIV su un meccanismo d’azione
completamente innovativo6-8: determinando una
modificazione conformazionale della proteina virionica gp41, inibisce la fusione virus-cellula e la
successiva penetrazione virale attraverso la membrana delle cellule recettive.
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Recenti Progressi in Medicina, 96, 3, 2005
La struttura peptidica dell’enfuvirtide non rende purtroppo possibile la somministrazione per via
orale, e l’emivita relativamente breve necessita del
ricorso alla via sottocutanea (s.c.) alla dose di 90
mg, due volte al giorno. La struttura polipeptidica
preserva invece da eventuali interazioni farmacologiche, che sono molto frequenti con altre classi di
antiretrovirali (soprattutto inibitori delle proteasi
ed inibitori non-nucleosidici della trascriptasi inversa)6-9.
Mentre nel corso dei programmi di “uso compassionevole” l’enfuvirtide è stato molto spesso
impiegato come parte di regimi di salvataggio in
pazienti divenuti da tempo multiresistenti a tutte le restanti classi di farmaci antiretrovirali, successivi trial multicentrici randomizzati condotti
su un ampio numero di pazienti (in particolare,
quelli denominati TORO-1 e TORO-2)10,11, hanno
puntualizzato che tale molecola è in grado di assicurare una risposta laboratoristica ottimale e prolungata (fino a 96 settimane), soltanto se associata a due, o ad almeno un farmaco anti-HIV che sia
rimasto teoricamente attivo ai test di resistenza
genotipica6-11.
Poiché l’enfuvirtide può essere combinato con
tutte le altre tre classi di farmaci antiretrovirali, il suo posizionamento nell’ambito delle lineeguida della terapia dell’infezione da HIV e di un
corretto sequenziamento delle risorse terapeutiche esistenti, costituiscono tematiche ancora fortemente dibattute3-5,7-9,12-14: sia le complesse modalità di somministrazione, sia l’impatto sulla
qualità di vita, sia gli elevati costi necessitano di
approfondite valutazioni che tengano conto di un
amplissimo spettro di variabili. Nel contempo,
un uso razionale del farmaco è auspicabile, in
quanto, nonostante la sua recente introduzione,
fenomeni di resistenza genotipica connessi a sostituzioni aminoacidiche a livello dei codon 36-45
che codificano per una porzione della glicoproteina virale gp41 erano teoricamente attesi, e sono
stati puntualmente dimostrati in pazienti in cui
è stata confermata resistenza fenotipica e si è
presentato fallimento virologico6,9,15,16. Tuttavia,
è probabile che l’insorgenza di mutazioni nei confronti dell’enfuvirtide abbia favorevoli ripercussioni sulla capacità replicativa virale, mentre è
confermata l’assenza di cross-resistenza con altre classi farmacologiche 6,15. L’accumularsi di
mutazioni in presenza di una somministrazione
protratta di enfuvirtide potrebbe però riflettersi
sull’attività di eventuali, future molecole di questa classe e su altri inibitori di strutture di superficie del virus (es. inibitori dei co-recettori di
HIV), mediante meccanismi di cross-resistenza,
anche se non disponiamo ancora di notizie certe
circa i tempi necessari affinché si rendano disponibili nuovi inibitori della fusione, ed entrino in
commercio i sopra citati inibitori dei co-recettori
di HIV6-8,15,16. D’altra parte, per il peculiare meccanismo di “blocco” dei primi step dell’infezione
retrovirale, l’uso dell’enfuvirtide è stato recentemente proposto anche in sede di profilassi postesposizione17.
Basandosi sulle modalità del meccanismo di attacco dell’enfuvirtide con la glicoproteina gp41 delle
cellule mononucleate e le successive modificazioni di
altre strutture recettoriali, vengono recentemente
ipotizzati possibili effetti benefici indotti dall’enfuvirtide sull’espressione dei co-recettori di HIV denominati CXCR4 e CCR5, una ridotta espressione dell’espressione del recettore CD38, e una riduzione
dell’apoptosi dei T-linfociti; il tutto mediato anche da
un’immunomodulazione del network citochinico8,18.
Altri effetti immunologici, noti fin dalle fasi preliminari di sviluppo del farmaco (anno 2000), si riferiscono ad un’aumentata chemiotassi dei neutrofili
nella sede di iniezione, che potrebbe svolgere un ruolo di rilievo nell’indurre e nel far protrarre nel tempo gli effetti indesiderati al punto di inoculo19.
Nella nostra esperienza preliminare, l’introduzione dell’enfuvirtide in regimi di salvataggio avanzato non ha potuto tenere conto – nella maggioranza dei casi (5 su 7) – della necessità di disporre di
almeno due farmaci antiretrovirali attivi al test di
genotipizzazione, come dimostrato dai recenti trial
multicentrici TORO-1 e TORO-2 10,11. È comunque
interessante notare che i migliori risultati – come
quelli conseguiti dalla paziente 2 (figure 1 e 2) e dal
paziente 1 – si siano verificati proprio in concomitanza con l’introduzione di una HAART basata su
enfuvirtide e su almeno due altre molecole attive,
mentre l’immissione del T-20 in presenza di una
completa resistenza genotipica estesa a tutte le
classi e a tutti i composti disponibili ha prodotto i
risultati laboratoristici più modesti e più transitori [es. pazienti 5 e 6 (figure 3a e 3b)]. Altrettanto stimolanti sarebbero ulteriori indagini derivanti da
alcuni dati da noi raccolti, ad esempio il tentativo
di motivare la relativamente frequente dissociazione virologica-immunologica che ha caratterizzato
l’andamento a medio-lungo termine di almeno tre
pazienti [soggetti 1, 3 e 4 (figure 3a,3b)], in contrasto con il segnalato miglioramento e mantenimento di un soddisfacente recupero immunologico anche in soggetti con rebound virologico3,7,8,15.
Dati preliminari di farmacocinetica dell’enfuvirtide provengono da studi-pilota6,7 che non appaiono del tutto confrontabili con analoghe esperienze iniziali condotte in soggetti di età pediatrica14,20,21. Sulla base di uno di questi ultimi studi24,
nel dicembre 2004 è stato suggerito un incremento della posologia dell’enfuvirtide a 2 mg/kg due
volte al giorno, da applicare in età infantile sulla
base del peso corporeo21. Farmacocinetica, farmacodinamica e farmacogenomica appaiono ancora
“terreno di fertile conquista” per i prossimi studi di
ricerca di base e clinica riguardanti l’enfuvirtide.
Nonostante il farmaco sia stato commercializzato contemporaneamente per gli adulti e per i
bambini e adolescenti di età superiore a 6 anni6,7,12,14, l’esperienza pediatrica con enfuvirtide
resta finora estremamente limitata, con un solo
studio condotto in aperto a Los Angeles (USA) su
14 soggetti di età compresa tra 3 e 12 anni seguìti per almeno 24 settimane, con 6 soggetti ancora
in terapia dopo 96 settimane22.
R. Manfredi, L. Calza, F. Chiodo: Enfuvirtide nella terapia di salvataggio dell’infezione HIV. Esperienza preliminare
La somministrazione a lungo termine di enfuvirtide in questa serie pediatrica è stata condotta
in corso di viremia non del tutto soppressa, ma
non in condizioni “di salvataggio estremo” come
nel nostro caso pediatrico, ed in tale situazione è
riuscita a mantenere nel tempo una viremia inferiore di almeno 1 Log10 rispetto ai valori rilevati al
baseline, sebbene la mediana dei CD4+ restasse
intorno alle 65 cellule/µL per tutti i pazienti22. Undici dei 14 bambini trattati in questo trial statunitense presentavano evidenti reazioni locali (noduli sottocutanei di diametro compreso tra 1 e 3
cm, a lenta regressione)22. Anche nel caso dell’età
pediatrica, la modestia delle informazioni disponibili non permette di aggiornare le linee-guida e
di offrire indicazioni sul corretto posizionamento
del farmaco in un ipotetico algoritmo di terapia
antiretrovirale dell’età evolutiva 7,14,23. Il nostro
paziente con infezione connatale ed AIDS conclamato, in terapia di salvataggio estrema dopo 21
diverse modificazioni dell’HAART, ha ricavato (e
sta mantenendo) evidenti beneficî clinici e laboratoristici dopo le prime 35 settimane di terapia
combinata contenente enfuvirtide, e rappresenta
la dimostrazione che anche in età evolutiva le problematiche connesse alle difficoltà di somministrazione e all’aderenza possono essere superate,
grazie alla forte motivazione del paziente.
Si rendono quindi ancora necessari studi comparativi su campioni numerosi di pazienti in condizioni clinico-laboratoristiche stratificate, e seguiti per tempi sufficienti e con adeguato monitoraggio delle resistenze genotipiche e fenotipiche, al
fine di trarre indicazioni definitive sulle più corrette modalità d’impiego dell’enfuvirtide nell’adulto e nel bambino6,9,12,14,23. Infatti, i regimi di salvataggio non possono in genere più fondarsi su molteplici opzioni farmacologiche, cosicché l’efficacia
del singolo componente della combinazione (es. enfuvirtide), se il farmaco è impiegato lungamente in
presenza di un virus multiresistente a tutte le altre classi farmacologiche, tende ad essere limitata
nel tempo (come nella maggior parte dei casi da
noi seguiti), mentre risulta ampiamente condizionata dall’attività dei farmaci ancora attivi a cui
l’enfuvirtide si trova ad essere di volta in volta e
nel singolo paziente combinato. L’ottimizzazione
del background terapeutico in tali pazienti riveste
quindi importanza ancora superiore rispetto alla
stessa immissione in terapia di questa nuova risorsa farmacologica2,7,13. Mentre la frequenza di
altri effetti indesiderati (tra cui inizialmente era
stato posto l’accento sulle pneumopatie batteriche
e l’eosinofilia) 6,7 appare trascurabile, le preoccupazioni inerenti la scarsa tollerabilità locale (responsabile di reazioni al sito di inoculo in oltre il
90% dei soggetti in terapia)6,7,14,24 merita la massima attenzione, al fine di ottimizzare l’impiego del
farmaco per periodi prolungati, facilitandone nel
contempo l’autosomministrazione. Un recente contributo italiano24 ha valutato l’istopatologia delle
lesioni cutanee in sede di inoculo, riscontrando diversi pattern infiammatori indipendenti dallo status immunologico del singolo paziente, di cui alcu-
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Infine, data l’importanza nel campo della somministrazione a lungo termine dell’HAART, l’enfuvirtide, per le sue peculiari ed impegnative
modalità di somministrazione, si presta a studipilota che valutino il grado di aderenza del paziente, le sue eventuali modificazioni nel tempo,
l’impatto psicologico della terapia parenterale
(finora mai esistita nel campo delle terapie antiretrovirali a lungo termine), i frequenti fenomeni di intolleranza locale ed i risultati a lungo termine sulla qualità di vita.
ni tendono ad evolvere verso la fibrosi locale (formazione di lesioni sclerotiche, con gli annessi cutanei sempre risparmiati).
Per quest’ultima esiste una singola recente
esperienza tratta da un sottostudio dei trial multicentrici TORO25, la quale ha individuato un miglioramento dei livelli di qualità di vita nei pazienti che hanno ricevuto enfuvirtide rispetto ai
controlli, da attribuire agli effetti positivi sul decorso della malattia, che hanno controbilanciato i
disagi legati alla somministrazione parenterale e
agli eventi avversi locali. Regimi di terapia “intermittente o pulsata” con enfuvirtide sono ancora
connessi a studi-pilota su casistiche selezionate.
Finanziamenti, sponsorizzazioni, conflitti di interesse. Si ringrazia Roche Italia che ha reso disponibile l’enfuvirtide sulla base di un programma nazionale di “expanded access” riservato ai
pazienti con malattia da HIV multiresistente, per la gentile fornitura del farmaco per uso compassionevole dal giugno 2002, prima della sua commercializzazione in Italia (intervenuta nell’anno 2004).
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Roberto Manfredi
Policlinico S. Orsola - Malpighi
Sezione di Malattie Infettive
Via Massarenti 11
40138 Bologna
E-mail: [email protected]
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