SINTESI DELL’INTERVENTO
DEL PROF. GIOVANNI DI PERRI
Gli inibitori della fusione rappresentano una rivoluzione nel campo della terapia
antiretrovirale da infezione HIV. Si tratta di una nuova classe di farmaci che agiscono
infatti in maniera completamente diversa rispetto alle categorie già esistenti nel mercato
degli antiretrovirali. Nello specifico, agiscono all’esterno della cellula e sono i primi che
vanno a interferire sull’ingresso del virus nella cellula stessa.
Questo meccanismo comporta numerosi vantaggi:

gli inibitori della fusione, non replicando il meccanismo d’azione delle altre
categorie di farmaci, sono attivi anche nei confronti di quelle infezioni che si
sono rese resistenti alle altre classi di antiretrovirali. Un paziente pluritrattato,
quindi, e resistente alle terapie correnti, risponde a questa categoria di farmaci.

gli inibitori della fusione non entrano all’interno della cellula, quindi non vanno
ad interferire con quei meccanismi metabolici responsabili di effetti collaterali a
medio e lungo termine causati dalle altre classi di farmaci. Si tratta di effetti noti,
quali interferenze e alterazioni nel metabolismo glucidico e lipidico. Gli inibitori
della proteasi e nucleosidici della trascrittasi inversa determinano dunque una
tossicità in punti diversi del metabolismo, e vanno ad alterare il corretto
funzionamento della nostra macchina biosintetica ed energetica. Vengono
dunque alterati parametri quali colesterolo e trigliceridi che portano fra i diversi
possibili rischi, in tempi più lunghi, anche ad un aumento del rischio
cardiovascolare.

un farmaco che agisce con un meccanismo nuovo, determina spesso quella che
noi chiamiamo ‘sinergia’: un farmaco nuovo impiegato con dei buoni compagni
di viaggio, cioè in associazione a farmaci ancora in qualche misura attivi nei
confronti della replicazione virale (e non compromessi del tutto da una
precedente selezione di resistenze) produce un effetto cumulativo superiore alla
somma degli effetti dei singoli farmaci.
Questa classe di farmaci è molto potente: utilizzati da soli, nel giro di due settimane
determinano una caduta logaritmica del virus circolante pari ad almeno due unità:
significa una discesa del virus replicante molto significativa.
Questo farmaco va comunque impiegato in terapia di associazione. E’ importante
rilevare, come è stato dimostrato in due studi (Tori1 e Toro2) come anche nella
valutazione a lungo termine, abbinato a farmaci attivi, abbia avuto un ottimo
rendimento.
Disponibile da quasi due anni, sono però in corso però ancora numerosi studi per
valorizzarne l’impiego anche in ambiti diversi rispetto alle attuali indicazioni, che ne
prevedono l’utilizzo solo in un paziente ‘multifallito’.
Riteniamo infatti che, per le sue caratteristiche, il farmaco possa essere utilizzato anche
prima di arrivare al multifallimento. Già al primo, o addirittura in una strategia di
attacco immediata, parallelamente ad una terapia antiretrovirale a lungo termine.
Pensiamo a pazienti già ad alto rischio cardiovascolare, nel quale può essere non
consigliabile impiegare determinate classi di farmaci.
Pensiamo a pazienti che si presentano ad una prima diagnosi di Aids con un sistema
immunitario estremamente depauperato, in fase avanzata (sono molti, circa il 40% delle
nuove infezioni), con una carica elevata di virus circolante. Almeno inizialmente questo
paziente deve essere sottoposto alla più robusta delle terapie possibili. Gli inibitori della
fusione, magari sospesi dopo 3-6 mesi, possono portare benefici altrimenti non
ottenibili.
GIOVANNI DI PERRI E’ PROFESSORE ORDINARIO DI MALATTIE INFETTIVE
ALL’UNIVERSITA’ DI TORINO E DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO CLINICO
DI MALATTIE INFETTIVE ALL’OSPEDALE AMEDEO DI SAVOIA DI TORINO