Un muro e un duo d’«alta cultura» Il Teatro canzone del Paravento a Locarno e l’intrattenimento intelligente a Lugano / 27.03.2017 di Giorgio Thoeni Dopo la creazione del Muro di Berlino, il numero delle barriere nel mondo è quadruplicato. Ma se durante la Guerra Fredda un muro era simbolo di conflitto e di zona militare, negli ultimi 25 anni è tornato ad essere un simbolo di «sicurezza e protezione» desiderato dai cittadini spaventati dalle minacce esterne, in particolare dalle ondate migratorie: un sentimento sfruttato dalla politica ma che oggi si è trasformata in un’emergenza umanitaria. Il muro ha una storia antica: da quelle di Troia alla Grande Muraglia, dal Vallo di Adriano alla «murata» di Bellinzona del ’500, già ci siamo anche noi: creata per riscuotere tasse di passaggio è poi andata distrutto dall’onda della «Buzza di Biasca». Fino a quello annunciato da Trump l’elenco dei muri fa paura: sono più di 70 quelli che in pochi anni sono stati eretti per dividere e se si somma la loro lunghezza si ottiene una cifra pari a più di un terzo della circonferenza della terra. È il soggetto sviluppato da Il muro, l’ultima produzione del Teatro Paravento che ha debuttato recentemente a Locarno. Utilizzando la formula del «teatro canzone», lo spettacolo scritto e diretto da Miguel Angel Cienfuegos prende le mosse dalla progettazione di un muro divisorio: tre architetti confrontano le loro idee, ma uno di loro viene presto emarginato in quanto propone una soluzione utopistica e dialettica. Si entra così nel vivo di una sorta di manifesto/denuncia di stretta attualità che la compagnia locarnese aveva già affrontato con Dall’altra parte sulla falsariga di un’opera di Ariel Dorfman. In poco più di un’ora la pièce snocciola tutte le contraddizioni, le assurdità e le inquietudini di un tema che rivendica solidarietà e che è ormai uscito dall’ambito della metafora per diventare un enorme dramma epocale. Successo alla prima per gli attori (con Miguel ci sono Luisa Ferroni e Amanda Rougier) e per i musicisti (il «Vad Vuc» Fabio Martino alla fisarmonica con Fabrizio Barale alla chitarra) autori delle musiche di scena cantate su testi di Paolini, Papa Francesco, De Andrè, Guillèn e lo stesso Cienfuegos. Una lezione di professionalità «La pubblicità è l’anima del commercio». Se ci riferiamo al mondo del teatro il celebre slogan potrebbe sembrare sminuente. Eppure uno dei problemi del teatro indipendente, soprattutto quello più fragile, consiste nel veicolare il più possibile l’informazione per avere presenza in platea. Se non lo fa corre il rischio che in una città come Lugano, che non è una metropoli tentacolare dall’esuberante massa critica, il pubblico ignori l’offerta lasciando semideserta la sala. E se oltre a una promozione improvvisata ci aggiungiamo una concomitanza istituzionale fortemente pubblicizzata il triste risultato è assicurato. Non potevamo evitare certe considerazioni, soprattutto dopo aver fatto parte di quella dozzina di spettatori presenti recentemente al Teatro Foce per assistere a Alta cultura, spettacolo proposto dal Duo Full House. Henry Camus e Gaby Schmutz sono una coppia di artisti di alto livello sulla breccia da almeno venticinque anni. Provengono da quel genere di intrattenimento fantasista che nasce nelle piazze e che appartiene alla grande famiglia del teatro di strada. Può vivere lunghe stagioni nelle sale teatrali di ogni dimensione come pure nei cabaret o per convention aziendali. I nostri hanno girato il mondo, dal Giappone a Montecarlo e sono in grado di affrontare ogni tipo di pubblico anche grazie a un eccellente e ironico eclettismo linguistico. Coppia sulla scena e nella vita, lui è americano di New York, lei è svizzera e dice di venire dalla cittadina di «Oberunterlunkenhofen»: nome di fantasia che numerose e pigre citazioni ormai hanno reso quasi attendibile. Henry è l’esuberante, eccentrico e incontenibile showman americano che gioca sul contrasto con la flemma svizzerotedesca e precisina della sua partner. Per contro Gaby non si lascia sottomettere facilmente e nel programma del loro show c’è spazio per momenti di collaudata bravura individuale per un’esilarante kermesse dove trovano spazio gag, spettacolari numeri di jonglage, acrobazie, animazioni col pubblico e virtuosi momenti musicali per dare quel tocco di «alta cultura» a cui fa riferimento il titolo. Una lezione di grande e ammirevole professionalità, dunque, di fronte a una platea ridotta al minimo che ha ripagato con divertito entusiasmo: un degno tributo per due straordinari e simpatici artisti. Alta cultura del Duo Full House tornerà al Teatro di Locarno il prossimo 5 novembre. C’è ancora tempo ma almeno lì la promozione andrà sicuramente meglio. Perché se lo meritano.