Galileo e Don Chisciotte, le due facce della conoscenza

Galileo e Don Chisciotte,
le due facce della
conoscenza
di Franco Branciaroli*
Teatro e protagonismo
Fare l’attore di teatro oggi non ha nulla a che fare con una certa idea di protagonismo
diffusa e propria di altri mestieri.
Botho Strauss diceva spesso: «famoso, famoso… il prezzemolo è famoso». Il protagonista in questo lavoro è infatti l’opera stessa e sul palcoscenico l’attore è un umile ingegnere della parola, al servizio dei più grandi testi della storia dell’umanità.
Sul palcoscenico, anche se la maggior parte delle volte ho avuto la fortuna di interpretare i “protagonisti”, non penso di essere il personaggio che interpreto, prima di tutto perché i grandi personaggi della letteratura teatrale sono non immedesimabili. Non è possibile
immedesimarsi con Faust o con Amleto (forse ci si può riuscire recitando una commediola
americana), si può solo cercare di restituire il testo con la maggiore consapevolezza possibile, in modo che esso risalti in tutte le sue sfaccettature.
Possiamo però chiederci cosa significhi essere protagonisti della propria vita: significa viverla fino in fondo, anche nel segreto. La moda contemporanea ci porta a interpretare
il protagonismo come successo e la televisione, che sembra essere la vera religione occulta
di oggi, plasmatrice di gusti, di desideri, livellatrice di iniziative, tende a proporre un’idea
fasulla di protagonismo. Invece, sono convinto che solo la persona limpida e serena, che vive
nel profondo la verità delle sue scelte è protagonista della sua vita, anche se non in vista o
sul palcoscenico del mondo.
Essere protagonisti non coincide con la fama. La mia carriera, agli occhi di chi non
va a teatro (ormai la maggioranza, purtroppo), è la carriera di un “fantasma”. Ma anche se
non sono famoso, mi sento protagonista, oltre che in teatro, nella mia vita, perché la vivo
nella verità, nella limpidezza delle scelte, nella serenità dei rapporti. Il teatro mi ha fatto
comunque un grande regalo, cioè la formazione di una cultura strutturata, un bagaglio prezioso di almeno una trentina di capolavori assoluti, imparati a memoria e recitati centinaia
e centinaia di volte.
Sotto il profilo culturale, una sfida interessantissima è stata, qualche anno fa, la pre-
*Franco Branciaroli,
attore teatrale.
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parazione degli spettacoli inaugurali del Meeting di Rimini, dove abbiamo tentato di realizzare un teatro di massa, per 20.000 persone, un teatro popolare che si è visto in Italia solo
ai tempi del “tendone” di Gasmann.
A seconda dei titoli e dei luoghi variava la forma, ma non il contenuto: la rappresentazione dell’Antigone vide il pubblico nella parte del coro (non c’era più lo spettatore, essendo tutti al servizio dell’opera), si era ipotizzata una grande Messa sul mare per Assassinio
nella Cattedrale, mentre per il Miguel Mañara realizzammo una processione a stazioni
(Stationendrama) sulla traccia delle rappresentazioni medievali.
Dietro questa esperienza non c’è stato solamente il tentativo di costruire nuove modalità di rappresentazione, ma quello di riportare il teatro alla sua vera essenza. Oggi il teatro
rischia di diventare un’iniziativa commerciale, sottoposta alle scelte politiche che determinano le opere da rappresentare e gli artisti da ingaggiare. Così il teatro perde la valenza
“purificatrice” che aveva nel teatro greco e romano e il suo ruolo di educatore sociale, divenendo puro esperimento scenico o luogo di incontro “borghese”.
Ragione e razionalità
La ragione viene oggi intesa e ridotta dai più a “razionalità” (in pratica al “due più
due fa quattro”), in seguito al rivoluzionario ingresso di Galileo Galilei nella storia. Prima di
lui, la conoscenza del mondo e della realtà si attua non solo con il pensiero calcolante, ma
anche attraverso i sensi: la realtà non è ritenuta misurabile solo dalle leggi della fisica.
Con Galilei nasce la “fisica sperimentale”, differente da quella aristotelica, perché
secondo i suoi principi il risultato dell’esperimento, e non solo della teoria, deve essere identico all’infinito, a parità di condizioni fisiche (pressione, temperatura, ecc.). Ciò che è
“reale”, quindi vero, diviene “misurabile” soltanto mediante il calcolo. Questa rivoluzione dà
il via all’epoca moderna. Parallelamente Cartesio, contemporaneo di Galileo, arriva a formulare dal punto di vista filosofico il «cogito ergo sum – penso dunque sono», cercando peraltro di rimediare all’esclusione galileiana dei sensi con lo sforzo di far rientrare tra di essi il
cervello pensante.
Non furono le ragioni puramente astronomiche a generare il successivo conflitto con
la Chiesa, ma principalmente l’esclusione del corpo dalla conoscenza. Il cristianesimo è
infatti la religione che si basa sul corpo, sulla “carne”, che per il cristiano è essenzialmente “dolore”. Questo è ciò che in sintesi provoca Galileo, seguito da Cartesio, il quale non
manca di portare la coscienza dell’“io” al centro del mondo.
La risposta di Don Chisciotte
Dalla calda Spagna, sembra rispondere lo scrittore Cervantes, con la creazione di un
personaggio che mette radicalmente in discussione la certezza del vero: Don Chisciotte. Con
la scusa del dileggio dei poemi cavallereschi che fanno perdere “la ragione” al protagonista,
Cervantes crea il Romanzo e Don Chisciotte ne rappresenta la maestà irraggiungibile.
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Egli davanti alla realtà non ha le prove che essa sia ciò che vede, tant’è che a volte
scambia una cosa per l’altra. Come giustifica infatti la padellata che prende da quei mulini
a vento che aveva scambiato per giganti? Con l’“incantesimo”, vale a dire con ciò che modifica la realtà agli occhi oggettivi del proprio “io”. Al «penso quindi sono», Chisciotte sembra
quindi rispondere con il suo: «so io chi sono».
Questa grande opposizione che arriva dalla Spagna, dal Barocco, a quello che sarà poi
l’Illuminismo, è molto interessante. Non dimentichiamoci il grande Pedro Calderon de la
Barca, un ecclesiastico che scrive uno dei testi più grandi di tutti i tempi, La vida es sueño,
in cui l’apparenza vale come la cosiddetta realtà.
Cosa è subentrato dalla messa in un angolo di Don Chisciotte e Calderon? La scienza. Avendo nei secoli macinato risultati incredibili, con l’arrivo del successivo positivismo
dalle “magnifiche sorti e progressive”, essa ha consegnato la palma al pensiero calcolante.
Avviene però un fatto straordinario: la scienza “sperimentale”, che esigeva l’osservazione oggettiva dei fatti e secondo la quale l’esperimento doveva vivere di per sé, indipendentemente dall’osservatore, viene capovolta dalla “meccanica quantistica” e si torna comicamente alla “scienza probabilistica”.
Nella meccanica quantistica lo sperimentatore deve fare parte dell’esperimento e vengono relativizzati nuovamente i risultati. Semplificando, se faccio scontrare alla velocità
della luce un melone di mezzo chilo e cinque banane di un etto l’una (un altro mezzo chilo),
secondo la fisica classica i pezzi che cadono frantumati dovranno pesare un chilo. Nella
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meccanica quantistica invece, proprio perché si scontrano alla velocità della luce e la massa
aumenta e cambia, potrò ritrovarmi ad esempio otto mele e tre angurie, non più meloni e
banane. Per di più, questo risultato non sarà sempre uguale: se l’esperimento fatto giovedì
mi ha dato mele e angurie, lo stesso esperimento potrebbe darmi venerdì un chilo e mezzo
di ciliegie e due pere. Il fatto che possa ritrovare le angurie o le mele è solo una questione
di probabilità. Questo esempio banale chiarisce che la scienza esatta si è in pratica autodivorata.
In un certo senso è il ritorno di Chisciotte e dei suoi mulini a vento. Non dimentichiamo poi la filosofia di Merleau-Ponty, contemporaneo e socio di Sartre, che recupera di
nuovo il “senso” come strumento di conoscenza.
Probabilmente Ratzinger, nei suoi recenti discorsi sulla ragione,
La conoscenza voleva affermare che, mentre la verità razionale galileiana è stretta, la
moderna non può vera ragione dovrebbe allargarsi: il corpo, prima estromesso, andrebbe
riammesso nell’alveo della conoscenza, con i sentimenti che la carne
essere soltanto prova. La conoscenza moderna non può essere soltanto galileiana, ma
galileiana, ma chisciottesca, fantasiosa, senza limiti.
Come infatti ci spiega Miguel de Unamuno, grande intellettuale
chisciottesca,
cattolico
spagnolo e rettore dell’Università di Salamanca, nel suo Vita di
fantasiosa,
Chisciotte e Sancho, Chisciotte non è l’“imbecille” e Cervantes non capisenza limiti.
sce la vera natura del suo personaggio, quando se ne burla.
Lo stesso Unamuno difende il servo Sancio Panza, il cosiddetto
“semplice”, chiedendosi retoricamente se sia più pazzo il pazzo stesso o una persona sana
che segue un pazzo. Sancio è infatti ancora più pazzo del suo padrone, e più umano: vede
che sono mulini, ma fa finta di assecondare in maniera commovente questa follia. Risuona
qui un’analogia con l’apostolo che segue Cristo, che non capisce ma crede, anche se qualche volta utilitaristicamente.
Nelle ultime pagine il Chisciotte sembra pentirsi, rinsavire (secondo Unamuno, un
brutto tiro del Cervantes), rinnegando tutto ciò che era stato: è qui che diviene imbecille,
perché mette fine alla sua meravigliosa follia di imperio. Guarda caso però quando rinsavisce muore, quasi a dire che la saggezza contingente è la morte.
Galileo, Brecht e la scienza
Galileo è il protagonista dell’unica rivoluzione (e che rivoluzione!) intellettuale della
storia dell’umanità. Proviamo a immedesimarci: alle undici meno un quarto di un giovedì
notte punta il cannocchiale al cielo e il mondo è x, dopo cinque minuti il mondo è completamente capovolto. E tutto questo avviene a lui, solo, nel silenzio assoluto della sua coscienza. Si ritrova sulle spalle questa responsabilità ed è pienamente cosciente di quello che succederà, quando uscirà in strada e capovolgerà il mondo: lui, non le armate dei cosacchi o il
popolo in rivolta, farà la rivoluzione dicendo: «la Terra gira».
Bertolt Brecht, per realizzare Vita di Galileo, confessò di aver letto tutti i suoi scritti
e di non aver trovato una parola contro la Chiesa. Galileo era un credente e aveva capito i
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termini del problema; non senza dolore si ritirò in buon ordine ad Arcetri, rifiutando la polemica politica. Anche perché la Chiesa sapeva benissimo che aveva ragione, dato che il
Collegio Romano era il più grande istituto astronomico dell’epoca, con più di 2.000 allievi
in tutto il mondo. Nell’opera infatti Padre Clavio dirà: «Ha ragione. […] Adesso i teologi
dovranno provvedere a rimettere in ordine il cielo». Mentre più avanti un monaco, pensando
ai suoi poveri genitori si interrogherà: «Si sono sentiti ripetere che l’occhio di Dio è su di loro
[…] che intorno a loro è stato costruito il grande teatro del mondo perché vi facciano buona
prova recitando ciascuno la grande o piccola parte che gli è assegnata. Come la prenderebbero ora se andassi a dirgli che vivono su un frammento di roccia che rotola ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto e gira intorno a un astro, uno tra tanti, e neppure molto
importante? […] Dunque, dicono, non c’è nessun occhio sopra di noi. […] La fame non è
una prova di forza è semplicemente non aver mangiato; la fatica è piegar la schiena e trascinar pesi, non un merito».
Secondo il primo finale scritto da Brecht, che usa il personaggio per parlare di sé,
Galileo fa bene ad abiurare, mandando i suoi libri in Olanda, perchè l’importante è che la
verità vinca, pur con mezzi discutibili. Quando però esplode la bomba atomica e Brecht deve
metter in scena l’opera, cambierà il finale, condannando Galileo perchè con il suo gesto ha
messo la scienza nelle mani degli affaristi, mentre avrebbe invece potuto dare agli scienziati un’etica come quella dei medici.
Fin dall’antichità l’uomo ha avuto bisogno della tecnica per sopravvivere, e la scienza ha portato l’uomo a un’esistenza più lunga e migliore. Ora però, scienza e tecnica hanno
preso il sopravvento, diventando fine a se stesse e non più strumenti al servizio dell’uomo.
Husserl ha messo bene in evidenza la crisi delle scienze occidentali e ha affermato con forza
che la tecnica deve essere al servizio della vita. Se la scienza non è supportata da un’idea
etica forte, produce mostruosità come la bomba atomica. Non conosciamo il futuro e non
possiamo fare profezie: possiamo solo sperare di tornare a vivere la vita come protagonisti
nella certezza che l’uomo non è fatto per questo mondo.
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