testi pannelli - Agenzia provinciale per la protezione dell`ambiente

Olivi a confronto
mostra itinerante e incontri nel paesaggio del Garda
"Saggio è l'uomo che pianta un seme
sapendo che non sarà lui a sedersi
all'ombra di quella pianta, ma i suoi figli"
proverbio popolare
Il lago di Garda è l’area più settentrionale, in Europa, dove si spinge la coltivazione
dell’olivo. Un habitat felice, dovuto all’eccezionalità di questo lembo di terra, che
affianca gli aspri profili rocciosi del paesaggio alpino alla dolcezza del clima,
mitigato dall’azione del lago.
Coltivato fin dall’antichità, vi sono tracce che risalgono direttamente all’epoca
romana, l’olivo contraddistingue il paesaggio della zona, un microcosmo di piccole
coltivazioni che si spandono a macchia d’olio sui declivi della valle glaciale del
Sarca.
“Olivi a confronto” indaga il profondo rapporto che lega la coltivazione dell’olivo
alla cultura della zona, mettendo a confronto la realtà locale con quella di altri Paesi,
attraverso un approccio multidisciplinare e sensoriale.
Produzione e raccolta, note botaniche, peculiarità e caratteristiche dell’olio prodotto
dagli olivi secolari dell’Alto Garda, ma anche mitologia, elementi simbolici, sacralità
degli oli e delle piante, arte locale, sono solo alcuni degli aspetti che verranno
affrontati in questa mostra itinerante attraverso i principali centri del Garda Trentino.
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L’olivo nelle stagioni
L’olivo può essere considerato come prova tangibile
delle prerogative climatiche della valle di Arco.
Nessun’altra parte del Tirolo può vantare la sua presenza
Max Kuntze
DIAGRAMMA OLIVO
Le stagioni dell’olivo all’Arboreto di Arco
Fasi vegetative (ruota interna)
Le foglie giovani iniziano a formarsi dalla metà di aprile e completano la formazione
alla fine di giugno (fase verde chiaro).
Le foglie adulte (fase verde scuro) restano sull’albero 1 o 2 anni.
Fasi riproduttive (ruota esterna)
In primavera, alla fine di maggio, le gemme fiorali iniziano a schiudersi (fase gialla).
L’apertura delle gemme dura circa una settimana, all’inizio di giugno (fase rosa).
La fioritura piena (fase rossa) dura circa due settimane, nella prima metà di giugno.
La formazione dei frutti (fase azzurra) avviene da metà giugno alla fine di ottobre,
quando può iniziare la raccolta.
La fase dei frutti maturi (fase violetta) dura un paio di settimane, dopo di che inizia la
caduta dei frutti.
(Media dei valori rilevati nella serie delle osservazioni fenologiche effettuate
all’Arboreto di Arco dal 1995 al 2006)
Polline di olivo
Immagine al microscopio a scansione © Istituto di Botanica Università di Innsbruck
Fiori di olivo
Frutti verdi
Frutti maturi © W.Larcher
Il rischio delle gelate invernali
Il rischio maggiore per gli alberi di olivo al limite settentrionale di distribuzione è
costituito dal gelo invernale.
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Dopo una gelata da -9 a -10 °C sulle foglie si osservano delle necrosi marroni a
strisce.
Da -12 a -13 °C le foglie sono danneggiate a metà, e sotto i -14 °C sono congelate.
I polloni presentano danni già a -12 °C.
I rami e il tronco si congelano solo a temperature inferiori a -18 °C.
Una gelata storica per Arco è stata quella del gennaio 1985, quando le temperature
minime scesero a -11,5°C.
Gli olivi registrarono gravi danni, specialmente alle foglie, ma nel giro di qualche anno
si ripresero pienamente.
La fenologia all’Arboreto di Arco
La fenologia vegetale è la scienza che si occupa della classificazione e registrazione
degli eventi periodici e visibili delle piante.
L’Arboreto di Arco è un posto davvero speciale dove poter studiare le piante, tra le
quali anche l’olivo.
In un contesto climatico e ambientale unico - l’olivo e il leccio raggiungono qui il
limite settentrionale di distribuzione in Europa - l’Arboreto è un luogo di grande
interesse scientifico, una eccezionale serra a cielo aperto dove crescono oltre 150
specie botaniche.
Fondato nel 1872 dall’arciduca Albrecht von Habsburg, nel 1994 l’antico parco
storico diventa sede territoriale del Museo Tridentino di Scienze Naturali, in
convenzione con il Comune di Arco, proprietario dell’area.
Il Museo promuove un programma di ricerche finalizzate allo studio del rapporto tra
piante e clima, seguendo la metodologia della Rete Nazionale dei Giardini
Fenologici.
Al fine di determinare le risposte delle piante ai cambiamenti climatici, vengono
osservate settimanalmente le fasi vegetative (da gemma a riposo a foglia adulta) e
riproduttive (dalla gemma al fiore, e quindi al frutto maturo) di un centinaio di specie
di alberi e arbusti, tra i quali anche l’olivo.
Gli olivi all’Arboreto di Arco, foto B. Cadrobbi
La raccolta delle olive a Cologna (Tenno) nel 1965 © W.Larcher
La raccolta delle olive sul monte Brione nel 1963 © W.Larcher
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Note botaniche e microscopiche
“Olea prima omnium arborum est”
Columella, De re rustica
Nome scientifico: Olea europaea L.
Nome comune: Olivo, Ulivo
Si distinguono due sottospecie:
Olea europaea ssp. sylvestris (Mill.) Rouy = syn. Olea europaea var. oleaster
(Hoffmgg. et Link) DC.
E’ conosciuto con il nome volgare di oleastro e rappresenta la pianta selvatica, è
diffuso nelle Isole Canarie, in Portogallo, Crimea e Asia minore.
L’oleastro è caratterizzato da un portamento per lo più arbustivo, da rametti a volte
quadrangolari forniti di spine e robusti. Le foglie sono di dimensioni ridotte; nei
giovani arbusti le lamine fogliari sono ovali, mentre nelle piante adulte sono
lanceolate; la base è piatta. La drupa è di piccole dimensioni (1-2 centimetri).
L’oleastro è diffuso lungo i litorali, si consocia soprattutto con il carrubo, creando
delle macchie che sostituiscono il leccio nelle fasce climatiche più calde. Riveste
quindi un grosso interesse dal punto di vista paesaggistico. L’oleastro è inoltre molto
longevo ed ha lenta crescita, entra nella fascia più termofila della macchia
mediterranea, prediligendo terreni argillosi a reazione neutra od alcalina. Non teme la
siccità, ma non sopporta il gelo.
Arbusti di oleastro (Olea europaea ssp. sylvestris) nella macchia mediterranea
dell’isola di Minorca
Olea europaea ssp. europaea L. = syn. Olea sativa Hoffmgg. et Link
È conosciuto con il nome volgare di olivo, una tra le piante coltivate maggiormente
diffuse in tutto il Mediterraneo.
L’olivo è caratterizzato da un portamento arboreo, con rametti cilindrici e senza
spine. Può raggiungere e superare l’altezza di 10-15 metri. Le foglie sono lanceolate e
la drupa ha il mesocarpo molto polposo e ricco d’olio. Viene coltivato intensamente e
si può spingere a latitudini leggermente più elevate dell’oleastro, ma caratterizzate
comunque da un clima mite. Nelle zone interne con clima continentale abbastanza
rigido (es. pianura padana), può essere coltivato ad esclusivo scopo ornamentale in
vaso o interrato in luoghi estremamente riparati e con particolari microclimi miti. In
questo caso manterrà portamento arbustivo e dimensioni contenute. L’olivo viene
coltivato per la produzione della drupa (oliva), che può essere spremuta in frantoio
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per ottenere l’olio, oppure, per le cultivar di grossa pezzatura, può essere destinata al
consumo diretto. I residui della spremitura (buccette e sanse d’oliva) sono destinati
all’alimentazione zootecnica o come combustibile.
Antichi olivi (Olea europaea ssp. europaea) nel villaggio di Zaljevo in Montenegro,
nel 1967 © W.Larcher
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Note botaniche e microscopiche
Seguita la solita tecnica di preparazione,
all’esame microscopico ogni pelo risulta formato
di tante cellule ramificate elegantemente,
gli ultimi rami terminanti a punta
Ricci, Guida alle esercitazioni di botanica
Origine, diffusione, parentele
Originario del bacino del Mediterraneo, in Italia è presente in quasi tutte le regioni
nelle loro fasce climatiche più miti. Con clima favorevole può spingersi fino alla
quota di 800 metri.
Sulla basi di indagini genetiche finalizzate a chiarire le relazioni filogenetiche tra
Olea europaea ed altre specie del genere Olea, i “parenti” più stretti dell’olivo
risultano essere Olea cerasiformis (Isole Canarie), Olea laperrinei (Algeria), Olea
maroccana (Marocco). Olea ferruginea (India) ed Olea africana (Kenia) risultano
invece essere “parenti” lontani.
La coltura dell'olivo nel mondo.
Limiti latitudinali: in Europa fino a 45°N (limite del gelo); in Africa settentrionale
fino a 30°N (limite della siccità); in Africa meridionale fino a 30°-35°S; in America
settentrionale da 50°N bis a 25°N; in America meridionale da 15°S (limite
altitudinale nelle Ande) a 40°S; in Australia da 35°S a 38°S. Tra il tropico del Cancro
e quello del Capricorno gli olivi non riescono a fiorire, poiché per la germogliazione
dei fiori è necessaria una temperatura di circa 10-11°C
Tronco e corteccia
Il tronco dell’olivo è molto contorto ed irregolare, nelle piante adulte tende a
fessurarsi sino a formare delle cavità.
Tronco con evidenti fessurazioni a Cassandra
La corteccia è chiara, grigiastra, piuttosto spessa, divisa in piccole placche
Legno
Il legno di olivo ha una porosità diffusa ed è difficile distinguere gli anelli di crescita
annuale.
I minuscoli vasi hanno spesse pareti a sezione ovale (30-100 µm).
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Pure le fibre del legno hanno spesse pareti, è per questo motivo che il legno d’olivo è
duro e pesante.
I raggi del legno sono disposti in fila.
Il parenchima di riserva circonda i fasci vascolari e le bande tangenziali.
Nel parenchima e nei raggi legnosi si accumula molto amido, soprattutto in autunno e
in inverno.
Il legno è robusto, pesante, di colore bruno-rossastro, è molto apprezzato in
falegnameria, per la produzione di piccoli oggetti di artigianato e di sculture. Un
oggetto artigianale in olivo: la chiave della città di Arco © W.Larcher
Sezione microscopica di legno d’olivo
Sezione microscopica di legno d’olivo
Gemme vegetative
Le gemme sono situate all’ascella delle foglie e all'apice dell'asse vegetativo.
Gemma apicale aperta, in inverno
Gemme a riposo. In caso di danno ad un organo dell’albero (ad esempio: rami e
tronchi gelati in inverno, rami secchi a causa della siccità estiva o di funghi patogeni),
da queste minuscole gemme si possono formare nuovi polloni e nuovi rami
Foglie
Le foglie sono sempreverdi, semplici, bifacciali con inserzione opposta, mediante un
corto picciolo, su rametti grigiastri, venati verticalmente. La lamina fogliare è
coriacea, ovale o lanceolata, lunga fino a 7 cm ed è attraversata da una sottile
nervatura penninervia; il margine è intero. La pagina fogliare superiore si presenta nel
caratteristico colore verde oliva, mentre quella inferiore è ruvida e di colore grigioargentato.
Sezione dorso-ventrale di foglia di olivo. Le cellule del parenchima a palizzata sono
cilindriche e molto ravvicinate; ciò favorisce la diffusione e l’assorbimento
dell’anidride carbonica da parte delle cellule, e di conseguenza la pianta può
raggiungere un’alta resa fotosintetica, anche in caso di forte irraggiamento.
Ingrandimento 200x
Nel parenchima spugnoso si trova un reticolo di fibre lunghe ed elastiche; in caso di
siccità le fibre si raccorciano, in modo che le foglie si arrotolano. Di conseguenza la
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superficie traspirante delle foglie si riduce, come pure la perdita di acqua da parte
dell’albero. Ingrandimento 200x
Sezione trasversale di una foglia esposta a sud di Olea europaea var. Frantoio.
E’ possibile osservare la spessa epidermide superiore (Eps), la cuticola (colore
arancio), l’epidermide inferiore (Epi), i due strati del parenchima a palizzata (PP)
sotto le epidermidi, il parenchima lacunoso (PL), un pelo scutato (sc). Nei fasci
conduttori (nervatura laterale e nervature minori) si distingue lo xilema (colore
rosso). Il reticolo di fibre flessibili è colorato di blu.
Sezione trasversale di una foglia di olivo vista al microscopio a scansione (SEM)
E’ possibile distinguere l’epidermide superiore (Eps), il parenchima a palizzata (PP),
il parenchima lacunoso (PL), gli spazi intercellulari (sp), i fasci conduttori (fc), il
reticolo di fibre flessibili (ff) disposto tra il parenchima a palizzata e il parenchima
lacunoso, l’epidermide inferiore (Epi) con i peli scutati (sc).
© Istituto di Botanica Università di Innsbruck
Peli scutati
I microscopici peli scutati che si trovano nella pagina interiore delle foglie assorbono
i dannosi raggi ultravioletti (UV-B), proteggendo così i tessuti della foglia deputati
alla fotosintesi.
In caso di irraggiamento diretto sono in grado di riflettere fino al 20% della
radiazione solare, motivo per cui la chioma appare come illuminata, circondata da un
cerchio di luce, una specie di ”aureola”.
Peli scutati nella pagina inferiore della foglia di olivo, ingrandimento 100x
Fiori
I fiori sono ermafroditi, riuniti in piccole infiorescenze a pannocchia poste all’ascella
delle foglie, chiamate mignole; sono di colore biancastro e delicatamente profumati.
Ogni fiore completo è costituito da 4 verticilli: il calice, la corolla, l’androceo e il
gineceo, ciascuno composto dagli elementi indicati dalla seguente formula fiorale: 4
S + 4 P + 2 S + 2 C.
Mignole della varietà Frantoio
Fiori di olivo
Da sinistra a destra, sopra: fiore completo, corolla spiegata con gli stami, fiore senza
corolla e senza stami, stame visto posteriormente;
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sotto: stame visto anteriormente, pistillo in sezione longitudinale e trasversale, drupa
in sezione trasversale (a - epicarpo, b - mesocarpo, c - endocarpo, d - seme), pistillo
Frutti
I frutti dell’olivo, le olive, sono drupe dicarpiche, cioè costituite dalla saldatura dei
due carpelli dell’ovario.
Frutti maturi
Sezione trasversale di una drupa (particolare):
C - cuticola
è - cellule epicarpiche
me - elementi sottoepidermici del mesocarpo
Me - masse del mesocarpo
sc - elementi sclerosi
Radici
Il sistema radicale, nella pianta adulta, è formato da radici che si dipartono
direttamente dal pedale e, suddividendosi nel modo più vario fino ai capillari,
penetrano nel terreno, verticalmente e orizzontalmente.
Sezione microscopica di una radice di olivo lignificata, di circa 5 mm di diametro con
fibre sclerenchimatiche (rosso) e parenchima legnoso (blu)
Schema del sistema radicale di un olivo che dopo un quindicennio è stato ricoperto
con 25 cm di terra.
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L'olivo nel Sommolago
“ed ora, mentre scendevo in questo anfiteatro di rocce,
ho visto i primi ulivi già carichi di olive”
W. Goethe, Italienische Reise
Il paesaggio del Garda è tutto contraddistinto dall'olivo, tanto che la sponda
orientale del lago è stata denominata la Riviera degli Ulivi. Anche il Sommolago, la
parte trentina del Benaco, vanta un cospicuo numero di oliveti che ricoprono,
rendendoli argentei, i declivi, i terrazzamenti dovuti al millenario e paziente lavoro
dell'uomo, o interi versanti di monti, come il Brione. Da duemila anni la pianta
d'olivo caratterizza il nostro paesaggio, stando alle scoperte archeologiche di questi
ultimi anni. A Riva, infatti, sono stati scoperti in una tomba del I secolo d. C. dei
noccioli che testimoniano che la sua introduzione è antica quanto la romanizzazione
del nostro territorio.
Proprio la presenza di quest'albero fu, per i visitatori d'Oltralpe, un preannuncio
del Sud, il primo saluto dell'Italia a lungo vagheggiata. Fu esso ad accogliere Goethe
quando, il 12 settembre 1786, lasciata alle spalle Nago, percorse la ripida mulattiera
che l'avrebbe condotto a Torbole: “ed ora, mentre scendevo in questo anfiteatro di
rocce, ho visto i primi ulivi già carichi di olive”. Attraverso quel percorso, che si
hanno molte ragioni per identificare con l'antichissima strada di Santa Lucia, ancor
oggi esistente e recante sulle sue pietre l'usura prodotta dal tempo e dall'uomo, erano
transitate più di trecent'anni prima le galee veneziane che, portate via terra, si
apprestavano a dare battaglia sul lago ai Visconti. Furono proprio gli olivi a rendere
possibile questa titanica impresa, fino a sacrificarsi, come descrive Pier Candido
Decembrio da Vigevano: “Nella bocca maggiore del Lago di Benaco o di Garda,
dov'entra il fiume Sarca, da man sinistra avvi una valle piccoletta, la quale gli
abitatori appellano le Torbole. Nel monte più alto v'è un castello detto Penetra.
Avendo i veneziani preso questo luogo e avendo fatto tirare su per l'Adige
venticinque Galee e Barche a Verona fecero tirare ai buoi queste Galee e barche per
sessanta mila passi su per questo monte, e mandaronle giù nel Lago con tanto peso,
che gli olivari vecchi, ai quali raccomandavano le corde colle quali queste Galee
erano legate, si spezzavano in pezzi, quando lasciavano calare giù giù pel monte esse
Galee”.
Gli olivi del Brione, quelli che ricoprono il pendio meridionale del castello
d'Arco, quelli di Varignano, di Laghel, di Torbole, hanno sempre attratto i numerosi
visitatori che giungevano, e giungono, soprattutto dal Nord Europa. Le passeggiate
attraverso i vasti oliveti facevano parte, alla fine dell'Ottocento, delle Terraincuren
secondo il metodo Oertel, raccomandate dal Kuntze nella sua guida di Arco. A
ricordo di questo e di una fra le tante presenze illustri che apprezzarono le peculiarità
del nostro paesaggio, qualche anno fa si è inaugurata la Rilke Promenade, la
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passeggiata rilkiana, buona parte della quale si snoda tra gli ulivi. Così il poeta ceco
aveva scritto nel 1897 in una sua poesia composta ad Arco: “il pio campanile/emerge
traboccante di sole/ dall'argento opaco degli olivi del pendio”.
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L’olivo nell’Altogarda trentino:
le dimensioni di una olivicoltura al limite
CASALIVA (Sin. “Drizzar”, “Drezzeri”)
E’ la cultivar più diffusa in tutta la regione,
in forza della sua produttività pressoché costante
anche in condizioni non ottimali di coltivazione
G. Bargioni, Olivicoltura gardesana
Produzione e incidenza economica
Superficie:
Piante da olivo:
Varietà prevalenti:
Giacitura:
Altitudine:
Ambiente climatico:
Numero dei produttori:
Produzione media di olive:
Produzione media di olio:
500 ha di oliveto, dei quali
400 ha di oliveto specializzato
e 100 ha promiscuo
90-100.000, di cui 85.000
oltre i 10 anni di età
Casaliva e Frantoio, circa 95%
pedemontana su terrazzamenti
100-300 m/s.l.m.
montano mitigato
1.500
11.550 q.li all’anno
2.200 q.li all’anno, dei quali 450 q.li destinati al
mercato
(valore commerciale 450.000,00 Euro) e 1.750
destinati
all’autoconsumo
(valore
stimato
1.000.000,00 Euro)
La coltivazione
Forma di allevamento:
Potatura:
Concimazione:
Irrigazione:
Difesa fitosanitaria:
Raccolta:
Biologico:
libera, vaso policonico
annuale, biennale
concimi organici e minerali
normalmente oliveti non irrigui
sali di rame contro le crittogame,
cattura massale contro la mosca delle olive
nella norma brucatura a mano direttamente dalla pianta con
uso
di reti e scalini
c’è una piccola produzione certificata
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La spremitura delle olive dell’Altogarda trentino
Raccolta delle olive:
Conservazione delle olive:
Impianti di spremitura:
Commercializzazione:
a metà invaiatura, novembre-dicembre
in casse o bins per non più di 5 giorni (disciplinare
DOP)
3 frantoi a ciclo continuo con presse centrifughe
in bottiglie presso i frantoi, è molto diffuso
l’autoconsumo
Caratteristiche dell’olio extravergine di oliva Garda trentino (D.O.P.)
Acidità:
inferiore allo 0,5%
Punteggio al panel test: superiore a 7
Sensazioni olfattive:
fruttato leggero o medio, profumo di prato appena falciato,
ortaggio da foglia, mandorla
Sensazioni gustative:
piccante ben presente, leggero retrogusto amaro
Nell’insieme:
armonico e delicato, ma allo stesso tempo concreto,
fragrante e sapido
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La coltivazione dell’olivo nell’Altogarda:
una realtà ecosostenibile
Mosca delle olive: colpisce esclusivamente le drupe dell’olivo
nelle sue forme coltivate e spontanee
e quelle delle altre specie del genere Olea
A. Morettini, Trattato di olivicoltura
Il clima dell’Altogarda e la giacitura degli oliveti sono favorevoli ad una naturale
riduzione della capacità di sviluppo dei principali parassiti dell’olivo.
Contro i parassiti dell’olivo si eseguono pochi interventi utilizzando principalmente
biotecnologie e antiparassitari ammessi nella produzione biologica:
sali di rame contro le malattie fungine;
oli minerali contro le cocciniglie;
cattura massale contro la mosca olearia.
Quest’ultima consiste nell’abbassamento della popolazione attraverso la cattura e la
devitalizzazione della forma adulta dell’insetto parassita; viene effettuata attraverso
trappole contenenti attrattivi alimentari e sessuali, oltre a sostanze insetticide. Viene
attuata su tutto l’oliveto altogardesano dal 2001, coinvolge circa 1.500 coltivatori,
ogni anno vengono esposte circa 45.000 trappole. Da 8 anni, quindi, non si effettuano
irrorazioni specifiche contro la mosca olearia.
E’ praticato l’inerbimento del terreno, l’erba molto spesso è falciata a mano.
Vi sono dei limiti nell’uso degli elementi fertilizzanti e dell’azoto in particolare.
I concimi, spesso di tipo organico, sono distribuiti in maniera proporzionata alle
esigenze del terreno e della pianta, in quantità abbondantemente al di sotto dei limiti
di legge.
La raccolta delle olive viene fatta in gran parte manualmente.
Questi sono gli aspetti salienti del modo di coltivare l’olivo nell’Altogarda, molto
vicini ai dettami della “produzione biologica”.
L’olio biologico
Può essere chiamato “biologico” solamente l’olio extravergine di oliva prodotto in
aziende agricole condotte secondo quanto previsto dal Reg. CE 834/2007 sotto il
controllo di un organismo certificatore riconosciuto dal ministero delle politiche
agricole.
Attualmente sono sottoposte a certificazione 14 aziende olivicole con una superficie
complessiva di 27 ettari.
Aspetti che spiegano la limitata diffusione della certificazione dell’olio
nell’Altogarda:
elevata quota di autoconsumo, circa l’80% dell’olio prodotto in Altogarda è
consumato dagli stessi olivicoltori o dai loro familiari,
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limitata dimensione aziendale, in media la superficie ad oliveto per ogni
olivicoltore è di circa 3.000 mq,
costo della certificazione in termini finanziari e di disponibilità di tempo per gli
adempimenti burocratici.
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L'olivo nella mitologia e nella storia
“Albero benedetto, ignoto all’Asia, albero invincibile e immortale,
nutrimento della nostra vita,
olivo color pallido che protegge Atena,
la dea dagli occhi brillanti”
Sofocle, Edipo a Colono
Vari sono i miti di origine mediterranea legati all'olivo.
Gli egiziani attribuivano la nascita di questa pianta alla dea Iside, ma essa viene
soprattutto associata alla greca Atena e la sua comparsa vista come conseguente alla
contesa sorta tra lei e Poseidone, il dio del mare, per il predominio dell'Attica.
Zeus, per dirimere la questione, propose ai litigiosi una gara che sarebbe stata vinta
da chi dei due avesse procurato all'umanità il dono più utile.
Poseidone col suo tridente colpì una roccia facendone scaturire una sorgente d'acqua
marina insieme ad un cavallo veloce più del vento: la prima avrebbe assicurato ad
Atene il dominio sul mare, mentre il secondo sarebbe stato utile all'uomo per il
lavoro, fornendogli anche un importante mezzo per spostarsi e per combattere.
Atena, da parte sua, fece nascere un albero mai visto prima, immortale, da cui
l'umanità avrebbe tratto nutrimento, luce e sollievo ai propri mali.
La vittoria spettò ad Atena che divenne, così, signora dell'Attica e l'olivo, questa la
pianta a cui ella aveva dato vita, fu considerato sacro.
Chi ad Atene avesse tagliato anche solo uno degli olivi derivati da quello primigenio
sarebbe stato condannato a morte o, in epoca successiva, condannato all'esilio e alla
confisca dei beni.
Numerosi altri miti greci sottolineano l'importanza di questo albero e nei
poemi omerici si trovano molti riferimenti ad esso. Polifemo venne accecato con una
trave di olivo e il letto nuziale di Ulisse fu da lui stesso costruito con il ceppo di un
poderoso tronco di tale pianta attorno al quale, data la sua grandezza e l'impossibilità
di estrarlo dal terreno, fu edificata la stanza.
L'olivo è pianta antichissima; secondo alcuni studiosi essa apparve per la prima
volta in Asia Minore e si sarebbe poi propagata dapprima in Grecia e poi in Italia. Ma
già nel I millennio sarebbe stata diffusa in tutto il Mediterraneo.
Lo storico Tucidide (V secolo a. C.) non esitava ad affermare che i popoli che
si affacciavano su questo mare cominciarono ad uscire dalla barbarie quando
iniziarono a coltivare la vite e l'olivo. Diffuso dai fenici e dai greci, introdotto in Italia
Meridionale da questi ultimi (VIII secolo a. C.), l'olivo, coltivato intensamente anche
dagli etruschi che lo utilizzarono pure a scopo alimentare, fu soprattutto fatto
conoscere nel resto d'Europa dai romani. Essi lo dedicarono a Giove e a Minerva e si
servirono dei suoi rami per insignire i cittadini più illustri, gli sposi nel giorno delle
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nozze e per inghirlandare i defunti, significando così che essi erano stati vincitori
nelle lotte della vita terrena. Considerarono l'olio così prezioso, da imporre tramite
esso il pagamento delle tasse ai popoli conquistati e da sottoporne produzione e
vendita al controllo diretto dello stato.
Dopo il crollo dell'Impero romano la coltivazione degli olivi subì un periodo di
arresto e venne praticata quasi esclusivamente nei monasteri per ricavare l'olio
necessario ai riti sacri. Furono proprio i monaci, in primo luogo i Benedettini e i
Cistercensi, a diffondere nuovamente, tra i contadini, la cultura dell'olivo che ebbe il
suo apice nel periodo rinascimentale, quando il suo mito si fuse con quello della
“città ideale”, per dare origine alla più grande e concreta utopia, quella della “qualità
della vita”.
L'importanza di questa pianta subì una flessione nel '600, ma dal XVIII secolo
in poi la sua produzione riprese a crescere fino a giungere ai nostri giorni dove la
cultura dell'olivo si sta nuovamente proponendo come quella della qualità della vita.
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L'olivo nelle arti figurative
“Esili foglie, magri rami, cavo tronco, distorte barbe, piccol frutto,
ecco, e un nume ineffabile
risplende nel suo pallore!”
G. D'Annunzio, L'ulivo
L'olivo compare in numerosissime opere d'arte, soprattutto pittoriche, ma la sua
presenza assume valenze diverse a seconda delle varie epoche. Fino all'Ottocento
esso non fu mai rappresentato quale soggetto autonomo, bensì venne legato a precisi
significati simbolici o metaforici, o introdotto come sfondo ed elemento distintivo di
un paesaggio, o visto nella sua funzione pratica.
Alcune anfore greche (anfora di Pelike) ed etrusche (anfora di Vulci) del VI
secolo a. C. recano scene di bacchiatura delle olive e di vendita dell'olio; affreschi in
ipogei etruschi ci tramandano la sua immagine (VI secolo) o altri, come ad Ercolano
(I secolo d. C.), quella della lavorazione delle olive o di una pressa. Ma fu soprattutto
nell'arte paleocristiana e in quella medioevale e rinascimentale che esso venne
introdotto nelle raffigurazioni per divenire simbolo di pace, purezza, concordia,
alleanza tra Dio e l'uomo, di unione coniugale, e, talvolta, anche di allusione al
martirio (Catacombe, Simone Martini, Giotto, Duccio di Buoninsegna, Botticelli,
Paolo Veronese).
Assente nei cicli dei mesi scolpiti sulle cattedrali italiane, la sua immagine
viene frequentemente riprodotta nei Tacuina sanitatis, piccole enciclopedie di
medicina del periodo medioevale, dove è messo in risalto il suo utilizzo pratico. Nel
Seicento compare su stemmi di casate illustri e frequentemente citato in motti.
Solo dall'Ottocento in poi l'albero d'olivo venne rappresentato come soggetto
autonomo e scevro da simbolismi da grandi pittori quali Renoir, Monet, Matisse,
Braque o dai Macchiaioli toscani Signorini e Fattori, diventando una presenza
costante nel paesaggio italiano e mediterraneo in genere.
Esso ispirò anche numerosi quadri a Van Gogh, il quale, però, sottese a questo
tema sia una ricerca religiosa - ne fa fede il suo “Cristo nell'orto degli ulivi” - sia
grande parte della sua dolorosa esperienza personale, come si intuisce da una lettera
del 1888: “Il primo albero è un tronco enorme ma colpito dal fulmine e caduto.
Ciononostante un ramo laterale si slancia verso l’alto e ricade in una cascata di aghi
verde scuro”. In questo pittore, dunque, la rappresentazione dell'olivo assume altre
valenze, diventando simbolo di clausura, solitudine, sofferenza e morte.
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L'olivo nelle religioni monoteiste
“Ordinerai agli Israeliti che ti procurino olio puro
di olive schiacciate per il candelabro,
per tener sempre accesa una lampada”
Esodo, 20
“...e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto,
diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo”
Ro, 11, 17
“Alkma Bin Amir riferì che il Profeta disse:
Quest'albero benedetto (barak) vi fornisce l'olio d'oliva, curatevi con esso”
Basur
L'olivo, dono del Mediterraneo, fin dall'antichità considerato una pianta sacra,
assume importanti valenze simboliche nelle tre grandi religioni monoteiste, ebraismo,
cristianesimo, islamismo.
Da sempre associata al significato di pace e concordia, questa pianta viene
citata molte volte nell'Antico e nel Nuovo Testamento e in numerose sure del Corano.
Quando, dopo il diluvio universale, la colomba ritornò da Noè, lo fece recando un
ramoscello d'ulivo nel becco, per significare l'inizio di una nuova vita e la
rigenerazione.
Il valore simbolico dell'olio è espresso nell'ebraismo anche nella consacrazione
degli uomini chiamati a mediare il rapporto tra il Dio dei Padri e il popolo d'Israele, i
sacerdoti, i re, i profeti, come, ad esempio, Eliseo. Con esso venivano unti i re,
alimentata la lampada del Santuario santificati e consacrati l'Arca dell'Alleanza e gli
arredi di culto del Tempio. “Poi Mosè prese l'olio dell'unzione, unse la Dimora e tutte
le cose che vi si trovavano e così le consacrò. Fece sette volte l'aspersione sull'altare,
unse l'altare con tutti i suoi accessori, la conca e la sua base per consacrarli. Versò
l'olio dell'unzione sul capo di Aronne e unse Aronne per consacrarlo”(Lv. 8, 10-12).
Di legno d'olivo era la porta che immetteva nel Santuario, la parte più sacra del
tempio di Salomone, ed una leggenda tramanda che fu questa pianta, proveniente dal
Giardino Terrestre, a nascere sulla tomba di Adamo sul Tabor.
Olio d'oliva e religione ebraica sono legati nella festa di Channukkà che commemora
la vittoria del popolo ebraico sui dominatori greci e ricorda il miracolo dell'olio sacro
del tempio, che si rigenerò prodigiosamente per otto giorni, dando così il tempo per
prepararne dell'altro per l'accensione della Menorah.
Vista la sua importanza, non meraviglia che nella parabola di Yotan (Gdc. 9, 8)
proprio all'olivo, prima tra tutte le piante, venga offerta dalle altre specie arboree, la
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supremazia: “Dissero all'ulivo: Regna su di noi. Rispose loro l'ulivo: Rinuncerò al
mio olio grazie al quale si onorano dei e uomini [...]?”
E sempre ad essa, secondo Osea (14,6), assomiglierà Israele risorto: “Avrà la bellezza
dell'olivo”.
Il paesaggio in cui si svolse la vicenda terrena di Gesù, dai primi anni della sua
infanzia fino alla sua morte, fu caratterizzato dall'olivo, se si considera che la Galilea,
dove è situata Nazareth, fu la regione della Palestina in cui esso fu maggiormente
coltivato.
Nel cristianesimo, che nel suo stesso nome (Christòs = unto) richiama
l'importanza di questa pianta nelle cerimonie più solenni del popolo cui il Messia
appartenne, l'olivo e l'olio da esso derivato sottolineano numerosi momenti
fondamentali sia della vita del Cristo (l'Unto del Signore) che di quella dei suoi
fedeli.
Erano sicuramente a base di olio, la mirra che venne offerta dai Magi a Gesù,
l'unguento di nardo con cui Maria a Betania cosparse i suoi piedi, asciugandoli poi
coi propri capelli (Gv. 12, 13), e infine quello steso sul suo corpo prima della
sepoltura, come ricorda ancor oggi “la pietra dell'unzione”, conservata nella Basilica
del Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Cristo stesso nel Nuovo Testamento è identificato con l'olivo domestico,
fruttuoso, fecondo, sul quale vengono innestati gli olivi selvatici perché producano
frutti (Ro 11, 17).
Furono rami d'olivo che lo accompagnarono a Gerusalemme e furono esemplari di
questa pianta che lo attorniarono nel Getzemani durante la notte precedente la sua
passione, assistettero alla sua cattura e, successivamente, alla sua ascensione.
E' sempre ancora l'olivo che viene benedetto la domenica delle Palme, e l'olio da esso
prodotto quello che serve per la consacrazione degli altari, arde perennemente davanti
alla lampada del Santissimo, il crisma che accompagna i vari momenti della vita del
cristiano dal battesimo fino all'estrema unzione.
Il ramoscello d'ulivo è inoltre il contrassegno di diversi santi, da San Bernardo
Tolomei, fondatore degli Olivetani, a Sant'Ireneo, a San Bruno.
Anche per l'Islam questa pianta, sulle cui foglie si ritiene siano scritti i nomi di
Dio e qualche parola sacra, assume un'importanza fondamentale, ricoprendo il ruolo
di albero cosmico per eccellenza, di centro e pilastro del mondo. Essa simboleggia il
profeta, l'uomo universale, ed è vista, grazie al suo dono, come sorgente della luce e
apportatrice di salute.
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La sacralità dell'olio in India e in Nepal
“Fatto sta che hanno cercato di imporci le loro cose
e di toglierci quel che avevamo.
Ma è proprio per questo, ad esempio,
che continuiamo nei nostri riti tradizionali”
Rigoberta Menciù
L’uso rituale dell’olio è un punto di unione e contatto fra culti religiosi molto
diversi, tanto che può essere assunto come simbolo della tolleranza interreligiosa,
attraverso il recupero di una spiritualità capace di superare divisioni dogmatiche.
Nell’antichità sia i templi che le case venivano illuminati con le lampade ad
olio, lampade d’argilla, di bronzo o di vetro, portatili e piccole, oppure elaborate e
preziose. E ogni Paese aveva il suo particolare tipo di olio, sempre pregiato e sacro.
In India e in Nepal questa usanza permane ed è intrisa da un profondo valore
simbolico e spirituale. Ancora oggi in ogni casa indù, sul piccolo altare familiare
brilla un lume a olio che viene acceso durante le cerimonie rituali dell’alba e del
tramonto. Ci aiuta a ritrovare la nostra luce interiore, a tenerla accesa e in contatto
con quella dell’universo. La lampada a olio simboleggia la Trimurti: Brahma, dio
della Creazione, è l’olio che ardendo dà luce, Vishnu, dio della Conservazione
dell’energia cosmica, è la fiamma che brilla perpetua illuminando il cammino della
spiritualità, Shiva, dio della Distruzione, che fa da perno tra passione e virtù, è il
contenitore in cui brucia l’olio. La lampada a olio rappresenta sulla Terra l’energia
del cosmo e il cammino verso l’Illuminazione. Arde perpetua nei templi e ha un ruolo
di primaria importanza in alcune particolari festività religiose.
Il lume a olio ha un ruolo di grande rilievo in entrambe le principali feste che si
celebrano in Tamil Nadu, nel Sud dell’India.
A gennaio si svolge il Pongal, la grande festa dei contadini e dei pastori, che coincide
con la raccolta del riso, base dell’alimentazione locale. La mattina davanti a ogni
casa, le donne disegnano con la calce dei bellissimi mandala al cui centro collocano
una lampada a olio in ottone adornata di ghirlande di fiori. Il sacro lume, acceso
quando non è né notte né giorno, ci rende consapevoli dell’energia divina che penetra
ogni cosa. Davanti a quel lume, prima che sorga l’alba, si cucina il riso che verrà
offerto al sole, per ringraziarlo dei doni fatti sbocciare dalla Terra.
L’altra festa dedicata alla luce si svolge a fine anno, durante la luna piena del mese di
Kartigai, tra novembre e dicembre. Fu in questo giorno che il dio Shiva si manifestò
sulla sacra montagna di Arunachala sotto forma di un fascio di luce senza fine né
inizio. Così ogni anno nello stesso giorno sulla cima delle sacre montagne del Tamil
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Nadu si accendono grandi fuochi e davanti alle case per tutta la notte si fanno ardere
dei piccoli lumi a olio di terracotta. Il lume ad olio rappresenta il sacro fuoco che
distrugge gli attaccamenti della mente e ricongiunge l’anima individuale a quella
cosmica. Nel giorno di luna nera dello stesso mese, nel grande tempio di Tenkasi, la
Benares del Sud, 1008 donne appartenenti a vari gruppi di auto sostegno presenti
nelle aree rurali del distretto si incontrano ogni anno per pregare insieme davanti alla
lampada a olio, invocando con sacri mantra l’energia femminile, la Shakti, che le
unisce al di là di divisioni di credo e di casta.
La festa della luce sicuramente più importante che accomuna tutta l’India è
comunque il Deepawali, che segna la fine della stagione delle piogge e l’inizio
dell’inverno. La festa è un grande omaggio alla Dea della prosperità, Lakshmi, che
ama oltremodo la luce, e per tre notti si tengono accese le lampade a olio sull’altare
domestico e si accendono ovunque nelle strade e di fronte alle case piccoli lumi di
terracotta. In Tamil Nadu la mattina prima dell’alba la gente si massaggia con olio di
sesamo, poi si lava e indossa abiti nuovi. Durante il giorno si cucinano squisiti dolci e
frittelle. In questo giorno l’uso abbondante dell’olio nella cucina e nella cura del
corpo simbolizza l’arrivo della stagione fredda in cui secondo la medicina
tradizionale è bene far uso di sostanze untuose. La mattina del Deepawali quando la
gente si incontra si scambia questa frase: “Hai fatto il bagno nel Gange stamane?”
riferendosi al massaggio con l’olio, per indicare che l’effetto purificatore dell’olio è
paragonabile a quello delle sacre acque del Gange.
In Nepal la festa del Deepawali coincide con l’inizio tradizionale del nuovo anno e
dura ben cinque giorni. La festa ricorda la buona sorte toccata ad un antico re, a cui
era stato predetto che sarebbe stato ucciso da un serpente entro la mezzanotte, ma si
sarebbe salvato se avesse tenuta accesa per tutta la notte una lampada ad olio davanti
al ritratto della dea Lakshmi. Se la lampada si fosse spenta sarebbe morto. Grazie alla
luce offerta alla dea il re si salvò e diede inizio alle celebrazioni di questa festa della
luce, in cui la devozione alla dea Lakshmi e al dio della morte si esprimono in
numerosi rituali tra cui il più importante è quello di mantenere accesi dei lumi a olio
sui focolari delle case e davanti a ogni porta e finestra. La fuliggine raccolta al
mattino si usa come collirio per scacciare il malocchio e le malattie.
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Uso cosmetico e medicinale
“Ungersene il corpo garantisce agilità fisica e mentale e forza morale.
Ingerito crudo dà la calma necessaria
per affrontare le lotte della vita”
Erica Del Dosso
Come la pianta da cui deriva, l’olio è simbolo di pace, prosperità e
illuminazione spirituale. Rappresenta infatti quella intrinseca armonia tra spirito e
materia che è la base di saggezza, salute e bellezza. Fin dai tempi antichi l’olio di
oliva è stato usato nella cosmesi e nella medicina tradizionale. Negli antichi testi di
medicina egizi si fa riferimento all’uso dell’olio di oliva sia per applicazioni esterne
che per via orale. Si riteneva che la stessa dea Iside avesse insegnato agli uomini la
tecnica dell’estrazione dell’olio, usato sia per curare i vivi che per preparare i defunti
al loro ultimo viaggio. Nel corredo funerario egizio non poteva infatti mancare
l’alabastron, una piccola boccetta in cui si conservavano pregiati oleoliti profumati,
ottenuti lasciando macerare erbe officinali nell’olio di oliva.
Dio ordinò a Mosè di curare i lebbrosi con l'olio di oliva. Per i greci era ‘il
balsamo che dà la luce ’, definito da Omero oro liquido.
Essendo un pregiato cosmetico, l’olio di oliva costituiva un ambito premio sia
durante i giochi disputati in onore di Zeus ad Olimpia sia durante le Panatenee. Era
pratica comune ungersi il corpo ed i capelli con olio di oliva profumato con essenze
ricavate da erbe e fiori, che si conservava in un contenitore appeso al polso o alla
cintura. Gli antichi atleti greci usavano l’olio di oliva per sciogliere i muscoli, i
lottatori romani per sfuggire alla presa degli avversari. Dopo le gare e i
combattimenti il massaggio con l’olio aiutava a lenire e guarire eventuali abrasioni.
Le donne usavano gli oleoliti profumati per la cura della pelle e dei capelli. Si
pensava che il massaggio della testa con l'olio aiutasse a mantenere lucidi e sani i
capelli evitandone la caduta e l’incanutimento.
Nell’antica Grecia i medici prescrivevano sia l’olio d'oliva che vari oleoliti di
cui era la base per curare numerosi disturbi e malattie, fra cui nausea, colera, ulcere e
insonnia.
Col tempo nelle varie culture si svilupparono sofisticate tecniche di
preparazione di creme e unguenti a partire dai primi oleoliti preparati con alloro,
sesamo, rosa, finocchio, menta, ginepro, salvia e altre foglie e fiori. In alcune zone
rurali dell’Italia è ancora presente l’uso di ungersi i capelli con olio a cui si sono
aggiunte bucce di mandarino.
Secondo il filosofo greco Democrito una dieta a base di miele e olio d'oliva
consentiva di vivere più di cento anni.
In alcune tribù del Marocco si ritiene che l’uso abbondante di olio d'oliva
aumenti la virilità.
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L’olio d’oliva è un alimento di elevato potere nutrizionale, che esalta ed
armonizza i sapori degli alimenti. Considerato nei secoli simbolo di benessere e
prosperità alimentare, ha un forte effetto purificante ed è ottimo anche per la
conservazione dei frutti della terra. Oltre alle eccellenti caratteristiche alimentari e
dietetiche, “l’olio di oliva è utile al tratto gastroenterico per isolare la mucosa
gastrica irritata e ulcerosa, favorisce il rammollimento e l’espulsione delle feci e
stimola l’attività della cistifellea del rene, favorendone, al tempo stesso,
l’eliminazione dei calcoli. In tal caso si consiglia di berlo crudo a cucchiai,
specialmente a digiuno.” (Palombi, D., 2003:77)
In Liguria esiste l’antica tradizione di mescolare l’olio con sale e limone,
agitandolo per alcuni minuti finché diventa torbido. Si ottiene così un ottimo rimedio
per le scottature, in grado di conferire anche benessere e protezione.
L’antica medicina popolare italiana considerava l’olio di oliva un rimedio
estremamente efficace per lenire i dolori muscolari. Contro il mal di testa si usavano
impacchi di olio caldo sulla fronte.
In alcune aree rurali della Campania sopravvive la credenza secondo cui se si unge
con olio benedetto il collo nel giorno di San Biagio, il 3 febbraio, si eviteranno per
tutto l’anno il mal di gola e il torcicollo.
Un’altra antica tradizione è quella di somministrare olio fritto con la salvia ai bambini
che soffrono di sussulto nervoso. A chi ha un orzaiolo si consiglia di guardare, per tre
mattine di seguito, con l’occhio ammalato dentro a una boccettina piena di olio.
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Uso dell’olio nella Medicina Ayurveda
“Il nostro corpo è costituito da sostanze oleose
e da esse dipende tutta la nostra vita”
Sushruta Samhita
Nella tradizione indiana l’Ayurveda cita il valore nutritivo dell’olio di oliva e
ne paragona le proprietà a quelle dell’olio di sesamo, raccomandandone l’uso sia
alimentare che per applicazione esterna alle costituzioni di tipo Vata. La costituzione
di tipo Kapha può farne solo uso saltuario. (Tiwari, M., 1999:463). In alcune parti
dell’India del nord, sulla catena transhimalayana, si sta iniziando a coltivare l’olivo
con risultati molto promettenti. L’olio di oliva è in effetti estremamente apprezzato in
India soprattutto tra i ceti alti dato il costo elevato rispetto ad altri oli. Viene
raccomandato soprattutto per il massaggio dei bambini. Può quindi essere usato
anche in Italia per il massaggio ayurvedico, mischiandolo con altri oli meno densi,
con oli essenziali o con erbe officinali che ne acuiscano l’effetto attenuandone allo
stesso tempo l’odore troppo intenso.
Nella tradizione indiana l’olio simbolizza l’energia spirituale insita nella natura
umana: il massaggio con oli medicati serve a risvegliare la memoria cognitiva di
questa nostra essenza (Tiwari, M., 1999:125). Il termine sanscrito sneha significa
amore generoso e immensa tenerezza. Il massaggio riapre i canali attraverso cui
fluisce la nostra energia e ci aiuta ad eliminare gli elementi negativi e le sostanze
tossiche. Secondo l’Ayurveda l’olio ha un effetto lubrificante e riscaldante, fortifica e
struttura i tessuti e contribuisce ad attivare il fuoco digestivo. E’ particolarmente
indicato per le costituzioni di tipo Vata, in cui domina l’elemento dell’aria, della
secchezza. Vata ha infatti bisogno di calore ed equilibrio, e l’olio scalda e armonizza.
Il massaggio fa parte delle terapie di ringiovanimento e purificazione che si svolgono
in particolari periodi dell’anno, nella stagione delle piogge e d’inverno. Secondo
l’Ayurveda senza il massaggio la vita è fredda e priva di amore. Il massaggio viene
praticato in India da migliaia di anni: fu insegnato dai saggi, ispirati dal fatto che le
foglie vengono costantemente massaggiate dal vento, le rocce dai fiumi, gli animali
dal vento e dagli alberi della foresta. Secondo i Rig Veda le mani che massaggiano
sono benedette da Dio e portano in sé i segreti della guarigione.
Questa terapia olistica stimola sia il corpo che la mente, ma va praticata in
condizioni che garantiscano calma e tranquillità, in atmosfera rilassante, da parte di
persone spiritualmente elevate e professionalmente preparate. Le tecniche di
massaggio sono varie e comportano l’uso di diversi tipi di oli medicati con erbe
officinali, che variano in base alla stagione e in base alla costituzione e ai disturbi del
paziente.
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Particolare importanza hanno il massaggio della testa e dei piedi. Il massaggio
della testa oltre a rilassare e stimolare il sistema nervoso fa bene alla vista, previene
l’emicrania e stimola la crescita dei capelli.
Il massaggio dei piedi è particolarmente tonificante e rilassante e dovrebbe far
parte della routine quotidiana. Oltre che per il massaggio, l’olio andrebbe usato ogni
giorno per i gargarismi, in quanto tonifica le gengive, rende i denti resistenti alla
carie, stimola l’appetito e il senso del gusto e previene la screpolatura delle labbra.
Agli occhi l’olio viene applicato in forma di kajal, un collirio di origine antichissima
che viene tradizionalmente preparato mischiando olio di mandorle o di cocco con vari
ingredienti tra cui la fuliggine ottenuta dalle lampade sacre.
Solo di recente è stato introdotto in India l’uso dell’olio di oliva nella cosmesi e
nella medicina tradizionale. Gli oli tradizionalmente più usati sono quello di sesamo,
quello di cocco e quello di senape. Come l’olivo, anche queste piante sono sacre e
vengono usate nell’ambito dei rituali religiosi.
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Consapevolezza ecologica e sacralità delle piante
“Ogni foglia d’albero è una pagina della Sacra Scrittura,
e contiene la rivelazione divina.
Se chi la guarda sa come leggere e come capire,
potrà essere ispirato in ogni momento della sua vita.”
Hazrat Inajat Khan
La sacralità delle piante è una forma di rispetto profondamente legata alla
consapevolezza della loro utilità e della necessità di tutelarne la conservazione che
caratterizza la cosmologia delle culture tradizionali di tutto il mondo.
L’albero sacro accompagna l’uomo lungo il suo cammino spirituale, è Albero
della Conoscenza, capace di rappresentare il mistero della creazione, Albero della
vita, fonte di nutrimento e di cura, Albero cosmico, ponte divino che si innalza dalla
Madre Terra per sancire un rapporto di armonia tra spirito e materia.
Gli alberi sacri furono i primissimi oggetti di culto venerati come dimora di
esseri divini. Ai loro rami venivano appesi nastri colorati e ai loro piedi venivano
offerti doni. I boschi e le foreste in particolare sono sempre stati considerati
importanti luoghi di raccoglimento, di meditazione, di vaticinio e di preghiera,
protetti da tabù che ne hanno consentito nel corso dei millenni la conservazione.
Nei tempi antichi, finché perdurò tale tipo di credenze, il rispetto per gli alberi
era molto radicato in tutta l’Europa, in particolare tra le popolazioni celtiche e
teutoniche del Nord, per cui i boschi erano veri e propri templi, impregnati dall’aura
sacrale delle divinità che li abitavano. La persecuzione cristiana dei culti pagani passò
attraverso la distruzione di questi boschi, scardinando una visione del mondo per cui
ogni essere vivente ha un’anima. Ma questo tipo di pensiero non è scomparso del
tutto, è la linfa vitale delle leggende e delle tradizioni popolari, una saggezza antica
che non può morire.
In molti Paesi del Sud del mondo, il fatto che gli alberi siano sacri è un dato di
fatto. E’ il caso dell’Amazzonia, in cui le comunità indigene sono così consapevoli
delle leggi dell’ecosistema in cui vivono da aver mantenuto intatta nei millenni quella
sacra foresta, che l’uomo bianco sta ora distruggendo in tempi brevissimi.
In Oriente i boschi e le foreste hanno sempre avuto un ruolo molto importante
sul cammino della conoscenza e della ricerca spirituale. Erano i luoghi in cui
vivevano gli antichi saggi, che oltre a diffondere il sapere relativo all’uso delle piante
medicinali hanno anche ribadito la necessità di utilizzarle con rispetto senza turbare il
sottile equilibrio su cui si regge l’ecosistema di cui fanno parte. Quando invasero
l’India nel 326 a. C., gli uomini di Alessandro Magno riferirono che gli Indiani
“consideravano divina qualunque cosa venerassero, specialmente gli alberi, offendere
o danneggiare i quali costava la morte” (Philpot, J.H., 1994:14).
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Nella cosmologia indù varie divinità sono collegate a diverse piante e ogni
tempio ha un suo albero sacro, asse centrale dell’universo, fonte primordiale di vita e
fertilità. Dalle montagne della catena himalayana fino alle foreste pluviali del Kerala,
si estendono in India circa 14000 boschi sacri, aree di foresta vergine di varie
dimensioni in cui è vietata la caccia e non si possono tagliare gli alberi. Oasi di tutela
della biodiversità, ricco di piante e animali rarissimi, oramai estinti altrove, il bosco
sacro è un agente di controllo biologico per le aree rurali circostanti e un polmone
verde per quelle urbanizzate.
Purtroppo anche in India come in altre parti del Sud del Mondo è in atto un
forte processo di erosione della cultura tradizionale con gravi conseguenze per la
conservazione ambientale. Anche qui la scomparsa della biodiversità va di pari passo
con la scomparsa di quella visione del mondo che l’ha conservata per millenni. Che
cosa succederà quando spariranno gli ultimi boschi sacri?
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