LA MALATTIA PROLIFERATIVA RENALE DEI SALMONIDI La Malattia Proliferativa Renale, meglio conosciuta come PKD (Proliferative Kidney Disease), viene considerata una delle più serie e dannose patologie di origine parassitaria dei Salmonidi in Europa e Nord America. Si tratta di una malattia sistemica ad andamento stagionale caratterizzata da un enorme ingrossamento del rene e della milza, con concomitante grave compromissione dell’assetto ematopoietico ed immunitario dell’ospite. Può essere sinteticamente definita una "sindrome immunopatica". Questa patologia è stata riportata in specie della famiglia Salmonidae, ad eccezione di alcune osservazioni condotte sul luccio (Esox lucius). In Europa la trota iridea rappresenta la specie più comunemente e seriamente colpita, anche se sono stati descritti gravi episodi morbosi in Salmo trutta, S. salar e Salvelinus alpinus sia selvatici che allevati ed in temoli (Thymallus thymallus) selvatici. In Nord America casi di PKD sono stati descritti frequentemente in trota iridea e salmoni del Pacifico allevati; sia in USA che in Canada mortalità fino al 95% sono state inoltre segnalate in Oncorhynchus tshawytscha e O. kisutch. Si ritiene ormai che tutte le specie appartenenti ai generi Salmo e Oncorhynchus siano suscettibili all’infezione. Segnalata per la prima volta nel 1924 in Germania nella trota da Plehn, che ne riferì l’eziologia ad un organismo simile alle amebe, questa malattia è stata poi descritta in diversi Paesi europei e, solo a partire dal 1982, in Nord America. Fino alla fine degli Anni ‘70 l’agente causale di questa patologia continuò ad essere ascritto alle amebe e fu solo nel 1978 che Ghittino e collaboratori operarono una revisione critica delle ricerche condotte fino ad allora e dimostrarono che le amebe, da loro stessi isolate precedentemente in corso di PKD, non erano altro che contaminanti occasionali. Fu solo nel 1985 che Kent & Hedrick individuarono l’affinità tassonomica dell'agente eziologico della PKD con i mixosporidi (phylum Myxozoa). Recentemente alcuni Ricercatori anglosassoni hanno definitivamente stabilito, grazie all’utilizzo di metodiche biomolecolari, l’esatta identità dell’agente eziologico, denominandolo Tetracapsula bryosalmonae (famiglia Saccosporidae, classe Malacosporea, phylum Myxozoa). Gli stessi studi hanno permesso di individuare gli ospiti naturali del parassita nei briozoi (phylum Bryozoa), invertebrati bentonici che formano colonie attaccandosi a substrati sommersi (piante, pietre, legni, ecc.) ed al cui interno si svilupperebbero gli stadi di T. bryosalmonae infettanti per il pesce. Prove sperimentali hanno ampiamente dimostrato la trasmissione del parassita dai briozoi alla trota, ma rimane ancora da chiarire se la trota rappresenti solo un ospite accidentale a fondo cieco o possa sviluppare stadi parassitari a loro volta infettanti per i briozoi. Tetracapsula bryosalmonae La stagionalità dell’infezione da T. bryosalmonae nel pesce sarebbe quindi conseguente alla dinamica stagionale delle popolazioni dei briozoi che, ad eccezione di pochissime specie, a basse temperature danno luogo a forme “di resistenza” per poi sviluppare nuovamente in colonie e riprodursi nel periodo primaverile-estivo. Per quanto concerne la patogenesi della PKD, la diffusione degli stadi di sviluppo di T. bryosalmonae in vari distretti dell’organismo del pesce provoca una reazione infiammatoria che può variare da una moderata proliferazione del tessuto ematopoietico, caratteristica delle fasi iniziali dell’infezione, ad una grave risposta granulomatosa tipica delle fasi più avanzate. Con il progredire della malattia si fa più marcata la reazione cronica granulomatosa soprattutto a carico del rene, con fenomeni degenerativi dei tubuli e dei glomeruli renali. Le cellule interstiziali vengono rimpiazzate da un infiltrato cellulare composto principalmente da linfociti e macrofagi. E’ questa componente cellulare infiltrante che determina il tipico ingrossamento del rene. Anche se a temperature superiori a 15°C i primi stadi di sviluppo di T. bryosalmonae ("cellule PKX") si possono evidenziare già 2-3 settimane dopo l’infezione, l’incubazione dura in genere tra 4 e 8 settimane a seconda della temperatura dell’acqua. Negli animali che sopravvivono alla malattia si può avere guarigione, con reazioni di cicatrizzazione che possono iniziare circa 12 settimane dopo l’infezione e completarsi intorno alla 20° settimana, con progressiva rigenerazione del tessuto renale. Dopo guarigione si possono comunque ancora osservare stadi del parassita nei tubuli renali. Anche se nel corso di infezioni lievi e moderate i segni clinici possono addirittura mancare, nelle forme gravi si possono avere ipermelanosi, esoftalmo bilaterale, addome rigonfio e anemia branchiale. Le frequenti infezioni intercorrenti possono determinare la sovrapposizione di altri segni clinici. All’apertura della cavità corporea si osserva il tipico rigonfiamento del rene, particolarmente evidente nel tratto posteriore, che presenta inoltre alterazioni del colore con presenza di aree grigiastre o biancastre disseminate. La milza è spesso ingrossata, con superficie “ruvida”, e può essere presente ascite, talvolta emorragica. La diagnosi può essere emessa in via presuntiva in base ai sintomi ed alle lesioni anatomopatologiche. La conferma diagnostica viene raggiunta mediante evidenziazione microscopica degli stadi di sviluppo del parassita in impronte di rene e di milza colorate con May-Grünwald Giemsa. Sono state inoltre messe a punto tecniche diagnostiche specifiche e sensibili (ad esempio colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche, PCR, ecc.). Poiché non sono stati ancora individuati protocolli terapeutici efficaci nei confronti di T. bryosalmonae, la PKD deve essere controllata mediante interventi gestionali e, quando possibile, prevenuta. Si può innanzitutto fare in modo che gli animali non vengano a contatto con le acque infette nel periodo di maggiore rischio, introducendo gli avannotti in impianto dopo il mese di agosto o mantenendoli fino ad allora in settori alimentati da acqua di pozzo. Sistemi di ozonizzazione o di trattamento UV applicati all'acqua in entrata sembrano essere efficaci nel devitalizzare gli stadi infettanti del parassita, ma risultano poco applicabili ai sistemi classici d'allevamento della trota. Quando la patologia è ormai in atto bisogna prestare attenzione ad alcuni accorgimenti gestionali, in particolare riducendo l'alimentazione, mantenendo elevati livelli di ossigeno disciolto, riducendo la densità in vasca ed evitando qualsiasi tipo di stress agli animali colpiti. Dott. Maria Letizia Fioravanti Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Università di Bologna