APPUNTI SULLA DIALETTICA HEGELIANA Per Hegel la realtà è un divenire perenne, che non avviene però a caso, ma è sottoposto ad una legge fondamentale ( che è legge del pensiero e delle cose, visto che per Hegel la realtà è Spirito, Pensiero assoluto): la dialettica. I Romantici hanno ragione nel sostenere che l’intelletto degli illuministi è freddo e astratto, ma tale astrattezza non si supera con il sentimento, che non è in grado di giustificare il rapporto tra finito e infinito, bensì con la Ragione, l’unica in grado di cogliere autenticamente, concretamente l’Infinito che è nelle cose. La dialettica ci fa capire il movimento di questa realtà, la quale è Spirito che si autocrea in continuazione. Essa, quindi, è il metodo fondamentale della filosofia e allo stesso tempo la legge dello sviluppo del reale. Essa ha tre momenti o tappe, strettamente collegati: 1) la tesi ( momento astratto o intellettivo): è la prima tappa dello sviluppo del pensiero e del reale, quella dell’affermazione di un concetto. L’intelletto pone, concepisce un concetto, ad es. l’innocenza, come statico, fisso, nettamente contrapposto al male. L’intelletto vede nell’innocenza un universale astratto, rigidamente separato dal suo opposto, dunque limitato e statico. Questo momento è chiamato anche in sé, perché contiene, sebbene solo potenzialmente, gli altri momenti dello sviluppo dialettico (male compreso), come una sorta di nucleo originario: l’innocenza contiene virtualmente il possibile sviluppo del male, che l’intelletto astratto vede qui, in questo stadio, come nettamente scisso e senza alcun rapporto con il male stesso. 2) antitesi ( momento dialettico o negativamente razionale): Questa tappa ci fa capire che ogni momento della realtà si rovescia nel suo opposto, nella sua determinazione contraria: se approfondiamo il concetto di innocenza, ci accorgiamo che questa, per la sua stessa natura, rimanda necessariamente al male come suo doppio. L’innocenza è tale solo in quanto confrontata e opposta al male, così come l’uno è tale solo in relazione ai molti, il finito all’infinito, il simile al dissimile. Questo è il momento della negazione del primo concetto, che incrina la sua semplicità e purezza quasi embrionale: è l’ambito dell’oggettivazione, alienazione, estraniazione del primo concetto, del suo uscire da se stesso, dal suo modo di essere statico, rigido e inerte. E’ il momento dell’altro da sé o del per sé: qui la dialettica mostra il movimento attraverso cui la prima determinazione ( l’innocenza) viene negata e passa nel suo opposto. In questa tappa inizia ad attivarsi la ragione, che va al di là dell’intelletto illuministico e ci fa capire che ogni determinazione (momento o aspetto della realtà) è una negazione, ossia ogni concetto è tale in quanto nega, si oppone a tutti gli altri. Il bianco è tale in quanto, allo stesso tempo, è non nero, non blu, non rosso, ecc. L’affermazione di un concetto, dunque (tesi) implica necessariamente un rapporto negativo con gli altri e in particolare la negazione di quello che più gli si oppone ( nel nostro caso, l’innocenza non sarà tale solo perché contrapposta all’invidia, alla gelosia o all’indifferenza, ma soprattutto perché opposta al male). 1 3) sintesi ( momento speculativo o positivamente razionale). Senonché, perché ci sia autentico sviluppo, non basta contrapporre puramente due determinazioni l’una all’altra: finora, infatti, innocenza e male sono nettamente antagoniste e se ne stanno in un mero rapporto di antinomia. Se restassimo a questo stadio, al modo di vedere in maniera puramente antinomica i due opposti, rimarremmo ancorati all’intelletto illuministico (kantiano), che separa, vedendo bianco e nero in senso unilaterale. Il terzo momento segna l’intervento definitivo della ragione, che nega la pura contrapposizione dei primi due, evidenziando anche e soprattutto il legame che unisce i due opposti, al di là della loro contrapposizione. Perché ci sia un autentico processo dialettico, non basta opporre semplicemente due concetti, bensì capire la manchevolezza dell’uno rispetto all’altro, cioè il fatto che l’uno non può stare senza l’altro. La sintesi ci fa cogliere l’aspetto positivo di questa contrapposizione, cioè il positivo che è nel negativo: vale a dire il fatto che quella manchevolezza è la molla che spinge oltre l’opposizione dei due momenti contrapposti ( innocenza/male) e ci permette di cogliere la loro conciliazione o mediazione. Questo momento, che Hegel definisce con il termine Aufhebung, superamento, è un togliere ( auf = via) e un conservare (heben = tenere) al tempo stesso: esso nega quanto di puramente negativo vi era nella precedente antinomia, ossia la mera contrapposizione dei primi due termini (ecco perché la sintesi è anche detta negazione della negazione) e conserva il loro aspetto positivo, ciò che fa andare avanti il reale e la storia . Nel nostro esempio, la virtù o il bene è la negazione di ciò che di negativo vi era nell’antitesi (il male allo stato puro come opposto all’innocenza) e costituisce la conservazione, il recupero della positività di quell’opposizione ad un livello più alto. Nega, pertanto, il male in quanto pura negazione dell’innocenza, ma conserva la positività di questa opposizione, cioè il fatto che questa possa aver insegnato ad una persona cosa ha sbagliato e cosa deve dunque rifiutare della sua esperienza e cosa invece va salvato di essa perché lo ha aiutato a crescere. Il superamento toglie il male opposto all’innocenza e conserva la sua funzione di averci restituito un’innocenza consapevole, perché è passata attraverso l’esperienza dolorosa, ma necessaria del male. Quindi bene/male, pace/guerra, bianco/nero, non sono momenti puramente contrapposti: la vera pace è solo quella che attraversa il passaggio drammatico e terribile, ma necessario di opposizione e di superamento della guerra. La terza tappa opera una conciliazione o mediazione tra tesi e antitesi e consente uno sviluppo della realtà, che si è liberata da ciò che ne ostacola il divenire e il progresso ( ossia si libera del finito). Per Hegel, dunque, la realtà è razionale proprio perché è contraddittoria e il compito della ragione è quello di superare tali contraddizioni, risolvendole ad un livello più alto, che saranno a loro volta punto di partenza per ulteriori contraddizioni, che dovranno essere superate, e così via all’infinito. La sintesi in questo senso è una sorta di ritorno alla tesi, ma arricchita di tutto il processo dialettico di cui abbiamo parlato. Quindi, la sintesi completa il circolo dialettico, che rappresenta il processo dell’Assoluto e dell’infinito nella sua pienezza più vera (contrapposto al cattivo infinito, simboleggiato dalla linea retta che non risolve mai l’antinomia che ne è alla base). Un ulteriore esempio che possiamo fare è quello di seme / pianta / frutto: il seme è la semplicità e la purezza embrionale della vita vegetale, che deve essere negato in quanto tale dalla pianta, che da esso si sviluppa, determinando la morte del seme per poter nascere in quanto pianta. A sua volta, la vita e la riproduzione del frutto implica che sia 2 negata anche la pianta in quanto tale, che corrompendosi assicura il ciclo riproduttivo del vegetale. Entrambi, il seme e la pianta, vengono tolti nella loro reciproca opposizione per lasciare il posto al frutto (cioè debbono morire in quanto tali), ma viene conservato il loro aspetto positivo, ossia il contributo che essi portano alla realizzazione del suo ciclo. A questo punto, possiamo dire che Hegel ha un’affinità con i romantici ma anche una sostanziale differenza: da un lato, concorda con loro nel criticare l’astratto intelletto illuministico, le cosiddette filosofie della riflessione, che non sono in grado di porre rimedio alle scissioni dell’epoca in corso e perdono di vista la totalità, l’intero, concetto chiave come sappiamo per tutti i romantici (il connubio natura-spirito). Esse restano ancorate all’antinomia tra finito e infinito, reale e ideale, soggettivo e oggettivo, natura e spirito, proprio in quanto isolano le determinazioni contrapposte. Dall’altro, è nel modo in cui si concepisce l’intero che Hegel critica i Romantici: essi colgono la totalità e il risolvimento del finito nell’Infinito in maniera fallace, grazie cioè al sentimento e all’intuizione, che non sono in grado di giustificare in maniera efficace come e perché il finito si risolva nell’Infinito, come si giunga alla conciliazione tra natura e spirito, tra reale e ideale. E’ solo la ragione a farci comprendere tutto ciò, cogliendo con lo speculativo, con la mediazione la suprema sintesi degli opposti, che non è in quanto tale solo ‘sentita’o intuita, non è pura aspirazione come in Fichte, ma è intimamente ‘compresa’ razionalmente e spiegata in tutto il suo processo. Hegel ci dice che il finito ha diritto di esistere solo come momento dell’infinito, l’individuale solo in quanto tappa di realizzazione della totalità, dell’intero e solamente la ragione è in grado di capire ciò. Questo per Hegel è il concreto: comprendere l’unità delle determinazioni contrapposte come momenti necessari allo sviluppo dell’intero. Ecco perché egli rimprovera allo stesso Schelling che il suo Assoluto è “la notte in cui tutte le vacche sono nere”: esso è semplicemente unità indifferenziata di Spirito e Natura, dove tuttavia non si riesce a comprendere e a giustificare il ruolo che tali elementi hanno nella concezione schellinghiana, la rispettiva dinamica interna all’Assoluto. Si può comprendere adesso la portata di un’importante affermazione hegeliana, contenuta nella Scienza della Logica, secondo cui “una filosofia, che volesse ammettere il finito come vero essere, non meriterebbe nemmeno il nome di filosofia”. Il finito, in quanto tale, nella sua autonomia, non esiste, ma è destinato a risolversi nell’Infinito. La dialettica è sicuramente il cuore della filosofia hegeliana, visto che tutto il suo gigantesco sistema è strutturato con una impostazione dialettica. Hegel giustamente tributa un omaggio ad Eraclito, quando sempre nella Logica sostiene che “non vi è proposizione di Eraclito che io non abbia accolto nella mia Logica”: la complementarietà dei contrari, il ruolo della contraddizione che manda avanti la vita e la storia stessa, è sicuramente retaggio del filosofo di Efeso. 3