1 Steven Pinker, Come funziona la mente, Mondadori

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Steven Pinker, Come funziona la mente, Mondadori, Milano 2000. Pp 694
How the Mind Works, I ed. 2000
Giovanni Federle
23 ottobre 2007-10-22
Abstract
Affronta a tutto campo il funzionamento dell’uomo nella vita quotidiana dalla
percezione alla memoria e della sua interazione sociale, nella produzione
artistica, nel pensiero religioso e filosofico. L’autore che è uno dei più
autorevoli studiosi di scienze cognitive, ricorre alla “ingegneria inversa”:
conoscendo lo scopo di una macchina, nel nostro caso la trasmissione dei
geni, si tratta di capire in che modo i suoi vari pezzi servono a realizzare
quello scopo. Individuando darwinianamente le funzioni alle quali la selezione
naturale ha destinato l’uomo nell’ambiente nel quale ha compiuto il suo
tragitto evolutivo: la mente come sistema di organi di calcolo che ha
permesso l’emergere, il lottare, il sopravvivere e il predominare dell’uomo.
Sintetizza in modo efficace e con una esposizione davvero avvincente le
spiegazioni che sono offerte allo stato attuale dalle scienze cognitive.
Recensione
“Perché una rappresentazione interna non è una realistica fotografia del
mondo, e l’omuncolo che «la guarda» non è una copia in miniatura dell’intero
sistema, che ne richiede l’intera intelligenza.”
“…una rappresentazione è piuttosto una serie di simboli corrispondenti ad
aspetti del mondo e ad ogni omuncolo è richiesto di reagire in pochi modi
circoscritti ad alcuni simboli”. P. 87
Nota. In questa recensione in considerazione solamente il capitolo IV L’occhio
della mente” anche se il testo è davvero tutto molto interessante e
l’esposizione degli argomenti, secondo la migliore tradizione anglosassone, è
sempre avvincente e ricca di esempi.
Nel primo capitolo Pinker costruisce una ipotesi del funzionamento del cervello
come un insieme di piccole unità competenti che si attivano quando
riconoscono dei pattern e danno vita ad una rete di strutture attive e
retroattive, di informazioni che rimbalzano((error back-pro pagation, o
semplicemente back-prop), in grado non solo di decidere la definizione di un
oggetto “verdura” ma anche di comprendere le sfumature degli oggetti che
stanno in un’area indeterminata non del tutto coperta dalla definizione.
Il cervello usa quattro forme di rappresentazione:
1 l’immagine visiva, una sorta di mosaico bidimensionale
2 la rappresentazione fonologica che è una componente importante della
memoria a breve da uno a cinque secondi, serve per ricordare pe. Un numero
di telefono
3 la rappresentazione grammaticale: verbi e sostantivi ecc tutti organizzati in
strutture gerarchiche
4 il mentalese, la lingua del pensiero in cui si esprime la nostra conoscenza
concettuale, il succo che ci portiamo appresso dopo la lettura di un libro
“Nella sua forma estrema, il connessionismo sostiene che la mente è un’unica
grande rete a propagazione a ritroso a strati nascosti, o forse una batteria di
reti simili o identiche, e l’intelligenza emerge quando un istruttore, l’ambiente,
1
sintonizza i pesi di connessione. L’altra visione, che io preferisco, è che il
lavoro non possono farlo queste reti neurali da sole. A spiegare gran parte
dell’intelligenza umana è la strutturazione di reti in programmi per manipolare
simboli. In particolare, la manipolazione di simboli è sottesa al linguaggio
umano e agli aspetti del ragionare che con esso interagiscono” P 120
“Inoltre, sappiamo che l’informazione su un oggetto che viene percepito è
sparsa fra numerose parti della corteccia cerebrale. Perciò l’accesso
all’informazione richiede un meccanismo che leghi insieme geograficamente
dati separati. p145
Il quarto capitolo, per me il più stimolante, tratta i meccanismi della visione,
di come la visione trasforma le immagini retiniche in descrizioni mentali.
Le informazioni scendono dalla memoria invece che salire dagli occhi: Le
strade percorse dalle fibre verso le aree visive del cervello sono a due sensi.
Le immagini mentali potrebbero essere, insomma, specie di disegni nella
testa. Lo sono?
Per scoprirlo ci sono due modi. Uno consiste nel verificare se pensare per
immagini coinvolge le parti visive del cervello, l’altro se è più come fare della
computer graphics o lavorare al computer con un database di proposizioni.
Sulla visione binoculare o stereoscopica p 255
La prospettiva p 260
Per quanto riguarda il linguaggio ritiene che alla sua base esistano dei moduli
innati (Chomsky) nella mente, una sorta di grammatica universale geneticamente determinata sulla quale poi si eserciterebbe l’influsso ambientale e
l’apprendimento della lingua madre. Sembrano confermare questa ipotesi
numerosi studi sull’invarianza linguistica e la teoria genetico-evolutiva
dovrebbe rafforzare l’idea dell’emergere e tramandarsi di una grammatica
universale. Sull’argomento l’altro testo tradotto: “L’istinto del linguaggio”.
Mi viene da pensare ad una sorte comune con i meccanismi della visione: una
sorta di grammatica naturale (i neuroni preposti al riconoscimento delle linee
verticali solamente, quelli preposti al riconoscimento delle orizzontali, alle
forme, alla luce piuttosto che al colore, e che l’apprendimento alla visione che
si compie nei primi tre anni di vita sia paragonabile a quello della “lingua”
materna).
Alcuni appunti
L’occhio della mente
Il sistema visivo dell’uomo presume che la materia sia coesa, le superfici di
colore uniforme e gli oggetti non tralignino per combinarsi in modi confusi.
228
La più grandiosa visione della visione è di David Marr è il primo a parlare della
visione come di un modo per risolvere problemi mal posti tramite l’aggiunta di
presupposti. La definisce come: ”un processo che a partire da immagini del
mondo esterno produce una descrizione utile allo spettatore e non ingombra
di informazioni non pertinenti.”
Percezione di un oggetto libro come rettangolo per cui da qualche parte ci
deve essere un simbolo mentale per “rettangolo”
Si occupa di come la visione trasforma le immagini retiniche in descrizioni
mentali.
Occhio profondo
2
Anche gli indigeni della Nuova Guinea non acculturati riconoscono i volti nelle
fotografie: quindi la capacità di vedere rappresentazioni è universale.
Un’immagine non è altro che un modo più comodo di disporre la materia così
che proietti una configurazione identica agli oggetti reali: la materia della
contraffazione è stesa su una superficie piatta, ed è costituita da pigmenti
invece che da forme intagliate (nel legno).
Tra arte e vita c’è un’altra differenza: il pittore ha una visione monoculare e lo
spettatore binoculare. La selezione naturale ha dovuto mettere insieme le due
immagini per ottenerne una sola che il resto del cervello potesse utilizzare.
Non c’è alcun modo diretto per sovrapporre la visione dei due occhi. La
maggior parte degli oggetti cadono, nelle due immagini, in due punti diversi,
la cui diversità dipende dalla distanza a cui si trovano gli oggetti: più sono
vicini più i loro facsimili sono distanti nella proiezione dei due occhi. Si può
usare la differenza di proiezione e i due angoli per calcolare quanto distante si
trovi un oggetto. Visione stereoscopica che venne scoperta solo nel 1833 da
Wheatstone.
Riflesso di messa a fuoco: circuito retroattivo che adegua la forma del
cristallino finché la qualità dell’immagine proiettata sulla retina è al massimo
livello di definizione possibile
Occhio ciclopico: visione che mette insieme le due distinte immagini ricevute
dalla retine dall’occhio destro e sinistro.
Come funziona? Il problema della corrispondenza, accoppiare i segni in un
occhio con i loro corrispondenti nell’altro.
Gli studi di David Marr e Tommaso Poggio sulla visione sono un punto di
riferimento importante per Pinker (che al contrario non cita mai Samir Zeki il
suo La visione dall’interno).
La visione stereoscopica va inscritta nel circuito cerebrale, non è presente alla
nascita e una percentuale del due per cento della popolazione ne è privo: è
una combinazione di natura e apprendimento. Appare nei neonati
all’improvviso intorno ai tre o quattro mesi d’età. È all’incirca in quel momento
che i neuroni che hanno già una predisposizione a cogliere i segnali
provenienti dall’occhio destro o sinistro si specializzano definitivamente
sull’occhio. Una volta che il cervello ha separato l’immagine dell’occhio sx da
quello dx, strati successivi di neuroni possono compararle per coglierne le
minime discrepanze che segnalano la profondità. Questi circuiti possono
venire modificati dall’esperienza e in modo sorprendente. Questa capacità si
acquisisce nel tempo e non è preinstallata: questo è funzionale alla crescita
dell’individuo che porta all’aumento della distanza tra gli occhi.
La scoperta sulla sintonizzazione della visione binoculare in specie diverse
permettono di pensare in modo nuovo all’apprendimento in generale come un
adattamento
innato
alle
richieste
della
tabella
di
marcia
dell’autoassemblamento di un animale.
La visione stereoscopica è un modulo in molti sensi: funziona senza il resto
della mente, il resto della mente funziona senza di esso, impone particolari
richieste ai cablaggi del cervello e fa riferimento a principi che sono
specificamente relativi al suo problema (geometri della parallasse binoculare).
Il suo sviluppo è parte di un programma di assemblaggio e la sua sensibilità
all’esperienza una circoscritta acquisizione di informazioni da parte di un
sistema strutturato.
Luci, ombre, forme
Tre leggi che sovrintendono alla formazione delle immagini provenienti dal
mondo:
1 la prospettiva: sfortunatamente qualsiasi proiezione può provenire da un
numero infinito di oggetti, così non c’è modo di risalire alla forma di un
3
oggetto partendo dalla sua sola proiezione. Come fa il nostro analizzatore a
tre dimensioni a calcolare la probabilità riguardante le proiezioni (come gli
oggetti appaiono nel mondo) e riguardo al mondo (che tipo di oggetti
contiene).
2 Analizzare la materia a partire dalla luce che riflette. Non esiste alcun modo
assolutamente certo per determinare di che materiale è costituito un oggetto
a partire dalla luce che riflette.
3 L’effetto dell’inclinazione sul chiaroscuro: una superficie esposta frontalmente alla luce ne riflette molta, una inclinata alla luce ne riflette molto meno. Il
nostro analizzatore di chiaroscuro ripercorre a ritroso la legge e capisce da
quanta luce riflette, come una superficie è inclinata. molti oggetti, come i
cubi, sono composti da facce inclinate, quindi ricostruirne le inclinazioni è un
modo per determinarne la forma. Qualunque forma anzi può essere pensata
come composta da milioni di minuscole sfaccettature.
I tre sistemi di analisi delle immagini vanno coordinati, non necessariamente
da un “omuncolo” presente nel nostro cervello, ma da qualche combinazione
che renda il lavoro economico, semplice, probabile.
La parabola del laboratorio chiarisce l’idea che la mente è un insieme di
moduli, un sistema di organi o una società di esperti: uno schema di
supervisore deve puntare a tenere gli esperti all’interno di un budget in cui le
congetture improbabili sono le più costose (rasoio di Occam) il che li obbliga a
cooperare nell’assemblare la congettura complessiva più probabile sullo stato
del mondo.
Vedere a due dimensioni e mezzo
Che forma prende la rappresentazione del mondo dopo che è stata analizzata
dal cervello nel modo che abbiamo visto?
La visione non è un teatro con il palcoscenico al centro.
Non è una macchina fotografica panoramica: studi hanno dimostrato che
quando si muove la testa o gli occhi si perde immediatamente i dettagli sottili
di quanto si stava guardando.
Noi vediamo in prospettiva: i binari convergono all’orizzonte, gli oggetti in
movimento giganteggiano, si rimpiccioliscono, appaiono di scorcio.
Noi vediamo a due dimensioni, non a tre.
Noi non vediamo direttamente “oggetti” una mano o una testa sono oggetti
rispetto ad un corpo, e un corpo rispetto all’auto che lo contiene, dove è
seduto? Definire “l’oggetto” per la visione è quanto mai controverso.
Noi possediamo però un senso quasi palpabile delle superfici e dei confini tra
di esse. La nostra percezione di superficie è involontaria, indotta
dall’informazione emessa dalle retine; contrariamente alla credenza popolare,
non vediamo quello che ci aspettiamo di vedere.
Cos’è il prodotto della visione: Marr lo definisce uno schizzo a due dimensioni
e mezzo, altri lo chiamano una rappresentazione di superfici visibili.
Perché non vediamo tramite un modello tridimensionale: perché lo spazio di
memoria occorrente sarebbe enorme (vedi computer).
Quadri di riferimento
L’informazione, nello schema a due dimensioni e mezzo, è espressa in un
quadro di riferimento retinico, un sistema di coordinate centrato
sull’osservatore.
Un altro filtro funzionale sarebbe una griglia mentale trapezoidale che
quadrettasse distese di mondo di eguali dimensioni. Un altro quadro è la
direzione della gravità che è coordinata dall’orecchio interno
L’asse mentale alto-basso è un potente organizzatore di forma.
4
Come si riconoscono le forme? La maggior parte degli oggetti si riconosce
dalla forma.
Probabilmente non usiamo, nel processo, un quadro di riferimento retinico il
nostro archivio dei ricordi ne usa uno impostato sull’oggetto stesso.
Valigia= un pannello rettangolare con una maniglia parallela al bordo del
pannello nella parte superiore dello stesso perciò quando vediamo un oggetto
non identificato il nostro sistema visivo imposta automaticamente su di esso
un quadro di riferimento tridimensionale.
Marr spiega che: il ricordo di una forma non è il ricordo dello schizzo a due
dimensioni e mezzo, ma è memorizzato in un formato che ne differisce in due
modi. Il sistema di coordinate è centrato sull’oggetto e non, come nello
schizzo, sull’osservatore.
Due: la visione e il ricordo non vengono posti in corrispondenza comparativa
pixel per pixel (due valigie possono avere forme non paragonabili per
particolari diversi).
Lo psicologo Biederman ha incarnato le idee di Marr in un repertorio di
componenti geometriche semplici chiamate geoni che sono combinatori come
la grammatica
Linguaggio e forme complesse sembrano anche essere vicini di casa nel
cervello. L’emisfero sinistro non è solo sede del linguaggio ma anche della
capacità di riconoscere e immaginare forme definite da combinazioni di parti.
L’emisfero destro è bravo a misurare forme intere: a dire se un rettangolo è
più largo che alto ecc.
Un altro vantaggio della teoria dei geoni è che una descrizione dell’anatomia
di un oggetto aiuta la mente a pensare a oggetti, non a sciorinarne soltanto i
loro nomi.
È quasi impossibile tuttavia che i geoni possano servire per ricostruire un
volto: infatti molti psicologi ritengono che il riconoscimento sia qualcosa di
speciale. È possibile che il riconoscimento –di volti e di oggetti, diversi- usi
parti specifiche del cervello (conferma da Zeki).
Il rapporto di una forma con la sua immagine speculare dà adito a sorprese,
persino a paradossi. La nostra tendenza a dimenticare destro e sinistro è in
netto contrasto con la nostra ipersensibilità per sopra e sotto e davanti e
dietro. La questione è legata al nostro essere animali simmetrici. Anche la
selezione naturale ha privilegiato gli assi alto basso. Proviamo a prendere una
diapositiva di un paesaggio: capovolta destra-sinistra non si nota la
differenza.
Il riconoscimento della forma è un problema così arduo che un singolo
algoritmo buono per tutti gli usi può non funzionare per qualunque forma in
qualunque condizione visiva.
La rotazione mentale è un altro talento dei tanti di cui il nostro sistema visivo
è dotato che non si limita ad analizzare i contorni provenienti dal mondo: ne
crea qualcuno tutto suo nella forma di un’immagine fantasma in movimento.
Immagina un po’
Le immagini mentali sono il motore che fa muovere i nostri pensieri sugli
oggetti collocati nello spazio. È una configurazione dello schizzo a due
dimensioni e mezzo della memoria a lungo termine
Le immagini mentali potrebbero essere specie di disegni nella testa. Le
immagini possono influire sulla percezione anche in modo grossolano. Quando
si vedono delle forme e se ne immaginano delle altre, a volte si fa fatica, in
seguito, a ricordare quali si è viste e quali no. Immagini e visione, condividono lo spazio nel cervello? Recenti scoperte hanno dimostrato che sede delle
immagini mentali è il cervello visivo.
5
Esperimenti su come le persone risolvono i problemi spaziali hanno rivelato un
ricco portautensili mentale di operazioni grafiche quali zoomate, riduzioni,
panoramiche, scansioni, ricalchi, coloriture. Il pensare visivamente, come
giudicare se due oggetti giacciono sulla stessa linea o se due macchie di
dimensioni diverse hanno la stessa forma, collega queste due operazioni in
sequenza di animazione mentale.
Le immagini in memoria devono essere etichettate e organizzate all’interno di
una sovrastruttura preposizionale forse un po’ come negli ipermedia, dove i
files grafici sono collegati a punti di connessione all’interno di un grande testo
o database. Il pensiero visivo è spesso guidato più dal sapere concettuale cui
facciamo uso per organizzare le nostre immagini che dai contenuti delle
immagini stesse.
Le immagini non possono fungere da concetti, né da significati di parole nel
dizionario mentale. Ed è altrettanto improbabile che tutti i pensieri siano
immagini.
Le immagini sono ambigue, ma i pensieri quasi per definizione, non possono
esserlo. Il buon senso opera distinzioni che le immagini di per sé non
operano: quindi il buon senso non è una raccolta di immagini. Se
un’immagine mentale viene usata per rappresentare un pensiero dev’essere
accompagnata da una didascalia, da una serie di istruzioni su come
interpretarla, su ciò a cui si deve prestare attenzione. Quando finisce la
visione e inizia il pensiero non ci si può più sottrarre all’esigenza di simboli
astratti e preposizioni che colgano aspetti di un oggetto affinché la mente li
possa manipolare.
Indice
Attrezzatura base
Macchine pensanti
La vendetta dei buoni a nulla
L’occhio della mente
- Occhio profondo
- Luci, ombre, forme
- Vedere a due dimensioni e mezzo
- Quadri di riferimento
- Biscotti a forma di animali
- Immaginate un po’voi
Buone idee
Teste calde
I valori della famiglia
Il senso della vita
Autore
Steven Pinker è docente di psicologia e direttore del centro di neuroscienza
cognitiva al MIT. Le sue ricerche nel campo della cognizione visiva e del
linguaggio gli hanno valso riconoscimenti internazionali.
Bibliografia essenziale
L’istinto del linguaggio, Mondadori 1996
Pinker, The Blank Slate.
Link
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È molto interessante questa critica all’esposizione delle teorie di Pinker
espressa da Diego Marconi sul Sole 24 Ore del 4/2/01
“Tutte le spiegazioni di Pinker hanno la seguente struttura. Prima premessa:
la popolazione X presenta il tratto Y (per esempio l'impulso sessuale, o la
paura dei ragni). Seconda premessa: nel Pleistocene, il tratto Y comportava
un vantaggio adattivo per queste e queste ragioni. Conclusione: il tratto Y è
conseguenza dì un fattore genetico Z, che è stato selezionato. Il punto debole
è costituito dalla seconda premessa: stabilire che un certo tratto è adattivo è
troppo facile…
Ma il punto è che bisogna diffidare delle teorie che sono in grado di "spiegare"
così facilmente sia il fatto che P sia il fatto che non-P, perché ciò vuol dire che
i loro principi sono compatibili con qualsiasi fatto e quindi non ne spiegano in
realtà nessuno: sono, come diceva Popper, «prive di contenuto empirico». Le
vere teorie scientifiche non funzionano così: la meccanica newtoniana non è
compatibile con qualunque insieme di posizioni dei pianeti. Proprio perciò è in
grado di fare previsioni, mentre il darwinismo di Pinker non è in grado di farne
nessuna: è solo in grado di formulare spiegazioni ex post, una volta che si sa
come le cose sono andate. Per questo aspetto esso assomiglia, più che a una
teoria scientifica, a forme di pensiero come il marxismo o la psicoanalisi. Il
darwinismo onnicomprensivo è una nuova Grande Narrazione, e delle grandi
narrazioni ha l'immenso potere di suggestione (come aveva visto Wittgenstein, che aveva accomunato in questo darwinismo e psicoanalisi); ma le sue
basi sono fragili, e si deve fare attenzione a che la sua fragilità non si
ripercuota sulle autentiche teorie scientifiche che esso sfrutta, come la
genetica e la biologia delle specie.”
Gli spetti positivi del testo, riconosciuti anche dal recensore, sono il fascino
narrativo dell’esposizione, che è tipica di altre discipline come la psicoanalisi.
La non corrispondenza tra “naturale e buono” affermata da certo positivismo
darwinista e contestata da Pinker quindi la corrispondenza univoca tra etica
biologia. La presentazione documentata di molte ricerche psicologiche recenti
che contribuiscono a sfatare o almeno a mettere in dubbio molti luoghi
comuni, come il peso dell’influenza dell’educazione sul comportamento di un
individuo (es. gemelli monozigoti allevati dalla nascita da famiglie diverse, figli
adottati dalla stessa famiglia che hanno differenze rilevanti)
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Ancora riiporto come di grande interesse il seguito recente della discussione
sulle teorie di P.
Pubblicato il 27/03/2005 Scienze cognitive
http://www.pikaia.eu/EasyNET/Frameset.asp?Code=pikaia&Page=FormDOC&IDD=265&CSS=PRINT&IDTOP=1725&NOBOX=TRUE&FROMSTART=TRUE
La Mente funziona o non funziona così? Il dibattito Fodor-Pinker di Jacopo
Romoli.
Segnalo un’interessante articolo dello psicologo Steven Pinker, che risponde
alle critiche di Jerry Fodor al suo approccio allo studio della mente come
organo computazionale modellato dalla selezione naturale. Nel libro “la mente
non funziona così” pubblicato nel 2001 da Laterza, …Fodor si concentra su due
libri in particolare: Come funziona la mente, e Introduzione alla psicologia
evoluzionistica, di H. Plotkin, Astrolabio, Roma, 2002, che ha un approccio
simile.
Approccio, a volte chiamato la “Nuova Sintesi”, anche conosciuto come
“Psicologia Evoluzionistica”, che combina l’idea della mente come organo
computazionale, composta da un numero di facoltà specializzate, con quella
del mondo naturale come il prodotto della selezione naturale su entità
replicanti, i geni. Il profilo della mente delineato è quindi quello di un’insieme
di strutture di computazione, specializzate ed evolute nel tempo: Fodor
attacca questo approccio principalmente in tre punti:
1 la mente computazionale, intesa come macchina di Turing, non sarebbe in
grado di operare quella che lui definisce “abduzione”, ossia utilizzare
informazioni contestuali per inferire la spiegazione migliore e, anche se un
sistema modulare massivo riuscisse a farlo, a quel punto non sarebbe
plausibile la sua esistenza sotto altri aspetti: "presa alla lettera, essa [l’idea
della modularità massiva] rasenta l'incoerenza; presa in senso lato, risulta
priva di plausibilità empirica" (Fodor, 2001:69-70). Inoltre, per il filosofo
americano, l’architettura cognitiva non può essere il prodotto della selezione
naturale, e quindi la prospettiva evolutiva non sarebbe in grado di aiutarci
nella comprensione della nostra vita mentale. Pinker riprende tali critiche nel
suo articolo e mostra come, a suo avviso, queste non colgano nel segno,
perché si riferiscono a concetti che sono intesi diversamente da come
l’intende lo psicologo di Harvard: per quanto riguarda il primo punto, infatti,
l’autore sostiene che la sua idea di mente computazionale sia diversa dalla
computazione della macchina di Turing e che quindi le limitazioni che Fodor
individua in essa non sono influenti per il suo approccio. Anche l’idea di
specializzazione modulare della mente è concepita dall’autore in maniera
diversa da come Fodor la descrive nel suo libro. Infine Pinker difende la
prospettiva evolutiva come fondamentale strumento per lo studio del mentale.
Riferimenti: Fodor, Jerry, 2001, La mente non funziona così, Laterza, Bari
Pinker, Steven, 2005, “So how does the Mind work”, Mind and cognition,
20(1),
pp.
1-24
[disponibile
sul
sito
dell’autore
all’Url:
http://pinker.wjh.harvard.edu/articles/index.html]
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