Premessa
Si stima che oggi in Italia vivano circa due milioni di persone affette da infezione
cronica da virus epatici e di queste circa 600.000 sarebbero portatori del virus
dell’epatite B (HBV).
Le epatiti virali croniche possono decorrere per lunghi anni senza sintomi; è verosimile
che una gran parte dei soggetti infetti non sia a conoscenza della propria patologia.
La popolazione infetta è a rischio di sviluppare complicanze della malattia: epatite
cronica attiva, con vari gradi di fibrosi, fino alla cirrosi e alle sue complicanze con
sviluppo di ascite, ittero, encefalopatia, emorragia dalle varici esofagee. Inoltre può
insorgere tumore del fegato perché il virus dell’epatite B è un oncogeno e questa
patologia costituisce la principale causa di epatocarcinoma.
La vaccinazione obbligatoria nei confronti dell’HBV, introdotta in Italia a partire
dal 1991 per i nuovi nati e al dodicesimo anno di età, associata al progressivo
miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie, all’introduzione di dispositivi
medici monouso e al rigoroso controllo delle donazioni di sangue, ha consentito
di ridurre significativamente il tasso di prevalenza dell’infezione da HBV, in modo
particolare nella popolazione giovanile.
Rimane però una quota residua di popolazione infettatasi prima di queste misure
preventive, a cui oggi si aggiunge la quota della popolazione immigrata da zone a
elevata pandemia, quali l’Asia, l’Est Europa e il Sud del Mediterraneo che, per diversi
motivi, ha purtroppo difficoltà di accesso alle strutture sanitarie italiane.
Questa parte di popolazione infetta non solo è a rischio di sviluppare complicanze
della malattia, ma rappresenta anche una possibile fonte di contagio per gli altri.
È, pertanto, fondamentale conoscere e selezionare i soggetti a rischio, per poter
proporre loro lo screening per infezione da HBV: in caso di risultato positivo, sarà
così possibile una prevenzione secondaria individuale e una protezione dei familiari.
Una gestione integrata, tra specialisti (epatologi, infettivologi, gastroenterologi)
e medici di medicina generale, della diagnosi, del follow up e dell’aderenza alle cure
del paziente con infezione da HBV può garantire maggior beneficio ai pazienti,
ma anche favorire l’ottimizzazione delle risorse sanitarie.
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Infezione da Hbv: implicazioni per la salute pubblica
L’infezione da HBV è un importante problema di salute pubblica in quanto riconosciuta come
una comune causa di morte associata a insufficienza epatica, cirrosi ed epatocarcinoma.
In Italia, l’infezione da HBV rimane una delle principali cause di malattia epatica, nonostante
il miglioramento delle condizioni socio-economiche e l’introduzione della vaccinazione nei nuovi
nati e negli adolescenti. Si stima che vi siano circa 600.000 soggetti con infezione cronica da HBV;
l’epatite B è la terza tra le cause di morte legate alla patologia epatica.
La prevalenza di portatori di HBsAg è progressivamente calata negli ultimi venti anni e oggi
è <1,5%, collocando l’Italia tra i Paesi a bassa endemia. Tuttavia il tasso di prevalenza varia
significativamente tra le diverse regioni del mondo, essendo ancora alto (>8%) in molti Paesi
dell’Africa, Europa dell’Est e Asia, aree dalle quali proviene un intenso flusso migratorio.
Si stima che in Italia vi siano almeno 4,5 milioni di immigrati tra i quali sono presenti 250.000300.000 portatori cronici di HBV.
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Identificazione dei candidati a rischio
I soggetti con infezione cronica da HBV possono rimanere asintomatici per anni, non essere quindi
a conoscenza della loro malattia e delle gravi conseguenze alle quali possono andare incontro e
non essere a conoscenza delle possibilità di trasmissione del virus.
La precoce identificazione di tali soggetti permette la definizione dello stato di malattia e
l’eventuale istituzione di una terapia adeguata che eviti la progressione della malattia o anche
causi una regressione della fibrosi; consente anche la vaccinazione dei contatti e partner sessuali,
interrompendo in questo modo la catena della trasmissione.
Le categorie di individui a rischio elevato per l’infezione da HBV sono le seguenti:
soggetti che provengono da aree a endemia elevata e intermedia, contatti familiari con soggetti
infetti, soggetti che hanno rapporti sessuali con persone infette, tossicodipendenti per via venosa,
soggetti con partner sessuali multipli, soggetti con anamnesi di malattie infettive sessualmente
trasmesse (MST), soggetti con infezione da HCV o HIV, detenuti, dializzati, soggetti con costante
aumento dei valori delle transaminasi.
In tali soggetti va eseguito uno screening sierologico per l’HBV: la ricerca di HBsAg è l’esame
sierologico di prima linea per identificare i soggetti con infezione cronica da HBV. Coloro che
risultano sieronegativi (HBsAg e anti-HBs-negativi) e appartengono alle categorie a rischio vanno
vaccinati.
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Il virus dell’epatite b
Il virus dell’epatite B (HBV) è un piccolo virus con un diametro massimo di 42 nm comprendente
un nucleocapside circondato a sua volta da un involucro esterno lipoproteico (envelope) che
contiene le proteine di superficie (HBsAg). Il nucleocapside, contenente l’antigene core (HBcAg)
racchiude la DNA-polimerasi virus-specifica e il genoma virale. Quest’ultimo è costituito da DNA
circolare a doppia elica incompleta contenente un totale di 3200 nucleotidi. In fase di replicazione
del virus, viene prodotta una proteina denominata HBeAg che viene secreta nella circolazione
sanguigna.
HBV non ha un effetto citopatico diretto, ma il danno epatico è provocato dalla risposta
immunitaria cellulo-mediata; resiste al calore (56 °C per 60’), ai raggi U.V., al congelamento,
allo scongelamento, sopravvive per più di 6 mesi a temperatura ambiente e sotto forma
di aerosol, viene inattivato alla temperatura di 85-100 °C per 60’.
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Hbv è altamente infettante ed è presente in tutti i liquidi corporei
(sangue, secrezioni vaginali, sperma)
Il virus può essere trasmesso attraverso modalità orizzontale o verticale.
La modalità orizzontale comprende la via parenterale apparente (trasfusioni di sangue
o emoderivati, punture accidentali con aghi, siringhe e/o strumentario chirurgico non
adeguatamente sterilizzato, trapianto di organi infetti, uso promiscuo di oggetti taglienti che
possono creare microtraumi cutanei, tatuaggi, e inapparente (microlesioni di cute o mucose, via
sessuale).
La trasmissione del virus mediante trasfusioni di emoderivati è rara nei Paesi industrializzati,
mentre rappresenta ancora una realtà nei Paesi in via di sviluppo in cui non viene effettuato uno
screening sierologico sui donatori.
Per quanto riguarda la trasmissione verticale (o perinatale), l’infezione si trasmette
prevalentemente durante il parto o nelle fasi immediatamente successive. Tale trasmissione è
più frequente (circa il 5-10%) se la madre è HBeAg-positiva e presenta elevata viremia. In Italia, la
trasmissione perinatale è del tutto rara, data la bassa prevalenza di donne in età fertile HBsAgpositive (circa 1%), in larga maggioranza HBeAg-negative, e per la profilassi che viene effettuata
regolarmente al neonato. Tra le gravide immigrate la prevalenza di HBsAg-positività è di circa il 5%
ed è più probabile il riscontro di HBeAg-positività e viremia elevata. In questi casi è opportuno che
lo specialista valuti l’uso di antivirali durante la gravidanza.
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La storia naturale dell’infezione da Hbv
La storia naturale dell’infezione da HBV varia a seconda che l’infezione venga contratta nella
prima infanzia o in età adulta. Nel primo caso si assiste a una cronicizzazione della malattia fino
al 90% dei casi; nel secondo caso, la guarigione avviene in oltre il 90% dei casi e nel 5% dei casi
l’infezione diviene cronica. L’infezione cronica è caratterizzata da fasi di attiva replicazione del
virus, alternate a fasi di bassa o assente replicazione, e ciò dipende dall’interazione tra il virus
e il sistema immunitario dell’ospite. L’andamento nel tempo è variabile, ma tendenzialmente
progressivo, passando dall’epatite cronica attiva, con vari gradi di fibrosi, fino alla cirrosi e alle sue
complicanze con sviluppo di ascite, ittero, encefalopatia, emorragia dalle varici esofagee, sviluppo
di epatocarcinoma, morte del soggetto.
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Epatite acuta
I segni e i sintomi dell’epatite B acuta si presentano generalmente dopo 2-3 settimane dall’esposizione
al virus, ma talora anche dopo 3-6 mesi. La risposta immunitaria dell’organismo contro le cellule
epatiche infettate da HBV è responsabile del danno epatico che si manifesta con un aumento dei livelli
plasmatici delle transaminasi, associato o meno a iperbilirubinemia, con riscontro di ittero franco o subittero, ipercromia delle urine, feci acoliche o ipocoliche e raramente rash cutaneo. Più comunemente la
sintomatologia è caratterizzata da: stanchezza, inappetenza, nausea, vomito, dolori articolari aspecifici.
È importante ricordare che la maggioranza dei neonati e dei bambini e il 30% delle persone colpite in
età adulta sono asintomatici.
A livello plasmatico, il primo marker dimostrabile nel siero è l’antigene di superficie (HBsAg) che
rimane generalmente rilevabile durante tutta la fase acuta della malattia e per un periodo molto
variabile da caso a caso durante la convalescenza. Nel casi di epatite a evoluzione favorevole, l’HBsAg
scompare e, dopo alcune settimane dalla sua scomparsa, si evidenziano gli anticorpi specifici (antiHBs). Un altro degli antigeni correlati all’infezione da HBV, l’HBcAg non è determinabile nel siero con
le comuni metodiche diagnostiche. Al contrario, gli anticorpi specifici (anti-HBc) sono già dimostrabili
1-2 settimane dopo la comparsa di HBsAg. Gli anticorpi anti-HBc di classe IgM sono predominanti nella
fase acuta e persistono per alcuni mesi dopo l’episodio acuto. La loro determinazione è pertanto di
fondamentale importanza per la diagnosi di infezione acuta. Gli anticorpi anti-HBc di tipo IgG diventano
rapidamente dominanti, persistono per tutta la vita dopo la guarigione, e rappresentano il miglior
marcatore sierologico di pregressa infezione. Gli anticorpi anti-HBs compaiono dopo la clearance di
HBsAg e denotano l’immunità verso il virus.
Un altro marker sierologico, l’HBeAg, è determinabile poco dopo la comparsa di HBsAg. Nell’infezione
da HBV a evoluzione favorevole, tale antigene è rapidamente eliminato e dopo poche settimane
compaiono gli anticorpi specifici (anti-HBe). La presenza plasmatica di HBeAg e HBV-DNA riflette l’attiva
replicazione del virus.
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Epatite cronica
La persistenza di HBsAg oltre sei mesi dal contatto con il virus testimonia che siamo di fronte
a una cronicizzazione dell’infezione.
I segni evidenti di danno epatico possono mancare per tutta la lunga fase cronica della malattia,
che può durare anche 20-30 anni; questo fa sì che né il medico né il paziente sospettino
l’infezione e, quindi, ritardino le cure presso una struttura sanitaria. Spesso è presente
un’ipertransaminasemia solo lievemente superiore ai valori normali. La corretta diagnosi
di epatite B può essere fatta solamente studiando il quadro sierologico.
In caso di cronicizzazione della malattia, HBsAg persiste determinabile nel siero accompagnandosi
a quadri diversi degli altri marcatori sierologici che permettono di distinguere due forme
importanti di epatite B cronica:
1.
Epatite cronica HBeAg-positiva: in questa forma la popolazione virale prevalente è
costituita dalla variante selvaggia (wild type) ed è caratterizzata dalla presenza di HBeAg, di
livelli elevati e costanti di HBV-DNA e da quadri istologici di epatite cronica attiva o cirrosi.
2. Epatite cronica anti-HBe-positiva: la selezione di mutanti pre-core, frequenti tra l’altro
nel nostro Paese, si associa a una forma di epatite cronica caratterizzata dalla presenza
di anti-HBe associato a HBV-DNA determinabile e spesso fluttuante.
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Riassunto
La positività per HBsAg indica un’infezione in corso, la positività di anti-HBs indica
un’immunizzazione naturale/vaccinazione, la positività per HBcAg un’esposizione al virus.
La presenza di HBV-DNA rileva una replicazione attiva del virus.
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Infezione cronica da Hbv
Non sempre la persistenza di HBsAg nel tempo è correlata a malattia epatica. Occorre differenziare
due quadri ben distinti:
1.
il paziente con epatite cronica, affetto da malattia epatica caratterizzata da alterazioni
anatomo-patologiche e funzionali dell’organo e con evidenza di replicazione virale.
2. il portatore inattivo, caratterizzato dalla persistente normalità delle transaminasi in
corso di monitoraggio, da positività per l’anti-HBe e da viremia assente o di basso livello
(<2000 UI/ml). Nella maggioranza di questi soggetti il quadro istologico non evidenzia una
malattia epatica significativa.
Il soggetto portatore inattivo va comunque monitorato nel tempo, in quanto studi clinici hanno
evidenziato che la riattivazione può essere osservata nel 20-30% di questi soggetti durante un
periodo di 18 anni. La riattivazione è caratterizzata da cospicuo aumento delle transaminasi nel
siero, con la ricomparsa di HBeAg nel 4% dei casi ed è associata a prognosi negativa.
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L’epatite b cronica, nella maggior parte dei casi, viene scoperta in seguito all’esecuzione
di esami di routine che comprendono un pannello ematochimico e sierologico completo
In un paziente asintomatico (la maggioranza dei soggetti) o con pochi e vaghi sintomi,
alcuni esami possono fornire il primo segnale di infiammazione o danno epatico: ALT (alanina
aminotransferasi), un enzima presente principalmente nel fegato, i cui valori nella norma sono <30
UI/l nel maschio e <19 UI/l nella femmina; AST (aspartato aminotransferasi), un enzima presente
nel fegato e in pochi altri organi, come il cuore e altri muscoli; albumina, la principale proteina
prodotta dal fegato indicativa della capacità di sintesi epatica. In presenza di persistenti o
fluttuanti aumenti delle transaminasi, anche se di lieve entità (ALT> x1,5 i valori normali) il medico
ha il compito di effettuare uno screening sierologico per i virus epatici.
Nel soggetto HBsAg-positivo, la storia clinica prenderà in considerazione anche i cofattori
che possono interferire con il virus e accelerare la storia naturale della malattia: il consumo di
alcool, la sindrome metabolica, la coinfezione con altri virus (HDV, HCV, HIV), la familiarità per
epatocarcinoma.
L’esame clinico del soggetto valuterà la presenza di epatomegalia, la consistenza e i margini
epatici, la presenza di segni indiretti di ipertensione portale (splenomegalia, ascite, circoli
collaterali addominali, spider nevi).
In presenza di infezione cronica, in particolare con presenza di cirrosi, va iniziata la sorveglianza
per carcinoma epatocellulare (ecografia ogni 6 mesi).
Il medico di medicina generale dopo un’iniziale valutazione, deve inviare tutti i pazienti HBsAgpositivi, anche se con transaminasi normali, da uno specialista, per una precisa stadiazione della
malattia e per un programma di monitoraggio o per l’eventuale decisione terapeutica.
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Le ipertransaminasemie croniche
Non tutte le ipertransaminasemie croniche sono di origine virale. Se siamo di fronte a un
soggetto con esami sierologici indicativi di nessun contatto con i virus epatici, dobbiamo
indagare altre cause di epatopatia cronica, quali la steatosi epatica (particolarmente frequente
nella sindrome metabolica), forme tossiche (uso di farmaci epatotossici), epatopatia alcolica,
altre malattie dismetaboliche (emocromatosi, deficit di alfa-1-antitripsina, malattia di Wilson),
malattie delle vie biliari (colelitiasi, cirrosi biliare primitiva, colangite sclerosante).
Esistono anche delle ipertransaminasemie di origine extraepatica o che in alcuni casi rimangono
di origine sconosciuta.
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Obiettivo del trattamento
L’obiettivo ideale del trattamento dell’epatite B cronica sarebbe l’eradicazione dell’infezione,
obiettivo che comunque non è possibile raggiungere a causa della persistenza di HBV-DNA
sottoforma di un DNA circolare chiuso (ccc-DNA) altamente stabile all’interno degli epatociti e
non eradicabile da qualsiasi farmaco attualmente disponibile. Pertanto, l’obiettivo principale e
raggiungibile è l’arresto della progressione della malattia verso la cirrosi e le sue complicanze, con
l’intento di prolungare la sopravvivenza del soggetto e migliorare la sua qualità di vita, ottenibile
attraverso il controllo costante della replicazione virale.
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Gli “end-points” terapeutici
L’end-point ideale della terapia è la scomparsa di HBsAg con successiva sieroconversione ad
anti-HBs. Tale obiettivo è raggiunto solo in una minoranza di casi. L’end-point desiderabile è
la soppressione in modo completo e persistente della replicazione virale al fine di evitare la
progressione della malattia. La sieroconversione da HBeAg ad anti-HBe-positività è un importante
obiettivo nei soggetti HBeAg-positivi.
Attualmente, le opzioni terapeutiche sono prescrivibili dal medico specialista.
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I pazienti da trattare
Le indicazioni al trattamento nei soggetti con infezione cronica da HBV si basano su diversi criteri
che devono essere valutati dal medico specialista: i livelli sierici delle transaminasi, i livelli sierici di
HBV-DNA, lo stato virologico del soggetto (HBeAg-positivo o negativo), lo stato istologico o clinico
della epatopatia. Sulla base di numerosi dati della letteratura (Evidence Based Medicine, EBM)
e della propria esperienza clinica, i maggiori specialisti italiani hanno stilato il “Paradigma di Stresa”
che sintetizza le indicazioni per il trattamento dei pazienti con epatopatia cronica HBV-correlata.
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Terapia dell’epatite b
Il successo terapeutico della terapia dipende da numerosi fattori. Tra questi risulta importante
l’aderenza alla terapia e in questo il medico di medicina generale ha un ruolo fondamentale
nell’indurre la stretta osservanza nel corso degli anni della prescrizione terapeutica dello
specialista.
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La cirrosi
La storia dell’infezione cronica da HBV in assenza di trattamento è caratterizzata dall’evoluzione,
nell’arco di anni, verso la cirrosi epatica, caratterizzata da una profonda e progressiva alterazione
della struttura del parenchima epatico con formazione di necrosi, fibrosi e noduli di rigenerazione;
queste modificazioni possono portare a una distorsione tale della normale struttura epatica da interferire
con il flusso sanguigno all’interno del fegato e, quindi, compromettere irrimediabilmente la funzionalità
epatica. Il principale fattore che porta alla progressione del danno epatico è la replicazione virale.
Nel soggetto con epatite cronica B, l’incidenza cumulativa a 5 anni di cirrosi è del 13-38%, di
epatocarcinoma (HCC) del 10%. Una volta instaurato lo scompenso epatico, il tasso di mortalità a 5 anni
raggiunge l’85%.
Durante lo stadio iniziale della cirrosi, il soggetto è asintomatico e si parla di cirrosi compensata.
Ciò è legato al fatto che esiste ancora un buon numero di epatociti capaci di svolgere le loro funzioni
in modo adeguato e non si sono instaurate le alterazioni fisiopatologiche legate all’ipertensione
portale. Se durante questo periodo non viene iniziata alcuna terapia e non viene eliminata la causa
della malattia, la progressione del danno epatico determina un’ipertensione portale, a cui segue
una splenomegalia con sequestro di leucociti e piastrine, formazione di varici a livello dell’esofago
e dello stomaco. Il fegato così danneggiato causa alterazioni metaboliche (come la riduzione
dell’albumina sierica, prodotta dal fegato) e ormonali (aumento dell’aldosterone) che provocano ascite
e altre complicanze, quali edemi periferici e ittero. Nelle fasi più avanzate della malattia si possono
manifestare emorragie da rottura delle varici esofagee, encefalopatia epatica, che si manifesta con
sonnolenza, confusione mentale fino al coma epatico, sindrome epatorenale caratterizzata da un rapido
deterioramento della funzionalità renale. L’epatocarcinoma può complicare tutte le fasi della cirrosi ed è
frequente causa di morte in questi soggetti. Il paziente in fase di scompenso epatico va ospedalizzato.
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Cirrosi da Hbv: esami di primo livello
La maggior parte dei soggetti con cirrosi ancora nella fase di compenso è asintomatica, o
manifesta solo sintomi aspecifici come astenia o disturbi digestivi. La diagnosi viene spesso
effettuata valutando gli esami del sangue, un’ecografia epatica o quando compare una
complicazione, come l’ascite o un’emorragia.
Gli esami ematochimici indicano un incremento degli enzimi epatici (transaminasi, fosfatasi
alcalina, GGT), una riduzione di albumina, dei fattori della coagulazione e delle piastrine,
ipergammaglobulinemia, talora iperbilirubinemia. Non in tutte le fasi della cirrosi tali valori sono
alterati: nelle fasi di compenso gli esami possono essere normali, soprattutto le transaminasi,
mentre già in questa fase un’ecografia addominale può rilevare alterazioni strutturali del fegato e
una lieve dilatazione della vena porta o una splenomegalia.
Le varici esofagee, che denotano una fase più avanzata della malattia, vanno ricercate con
un’esofagogastroscopia, che ne valuta le caratteristiche e il rischio emorragico. Eventualmente il
soggetto dovrà essere sottoposto a profilassi del sanguinamento, a giudizio dello specialista.
La diagnosi di cirrosi può richiedere la biopsia solo nelle fasi molto precoci. L’elastometria epatica
(Fibroscan) è una metodica non invasiva dotata di buona specificità nella diagnosi di cirrosi.
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I pazienti con cirrosi
Il paziente con cirrosi da HBV va sempre trattato con antivirali, anche se le transaminasi sono
normali. Da non dimenticare la correzione di tutti i cofattori di progressione, come consumo
alcolico, obesità, diabete.
Le complicanze della cirrosi epatica sono trattate con terapie specifiche, farmacologiche e non.
Il paziente con cirrosi da HBV va seguito in stretto contatto con il centro specialistico e
quest’ultimo, se è il caso, deve mantenersi in contatto con un centro trapianti.
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Algoritmo 1: paziente con transaminasi ripetutamente anormali e sierologia virologica negativa.
* I valori nella norma di ALT sono: <30 UI/l nel maschio e <19 UI/l nella femmina.
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Algoritmo 2: paziente con transaminasi ripetutamente anormali e sierologia HBV-positiva.
* I valori nella norma di ALT sono: <30 UI/l nel maschio e <19 UI/l nella femmina.
Con il supporto non condizionato di